Questa volta siamo arrivati a Ventimiglia a ora di pranzo il 21/10/17.

Avevamo già avuto qualche notizia relativa alla presenza di un gran numero di persone sul fiume (230-240 persone in tutto, circa 50-60 arrivi a notte) da solidali presenti sul campo. Il cambiamento delle rotte ha fatto sì che molte persone provengano ora da paesi diversi dal solito, come la Tunisia. La presenza del centro della croce rossa rende possibile che chiunque in Italia si trovi in una situazione più o meno disperata, pensi di andare a dormire lì per qualche giorno.

Ci avevano anche avvisato che molti sono affetti da scabbia e che diverse persone presentavano ferite infette ai piedi e non avevano nessun accesso ad alcun genere di terapia.

Era per noi anche molto importante verificare se ancora fosse presente l’accesso di fortuna all’acqua potabile installato solo grazie a persone solidali.

Riusciamo ancora una volta a sostenere le spese per il viaggio e per l’acquisto di farmaci d’urgenza grazie all’aiuto dei volontari dell’associazione ambulatorio città aperta e del collettivo genovese AUTAUT.

Giunti alla stazione, vediamo che permane un gran numero di persone all’esterno della stessa, anche donne e bambini. Ci rechiamo al bar di Delia dove in numero delle persone che sono sedute dentro è diminuito, ma persiste un certo via-vai. Richiedono il suo aiuto per caricare la batteria del cellulare o per usare il bagno. La sua ferma disponibilità non cambia, nonostante le molte vicissitudini che ha attraversato da quando la conosciamo. Multe, lutti, malattie. Continua ad essere anche disponibile per aiutarci nel nostro lavoro in diversi modi e interessata a come stiano le persone che visitiamo. Inoltre è evidentemente turbata dall’assenza di un centro per madri e bambini che continuano comunque a passare dal suo locale.

Una ragazza nigeriana da sola, molto giovane, si guarda intorno come se aspettasse qualcuno.

Salutandola e chiedendole come stia ci rendiamo conto che parla italiano e inglese. Dice che si recherà in Francia da suo marito, che andrà in treno. Dopo alcune raccomandazioni, le diciamo che resteremo da quelle parti per due giorni e di contattarci se avesse bisogno di aiuto.

Raggiungiamo il fiume, sul cui greto evidentemente soggiornano molte più persone di quelle presenti quando arriviamo. C’è una distesa quasi continua di coperte. I primi che incontriamo sono un gruppo di sudanesi, alcuni di loro sono stesi e quando ci vedono arrivare ci offrono dei panni per coprirci, poiché dicono che fa molto freddo. Molti sembravano avere delle infezioni delle vie respiratorie, qualche gastroenterite, scabbia. Alcuni hanno camminato per molti giorni con scarpe troppo piccole e hanno degli ascessi delle dita dei piedi.

Un ragazzo dice di avere molto dolore alla schiena da quando ha subito torture in Libia, dove lo hanno bastonato ripetutamente. Ha molte cicatrici lungo la colonna vertebrale.

Un altro ragazzo con una gamba più gonfia dice di avere difficoltà quando cammina. In Libia gli hanno sparato in una coscia e il proiettile è fuoriuscito posteriormente. Visitandolo si sente chiaramente che a quel livello c’è un alterato flusso di sangue, come se dei vasi fossero stati interrotti e si fossero poi ripristinati in maniera anomala. Gli spieghiamo che dovrebbe fare delle visite approfondite e diversi esami diagnostici al più presto per capire cosa è successo. Come tutti vuole partire al più presto, teme anche che avere un documento proveniente dall’Italia potrebbe comportargli dei problemi in futuro, per cui si allontana.

Verso sera raggiungiamo un’altra zona del fiume, dove si trovano giovani ragazzi provenienti dall’Afghanistan. Molti di loro hanno vissuto in Italia e parlano italiano molto bene. Solidali presenti sul territorio ci dicono che temono di uscire dall’area del fiume perché pensano che potrebbero essere portati via dalla polizia. Per questo motivo non si recano nemmeno in ospedale e sono in una situazione peggiore degli altri. Quasi tutti hanno la scabbia e sovra-infezioni batteriche. Noi abbiamo comprato altri antibiotici ma naturalmente non bastano per tutti. Inoltre non basterebbe comunque avere solo gli antibiotici per migliorare realmente la situazione di queste persone e nemmeno per curarle. Lo stato in cui vivono rende praticamente impossibile la guarigione anche per una semplice infezione cutanea. Non possono lavare adeguatamente se stessi o i propri abiti, ne dormono in luoghi idonei o puliti, continuano a lavarsi utilizzando solo l’acqua del fiume. Fortunatamente in qualche modo riescono ad avere accesso all’acqua potabile, nonostante continui ad essergli negata dalle istituzioni.

Quando è già completamente buio, incontriamo due ragazze solidali del collettivo internazionake Kesha Niya che, oltre a portare pasti quotidianamente da Aprile 2017, ora cercano di portare anche un minimo di assistenza alle persone sul fiume data la scarsezza di personale sanitario, solo pulendo le ferite e facendo qualche medicazione. Dicono che hanno dei farmaci provenienti da donazioni, ma che non avendo medici non li usano. Ci scambiamo i contatti poiché potrebbero darli a noi, ma la prossima volta, essendo ormai sera inoltrata.

Andiamo a cercare se sono rimasti altri farmaci all’info-point Eufemia. Gli operatori legali e i solidali sono ancora al lavoro.

Andiamo a riposare da solidali a noi molto vicini.

La mattina dopo andiamo a fare un lungo giro sulla riva del fiume per capire che tipo di persone vi soggiornino e se ci siano donne e bambini.

Incontriamo due giovani sudanesi che parlano molto bene inglese e ci dicono che presto andranno uno in Francia e uno in Inghilterra. Dicono di essere stati accompagnati già da qualcuno per sessanta euro solo fino alla vicina montagna e di essere stati poi lasciati lì con vaghe indicazioni sul percorso. Dicono quindi che la prossima volta pagheranno di più per andare in macchina.

Giunti al parcheggio davanti al cimitero notiamo subito una famiglia con un bambino molto piccolo. Sono Sudanesi appena arrivati da Milano. Il bambino sta per prendere in mano una lametta abbandonata su un muro e il padre per fortuna se ne accorge subito e la butta via. Sembrano aver incontrato persone che li conoscevano e comunque tutti i ragazzi presenti sembrano felici di giocare e di aiutarli col bambino. Il bambino (D.) ha un anno e mezzo e mostra inizialmente un evidente diffidenza nei confronti delle persone bianche.

Esprimono il desiderio di partire al più presto. Non vogliono assolutamente andare al campo della croce rossa, né dormire all’esterno perché sarebbe pericoloso per il bambino. La madre è molto giovane ma anche evidentemente una persona molto brillante. Viaggiando tre settimane in Italia ha già imparato un po’ di Italiano e parla bene inglese. Hanno evidentemente bisogno tutti e tre di vestiti puliti. Li accompagniamo all’info-point Eufemia dove rimarranno molto a parlare con l’operatrice legale. Purtroppo hanno una procedura di asilo iniziata in Italia e la notizia che quasi sicuramente saranno rimandati indietro dalla Francia provoca in loro un grande dispiacere.

Nel frattempo D. ha perso gran parte del suo timore e gioca con qualsiasi cosa sia presente all’ingresso dell’info-point, riuscendo a comunicare con tutti i presenti in maniera straordinariamente efficace.

Amelia Chiara Trombetta e Antonio Curotto