Moussa Balde è morto di razzismo

Riceviamo e pubblichiamo (ita, eng, fra)

Per info sulla precedente udienza, vedi: Moussa Balde e la sua famiglia non sono soli

Moussa Balde è morto di razzismo

Il 14 ottobre al tribunale d’Imperia è iniziato il processo a tre italiani che il 9 maggio 2021 aggredirono brutalmente Moussa Balde a Ventimiglia. L’aggressione avvenne in pieno giorno in via Ruffini tra un supermercato e gli uffici della polizia di frontiera. 

Gli imputati sono a processo per lesioni aggravate dal numero di persone e dall’uso dell’arma, una spranga in questo caso, e sono difesi dall’avvocato Marco Bosio, noto per essere stato il difensore degli imputati nei processi contro la criminalità organizzata nel Ponente Ligure,  conosciuti come “SPI.GA” e “La Svolta”. Gli aggressori sono stati denunciati a piede libero in seguito a un video della violenza che ha fatto il giro del web, nel quale gli imputati sono riconoscibili. 

Il giorno stesso dell’aggressione il questore d’Imperia si affretta a fare dichiarazioni escludendo la matrice razziale delle violenze, che gli imputati giustificano come reazione ad un fantomatico tentato furto con una nullità di prove. 

Resta evidente il razzismo istituzionale che mette in atto un protocollo non per tutelare la vittima del linciaggio, ma piuttosto le persone italiane incriminate dal video filmato da un balcone.

Infatti in seguito all’aggressione Moussa Balde, originario della Guinea, viene portato all’ospedale per trauma facciale e lesioni, medicato e dimesso il giorno stesso, portato in commissariato viene consegnato all’ufficio immigrazione e, controllata la sua irregolarità sul territorio, viene recluso nel CPR (Centro di Permanenza per i Rimpatri) di Torino in attesa d’espulsione. 

Allontanato da Ventimiglia Moussa è finito al CPR senza aver mai firmato nessuna testimonianza sulla sua aggressione e senza che gli sia stata posta alcuna domanda sullo svolgimento dei fatti. Non ha ricevuto nessuna visita psicologica ma è stato rinchiuso a Torino, dove per diversi giorni gli avvocati non sono riusciti a rintraccialo perchè Moussa era stato registrato al CPR con un nome diverso da quello segnato dalla questura di Imperia. 

In una cella dell’area d’isolamento, denominata Ospedaletto, del CPR di Torino Moussa Balde muore la notte tra il 22 e il 23 maggio. I compagni di prigionia, che hanno iniziato una protesta quando hanno saputo la notizia della sua morte, hanno raccontato che la notte del 22 maggio l’avevano sentito urlare a lungo e chiedere l’intervento di un dottore senza mai ricevere risposta. 

E’ in corso un’indagine per omicidio colposo sui fatti avvenuti all’interno del centro detentivo dov’era rinchiuso Moussa quando è deceduto.

Il 14 ottobre scorso durante la prima udienza gli imputati hanno richiesto ed ottenuto il rito abbreviato, quindi il processo andrà avanti a porte chiuse e senza l’ausilio di testimonianze. 

Grazie alla presenza in aula del fratello Amadou Thierno Balde, la famiglia di Moussa si è costituita parte civile. 

Neppure al processo è stata riconosciuta l’aggravante dell’odio razziale, infatti la stessa procura ha deciso di non contestarla, decisione sulla quale l’avvocato della famiglia si opporrà nel dibattimento.

La giudice ha inoltre respinto la richiesta di costituirsi parte civile presentata da tre associazioni operanti nel territorio di Ventimiglia.

Non potendo entrare in aula, un gruppo di solidali si è radunato davanti al tribunale di Imperia e, dopo la rapida udienza, si è spostato a Ventimiglia nel luogo dove avvenne l’aggressione razzista, insieme ad Amadou Thierno Balde. 

Le persone solidali hanno camminato lungo le vie del centro per ricordare che la morte di Moussa Balde non è stata un tragico episodio ma il risultato di un brutale razzismo, anche istituzionale, che si palesa nel trattamento subito dal sopravvissuto al violento pestaggio, il quale è passato dall’ospedale, dal commissariato, dalla questura, dal CPR di Torino, davanti al medico che lo ha valutato idoneo alla detenzione, dall’isolamento disumano senza contatti con l’esterno e senza qualsiasi tipo di cura.

“Il trattamento che ha ricevuto prima di morire nessun individuo, nessun essere umano dev’essere trattato in questa maniera” dice Thierno Balde fuori dal tribunale d’Imperia, parlando del fratello “Perchè non ci siano più ingiustizie o razzismo, perché è duro ma bisogna essere chiari, si tratta di razzismo quello che ha subito. Perché non ci siano più casi così nel mondo intero, in particolare in Italia. Che il diritto in tutto il mondo sia rispettato, il diritto umano.”

La prossima udienza del processo ai tre aggressori sarà al tribunale d’Imperia il 9 dicembre alle ore 13:00.

Per impedire che questa storia finisca nel silenzio, per contrapporsi alla violenza razzista, per la libera autodeterminazione di tutte e tutti.

Per l’abolizione e la chiusura di tutti i CPR.

Ci ritroviamo il 9 dicembre 

alle 12:00 di fronte al tribunale d’Imperia  

alle 15:00 in Piazza De Amicis a Imperia Oneglia per un presidio e un volantinaggio antirazzista

Video della giornata del 14 ottobre con Thierno Amadou Balde –
https://youtu.be/keioX07CiEI

Per contribuire alle spese legali,  sia per il processo ad Imperia, che per quello che si aprirà a Torino dopo la chiusura delle indagini.

IBAN: IT58H3608105138280345080353

CAUSALE: solidarietà a Moussa Balde

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Moussa Balde died from racism

The trial of three Italians who brutally attacked Moussa Balde in Ventimiglia on May 9, 2021, began at the court of Imperia on October 14th. The attack took place in broad daylight on Ruffini Street between a supermarket and the border police offices. 

The defendants are on trial for injuries aggravated by the number of people and the use of an iron bar. They are being defended by lawyer Marco Bosio, known for having been the defense counsel in the trials against organized crime in western Liguria known as “SPI.GA” and “La Svolta”. 

The attackers were reported because a video of the violence was taken and then spread around the web, in which the defendants are recognizable. 

