Mentone 16/12/17. Foto presa Da Riviera.it

In questo post proponiamo la traduzione di un’articolo uscito sul giornale francese online L’Autre Quotidien [1] dopo la manifestazione per l’apertura delle frontiere e la libertà di transito per i migranti tenutasi a Mentone il 16 dicembre scorso.

La giornalista ha realizzato un reportage di quelli ormai sempre più rari sulla stampa nostrana [2] , intervistando molte  e molti dei partecipanti al corteo e riuscendo in questo modo a dare voce ad una fetta dell’attivismo politico che continua a indirizzare i suoi sforzi contro i nuovi dispositivi di confinamento che si rafforzano all’interno dell’Unione Europea. Il reportage è arricchito con una serie di considerazioni morali e politiche che rendono esplicito il posizionamento di chi scrive: non ci sembra che questo interferisca sul valore giornalistico del pezzo in questione e in generale dei lavori che condividono questa impostazione.

E’ interessante notare che lo stesso giorno – il 16 dicembre 2017 – in cui si è tenuta la manifestazione da Mentone verso la frontiera franco-italiana, a Roma si svolgeva il corteo dei migranti intitolato “Diritti senza confini” che tra le parole d’ordine, come prima,  aveva: “ libertà di circolazione e di residenza per tutti”.

Le 15000 persone scese in piazza a Roma erano dunque legate da una forte affinità politica con i più di mille manifestanti di Mentone. Attraversare le strade, occuparle fisicamente con quei corpi “migranti” divenuti simbolo delle nuove pratiche di internamento, confinamento e apartheid volute dalle forze neoliberali europee, ha sicuramente oggi un forte significato simbolico.

D’altra parte va riscontrato il pressoché unanime disinteresse mostrato dalla stampa istituzionale italiana per questi eventi. Pochissimi articoli dedicati a queste manifestazioni, per lo più qualche riga sulla cronaca locale e altrettanto scarni e veloci servizi sui telegiornali.

Certamente dietro il piano simbolico dei cortei, esiste quello reale: una realtà fatta di resistenze quotidiane che permettono a molte delle persone migranti di abitare e lottare nei territori in cui decidono di fermarsi e di partecipare a momenti pubblici di rivendicazione. Tuttavia oggi le resistenze sembrano ben lontane da riuscire a trasformarsi in lotte in grado di fronteggiare la violenza razzista sempre più pervasiva e inumana esercitata dai governi europei, così come le manifestazioni pubbliche sembrano lasciare il tempo che trovano, riscuotendo ben poco ascolto all’interno dei Palazzi dove vengono prese le decisioni politiche.

Foto della Manifestazione Diritti senza Confini

 

Il 2017 ci lascia con immagini di oppressione e violenza difficilmente dimenticabili: come lo sgombero dell’occupazione dei richiedenti asilo di Piazza Indipendenza a Roma, i pullman sempre più carichi di migranti deportati settimanalmente da Ventimiglia a Taranto, i sacchi neri negli obitori siciliani che avvolgono le migliaia di annegati nel Mediterraneo, i roghi appiccati nelle future strutture per l’accoglienza, le fotografie delle mani che sporgono dalle grate delle prigioni libiche, cioè quei campi di internamento legittimati dagli accordi del governo italiano con il sedicente governo libico. Di fronte a tutta questa barbarie, assordante è stato il silenzio politico: la stagione di conflitto che dal 2015 al 2016 aveva visto attivisti, militanti e solidali europei appoggiare i migranti nelle lotte contro le politiche di confinamento appare oggi un ricordo.

