Siamo un gruppo di donne e uomini che hanno seguito e partecipato in modi differenti alle lotte che si sono sviluppate intorno al confine di Ventimiglia a partire dall’estate del 2015.

A Giugno di quell’anno la Francia ha sigillato le proprie frontiere, sospendendo gli accordi di Schengen. Da allora, lo Stato francese non ha più smobilitato l’immane apparato di controlli: ricorrendo ripetutamente al dispositivo dello “stato d’emergenza”, ha continuato ad effettuare blocchi e rastrellamenti sulla base del colore della pelle. La selezione all’ingresso della Francia rimane tutt’ora improntata su criteri di discriminazione razziale, dando vita a una vera e propria caccia al nero che si spinge fino a oltre venti chilometri dal confine.

Il progetto del blog nasce per narrare i conflitti che si intrecciano e si moltiplicano a partire da questo confine, coinvolgendo zone sempre più ampie del territorio italo francese. A nostro parere, la gestione securitaria dei confini interni ed esterni d’Europa, rappresenta infatti un dispositivo centrale nelle dinamiche di potere della contemporaneità globale.

Tracciato politico che causa profonde conseguenze reali, il confine rappresenta allo stesso tempo un limite e un punto di passaggio e di incontro. È perciò nelle zone di frontiera che si sviluppano dure e spesso tragiche lotte, nelle quali migliaia di donne, uomini e bambin* si giocano le proprie speranze e, sempre più spesso, la propria vita.

Anche a Ventimiglia, come negli altri nodi di ingresso della cosiddetta Fortezza Europa, la riattivazione e la moltiplicazione dei confini stanno trasformando il territorio in uno spazio sempre più militarizzato, dove si sperimentano nuove pratiche di controllo sociale e repressione del dissenso: attraverso un proliferare di norme, decreti e ordinanze si sta realizzando quella che possiamo definire la costruzione di un “Regime di confine”.

La situazione a Ventimiglia, dal 2015 al 2017, ha conosciuto infatti diverse fasi e significativi cambiamenti nelle strategie di gestione politica, sociale e territoriale della questione migratoria.

Nel 2015 vi fu un ampio eco mediatico quando i migranti, col supporto di una folta e consapevole rete di attiviste e attivisti, decisero di occupare gli scogli dei Balzi Rossi per protestare contro la chiusura del confine francese, rivendicando per sé stessi la libertà di movimento. L’inceppamento del sistema di Schengen e i primi nodi al pettine nel sistema Dublino furono un iniziale momento di scandalo e difficoltà per le pubbliche istituzioni italiane ed europee.

Esse tuttavia hanno rapidamente organizzato una risposta: già dall’autunno 2015, con i primi vertici a Malta sulla questione migratoria, le potenze europee hanno inaugurato una serie di dispositivi volti a sigillare le porte d’Europa e bonificare i paesi investiti dal flusso migratorio. L’emergenza è diventata normalità, e anche l’attenzione dei media si è rivolta altrove.

Lontano dai proclami propagandistici dell’amministrazione cittadina, Ventimiglia si mostra fuori della retorica della “buona accoglienza”: l’impegno delle istituzioni a fare della zona di confine un laboratorio di repressione è diventato sempre più agguerrito e raffinato. Identificazioni forzate, violenze e deportazioni per i migranti; denunce, arresti e fogli di via per le donne e gli uomini attivi nelle pratiche di solidarietà concreta.

Dalla primavera del 2016 sono arrivati in città i militari, per presidiare stazione e valichi di frontiera; quindi sono state ordinate vere e proprie operazioni di pulizia etnica: le ripetute retate e i rastrellamenti nelle strade centrali di Ventimiglia hanno spinto le persone migranti ad allontanarsi e cercare rifugio verso zone sempre più periferiche. Tra sgomberi e ruspe, hanno spostato i propri ripari di fortuna dalla stazione al mare, poi dal mare alle sponde del fiume Roja, sotto al cavalcavia che conduce alle autostrade.

La volontà di far scomparire dagli occhi dell’opinione pubblica le centinaia di persone bloccate dal confine, ha portato a inaugurare un sistema di trasferimenti forzati verso il Sud Italia: il 12 maggio 2016 è partito alla volta di Trapani il primo pullman della locale Riviera Trasporti. Ogni giorno da allora le persone di colore vengono arbitrariamente catturate nelle strade cittadine, caricate sui pullman e deportate al sud, oggi principalmente a Taranto.