On the very day of the attack, the Imperia police commissioner rushed to make statements ruling out the racial matrix of the violence, which the defendants justified as a reaction to a phantom attempted robbery without a shred of proof

Institutional racism remains evident, putting in place a protocol not to protect the lynching victim, but rather the Italian people incriminated by the video filmed from a balcony.

In fact, following the attack Moussa Balde (from Guinea) was taken to the hospital for facial trauma and injuries, medicated and discharged the same day. Taken to the police station he was handed over to the immigration office and, checked for his irregularity in the territory, he was imprisoned in the CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio, or detention center) in Turin awaiting deportation. 

Removed from VentimigliaMoussa ended up at the CPR without ever having signed any testimony about his assault and without being asked any questions about the course of events. He received no psychological examination but was locked up in Turin, where, for several days lawyers were unable to track him down because Moussa had been registered at the CPR under a name different from the one marked by the Imperia police headquarters. 

In isolation in a zone of the CPR called Ospedaletto in TurinMoussa Balde died on the night between May 22nd And 23rd. Fellow prisoners who started a protest when they knew about his death said that on the night of May 22, they had heard him screaming for a long time and calling for a doctor without ever receiving a response. 

A manslaughter investigation is under way into the events that took place inside the detention center where Moussa was confined when he died.

On October 14 during the first hearing, the defendants requested and obtained an abbreviated trial, so the trial will go on behind closed doors and without the aid of witnesses. 

Thanks to the presence of Moussa’s brother Amadou Thierno Balde in the courtroom, Moussa’s family has filed civil 

Not even at the trial was the aggravating factor of ethnic hatred recognized; in fact, the prosecutor’s office itself decided not to challenge it, a decision on which the family’s lawyer will argue in the trial.

The judge also rejected the request for civil action filed by three associations operating in the Ventimiglia area.

Unable to enter the courtroom, a group of solidarians gathered in front of the Imperia courthouse and, after the quick hearing, moved to Ventimiglia to the site where the racist attack took place, along with Amadou Thierno Balde. 

Those in solidarity walked along the streets of the city center to remember that Moussa Balde’s death was not a tragic episode but the result of brutal racism, including institutional racism. This is evident in the treatment suffered by the survivor of the violent beating, who went from the hospital to the police station, the police headquarters to the CPR in Turin, before arriving before the doctor who assessed him fit for detention, inhumane isolation without contact with the outside world and without any kind of care.

“The treatment he received before he died, no individual, no human being should be treated in this way.” says Thierno Balde outside the court in Imperia, speaking of his brother “So that there will be no more injustice or racism, because it’s harsh but you have to be clear, it’s racism what he suffered. So that there are no more cases like this in the whole world, particularly in Italy. Let the right throughout the world be respected, the human right.”

The next hearing in the trial of the three attackers will be at the Imperia court on December 9 at 1 p.m.

To prevent this story from ending in silence, to oppose racist violence, for the free self-determination of all and everyone.

For the abolition and closure of all CPRs.

We meet on December 9 

at 12 noon in front of the Imperia courthouse.  

at 3 p.m. in De Amicis Square a Imperia Oneglia for an anti-racist sit in and leafleting 

Video of October 14th with Thierno Amadou Balde –
https://youtu.be/keioX07CiEI

To contribute to the legal costs, both for the trial in Imperia and for the one that will start in Turin after the investigation closes:

IBAN: IT58H3608105138280345080353

PAYMENT DESCRIPTION : solidarity with Moussa Balde

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Moussa Balde est mort de racisme

Le 9 mai 2021, Moussa Balde, originaire de Guinée, a été brutalement agressé à Vintimille. Le procès des trois Italiens auteurs de cette attaque qui a eu lieu en plein jour rue Ruffini, entre un supermarché et les bureaux de la police aux frontières, a débuté au tribunal d’Imperia le 14 octobre 2022. 

Les accusés sont jugés pour des blessures aggravées par le nombre de personnes et l’usage d’une barre de métal. Ils sont défendus par Marco Bosio, connu pour avoir été l’avocat des accusés dans les procès “SPI.GA” et “La Svolta” contre le crime organisé en Ligurie. Des poursuites sans mesure de privation de liberté ont pu être engagées contre les agresseurs grâce à une vidéo des violences réalisée par une voisine depuis son balcon et qui a fait le tour du web.

Le jour même de l’agression, le chef de la police d’Imperia s’est empressé de faire des déclarations excluant la dimension raciste de ces violences. Les accusés ont justifié leurs actes comme étant une réaction à une prétendue tentative de vol, sans pouvoir en apporter aucune preuve.

Le racisme institutionnel reste évident, mettant en place un protocole non pas pour protéger la victime du lynchage mais plutôt les Italiens incriminés par la vidéo filmée depuis un balcon.

En effet, à la suite de son agression et après un court passage à l’hôpital pour des traumatismes et des blessures au visage, Moussa Balde a été conduit au commissariat de police, remis au bureau de l’immigration et, après qu’ait été vérifiée son irrégularité sur le territoire, il a été enfermé au CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio, équivalent des centres de rétention administrative) de Turin en attendant son expulsion. 

Éloigné de Vintimille, Moussa s’est retrouvé en détention sans jamais avoir signé de témoignage sur son agression et sans que ne lui soit posée aucune question sur le déroulement des événements. Il n’a bénéficié d’aucun examen psychologique mais a été enfermé à Turin où, pendant plusieurs jours, les avocats n’ont pas pu le retrouver car il avait été enregistré au CPR sous un nom différent de celui retenu par la préfecture de police d’Imperia.

Dans une cellule de l’Ospedaletto, le quartier d’isolement du CPR de Turin, Moussa Balde est mort dans la nuit du 22 au 23 mai 2021. Ses codétenus, qui ont commencé à protester lorsqu’ils ont appris la nouvelle de son décès, ont déclaré que cette nuit-là, ils l’avaient entendu crier pendant longtemps et demander l’intervention d’un médecin sans jamais recevoir de réponse.

Une enquête pour homicide involontaire est en cours sur les événements qui se sont déroulés à l’intérieur du centre de rétention où était enfermé Moussa lorsqu’il est décédé.