Nel frattempo molto è cambiato: l’approvazione del decreto Minniti- Orlando ha rappresentato un salto di qualità nel progressivo inasprimento delle politiche di segregazione, sfruttamento e disumanizzazione attuate dalle istituzioni italiane contro i migranti, legittimate attraverso la sistematica diffusione di retoriche razziste tra la popolazione autoctona, dimostratasi prontamente recettiva e facilmente strumentalizzabile.
Capire oggi, quali siano stati i motivi della sconfitta politica che ha segnato il tramonto di una stagione conflittuale intensa e dura, provare a raccontarla e farne oggetto di riflessione collettiva, ci sembra possa essere un modo per trovare delle chiavi utili a riaprire degli spiragli di luce dentro le ombre lunghe che avvolgono il presente.
Un tentativo che cercheremo di portare avanti anche sulle pagine di questo blog, provando a restituire la memoria e le riflessioni di chi è stato protagonista della calda estate del 2015 e di tutto quello che ne è seguito per circa un anno e mezzo nella zona di Ventimiglia e non solo.

La traduzione che segue di alcune parti dell’articolo uscito su L’Autre Quotidien dopo la manifestazione di Mentone, inserendosi nel progetto di traduzione di articoli e documenti politici provenienti dalla Francia, aiuta ad allargare lo sguardo alla dimensione internazionale delle lotte, che oggi sembra essere l’unica dimensione reale in un mondo ormai attualmente e concretamente globale, con buona pace dei nostalgici della lunga epopea degli Stati nazionali…

g.b.


Manifestazione in sostegno ai migranti a Mentone: I morti torneranno a tirarci per i piedi?[3]

Sabato 16 dicembre, alcune centinaia di persone – francesi e migranti – hanno marciato dalla stazione di Menton-Garavan alla frontiera franco-italiana. Venuti da tutta la Francia, hanno reclamato il rispetto della dignità umana per tutte le persone migranti e la fine dei procedimenti giudiziari contro coloro che le sostengono. L’ombra delle persone decedute nel tentativo di passare la frontiera è calata su questa manifestazione, che ha simbolicamente deposto una stele in memoria di tutti questi morti anonimi.

– E poi, io ho paura..
– Paura.. Ma di cosa?
– Quando le persone sono morte, ritornano di notte e ci tirano molto forte per i piedi.
– Che idiozia! Chi ti ha raccontato questa cosa?
– E’ stato Bertrand, mio fratello.
– Che imbecille! Non bisogna credergli! Ti ha detto questo per prendersi gioco di te!
– No, aveva l’aria seria! Ditemi, è vero che ritornano a tirarci per i piedi?

Félix Levy, brano tratto da Canti e disincanti, librairie Eyrolles, 2008.

 

Questa manifestazione a Mentone la si era presentata come un appuntamento importante. Quanti eravamo sabato 16 dicembre a Mentone? 500 persone secondo France 3, 1040 secondo il conto effettuato dagli organizzatori. Un numero che può apparire poco elevato, ma riunire svariate centinaia di persone provenienti da tutta la Francia, davanti alla piccola stazione di Menton-Garavan, all’estemità del Paese, rappresenta un exploit che va al di la delle cifre citate.

L’altro punto da sottolineare è che, del migliaio di persone che si è radunato a Mentone sabato 16 dicembre, una buona parte erano persone migranti o sans-papiers. Il Coordinamento di Sans-Papiers di Parigi (CSP 75) era ben rappresentato, anche da alcune donne, con l’obiettivo di superare la differenza legata allo statuto amministrativo tra sans-papiers e richiedenti asilo, puntando a una solidarietà tra tutti gli immigrati per reclamare un’altra politica sulla migrazione, fondata sul rispetto della dignità umana e il rispetto dei valori di cui si fregiano le facciate dei nostri comuni.

Partito da place de la République alle 21, l’autobus parigino da 49 posti è pieno. Tra i passeggeri numerosi militanti che lavorano in solidarietà con i migranti, membri di collettivi parigini, ma anche militanti della CSP 75, tra cui il loro leader che tutti chiamano Diallo. Dopo l’occupazione della chiesa di Saint-Bernard nel 1996 , lui ha partecipato a tutte le battaglie e continua a organizzare presidi settimanali a Parigi. Presenti poi, anche, numerosi richiedenti asilo, per lo più giovani, che non intendono essere più solamente l’oggetto delle politiche che la Francia gli impone, ma soggetti che rivendicano i diritti che gli vengono rifiutati.

