Immigrazione: degrado sono le strade pulite e l’umanità ridotta a rifiuto

Pensa alla chiave che gira nella toppa, al familiare profumo di casa tua. Al frigo pieno, alla facilità con cui apri un’anta e scegli cosa cucinare questa sera. Al riscaldamento che accidenti se va acceso, l’inverno sta arrivando e ci sono solo 25 gradi, non so se mi spiego.

Pensa alla tua camera. Al mobile con i tuoi libri, ai ricordi, a quegli oggettini inutili che non riesci mai ad abbandonare perchè in un modo o nell’altro raccontano tutta la tua vita. Pensa al tuo armadio, alle ore passate a scegliere quale tonalità di blu si intoni meglio con i tuoi occhi e mi sta meglio il cardigan o quel vestito a tubino che dove cavolo è in mezzo a tutta questa roba?

Pensa al letto morbido che ti accoglie ogni sera, in cui puoi sprofondare nel sonno, al caldo, per poi ricominciare daccapo le tue giornate.

E adesso, se hai bene a mente queste piccole routine quotidiane di cui a malapena ti accorgi perchè nessuno ti ha mai impedito di viverle, immagina di perderle.

Immagina di non avere più niente, nessuna casa, niente abiti, niente cose a cui tenere, nessun oggetto che ti riporti al passato, nessuna traccia che ti possa far sperare di costruire un futuro.

Immagina di avere solo i vestiti che indossi: qualcuno ti donerà una giacca, un paio di calze, indumenti di ottava mano che tanto non potrai tenere, dopotutto dove posso metterli se con me non ho nemmeno uno zaino?, una coperta che in poche ore cambierà colore, imbrattandosi della terra e della spazzatura su cui sei costretto a dormire, sotto un ponte, al freddo.

Immagina che per ogni sguardo traboccante di solidarietà e gentilezza ce ne siano almeno mille di odio e diffidenza, che poi cos’hai fatto per meritare questo disprezzo ancora non lo sai.

Immagina di non avere più la libertà di fare una passeggiata, un’escursione con gli amici, un semplice giro dove vuoi tu. Di essere trattato come un criminale. Sei solo un numero e una provenienza geografica e, soprattutto, un problema.

Non possiedi più niente, nemmeno la tua vita.

Novembre 2017, Ventimiglia: le condizioni di vita dei migranti non sono migliorate, ancora oggi centinaia di persone vivono accampate sul letto del fiume Roja, nonostante le temperature sempre più basse e l’intensificarsi delle piogge. Alimentata dalle dichiarazioni cariche d’odio dei politicanti vari e da un giornalismo d’accatto e irresponsabile, crescono in una parte della cittadinanza italiana l’indifferenza, il cinismo e l’insofferenza verso il “degrado lasciato dai migranti”. Ma cos’è davvero il degrado? E’ nei resti di un accampamento di fortuna, nei pochi averi abbandonati sul ciglio della strada mentre si tenta la salvezza oltre confine, in questa miseria che spinge migliaia di esseri umani a rischiare (e spesso perdere) la vita… Oppure nelle politiche di accoglienza e negli interessi senza scrupoli di pochi, che di umano non hanno nulla? Il degrado non è forse nei cuori e nelle teste di chi tratta una parte di umanità come un rifiuto gettato ai bordi della strada?

parolesulconfine immigrazione e degrado (1)

fotografie: Francesca Ricciardi
vedi anche: le immagini di luglio dal fiume Roja

La Tratta delle donne al confine di Ventimiglia – Trafficking e mafia

Come si è permesso al trafficking di creare la rete di sfruttamento a Ventimiglia.

La Tratta e la Mafia, la Tratta è Mafia.

Quello a cui stiamo assistendo oggi a Ventimiglia è il consolidamento della rete del trafficking dedito alla tratta e allo sfruttamento di donne che ha iniziato a ramificarsi, intrecciandosi con la mafia locale, nell’inverno del 2016.