 

Ce 14 octobre, lors de la première audience concernant l’agression de Moussa, les accusés ont demandé et obtenu une procédure simplifiée. Le procès se déroulera donc plus rapidement, à huis clos et sans audition de témoins. Grâce à la présence d’Amadou Thierno Balde, le frère de Moussa, la famille a pu se porter civile. 

Déjà écartée dans les déclarations publiques officielles au moment de l’agression, la circonstance aggravante de haine raciale n’a pas été retenue lors du procès. Le procureur a décidé de ne pas la relever, une décision à laquelle l’avocat de la famille s’opposera dans les suites du procès. Le juge a également rejeté la demande de trois associations de Vintimille de se porter partie civile.

Ne pouvant entrer dans le tribunal d’Imperia, un groupe de personnes solidaires s’est rassemblé à ses portes et après la rapide audience, s’est rendu sur les lieux de l’agression raciste à Vintimille avec Amadou Thierno Balde. Ils et elles ont marché dans les rues du centre ville pour rappeler que la mort de Moussa Balde n’est pas seulement un événement tragique mais le résultat d’un racisme brutal, y compris institutionnel, qui apparaît clairement dans le traitement qu’a subi le survivant du lynchage, emmené de l’hôpital au commissariat, de la préfecture de police au centre de rétention, d’un médecin qui l’a jugé apte à la détention jusqu’à un isolement inhumain, sans contact avec le monde extérieur et sans aucun type de soins.

« Le traitement qu’il a reçu avant de mourir, aucun individu, aucun être humain ne devrait être traité de cette façon. Pour qu’il n’y ait plus d’injustice ou de racisme, parce que c’est dur mais il faut être clair, c’est du racisme qu’il a subi. Pour qu’il n’y ait plus de cas comme celui-ci dans le monde entier, et en particulier en Italie. Que l’on respecte le droit dans le monde entier, le droit humain. » a déclaré Amadou Thierno Balde à la sortie du tribunal d’Imperia, en parlant de son frère Moussa.

 

La prochaine audience dans le cadre du procès des trois agresseurs de Moussa Balde aura lieu au tribunal d’Imperia le 9 décembre à 13h.

Pour éviter que cette histoire ne termine dans le silence, pour s’opposer à la violence raciste, pour la libre autodétermination de toustes.

Pour l’abolition et la fermeture de tous les CPR.

Nous nous réunissons retrouvons nous le 9 décembre :

– à 12h00 devant le tribunal d’Imperia  

– à 15h00 sur la Piazza De Amicis à Imperia Oneglia pour un rassemblement antiraciste et une distribution de tracts

Vidéo de la journée du 14 octobre avec Thierno Amadou Balde –
https://youtu.be/keioX07CiEI

Pour contribuer aux frais de justice, tant pour le procès d’Imperia que pour celui qui s’ouvrira à Turin après la clôture de l’enquête :

IBAN : IT58H3608105138280345080353

OBJET : solidarité avec Moussa Balde

(immagine di copertina da Meltingpot.org: Pestaggio a Moussa Balde: al via il processo contro gli aggressori)

Non importa quale sia la situazione, non arrenderti

Non arrenderti. Un messaggio e un disegno raccontano il dispositivo stritolante del confine, invitando alla resistenza. Pubblichiamo la testimonianza che una delle persone in viaggio ha lasciato presso la postazione del collettivo Kesha Niya.

Il collettivo Kesha Niya è attivo alla frontiera di Ventimiglia dalla primavera del 2017 dove fornisce quotidianamente cibo e sostegno alle persone migranti che tentano di attraversarla. A questo link potete leggere l’ultima traduzione del loro report mensile.

“Se non si riesce a pianificare, si pianifica il fallimento. Nella vita non si trova tutto quello che si merita. Ci sono molti tipi di persone in questa vita. Alcune ti insegneranno. Alcune ti distruggeranno.
È molto difficile trovare dei veri amici che ti amino e si fidino di te. Non dipendere mai da nessuno. Mai amare troppo e mai fidarsi troppo.

In questo universo alcuni paesi predicano l’amore ma non lo praticano. Io rispetto l’America, l’Europa – non hanno amore per i neri.
Tenere qualcuno nel tuo paese per un numero indefinito di anni senza documenti è frustrante.
Alcuni dei miei amici sono morti per mancanza di documenti. Perdono la concentrazione. La cosa migliore che si può fare per i meno privilegiati: fare. E lasciare il resto a Dio.
Amo gli italiani – solo che vedono l’immigrato come un animale. Nell’altro mondo prego di non essere testimone degli italiani.

Sono davvero triste mentre scrivo questo dopo che mi hanno dato 2 negativi [sulla richiesta d’asilo]. Mi chiedono di lasciare il loro paese, il che non è buono. Mi sento frustrato mentre scrivo queste cose.

Non importa quale sia la situazione, non arrenderti.”  19 gennaio 2021.

Questa è una storia che qualcuno ha deciso di condividere con noi in un libro che abbiamo iniziato a tenere alla frontiera. Le persone lasciano messaggi in inglese, francese, arabo,… Altre hanno lasciato immagini che hanno disegnato.

Le ultime settimane sono state in molti modi piene di storie e di piccoli cambiamenti.

È bello stare insieme nel nostro posto di lavoro, nonostante il lungo e duro viaggio che la gente non ha mai scelto di fare. Sappiamo che tuttə attraversano questa frontiera, ci possono volere 5, 6, 7 volte o più, a seconda della strada che riescono a scegliere, ma alla fine continuano il loro cammino verso il paese dove vogliono vivere, dove vogliono ottenere documenti e stabilirsi.

Le lotte continuano: essere Dublinati (soggetti al Regolamento di Dublino ndt), spesso in Italia, in Grecia o in un paese balcanico, permette all’Europa di dire loro dove devono e non devono stare. E senza supporto legale è un’altra giungla, quella della burocrazia e della perdita delle possibilità che hanno, in un determinato lasso di tempo, per reagire sulle procedure dei documenti e fare ricorso su una decisione.

Non importa dove ti trovi: non c’è bisogno di essere alla frontiera per essere coinvoltə. In tutti i paesi europei, gruppi auto-organizzati sostengono le persone con consulenza legale e le accompagnano agli appuntamenti, per colmare principalmente il vuoto di una lingua mancante e per essere lì nel caso in cui qualcuno si perda. Per assicurarsi che i diritti delle persone siano garantiti, non ignorati o spiegati in modo non corretto, come sappiamo succede facilmente. Siamo sicurə che voi che leggete questo testo siate in un modo o nell’altro già attivi o stiate progettando di farlo, in qualsiasi modo.