All’arrivo a Mentone, verso le 10 del mattino, il pullman si ferma nel parcheggio del supermercato U Express, a qualche metro dal campo di calcio vicino al porto di Garavan. Dal campo possiamo osservare il viadotto di Saint-Agnès dove molti migranti sono morti, alcuni gettandosi nel vuoto per evitare i controlli della polizia. Più lontano ancora si vede il tunnel che passa sotto la montagna, dove altri sono stati investiti da un treno o da una macchina.

Scambiamo delle chiacchiere, seduti per terra o allungati su dei cartoni al sole, aspettando il pranzo: un saporito misto di legumi accompagnato da riso allo zafferano, preparato dal collettivo Kesha Niya. René dell’associazione Roya Solidaire ci raggiunge a bordo di un camion con l’amplificazione, che aprirà il percorso del corteo. Per finanziare l’organizzazione della manifestazione, siamo invitati a lasciare un euro accanto alla sagoma di grandezza naturale a colori del prefetto della regione, incollata sulla porta del camion.

Ha un aspetto pretenzioso il prefetto, nominato nel 2016, nella sua veste prefettizia… eppure non fa ridere nessuno quanto da lui dichiarato il 4 dicembre scorso sulle frequenze di France Bleu Azur, ossia che “il dispositivo di frontiera è efficace, cooperativo e umano (…), le forze dell’ordine rispettano scrupolosamente la legge e i fermi vengono condotti con cura particolare”. Una menzogna, secondo le associazioni locali, che ricordano come i minori siano rimandati in Italia, violando il diritto per l’infanzia. Le stesse ricordano che il prefetto è stato già condannato a più riprese per mancato rispetto del diritto d’asilo e criticato per aver creato dei luoghi di detenzione illegale.

Uno di questi luoghi di detenzione illegale era proprio al primo piano della stazione di Menton-Garavan, da dove partirà il corteo. Lo stesso Georges-François Leclerc ha promesso di arrivare a 50000 respingimenti di migranti da qui alla fine dell’anno. Senza dubbio dotato di prescienza, ha spiegato, prima ancora che la domanda d’asilo sia esaminata, che “si tratta di persone provenienti da tutta l’Africa che provano a stabilirsi in Occidente”. “Noi li rimandiamo in Italia”, ha aggiunto Georges-François Leclerc, vantandosi anche di aver fermato circa 350 passeur, “cioè circa uno al giorno”.

Mentre parliamo di questa intervista al prefetto con alcune persone di Roya Citoyenne, arrivano degli altri autobus: da Montpellier, da Lione, dal dipartimento della Drôme e dell’Ardèche. Alcuni hanno addirittura fatto il viaggio dalla Normandia o dalla Bretagna. Record assoluto un militante è venuto da Saint-Malo che si trova a 1300 km da Menton. Emerge come le questioni legate ai migranti uniscano, superando le divisioni politiche, associative e sindacali. (…) E come nelle lotte in sostegno dei migranti si organizzino delle forme di solidarietà nuova come questo collettivo intereuropeo chiamato Kisha Niya, che serve ogni giorno due o trecento pasti ai rifugiati di Ventimiglia e che ha assicurato il pranzo per i manifestanti arrivati in pullman a Mentone.

Alle 14 raggiungiamo il luogo del concentramento davanti alla stazione di Mentone-Garavan. “ A basso le Frontiere!” “A basso lo stato, gli sbirri, le frontiere!” “Regolarizzazione per tutti!” o ancora “ Pietra per pietra, muro per muro, noi distruggeremo i centri di detenzione”, come anche un ammiccante “Tous le monde, deteste les frontières”, sono alcune delle parole d’ordine cantate in coro da questo corteo variegato che riunisce numerosi partiti, collettivi, associazioni. A partire dalla spiaggia circondata dagli scogli, fino alla stazione, siamo scortati da polizia municipale e CRS, chiamati numerosi dal sindaco repubblicano della città, Jean-Claude Guibal.