Proveremo in questo articolo a fornire elementi d’osservazione e alcuni spunti utili a chi legge per comprendere come, quando si agisce sul contenimento e non sulla prevenzione, quando la repressione diventa strumento della governance per eliminare gli indesiderati, quando la percezione della sicurezza si fonda sulle “categorie” che lo Stato impone come reali ma da esso stesso costruite, si lascino volutamente spazi di azione alle mafie che inspiegabilmente agiscono indisturbate. Rosarno ne è un esempio: se ripercorriamo le tappe della prima denuncia(1) grazie alla quale uscì la prima inchiesta(2) e arriviamo all’ultima morte(3) sono passati circa 10 anni. Pare incredibile vero? Non così agli occhi di chi da tempo ha chiaro che che la “distrazione di massa” sia propedeutica alla logica del pensiero di Stato come già svelato dal sociologo algerino A. Sayad che definiva il “pensée d’Etat” come «una forma di pensiero che riflette, mediante le proprie strutture (mentali), le strutture dello stato, che così prendono corpo».

Ripercorrendo le tappe della prima denuncia di una possibile gestione del traffico delle donne transitanti per Ventimiglia, da parte di alcune solidali presenti da tempo sul territorio, emergono dati allarmanti risalenti all’inverno del 2016.

Ricordiamo che la “presenza” dei migranti a Ventimiglia è iniziata a rendersi “visibile” a seguito della sospensione da parte della Francia del Trattato di Schengen nel giugno del 2015. Da allora, fino alla primavera del 2016 i migranti, passando da presidi, sgomberi e autorganizzazioni sono riusciti a trovare spazi di autogestione dove avere il tempo per pensare in autonomia il proprio percorso migratorio. Dall’ultimo sgombero del campo informale nelle ex stalle del “parco ferroviario” (agosto 2016) all’istituzione del Campo della Croce Rossa (luglio 2016) le condizioni per i migranti e soprattutto le migranti in transito sono cambiate vorticosamente. L’impossibilità di avere uno spazio di agibilità sociale e politica, le continue deportazioni dalla città rivierasca agli hotspots del sud Italia(4) hanno costretto uomini e donne a rivolgersi ai trafficanti che, come alligatori, aspettavano sulla riva del fiume le loro prede. Questi continui spostamenti al sud hanno sfiancato i migranti, non solo da un punto di vista psicologico e fisico ma anche economico, portando molti di loro a terminare le economie messe da parte per gestirsi in autonomia il viaggio verso i paesi per loro considerati più sicuri o dove già avevano una rete famigliare e/o amicale in grado di sostenere il loro percorso migratorio. Questa vulnerabilità ha permesso al racket di avere molta più agibilità e forza nell’intercettare soprattutto donne alle quali “proporre” prestiti e viaggi da rimborsare attraverso la prostituzione e lo sfruttamento. Così il trafficking si è alimentato; le donne vendute, trafficate e sfruttate; gli uomini deportati al sud e i minori respinti in Italia dalla Francia.

Da un’osservazione degli snodi più significativi del territorio, iniziata nell’inverno del 2016 fino alla data di pubblicazione di questo articolo, si percepisce una connivenza molto stretta tra alcuni uomini stranieri e alcuni personaggi noti della malavita locale.

Davanti alla stazione i passeurs agiscono indisturbati agli occhi dei militari che presidiano la “zona sensibile” e lo stesso i trafficanti che gestiscono l’arrivo delle donne in stazione. Quest’ultimi rispettano una procedura metodica e quindi facilmente osservabile nella gestione del trafficking: prelevano le donne alla stazione, le portano prima in un bar dove attendono alcune ore, poi si allontanano per dirigersi in un kebab poco distante, scelto con dovizia perché dotato di una sala superiore con bagno al piano. I trafficanti tornano in stazione, recuperano altre donne e quando hanno raggiunto un gruppo di tre/quattro di loro le trasferiscono nell’altro esercizio commerciale. Salgono al piano superiore dove nel frattempo sopraggiunge una donna nigeriana adulta, quella che in gergo si direbbe una “madam“.

E’ difficile scrivere ciò a cui si assiste. Incomincia la contrattazione: la madam sceglie le ragazze e la consapevolezza che si legge nelle “prescelte” gela il sangue: pochi minuti e il loro destino è chiaro, la destinazione la scopriranno pochi giorni a seguire. La madam e il trafficante se ne vanno via per primi, poco dopo il gruppo di giovani donne incomincia ad incamminarsi verso il Parco Roja accompagnate da altri uomini. A metà strada si fermano ed incontrano uno degli italiani di cui sopra nei pressi di un’abitazione posta in una posizione strategica perché a metà strada tra la stazione, il campo Roja e la chiesa delle gianchette che fino al 14 agosto del 2017 ospitava donne, famiglie e minori. Le donne venivano indirizzate verso la chiesa come parte del “pacchetto tratta” dove staranno giusto il tempo perché la madam organizzi il viaggio per “inserirle” nel mercato dello sfruttamento sessuale, solitamente due o tre giorni. Nei giorni di attesa le donne di giorno uscivano per incontrare i trafficanti che, all’altezza della sbarra del passaggio a livello le attendevano con dei sacchetti contenenti degli abiti che dopo qualche ora le stesse donne, prima di rientrare in chiesa, gli riconsegnavano. Neanche da dire che le donne trascorrevano le ore pomeridiane nell’appartamento descritto precedentemente.