Mandiamo un po’ d’amore a voi, a tuttə quellə che abbiamo incontrato qui nel loro viaggio, a tuttə quellə che arriveranno ancora. Siamo noi a creare le condizioni di vita in paesi sfruttati e politicamente condizionati, in queste condizioni altre persone trovano spesso la ragione per partire – e siamo noi a creare le condizioni di vita e la solidarietà che tuttə trovano qui.

– Ciao da Kesha Niyas!
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Depositor: Frederik Bösing
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Ventimiglia Video Maps: video guide ai servizi di Ventimiglia

Le “Ventimiglia Video Maps” riportano in 4 lingue (italiano, francese, inglese e arabo) i giorni e gli orari in cui sono fruibili i servizi disponibili a Ventimiglia. Sono facilmente reperibili su Youtube inserendo gli hashtag  #ventimigliavideomaps, #foodventimiglia , #clothesventimiglia #doctorventimiglia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il progetto video “Ventimiglia Video Maps”  volto a facilitare l’orientamento delle persone in transito e l’accesso ai servizi disponibili a Ventimiglia

Il progetto comprende al momento 4 video mappe che mostrano rispettivamente i percorsi:

1) dalla Stazione alla Distribuzione gratuita di cibo

2) dalla Stazione alla Caritas (distribuzione abiti, cibo, assistenza sanitaria)

3) dalla Stazione al Campo della Croce Rossa

4) dal Campo della Croce Rossa al centro città (percorso alternativo a quello più pericoloso che si snoda sulla strada statale)

#FREETHEMORIA35 – Aggiornamento da Lesbo

La foto di copertina rappresenta l’esterno dell’hotspot di Moria nell’isola di Lesbo, vero e proprio centro di detenzione per migranti. (FONTE: REUTERS/Alkis Konstantinid)
Riceviamo e pubblichiamo questa seconda testimonianza da parte di un solidale che da diversi mesi si trova come operatore legale in servizio volontario presso l’hotspot di Lesbo.
Il testo analizza con accuratezza la vicenda giudiziaria dei trentacinque rifugiati processati in seguito alla protesta messa in atto il 18 luglio 2017 nel campo di Moria (hotspot dell’isola di Lesbo) contro le condizioni di vita lesive dei diritti fondamentali a cui sono sottoposti i suoi abitanti.
Un iter giudiziario emblematico della costruzione della nuova condizione coloniale dentro la stessa Europa.
Come hanno messo in evidenza alcuni teorici del postcolonialismo analizzando in particolare il caso dell’India [1] la colonizzazione è un fenomeno in cui la violenza  e la sopraffazione bruta vanno sempre di pari passo con la costruzione di nuovi ordinamenti giuridici. Dallo stato di eccezione – contraddistinto dalla violenza come sospensione di ogni norma – alla ricostruzione di un ordinamento giuridico frutto e giustificazione di quella violenza e di quei rapporti di forza. Il colonialismo classico vide la prospettiva del “legislatore”  affiancata molto presto a quella del “conquistatore”, nella conoscenza così come nella governamentalità.
Tuttavia se nel colonialismo classico la produzione di una normalità coloniale, cioè di una legislazione in grado di riempire il vuoto creato dall’eccezionalità della violenza, è stata strettamente legata al rapporto di implicazione che sin dall’inizio aveva stretto la metropoli (quindi il cittadino occidentale) con le colonie (ossia con i sudditi coloniali) in quanto legati dall’appartenenza “ alla medesima storia collettiva”  c’è da chiedersi quanto il nostro mostruoso presente, di cui questa testimonianza racconta aspetti salienti, sia leggibile attraverso lo stesso nesso.
In un’Europa sempre più chiaramente postcoloniale riemerge la distinzione tra cittadino e suddito coloniale, cioè colui che non gode dello stato di diritto:  una distinzione  creata evidentemente in base ad un criterio razziale. Ma la razza diventa un dispositivo in grado di catturare figure molteplici, destinate con gradi diversi ad appartenere alla schiera dei nuovi colonizzati ai quali, con gradi diversi, vengono negati i diritti civili, sociali e politici. Ancora una volta il governo della migrazione appare come il laboratorio su cui viene sperimentata una nuova governamentalità coloniale. Da questo punto di vista non è affatto inutile ricordare il contenuto del decreto Minniti – Orlando, varato ormai un anno fa, nel quale le tre figure chiave individuate come nuovi sudditi coloniali erano i migranti, i poveri e “gli antagonisti”.
Molte altre riflessioni vengono in mente leggendo questa testimonianza, come per esempio il ruolo giocato dal limbo temporale (una vera e propria tortura psicologica)  a cui vengono costretti i migranti  nella governamentalità della migrazione. Anni persi ad aspettare la risposta dell’ottenimento di uno status grazie a cui essere riconosciuti come soggetti di diritto,  per essere, ad un certo punto, riportati forzatamente al punto di partenza. Il gioco dell’oca a cui sono sottoposti i migranti, deportati da Ventimiglia a Taranto con i bus della Riviera Trasporti, è una delle tante forme che assume questo confine temporale. Un confinamento temporale che , seppure con un’intensità diversa,viene sperimentato anche sui subalterni autoctoni attraverso la precarietà lavorativa e le forme di vita ad essa connessa.
La nuova dimensione coloniale che osserviamo costituirsi nei nostri mondi con il suo carico di violenza e di terrore ha motivo di essere chiamata “post-coloniale” se si è in grado di riconoscere in quel prefisso “post” non solo la sconfitta dei movimenti anticoloniali novecenteschi ma anche la traccia indelebile che essi hanno impresso nella nostra storia, rendendo il mondo davvero globale. La contraddizione oggi è portata al cuore stesso dell’Europa: ogni dispositivo violento di dominio, controllo e segregazione,  in realtà è una risposta alle lotte e alle pratiche di liberazione che partono da una presa di coscienza dell’eguaglianza da parte dei migranti che sfidano l’ipocrisia dell’universalismo occidentale mettendo a nudo il carico di violenza ad esso soggiacente. La migrazione può essere così scoperta non solo come laboratorio di teniche di dominio ma anche come fenomeno i cui soggetti spesso incarnano le vere avanguardie nella lotta contro la brutalità dello status quo.

g.b.