Nel frattempo, dopo i ripetuti sgomberi di tutti i campi indipendenti organizzati assieme da migranti e solidali della Rete No Borders, l’amministrazione cittadina assieme alla prefettura di Imperia hanno deciso di aprire un campo gestito dalla Croce Rossa Italiana nell’ex area ferroviaria, una zona desolata e semi abbandonata a quattro chilometri dal centro di Ventimiglia.

Nell’estate del 2017 la procedura di ghettizzazione subìta dai migranti è culminata nell’ordine di chiusura dell’unico spazio di accoglienza informale sopravvissuto: la chiesa di Sant’Antonio nel quartiere delle Gianchette. Le donne, le famiglie e i minorenni non accompagnati sono stati obbligati a salire su un bus che li ha depositati nel medesimo “campo d’accoglienza”: cemento e container circondati da grate e presidiati giorno e notte dalle forze dell’orine.

Gli antichi e ormai in disuso uffici della dogana italiana sono stati riaperti. I monti e i sentieri che portano in Francia sono stati disseminati da checkpoint e droni, mentre la legione straniera francese pattuglia con i cani l’intera zona. Le violenze, gli abusi e le umiliazioni inflitte ai migranti sono andate incrementando da ambo le parti del confine. L’inasprimento delle misure di controllo e l’esasperarsi complessivo della situazione, ha condotto, a partire dal 2016 e tutt’oggi, ad un inaccettabile aumento dei casi di persone decedute nel tentativo di attraversare il confine.

I differenti attori istituzionali che agiscono e normano l’”emergenza migranti” hanno osservato, poi accettato e iniziato a riprodurre un sistema di segregazione-assistenzialismo voluto dai poteri forti e che squalifica qualsiasi tentativo non istituzionale di aprire spazi di incontro e confronto con le persone migranti.

Contemporaneamente si consolida ovunque una narrativa volta a criminalizzare e de-umanizzare il soggetto migrante: veicolata dai poteri locali come da quelli globali, la rappresentazione mediatica dell’”emergenza migranti” è volutamente caotica e incalzante. I continui toni allarmistici nutrono pregiudizi e discriminazioni che squalificano il futuro e le chance di cambiamento per milioni di persone in viaggio. La linea di regime non è in discussione: ogni analisi critica, ogni proposta di discussione, ogni azione di denuncia e ogni voce di dissenso vengono repressi e perseguitati.

Per tutti questi motivi abbiamo pensato che una delle più urgenti esigenze fosse quella di raccontare il confine e le sue conseguenze reali nella vita di tutte e tutti noi. Non pretendiamo di poter fare un bilancio esaustivo su ciò che è stato e ciò che succederà ancora a Ventimiglia e dintorni, ma assumiamo l’impegno a rendere pubbliche e diffondere le voci, le prospettive, le storie di chi ogni giorno subisce, lotta e resiste contro la violenza di queste nuove politiche di confinamento.

Attraverso lo strumento del blog vorremmo diffondere le storie e le parole degli uomini e delle donne che ogni giorno arrivano, partono, restano e vivono a Ventimiglia. Ma non soltanto: l’effetto del Regime di confine si propaga ben oltre la città di frontiera e negli ultimi mesi riusciamo a scorgere nelle strade di molte città italiane le pratiche repressive e discriminatorie sperimentate a Ventimiglia negli ultimi due anni.

L’intento della redazione è quello di riaprire e difendere tutte e tutti assieme spazi informativi indipendenti, liberi e critici: testimoniare vuol dire raccogliere messaggi che altrimenti andrebbero persi. Vuol dire provare a infrangere anche un altro confine: il recinto mediatico che tiene fuori le voci di coloro che si vogliono zittire.

Sappiamo che il lavoro di raccolta e diffusione di informazione e documenti rappresenta una sfida non semplice: per questo chiediamo una mano a tutti coloro che si trovano colpiti o che sono testimoni delle violenze e dell’ingiustizia del confine.

Contributi, riflessioni e scritti possono essere inviati al nostro indirizzo mail (parolesulconfine@gmail.com) per essere pubblicati e condivisi: siamo convinti che oggi come mai sia necessario alimentare una rete forte di voci dissonanti, inchieste di contro-informazione, narrazioni partigiane. Vorremmo che questo spazio di informazione fosse uno dei passi collettivi necessari a disconoscere, rifiutare e infine abbattere questo confine intriso di violenza e sopraffazione.

 

Per costruire assieme una realtà radicalmente diversa.

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