E’ abbastanza chiaro che una parte delle donne che raggiungono Ventimiglia sono gestite dal trafficking per essere “scelte” dalle madam per lo sfruttamento sessuale in Italia o in Francia; alcune di queste vengono già fatte prostituire in loco a prezzi molto bassi per i migranti in transito – motivo della posizione strategica tra il fiume e il parco, altre negli appartamenti per la prostituzione al chiuso. Chiacchierando con alcune donne incontrate alla stazione di Ventimiglia prima che i trafficanti le intercettassero si scopre che alcune di loro sono fuoriuscite dai Cas (Napoli, Bologna, Roma) dove il racket le sfruttava. Si sono quindi affidate ad altri uomini che tramite dei contatti via Facebook le hanno indirizzate a Ventimiglia sostenendo che poteva essere un luogo sicuro.

Parlare con loro in stazione e accompagnarle fisicamente nei pressi della Chiesa chiedendo ai volontari di prestare attenzione alla loro vulnerabilità ha permesso in alcuni casi di accompagnarle nella presa di consapevolezza circa il percorso di denuncia dello sfruttamento e della tratta(5). Il rischio che si corre in questi casi è molto alto. Non solo per la presenza dei trafficanti ai quali si sottrae la “merce” ma anche per la repressione che nel territorio di Ventimiglia i solidali “ricevono” dalle forze dell’ordine.

Nell’agosto del 2017 l’ospitalità presso la chiesa è stata sospesa: tutte le famiglie, i minori e le donne sono state trasferite nel Campo Roja a gestione della Croce Rossa Italiana. Lì le donne non hanno la possibilità di chiudere la zona a loro “dedicata”, ne consegue che trascorrono la notte sveglie per timore che loro stesse o le loro figlie possano subire violenze. Il livello di promiscuità e l’assenza di misure di tutela per le donne e i minori (maschi e femmine) sono talmente evidenti da risultare impossibile che un’amministrazione possa averla solo che pensata come soluzione preferibile alla presenza dei migranti a Ventimiglia(6) al pari di chiudere un rubinetto per l’acqua potabile costringendo i migranti ad “abbeverarsi al fiume” come bestiame(7) o come l’ordinanza emessa dal sindaco Ioculano che vietava la “somministrazione” di cibo ai migranti(8).

Va da se che da agosto ad oggi non si vedono più donne uscire dal Campo Roja per dirigersi nell’appartamento posto nel crocevia tra la chiesa, il Campo e la stazione. E’ plausibile ipotizzare che lo sfruttamento avvenga direttamente all’interno del campo. La denuncia di questo crimine – perchè questo sì che che è un crimine e non è una percezione – non sarà oggetto di nessuna “distrazione”. Continueremo a monitorare, denunciare e raccontare quello che lo stato vuole occultare.

Non c’è più nulla da dire ma solo da mostrare – annotava Benjamin sulla Parigi di Boudelaire – nella città in cui “si raccolgono tutte le fibre della storia europea” (Engels), emerge una massa infinita di oggetti, luoghi e figure sociali in cui si iscrive misteriosamente il percorso futuro della modernità“.