Più tardi, ridiscendendo verso la strada che costeggia il mare, si eviterà per poco un tafferuglio con dei militanti di estrema destra in cerca di scontro. La frontiera, che chiude la strada e sfigura l’orizzonte, si trova a meno di un kilometro. Dietro le grate anti sommossa, ci sono i CRS appesantiti dai loro giubbotti antiproiettili, dalle armi imbracciate così come dagli svariati chili di equipaggiamento. A tre kilometri da lì, appena, dietro il cordone dei CRS, c’è la frazione di Mortola Inferiore, che fa parte di Ventimiglia. Davanti alla frontiera i manifestanti si sdraiano per terra.

Le bandiere del NPA (Nuovo partito anticapitalista) sono ben presenti, come quelle, rosse e nere dei giovani anarco-sindacalisti della regione, quelle del movimento Ensemble, movimento membro del Front de gauche, e anche una bandiera arcobaleno LGBT, che sventola fieramente sul corteo. I militanti dell’azione ebraica francese per la pace, quelli di Attac e anche qualcuno di France Insoumise sono lì. François, della Fasti (federazione delle associazioni di solidarietà con i migranti) si incontra con degli attivisti locali. Con un discorso emozionante, un ferroviere della regione spiega che lui e alcuni colleghi difendono un comportamento di disobbedienza civile di fronte alla SNFC (le ferrovie francesi) che gli domanda di segnalare i migranti e di riportarli in Italia. Philippe Poutou sarà il solo responsabile nazionale a prendere la parola.

Si ascolterà anche la presa di parola da parte di migranti grazie all’aiuto del collettivo La Chapelle debout! che assicura le traduzioni. Hamid Mouhammad, un giovane sudanese che ha lasciato il paese a causa dei problemi creatigli dalle milizie armate, spiegherà che ci ha messo tre anni per raggiungere l’Europa dopo aver vissuto l’inimmaginabile. Mentre attraversava le montagne, racconta di essere stato picchiato dalla polizia che gli ha rotto il naso e un braccio. Il collettivo invita la folla a riprendere con gli slogans in arabo, bambara et pachtoune. Questo collettivo turbolento lotta per un’uguaglianza reale, qui ed ora, tra francesi e immigrati e perché questi ultimi diventino “soggetti attivi e non meri oggetti delle politiche che li riguardano”. “Noi vogliamo abbattere le differenze tra autoctoni e immigrati”, spiega Houssam, “perché l’uguaglianza si prova nella realtà delle azioni di tutti i giorni”. Lui consiglia per esempio di rifiutarsi di partecipare a delle riunioni che riguardano gli immigrati, dove questi non siano presenti.

Vedere il video :https://www.facebook.com/1983581038544143/videos/2034777480091165/

Il collettivo chiede anche che la diversità linguistica sia tenuta in conto e rispettata, “visto che quando i migranti raccontano la propria storia nella propria lingua, non raccontano la stessa storia” “E’ in questa maniera che siamo riusciti a rendere pubblico l’utilizzo delle scariche elettriche per costringere i rifugiati ad accettare di farsi prendere le impronte i Italia, per esempio“, aggiunge Chrystèle. Fatto confermato da Amnesty nel 2016 [4]. Il collettivo denuncia “l’accanimento contro i migranti e le migranti e i discorsi razzisti e securitari che avvelenano la nostra società”.

Come tutti quelli che hanno partecipato a questo concentramento, anche loro rifiutano la distinzione tra migranti economici e richiedenti asilo. Di fronte all’urgenza che vede migliaia di persone, di cui molti bambini, perseguitati, infermi, o ridotti a vivere per strada, questi militanti richiedono misure incisive come l’occupazione di case e la mobilitazione contro le retate. Houssam, Paul, Chrystèle et Mohamed, senza paura rivendicano un approccio politico, al di là del mero piano giuridico, perché « i corpi dei migranti sono annientati da un diritto ostile ».

A questo punto della storia, incontriamo Youssouf, che ha trovato la manifestazione “ meravigliosa” e Jule Allen della Guinea e  Issa dal Marocco, che hanno passato diversi anni per strada a la Chapelle. Durante il ritorno, Hassan Zacharia del Soudan, ci racconta la sua storia : un padre ucciso in Soudan, una madre che lo ha portato in Libia dove è stata uccisa, la traversata nel Mediteranneo, poi un centro per migranti vicino Napoli dove le autorità italiane lo hanno rimandato finché non è riuscito a passare in Francia. Accettiamo con gioia l’invito di Ismaëla, che ci invita a un concerto, visto che sta lavorando a una canzone a favore del CSP 75.