#FREETHEMORIA35

I 35 imputati del processo contro i Moria35 sono stati tutti rimessi in libertà, tuttavia con la sentenza è stato commesso, a parere di chi scrive, un grave errore giudiziario da parte del Tribunale a giuria mista di Chios, in Grecia, dove 32 dei 35 imputati sono stati dichiarati colpevoli di lesioni contro pubblico ufficiale.

Ricordiamo che i 35 imputati erano stati arrestati arbitrariamente e con metodi violenti nel campo di Moria a Lesvos il 18 luglio 2017 in seguito a quella che era partita come una protesta pacifica al di fuori dell’ufficio dell’EASO (l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo).

Il verdetto intrinsecamente pericoloso, raggiunto nonostante la totale mancanza di prove a sostegno delle accuse, arriva dopo un processo durato una settimana che ha continuamente violato i principi fondamentali del giusto processo, garantiti dall’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e mette seriamente in discussione l’imparzialità, sia dei giudici, sia del procuratore designato per il caso.

32 dei 35 imputati sono stati giudicati colpevoli di lesioni a pubblico ufficiale, ma assolti da tutte le altre accuse. I tre imputati, arrestati invece da un vigile del fuoco fuori dal campo Moria, sono stati ritenuti innocenti da tutte le accuse. La testimonianza contro di loro è stata screditata, ritenuta inconsistente, nonché priva di credibilità in quanto il vigile del fuoco, nel corso di una delle udienze, ha erroneamente identificato persone diverse dalle tre da lui arrestate. Nonostante ciò, nessuno dei testimoni dell’accusa è stato iscritto nel registro degli indagati per falso in atto pubblico, false dichiarazioni al pubblico ministero e falsa testimonianza.

Mentre le prove contro i rimanenti 32 imputati erano ugualmente inconsistenti, i tre giudici e i quattro giurati li hanno ritenuti all’unanimità colpevoli. Inoltre, la sentenza è stata raggiunta senza che il pubblico ministero dimostrasse che vi fossero gli elementi necessari per ritenere responsabili dei crimini gli imputati: vi era infatti solo prova di lesioni superficiali ad un agente di polizia, e non c’era alcuna prova credibile che identificasse nessuno dei 32 come aggressore di un agente di polizia.

I testimoni di polizia hanno infatti confermato che tutti e 32 gli imputati arrestati all’interno del campo di Moria erano colpevoli semplicemente perché presenti nella sezione africana del campo dopo che erano cessati gli scontri tra alcuni migranti e la polizia in assetto antisommossa. La conferma da parte della Corte che la colpevolezza può essere ritenuta esistente solo in base alla razza e alla evenutale presenza nei pressi del luogo dove si sono verificati i presunti crimini costituisce un precedente estremamente pericoloso per gli arresti che potrebbero derivare da future rivolte e/o proteste.

I testimoni della difesa inclusi diversi residenti di Mitilene e del Moria Camp hanno confermato che il campo di Moria non è mai stato evacuato, che la gente è entrata ed è uscita dal campo per tutto il pomeriggio attraverso le entrate posteriori e che nel campo la situazione era sotto controllo circa un’ora prima degli arresti.

Molti imputati hanno confermato la loro partecipazione alla protesta che chiedeva la libertà di circolazione da Lesvos alla Grecia continentale, la fine delle ingiuste procedure di asilo sull’isola e che denunciava le terrificanti condizioni in cui i richiedenti asilo sono costretti a vivere nel campo Moria.

Hanno spiegato, inoltre, che la polizia ha risposto violentemente alla protesta, disperdendo i manifestanti tramite un uso eccessivo di gas lacrimogeno. Altri hanno testimoniato di essere entrati nel campo di Moria dopo che la situazione era tornata alla calma, per poi ritrovarsi arrestati con metodi violenti durante il raid della polizia.

L’eccessiva violenza della polizia è stata confermata nel processo attraverso la documentazione medica delle lesioni subite dagli imputati, le prove video degli arresti e la testimonianza di diversi testimoni e imputati. Il pubblico ministero di Mitilene ha già aperto un’indagine contro agenti di polizia, non idenfiticati (al momento) per aver causato gravi danni fisici a 12 dei 35 imputati.

Il processo a Chios è stato caratterizzato da numerosi e gravi problemi procedurali, tra cui l’assenza di interpreti per la maggior parte del processo e per il tempo molto ristretto concesso a testimoni della difesa ed imputati di fornire la loro testimonianza e/o dichiarazione spontanea.

Una delegazione internazionale di osservatori legali è stata presente durante tutto il processo e pubblicherà un rapporto in merito all’equità del processo a tempo debito.

Sfida ogni logica il fatto che 32 su 35 imputati, nonostante le sconvolgenti riprese video[2]degli attacchi della polizia contro contro gli stessi, nonostante il fatto che i testimoni della polizia non siano stati in grado di identificare nessuno dei 35 in tribunale, siano stati riconosciuti colpevoli.

Questa sentenza arriva solo quattro giorni dopo gli arresti del 23 aprile 2018 e le accuse penali contro 122 persone – per lo più afghane – che avevano protestato pacificamente a Mitilene e che si sono viste brutalmente attaccate da un commando di fascisti prima di essere arrestate dalla polizia. Siamo estremamente preoccupati rispetto alla possibilità che la decisione della Corte di Chios possa incoraggiare ulteriormente lo Stato a continuare a criminalizzare tutte le persone che resistono alle politiche ostili del Governo.

La sentenza è stata impugnata dai 32, condannati a 26 mesi di reclusione con pena sospesa, dopo 9 mesi di ingiusta prigionia. Una pena, peraltro irragionevole poiché aumentata di 19 mesi rispetto ai 7 mesi proposti dal pubblico ministero in sede di rogatoria finale.

Ad ogni modo, i 32 condannati, avendo ottenuto la sospensione condizionale della pena, dopo nove mesi di ingiusta detenzione, sono stati finalmente liberati. Alcuni di loro, tuttavia, avendo ricevuto due decisioni negative rispetto alla loro richiesta di asilo politico in Grecia, rischiano, inverosimilmente, la deportazione in Turchia, in forza dell’accordo EU/TURCHIA.