C.J.Barbis

(1) http://www.repubblica.it/cronaca/2010/01/08/news/rivolta_dei_diseredati_a_rosarno-1873836/?ref=search
(2) http://www.youreporter.it/video_Viaggio_a_Rosarno_RC_nell_inferno_degli_immigrati_1?refresh_ce-cp
http://www.ilsussidiario.net/News/Cinema-Televisione-e-Media/2016/2/2/ROSARNO-La-rivolta-degli-immigrati-sei-anni-dopo-tutto-come-prima-Le-Iene-oggi-2-febbraio-2016-/675645/
(3) https://www.internazionale.it/opinione/alessandro-leogrande/2017/03/08/braccianti-rignano-caporalato
(4) http://openmigration.org/analisi/il-giro-delloca-dei-trasferimenti-coatti-dal-nord-italia-a-taranto/
(5) http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08/11/ventimiglia-la-prefettura-chiude-la-chiesa-simbolo-dellaccoglienza-prete-migliaia-di-migranti-ospitati-senza-soldi-pubblici/3789831/
(6) http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/06/20/ventimiglia-bimbi-stranieri-costretti-a-vivere-per-strada-oltre-alla-chiesa-per-loro-non-esiste-un-centro-daccoglienza/3667941/
(7) https://www.asgi.it/notizia/accoglienza-difficile-ventimiglia/
(8) http://www.sanremonews.it/2017/03/26/leggi-notizia/argomenti/politica-1/articolo/ventimiglia-divieto-di-cibo-ai-migranti-il-comitato-per-gli-immigrati-e-contro-ogni-forma-di-disc.html

foto in copertina: Piccoli Schiavi Invisibili

‘Ndrangheta, spuntano nuovi “business” nel Ponente ligure (dal Secolo XIX, 25-06.2017)

‘Ndrangheta, spuntano nuovi “business” nel Ponente ligure

DAL SECOLO XIX DEL 25 GIUGNO 2017

leggi l’articolo

 

Il 25 Giugno 2017 è uscito sul Secolo XIX un articolo che parlava dei nuovi “business” della ‘ndrangheta nel Ponente Ligure. Affari di ogni genere come ad esempio «edilizia, trasporti, giochi e scommesse, raccolta e smaltimento rifiuti» nei comuni di Bordighera, Sanremo, Taggia e Diano Marina. L’articolo cita pure Ventimiglia, affermando che nella città di confine esiste “un’associazione a delinquere di stampo mafioso”: addirittura “la camera di controllo di Ventimiglia” viene definita. Certo non è una novità per chi attraversa quel territorio. E nemmeno, andrebbe detto, la mafia si occupa solamente di edilizia, trasporti, scommesse, raccolta e smaltimento rifiuti.

A Ventimiglia c’è un grosso traffico che riguarda gli esseri umani: dai passeurs che speculano sui migranti facendosi pagare per passare il confine (non sempre questa operazione va a buon fine), ai trafficanti che avviano alla prostituzione donne di tutte le età, anche con figli, costringendole a vendere il proprio corpo per attraversare il confine ed arrivare nel posto desiderato.
La mafia agisce anche così nel territorio di Ventimiglia, ma sembra che le istituzioni e le autorità, nonostante le ripetute segnalazioni di operatori e volontari, non facciano caso al crescente businnes di esseri umani, alimentato dalla presenza del confine.
Anche i giornalisti del Secolo, come quelli delle altre testate, possono pertanto permettersi di ignorare un fenomeno che collega mafia, ‘ndrangheta e malavita di vario livello: il traffico di esseri umani, che, grazie alla chiusura della frontiera da parte della Francia, sta dilagando in tutto il territorio ventimigliese e si sta rafforzando anno dopo anno.

La vergognosa assenza di un serio lavoro d’inchiesta sullo sfruttamento economico e sessuale delle persone migranti che transitano da Ventimiglia, purtroppo, fa da contraltare ad alcune scelte istituzionali che, consapevoli o meno che siano, vanno a incentivare la creazione di un contesto favorevole alla tratta degli esseri umani e quindi anche agli affari delle varie mafie presenti sul territorio. Una decisione scellerata e assolutamente criminogena, ad esempio, è stato l’ordine di spostare anche donne e bambini all’interno del campo della Croce Rossa Italiana, nella zona del parco Roja: un’area isolata, pericolosa e già segnata dal fenomeno della prostituzione e dalla folta presenza di trafficanti a caccia di affari.

Non dovrebbe essere una novità, insomma, il fatto che il territorio frontaliero italo-francese veda una strutturata azione mafiosa, operativa non soltanto nelle scommesse, trasporti e smaltimento rifiuti, ma impegnata anche nell’ampia fetta di affari legati alla presenza di centinaia di persone che vogliono oltrepassare un confine chiuso. Eppure l’articolo in questione rivela la scoperta dell’estate: a Ventimiglia, e in tutta la Costa Azzurra, “spuntano” la ‘ndrangheta e la camorra, infiltratesi finanche nella criminalità marsigliese. Uno scoop!