Tutti hanno partecipato con entusiasmo alla manifestazione che reclamava l’apertura delle frontiere, la libertà di circolazione e di soggiorno, così come la completa solidarietà alle persone migranti, qualsiasi sia la loro condizione amministrativa. Molti sono i “Dublinati”, dal nome del regolamento di Dublino, che stabilisce il loro rinvio nel paese dove sono state registrate le loro impronte, indipendentemente dalla situazione personale, della lingua che parlano o del luogo in cui si trovino le loro famiglie. Misure repressive che il governo, che ha annunciato un progetto di legge per gennaio, intende intensificare.

Abbiamo anche una conversazione con Martine Landry, una pensionata di 73 anni, che ha lavorato in Amnesty international France dal 2002 e membro di Anafé (associazione nazionale per l’assistenza degli stranieri alle frontiere). La Responsabile nizzarda comparirà in tribunale l’8 gennaio del 2008 per aver « facilitato l’entrata sul territorio di due minori stranieri in situazione irregolare » [5]. Incaricata di una missione di osservazione alla frontiera franco-italiana, ora rischia cinque anni di prigione e 30000 euro di multa. Il 28 luglio scorso, aveva recuperato due adolescenti della Guinea di 15 anni che la polizia italiana stava riconducendo in Francia a piedi. La responsabile di Amnesty li ha presi in carico al posto di frontiera di Mentone/ Ventimiglia, dal lato francese, e accompagnati nella sua auto fino al posto di polizia della frontiera. Era per di più munita dei documenti che attestavano la presa in carico dei due ragazzi da parte dell’ufficio per l’aiuto sociale all’infanzia, dal quale poi per altro sono stati accolti. Disgustata dall’ipocrisia della politica migratoria e dagli attacchi al diritto di questi giovani minori non accompagnati, ci racconta l’assurdo gioco del gatto e del topo al quale si dedicano i poliziotti francesi e italiani. Arrestati dal lato italiano, i giovani sono rinviati in Francia che a sua volta li rimanda in Italia. “Alcuni hanno oltrepassato la frontiera quattro o cinque volte, racconta la responsabile di Amnesty, che descrive un gioco a ping pong tra le polizie dei due paesi.”

Sono presenti anche delle infermiere del Centro di accoglienza, cura e orientamento (Caso) di Nizza, che assicurano dei consulti nei locali della Caritas di Ventimiglia. Il centro della Croce Rossa italiana, situato nella città di frontiera italiana, accoglie circa 500 persone, ma dalle 200 alle 300 persone migranti dormono sotto i ponti, ci raccontano queste. Tre volte alla settimana, le infermiere assicurano anche delle incursioni nella città italiana per fornire aiuto sanitario ai migranti.

Tutte le generazioni sono rappresentate e ci diciamo che sarebbe necessario scrivere questa storia della lotta degli immigrati, dei sans-papier, dei richiedenti asilo in Francia e di coloro che gli sono solidali. Odile, 76 anni, è venuta da Valence sur Rhône. Veterana del movimento ASTI (associazione di solidarietà con tutti i migranti) ci racconta la rivolta degli operai tunisini, che avevano ottenuto i documenti, dopo 11 giorni di sciopero della fame nei locali della curia della chiesa di Notre-Dame di Valence. Una storia sconosciuta che risale al dicembre del 1972.