Nello specifico, sette dei #Moria35 si trovano al momento iscritti nella lista delle persone per le quali è prevista la deportazione in Turchia e conseguentemente si trovano nel concreto pericolo di rimpatrio forzoso nel Paese di origine da dove erano fuggiti negli anni passati.

Con un processo ricco di violazioni procedurali, infatti, le loro domande di asilo sono state respinte. Quindi, dopo aver dovuto subire oltre un anno di trattamenti disumanizzanti nel campo di Moria, dopo essere stati vittime del barbaro attacco posto in essere dalla polizia – attacco seguito da nove mesi di ingiusta detenzione – ora 7 dei #Moria35 rischiano di essere spediti in una prigione turca, per poi essere probabilmente espulsi nei paesi di origine da cui erano fuggiti.

Peraltro, tutti potrebbero beneficiare della protezione umanitaria in Grecia come vittime o testimoni di gravi crimini. Inoltre, tre di loro hanno presentato diverse denunce contro la polizia per l’attacco, le violenze e l’arresto arbitrario subito, e al momento un’indagine risulta essere stata avviata dal pubblico ministero di Mytilene (Lesvos) contro la polizia, indagine per la quale tutti e sette sono testimoni importanti.

La loro evenutale deportazione non solo violerà i loro diritti ad un giusto processo, ma assicurerà l’impunità della polizia nelle proprie politiche di repressione violenta negli hotspot greci.

Seguiranno aggiornamenti.

Alfredo Curto – operatore legale volontario presso l’hotspot di Lesbo

[1] Guha R., Dominance without Egemony. History and Power in Colonial India, Harward University Press, 1997; per approfondire, Mezzadra, Rigo, Diritti d’Europa. Una prospettiva postcoloniale sul diritto coloniale in A. Mezzacane (a cura di), Oltremare. Diritto e istituzioni dal colonialismo all’età postcoloniale, Editoriale scientifica. 2006, Napoli.

[2] https://www.facebook.com/705411139643622/videos/870158543168880/

Grave ed Illegittimo Respingere Minori al Confine delle Alpi Marittime

A seguito dei dati raccolti durante le attività di monitoraggio svolte da associazioni e avvocati alla stazione di Menton Garavan e alla frontiera di Ponte San Luigi, due sentenze del Tribunale di Nizza prendono di mira le pratiche attuate dalla polizia francese per impedire l’ingresso dei migranti minorenni.

 

 

 

Riconosciuto grave ed illegittimo il respingimento di un Minorenne Eritreo al confine delle Alpi Marittime

Da quando, nel giugno del 2015, la Francia ha ripristinato i controlli alle frontiere, migliaia di persone, donne uomini adulti e bambini, si affidano a trafficanti tentando di passare il confine per continuare il loro percorso migratorio. La cronaca parla di corpi violentati, denudati, umiliati, carbonizzati, schiacciati da Tir e investiti da treni. Gli Stati – quando non sono degli incidenti a terminare tragicamente il viaggio, quando non è un confine, a molti invisibile, a impedire il migrare, quando non è una malattia a rendere impossibile il cammino – agiscono anche attraverso “leggi speciali” e “misure di emergenza” legittimandosi a divenire illegittimi. Continuando così a perpetuare la repressione della libertà di movimento.

Ma cosa accade quando un ragazzino eritreo, solo, di 12 anni, viene fatto scendere dalla polizia di frontiera alla stazione di Mentone Garavan, arrestato per ingresso irregolare, venendogli notificato il “refus d’entrée”, messo su un treno per Ventimiglia – condannato alla vulnerabilità giuridica oltre che materiale? Nulla sarebbe accaduto, come nulla è accaduto in questi tre anni di violazioni ai diritti dell’infanzia, se l’ANAFE – Associazione Nazionale per l’Assistenza degli Stranieri alle frontiere –  non avesse presentato con urgenza un ricorso al tribunale di Nizza e soprattutto se non lo avesse vinto.

La sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo di Nizza contiene parole molto forti nei confronti delle autorità francesi: disposizioni di legge nazionali e internazionali ignorate, violazioni gravi del diritto europeo di asilo, illegittimo il respingimento del minore alla frontiera e gravi le interferenze alla libertà fondamentali dei diritti dei bambini.

Il giudice, nella valutazione del ricorso cita:

– la Convenzione europea per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali;

– la Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia del 26 gennaio 1990;

– Regolamento (CE) n. 2016-399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, relativo a un codice dell’Unione sulle norme che disciplinano i movimenti di persone oltre frontiera;

– il codice di ingresso e residenza degli stranieri e il diritto di asilo;

– il codice di giustizia amministrativa.

Dagli atti in possesso del giudice che ha emesso la sentenza si ricostruisce quanto sia accaduto il 12 gennaio 2018 quando il giovane eritreo, nato il 1 gennaio del 2006 – quindi dodicenne – viene condotto alle ore 13:40 al posto di polizia di frontiera di Mentone Saint-Louis a seguito di un “controllo” sul treno proveniente da Ventimiglia. Alle ore 14:10, cioè 20 minuti dopo, gli viene notificata la decisione di “refus d’entrée” in Francia e allontanato dal confine. L’ANAFE’ ha immediatamente presentato ricorso e la sentenza che ne consegue impone alle autorità francesi di ristabilire i diritti del minore, rilasciando un lasciapassare per l’ingresso in Francia, dove la sua posizione andrà valutata individualmente in presenza di un interprete qualificato e a un risarcimento di 1500 euro.

Tra le note conclusive si legge come l’ordine pubblico avrebbe commesso nell’esercizio dei suoi poteri, una violazione grave e manifestamente illegale. Ne consegue che la decisione di rifiutare l’ingresso in Francia fosse viziata da una manifesta illegittimità che ha pregiudicato e continuerà a pregiudicare seriamente l’interesse del giovane.