Il pressapochismo delle informazioni e la mancanza di approfondimenti concreti, sono un’ennesima occasione persa dalla pregevole stampa italiana di raccontare e documentare anche i pezzi più scomodi e torbidi, e quindi taciuti, della realtà di frontiera. Andando possibilmente anche al di là dello scontato e arcinoto: forse gli inquirenti e i validi giornalisti nostrani si documentano leggendo bei noir come Duri a Marsiglia, ambientato negli anni ’30 del secolo scorso… nel libro, il protagonista in fuga dall’oppressione dell’Italia fascista, giunge a Marsiglia e viene preso a servizio… indovinate da chi? Dai Calabresi, che a Marsiglia e in Costa Azzurra si contendono il controllo del territorio con i Marsigliesi e i Catalani… Niente di nuovo sotto al sole quindi, almeno da qualche decennio.

D’altronde, l’accuratezza del lavoro giornalistico fa ancora luce nella conclusione dell’articolo: «I magistrati hanno anche “attenzionato” le realtà legate alla galassia anarchica, riscontrando presenze nell’attività di volontariato legata all’assistenza dei migranti a Ventimiglia. Hanno inoltre individuato la presenza, ma non radicata sul territorio, di gruppi criminali albanesi, senegalesi e nigeriani». Giulio Gavino, il giornalista che ha scritto questo pezzo, dopo aver snocciolato informazioni approssimative e superficiali sulle mafie agenti nel territorio del Ponente Ligure, conclude quindi l’articolo con estrema pertinenza d’argomenti, tirando in ballo i solidali presenti a Ventimiglia.
Un ennesimo e pacchiano tentativo volto screditare qualsiasi opposizione politica, affiancando in modo vergognoso la realtà della criminalità mafiosa alla presenza di solidali socialmente e politicamente impegnati nel territorio: la chiusa fa piombare “ad arte” sulle teste della fantomatica “galassia anarchica” un’aura oscura di pericolosità sociale e colpevolezza. Illazioni campate per aria che inseguono gli anarchici fin dai tempi di Sacco e Vanzetti: si vede che il nostro giornalista è un cultore degli anni ’20 e ’30 del secolo passato….

Ci sarebbero da farsi quattro risate, se dietro queste righe maldestre non si celasse un’inquietante volontà di spostamento dell’attenzione e falsificazione (o insabbiamento) della realtà, ad uso e consumo di istituzioni che costruiscono continuamente capri espiatori per non ammettere le proprie responsabilità. I vari poteri istituzionali che tollerano, fingono di ignorare, o addirittura favoreggiano il traffico di esseri umani gestito da ’ndrangheta e dai vari gruppi della criminalità italo francese – gli stessi poteri che poi demonizzano i trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo, per giustificare gli interventi militari in Libia – costruiscono una retorica pelosa, che criminalizza e accusa, non si sa bene di che cosa, il mondo dell’attivismo e della solidarietà ai migranti in transito.
Un impegno diffamatorio e meschino, volto a colpire proprio coloro che lottano concretamente anche contro l’assalto di mafia e trafficanti al contesto migratorio. I solidali, i volontari, gli attivisti, sono gli unici, assieme ai migranti, ad essere criticamente presenti e attenti sul territorio, a vedere e quindi denunciare quanto accade.

Già nell’estate del 2016 i media, le istituzioni e le autorità locali hanno avuto buon gioco criminalizzando un gruppo estremamente eterogeneo e numeroso di attivisti, adoperando nei loro confronti l’appellativo di terroristi ed accusandoli di eversione. Addirittura i giornali scrissero di campi estivi d’addestramento alle armi e sciabole portate alle manifestazioni: stupidaggini senza riscontro nella realtà, calunnie per gettare discredito sulle voci che si levarono per contestare il blocco delle frontiere e la privazione della libertà e dignità di centinaia di persone. Nessun giornalista ha dato di conto per quelle bugie.

Il tempo passa, ma le strategie restano uguali: giornali locali e scribacchini conniventi, evidentemente, continuano quest’anno la pantomima contro coloro che si spendono e impegnano in prima persona al fianco delle persone migranti, pur non appartenendo a nessuna associazione, ong o gruppo istituzionale.
Sul secolo XIX l’attivismo finisce equiparato alle sacche mafiose che a Ventimiglia gestiscono, tra le tante altre cose, anche il traffico di esseri umani: come sempre il giornalismo italiano si adegua, con serenità, al ruolo di cane da guardia del potere costituito.

 

 Cati, g.b