Abbiamo poi anche incontrato Loïc, 27 anni, che vive in Val Roya e dice di essersi « sensibilizzato alla questione dei migranti fin da piccolo ». E’ venuto a conoscenza del campo creatosi dopo la chiusura della frontiera nel giugno del 2015 e poi sgomberato nell’ottobre dello stesso anno. “ I migranti avevano occupato gli scogli che delimitano il litorale, all’altezza della frontiera, pronti a gettarsi nel mare”, ci spiega il ragazzo, che fa risalire a quell’episodio l’inizio del suo impegno politico. “ Noi eravamo ancora pochi all’epoca a mobilitarci”, racconta Loïc, che si ricorda di aver portato degli aiuti alimentari a Ventimiglia.
« Il processo a Cédric Herrou ci ha fatto passare da un’azione umanitaria a una presa di coscienza politica”, ci spiega Loïc, “e i collettivi si moltiplicano”. Si ricorda anche delle azioni organizzate con gli attivisti italiani, che sono cessate quando questi ultimi sono stati brutalmente repressi dalle autorità del loro Paese. Loïc fa parte del Collectif Roya Solidaire (CRS) che realizza dei video sulla situazione della valle della Roya. E’ questo collettivo che ha realizzato, grazie ad una telecamera nascosta, un video il 30 giugno del 2017 alla stazione di Menton-Garavan [6]. Nel video si vedono i poliziotti che fermano dei giovani minori portandoli nei locali della stazione giusto il tempo di rimetterli sul treno, direzione Italia, senza alcun rispetto della legge. Una coppia di cui la donna è incinta, subirà la stessa sorte.

Tutti qui hanno una storia da raccontare. Come Gibi, di Roya Solidaire, che spiega che le denunce e i processi hanno inasprito il clima. Le azioni continuano ma con discrezione. Gibi fa parte dei quattro pensionati che hanno visto la condanna confermata in appello per aver dato un passaggio in macchina a delle persone migranti [7]. Si trattava di migranti che, dopo essersi fermati presso Cédric Herrou, avevano ripreso il viaggio e si erano trovati bloccati a 1000 metri di altitudine, su un sentiero pericoloso. Cédric Herrou è controllato dalla polizia. « Ci sono tre posti di blocco con le tende a 200 metri da casa sua ». Il terreno dove abita è anche delimitato da un muro, costruito da uno dei suoi vicini. Come gli altri anche Gibi ricorrerà in cassazione, “ per una questione di principio”. Poiché il reato di solidarietà non è stato abrogato così come domandavano le associazioni. Malgrado le promesse, Valls non fa che elargire eccezioni. Se dare alloggio, nutrire o curare delle persone migranti non è più un reato, offrirgli un trasporto conduce direttamente in tribunale. Tuttavia la legge prevede che se il gesto non ha dato luogo a nessuna contropartita, la persona non possa essere perseguita. Salvo che per condannare i militanti della regione, i giudici hanno dovuto triturare il diritto. Questi hanno stabilito che Cédric Herrou e gli altri attivisti condannati abbiano ricevuto un beneficio morale dalle loro azioni e possano dunque essere considerati come dei passeur. Un’interpretazione perversa della legge, sempre più beffeggiata e strumentalizzata non solamente ai danni di chi porta aiuto ai migranti ma soprattutto ai danni di questi ultimi che per questo motivo ormai scelgono di passare per Briançon, anche in pieno inverno.

Tutte le persone presenti qui al corteo sanno che le frontiere uccidono. Che non si fermeranno mai delle persone pronte a rischiare ogni pericolo – la traversata del deserto, l’inferno libico, il passaggio del Mediterraneo a bordo di barche sovraccariche, l’attraversamento dei valichi alpini in pieno inverno – per lasciare dei paesi sconvolti dalla guerra, dalla corruzione, da un’economia neocoloniale predatrice e venire qui da noi. Sanno che dal momento in cui si è pronti a tollerare l’inumanità a casa propria e si fabbrica un « sotto » diritto per coloro che si considerano come dei « flussi », è il proprio stesso inferno che si sta costruendo. Sanno che a forza di rendere fasulli i nostri valori, di generalizzare i controlli, le misure di detenzione e le violenze, è la nostra stessa libertà che distruggiamo. Sanno che dal momento in cui si comincia questa discesa pericolosa che nega l’umanità dell’altro, la storia finisce sempre male. E che le morti prodotte dalle nostre frontiere a migliaia torneranno a farci visita, per tutti quelli tra noi che non fanno nulla o troppo poco o troppo tardi.