Il giovane eritreo ad oggi è “irreperibile” insieme ai 5mila minori non accompagnati che si stima siano transitati per il confine di Ventimiglia. I dati parlano di 25mila arrivi di minori in Italia nell’anno appena concluso. Molti di loro tentano di proseguire il viaggio, per raggiungere famigliari o paesi in cui ritengono di avere prospettive migliori, scontrandosi con frontiere che continuano a rimanere chiuse, da Ventimiglia al Brennero e con Stati che commettono, nell’esercizio dei propri poteri, gravi violazioni e manifeste illegitimità…. Tribunale di Nizza – Repubblica di Francia – IN NOME DEL POPOLO FRANCESE

Tra CasaPound e Salvini, a Ventimiglia si sdoganano fascisti e razzisti

All’apice di una campagna elettorale interamente incentrata sull’immigrazione, alienarsi i consensi del crescente elettorato xenofobo italiano rappresenta un rischio che le autorità non hanno alcuna intenzione di correre. In quest’ottica, il discorso fascista ormai ampiamente sdoganato, viene protetto arrivando a vietare qualsiasi espressione di dissenso, che sia davanti a un gazebo di CasaPound o in occasione di un comizio elettorale di Salvini, all’indomani delle sue inaccettabili affermazioni rispetto ai fatti di Macerata.

 

Il 14 ottobre 2017 il partito fascista CasaPound ha installato un gazebo informativo a Ventimiglia per illustrare il proprio programma politico e parlare in termini razzisti e xenofobi del loro punto di vista riguardo l’immigrazione.

Un gruppo di donne e uomini europee ha cercato di avvicinarsi con strumenti musicali e striscioni. Sono stati trasferiti alla stazione di Polizia e tenuti in stato di fermo fino a 5 ore senza che fosse loro fornito né un interprete né la traduzione dei documenti che veniva loro chiesto di firmare.

Il 9 febbraio 2018 il Teatro Comunale della città di confine ha ricevuto la visita del candidato premier della Lega Nord Matteo Salvini. L’obiettivo della giornata era quello di presentare alla cittadinanza il programma leghista che il partito delle ruspe porterà alle elezioni in Marzo.

Alla domanda di un giornalista di Sanremonews su cosa farebbe lui a Ventimiglia, Salvini ha risposto: “Qui bisogna fare come i francesi!”  Questi si distinguono per violare numerose norme di diritto internazionale con respingimenti arbitrari da parte della polizia di frontiera e della gendarmeria, che non espletano le verifiche del caso per accertare lo status giuridico della persona respinta, come prevederebbe invece il trattato di Dublino. Rimandano quotidianamente in Italia i minorenni, anche non accompagnati, che tornano a stare in strada privi di qualsiasi tutela.

Non soddisfatto, il leader della Lega ha proseguito dicendo “tornerò a Ventimiglia da Presidente del Consiglio e posso garantirvi fin d’ora che non ci sarà più nessun clandestino. “Mentre all’interno del teatro ventimigliese c’erano circa 500 persone, fuori uno schieramento di poliziotti in borghese e antisommossa, unitamente ad agenti della digos, si premuravano di allontanare chiunque potesse sollevare contestazioni rispetto ad una campagna elettorale giocata sullo sdoganamento di una sempre più allarmante xenofobia e di prospettive fasciste e razziste spacciate come soluzioni a tutti i mali del paese.

Mentre il centro di Ventimiglia riceveva le attenzioni di Salvini e della stampa, in via Tenda, nel quartiere popolare di Roverino dove trovano riparo centinaia di uomini e donne migranti, veniva rimosso da agenti di polizia in borghese uno striscione recante le parole “Da Ventimiglia a Macerata solidarietà, razzisti fascisti leghisti sono i veri terroristi”.

La motivazione addotta, è stata che il contenuto della striscione avrebbe potuto infastidire qualcuno.

In entrambi i casi il comportamento delle forze dell’ordine è stato il medesimo: vietare qualsiasi contestazione pacifica da parte di chi voleva manifestare il giusto dissenso verso la presenza di forze apertamente fasciste, xenofobe e incitanti all’odio razziale in un territorio delicato come quello di Ventimiglia.

Riflessioni dagli arcipelaghi di confine

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente contributo, inviato alla redazione assieme all’espressivo reportage fotografico che fa seguito al testo. La lettrice ci propone una riflessione sul concetto di confine, sui molteplici spazi che esso genera ed investe e, soprattutto, sulle dinamiche di potere e gerarchia che questo sistema alimenta tutto attorno a sè.  Si tratta di aspetti ormai arcinoti… oppure no?
Il regime confinario, nella sua profonda ingiustizia e nei meccanismi brutali che mette in atto, tende a sviare da se stesso l’attenzione, tende a diffondere strati di ovatta tra gli occhi e la coscienza, come raccontato dalla lettrice.
E infondo non vedere è più semplice e voltarsi altrove è meno doloroso. Ma lasciarsi accecare per la comodità e la quiete delle coscienze non è una giustificazione: distogliere lo guardo è diventare complici di ciò che non si vuol vedere.
Allora rimuovere questi strati, sollevare il velo, è solo un gesto di volontà. Un gesto che, oggi più che mai, diventa un dovere.

Riflessioni dagli arcipelaghi di confine

Questa volta sono arrivata a Ventimiglia da Trieste. Diretta autostradale dal confine Est a quello Ovest, dal Mare Adriatico al mar Tirreno, in mezzo solo terra. Ad Est i viaggiatori migranti provano ad entrare, ad Ovest provano ad uscire e scoprono di essere intrappolati.

Di volumi con tante definizioni di confine si potrebbero riempire scaffali e librerie. Forse ogni confine è diverso, o forse il confine è diverso a seconda di chi lo attraversa.
I confini sono disegnati con una linea, con un segmento per la precisione, con un inizio e una fine. In realtà sono più spesso delle fasce o addirittura delle geografie “a macchia”, arcipelaghi.

Chi non ha la faccia e il documento giusto per passare occupa gli spazi da cui non viene cacciato: solo quelli gli restano. Gli spazi invisibili e lo spazio del proprio corpo, ma il corpo, se non hai la pelle giusta, non puoi lavarlo, non puoi appoggiarlo su un letto per dormire, non puoi vestirlo o nutrirlo in modo indipendente. Del tuo corpo non disponi, non interamente.
Sei obbligato a chiedere: la tortura dell’incapacitazione, al confine, viene costantemente inferta. Al confine questa tortura ti ricorda che non sei più tu a disporre di te stesso e che devi accettare di essere assoggettato e  sottomesso; e se non cedi alla tortura, se queste “regole” non sembrano accettabili… sei solo un altro numero da mandare via. Espulso.

