Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’articolo di I. B., sui “fatti di Bardonecchia” (già pubblicato, qualche giorno fa, sul sito Infoaut [1]).

L’articolo ci pare di notevole interesse perché prova a prendere di petto una questione particolarmente spinosa come quella della frontiera e del suo possibile utilizzo non nazionalista.

Uomini dello stato francese, e per di più armati, sono penetrati entro i confini nazionali per compiere un’operazione di polizia internazionale. In questo modo hanno dimostrato una cosa: il territorio nazionale italiano agli occhi di chi incarna uno degli assi centrali del costituente polo imperialista Continentale è un territorio che può essere attraversato senza troppe remore, soprattutto di fronte alla necessità di portare a termine un’operazione di “polizia internazionale”, finalizzata a garantire la sicurezza della “fortezza Europa”.

Questo significa almeno due cose. Primo: l’esistenza e il rispetto dei confini statuali sono sanciti in primo luogo da rapporti di forza  e non da trattati giuridico – formali. Secondo, diretta conseguenza del primo, il territorio italiano è percepito e considerato dai poteri costituenti europei come uno spazio semicoloniale entro il quale è possibile operare senza chiedere il permesso al Governo di turno. In altre parole la frontiera italiana è legittima nel momento in cui è giocata come fattore di contenimento nei confronti delle popolazioni migranti, inessenziale quando questa si pone frappone alla “volontà di potenza” delle forze trainanti del polo  europeo. Di questo scenario i “fatti di Bardonecchia” ci parlano.

La palese ingerenza francese ha dato il là a una serie di reazioni di marca prettamente nazionalista, tra le quali quella del segretario leghista Salvini,  alle quali, pur con sfumature diverse, si associano tutte le varie forze politiche di marca populista. La “sovranità nazionale”, la sua difesa e riabilitazione, sembra così assumere un valore in sé. Una sorta di “bene comune” che non può essere messo in discussione. Che fare, quindi? Non resta che  mettersi tutti a  gridare “Viva Verdi”, a cantare Va pensiero rispolverando magari le Brigate Garibaldi e il tricolore in chiave “progressista”? Non necessariamente. L’ingerenza francese offre, come l’articolo che segue prova ad argomentare,  anche un’altra via d’uscita. Il problema non è ripristinare la frontiera come forma giuridica cristallizzata dello Stato/Nazione ma, al contrario, combattere la frontiera attraverso un movimento politico meticcio di subalterni che si ponga l’obiettivo di de-territorializzare in permanenza le strutture rigide statuali. Ciò che viene suggerito nel testo che segue è l’invito a usare dialetticamente lo sdegno nei confronti dell’ingerenza francese in territorio italiano.  Cosa che non equivale a sposare le retoriche sul recupero della “sovranità nazionale”, ma a sostenere le spinte verso  la “sovranità” dei subalterni, capace di mettere in discussione, e un giorno forse di spezzare,   la macchina delle “operazioni di polizia internazionale” con il suo carico di violenza, sfruttamento e negazione di libertà.

 


 

Bardonecchia, la Gendarmeria francese e noi

 

La Gendarmerie sconfina in Italia e fa irruzione nei locali dell’associazione Rainbow4Africa. Come successo oggi a Bardonecchia, anche a Ventimiglia la polizia francese si arroga, ormai da molto tempo a questa parte, il diritto di operare in territorio italiano. Il teatro è sempre una stazione ferroviaria. In questo caso, ormai lontano dai riflettori mediatici, lo sconfinamento di sovranità è invece pattuito e persino ben accetto. Nessuna levata di scudi, ma piena accettazione e collaborazione istituzionale.

Ora, le strilla per la lesa sovranità del nostro paese da parte di alcuni esponenti politici non sono quindi molto rilevanti né interessanti. Tuttavia, quello che sì è importante è che le persone si sentano in dovere di incazzarsi con il governo francese. Non bisognerebbe contenere questa tendenza, per quanto embrionale possa essere, e che, peraltro, potrebbe anche essere portatrice di quella tanto agognata convergenza di interessi materiali tra persone italiane e migranti. La Francia, in blocco con la Germania e altri paesi dell’Europa continentale, fa leva sulle ingiuste dissimetrie del Regolamento di Dublino per fermare in Italia le migliaia di migranti che riescono a sbarcare sulle nostre coste. Prima che arrivino “a casa loro”. Stessa sorte per la Grecia e per tutti i territori che costituiscono il limes di questa Brave New Europe, impresa politica multinazionale rigorosamente bianca.

Infatti, moltissime di queste persone emigrate, forse la maggior parte, non vogliono certo restare. Si provi a chiedere. Eppure non possono andarsene, non legalmente perlomeno. E allora si muore travolti dai treni a Ventimiglia o assiderati sulle Alpi in Valsusa, in tragici tentativi di attraversare confini sempre più militarizzati e brutali. Oppure, desolante e deprimente alternativa, si resta imbrigliati nel sistema violentemente disciplinare della cosidetta accoglienza, che sembra fatto apposta per rendere impossibile, con precisione scientifica, evntuali forme di ibridazione con la popolazione italiana. Insomma, trattasi di un mero bacino di forza-lavoro gratuita o a bassissimo costo, da pagare rigorosamente in nero, che non fa che incrementare le tensioni razzisteggianti che caratterizzano le società europee sempre più chiuse e risentite.

La verità è che, quando le frontiere esternalizzate in Libia e in Turchia (della cui esistenza siamo vergognosamente corresponsabili, non dimentichiamo) non tengono, è l’Italia stessa a dover assumere lo scomodo ruolo di carceriere dei migranti. Penso e spero che questo nessuno se lo voglia accollare, se non ovviamente i pochi che hanno qualcosa da guadagnarci sopra. E allora basta con la buona accoglienza, la gestione umanitaria e tutto l’armamentario discorsivo della sinistra governista, quella per cui non bisogna mai rompere ma sempre mediare. È funzionale allo scopo assegnato. Ribadiamolo forte e chiaro: il problema è la frontiera.

L’atteggiamento della Francia è infame e inaccettabile e, per quanto pericoloso possa essere in potenza un simile discorso, evidentemente suscettibile di una possibile, ma non certa, deriva nazionalista, bisognerebbe comunque riuscire a padroneggiarlo. Per risignificarlo in un modo totalmente altro, ovviamente, e affinché possa aprire su situazioni inedite e favorevoli. Si può e si deve, a meno che non ci si accontenti di parlare solamente a se stessi. Dopotutto, quello che si esprime è un concetto giusto, comprensibile e plausibilmente anche maggioritario, forse: “Almeno lasciate che le persone vadano a cercar fortuna dove preferiscono, così come già fanno le migliaia di giovani emigranti italiani.” Ah no, pardon, si dice expats, mica migranti.

I.B.

 

[1] https://www.infoaut.org/migranti/bardonecchi-la-gendarmerie-e-noi