Le parole della lapide simbolicamente deposta sull’asfalto della strada, a due passi dalla frontiera, riporta : « In memoria di tutte le persone migranti uccise da questa frontiera mentre erano alla ricerca di un rifugio lungo il cammino dell’esilio, Menton, il 16/12/2017 ». Questa frontiera qui davanti e tutte le altre, di mare e di terra.

Mentre il sole scende sul mare e il concentramento si disperde, pensiamo a questa giornata in cui da tutta la Francia sono arrivati uomini e donne che hanno compreso che la libertà di circolazione e di soggiorno è il prossimo diritto dell’uomo da conquistare. Ci ricordiamo, infine, di aver incontrato Laura Genz, circa un anno fa, e i suoi disegni dei rifugiati [8] . Una delle sue riflessioni ci aveva molto colpito. Ci spiegava come i confini blocchino le situazioni delle persone e le complichino. Negando la fluidità della vita e dei percorsi umani, essi si trasformano in “ trappole per migranti”.

Nell’epoca in cui circolano liberamente i capitali e le merci, gli Stati europei giocano questa sinistra commedia di fronte alle proprie opinioni pubbliche, sapendo bene che non potranno espellere tutte queste persone venute a domandare asilo o a tentare la fortuna qui, e che seppure espulse, esse ritorneranno. Questa menzogna generalizzata sulla quale riposano le politiche migratorie europee produce dei sotto-uomini, un non-diritto e crudeltà – quale altra parola può essere usata quando la polizia è spinta a lacerare le tende o buttare via le scarpe dei migranti? Si pensa veramente di dissuaderli in questo modo? E di fronte a questo, cosa succede a delle società che accettano che divenga normale che degli uomini, delle donne, dei bambini vivano per la strada, siano perseguitati e arrestati? L’inferno che costruiamo per le persone migranti sarà immancabilmente il nostro. I governi giustificano le proprie politiche inumane attraverso il giudizio delle proprie opinioni pubbliche. Le stesse opinioni pubbliche di cui aizzano i peggiori istinti, al rischio di essere loro stessi travolti dall’onda bruna che incombe su tutta l’Europa. Può essere che a quel punto si renderanno conto che non si condanna impunemente a morte il proprio simile, fosse pure in maniera indiretta, sotto la copertura della gestione di flussi migratori disumanizzanti e di un diritto internazionale pervertito.

Perché c’è una certezza: questi morti torneranno un giorno a tirarci per i piedi.

di Véronique Valentino

 

[1] http://www.lautrequotidien.fr/blog/2017/12/17/manifestation-la-frontire-franco-italienne-est-ce-que-les-morts-reviennent-nous-tirer-par-les-pieds-

[2] Rispetto all’informazione su quanto avviene al confine di Ventimiglia va segnalata l’eccezione degli articoli e reportage del giornalista Pietro Barabino, di cui segnaliamo  l’ultimo pezzo sull’argomento uscito sul Fatto Quotidiano: https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/12/24/minorenni-allinferno-tra-i-migranti-sul-greto-del-fiume-roja-a-ventimiglia-e-litalia-viola-le-sue-stesse-norme/4051273/

[3] La traduzione in italiano dell’articolo di V. Valentino ” Manifestation à la frontière franco-italienne. Est-ce-que le morts reviennent nous tirer par les pieds?” , uscito sul giornale francese L’Autre Quotidien il 24/12/2017 è opera della redazione del blog Parole sul confine.

[4] https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/italie-coups-decharges-electriques-et-humiliations-sexuelles-contre-les-refugies

[5]https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/une-de-nos-membres-poursuivie-pour-delit-de-solidarite

[6] https://www.youtube.com/watch?v=gV8cxdoegEs

[7] http://www.sudouest.fr/2017/12/13/quatre-retraites-condamnes-en-appel-pour-avoir-aide-des-migrants-4030926-6116.php

[8] http://www.lemonde.fr/arts/portfolio/2015/09/10/dessins-de-refugies-par-laura-genz_4751690_1655012.html