Il confine che io trovo a Ventimiglia è fatto di persone sballottate da una parte all’altra del mondo, che come palline rimbalzano contro una rete costruita e costituita da altri uomini.
Il confine che vedo a Ventimiglia è fatto di poteri e della loro sedimentazione. Poteri che si fermano, tra la terra che è chiamata Italia e quella che è chiamata Francia, come i sassi più grossi portati dal fiume Roja, che rimangono fermi ad ostruirne il corso quando la corrente diminuisce
I poteri che si sedimentano al confine impediscono ai piedi delle donne e degli uomini di camminare verso l’orizzonte che loro stessi hanno scelto, piuttosto che quello che altri gli vogliono imporre. Poteri che impediscono ai piedi di fare ciò per cui sono stati creati.

I segmenti del potere sono tanti: ci sono quelli degli stati che mascherano il loro fallimento dietro le “emergenze”; ci sono quelli dei poliziotti che quando indossano la divisa si dimenticano che sono persone come gli altri, dimenticano che respirano ossigeno e idrogeno anche loro; ci sono quelli dei passeur che creano nuovi confini nell’imparare a passare quelli precostituiti.
Ci sono i poteri inferti dalla possessione, o dal non possedere.

Il confine di Ventimiglia è fatto dalla stazione, dai sentieri, da ciò che rimane nella memoria del campo ai “Balzi Rossi”, dal cavalcavia lungo via Tenda, dal parcheggio accanto al LIDL, dalla spiaggia dove si possono raccogliere legni da bruciare per riscaldarsi. Il confine di Ventimiglia è fatto di donne e uomini, perché senza chi immagina quella linea e senza chi prova ad attraversarla esso semplicemente cesserebbe di esistere.

Potrei scrivere delle donne che arrivano sole, a volte incinte o con bambini, che in Libia hanno visto tanti morire e che nell’attraversare il Mediterraneo sono state quasi prese dalle acque… per poi essere pescate, come pesci all’amo, da una politica schizofrenica e bipolare, che prima si rende complice e causa della tragedia e poi si mette la maschera e il costume del paese “civilizzato”.

Potrei raccontare degli uomini che, mandati indietro dal confine alto di Mentone, si accovacciano disperati lungo la strada che riporta all’Italia; oppure dei condomini di Via Tenda che escono di casa guardinghi e infastiditi dalla presenza delle persone sotto al ponte; dei gendarmi che chiedono i documenti; dei bambini che sanno ridere, sempre.

Tutte queste sono facce di confine. Ognuna di queste, se lo vorrà, si racconterà: non sarò io a parlare in nome loro.

Io racconto che ogni volta che mi avvicino a quella linea, che in realtà è fatta a macchie, l’ovatta che avvolge i miei occhi e le mie orecchie va in fumo perché sbatto contro un sistema che si palesa nella sua finzione: che in nome della parola “protezione” lascia tanti nella disperazione, che in nome della parola “sicurezza” uccide, che in nome della parola “identità” mente.

Ogni volta che da questa linea mi allontano, piano piano l’ovatta ricresce come un rovo invasivo. L’ovatta, il rovo, è la vittoria di un sistema che acceca e che è nato, cresciuto e continua ad essere implementato per affinare tecniche di accecamento.

Ventimiglia è uno dei luoghi dove il sistema rischia di fallire perché la sua maschera crolla, e gli occhi potrebbero vedere…

Vedere è però un atto di volontà.

(immagini e testo di)

Daniela M.

 

Functional training del perfetto migrante

Functional training del perfetto migrante“, un lavoro di Ale (Senza arti nè parti) per Parole sul confine

 

La retorica del nuovo come del vecchio razzismo si ammanta di stereotipi, pregiudizi e banalizzazioni. Desiderio e bisogno di migliorare le proprie condizioni di vita sia materiali che immateriali, sono considerati illegittimi per i migranti che cercano di raggiungere l’Europa.

Per riuscire a chiudere la porta in faccia proprio a tutti si è arrivati a mettere in dubbio i bisogni primari dell’essere umano come sfuggire da fame, guerre, dittature e povertà, figuriamoci il desiderio di studiare o migliorare la propria situazione economica. La persona migrante deve portare sul proprio corpo segni visibili della sua sofferenza che ce ne possano far provare compassione, ogni altro suo aspetto di individuo è irrilevante.

Il lavoro che Ale ha regalato a Parole sul confine si fa beffe del discorso razzista, che sminuisce, appiattisce, spersonalizza. Allo stesso tempo mette in luce i pregiudizi di chi prova a controbattervi negli stessi termini, producendo solo altri stereotipi.

 

Il materiale è distribuito con Licenza Creative Commons

Parco Roya – Ventimiglia, una minaccia per la sicurezza

3 km e mezzo è la distanza che i migranti in transito a Ventimiglia devono percorrere a piedi per raggiungere la città di frontiera dal Campo gestito dalla Croce Rossa Italiana.

Il percorso si snoda su una superstrada in cui le macchine procedono a grande velocità e lo spazio per il camminamento risulta insufficiente se non addirittura assente per lunghi tratti.

La decisione di allontanare i migranti spostandoli dalla città di confine verso l’interno, è stata fortemente voluta dalle istituzioni e pubblicizzata come essenziale per garantire la sicurezza dei residenti. L’imperativo è diventato decongestionare la città da cartolina, oggi diventata tristemente nota per essere vetrina dello scontro tra gli sbandierati ideali europei ed il vero volto di un Unione fasulla.

Il Campo della Croce Rossa sorge nel Parco ferroviario Roja nella frazione di Bevera.

Nel luglio 2016 tutti i migranti ospitati alla Parrocchia di Sant’Antonio nel quartiere delle Gianchette, a eccezione di donne, minori e famiglie, sono stati trasferiti all’interno del campo e ogni nuovo arrivo è stato qui indirizzato.

Ad agosto 2017, nonostante le rimostranze e le criticità sollevate dalle volontarie delle Gianchette (1) e dal personale delle ONG presenti sul territorio, la Prefettura ha avviato il trasferimento al Parco Roja anche di donne e bambini (2).

L’accesso al campo è subordinato alla registrazione delle impronte digitali che vincola i migranti alla richiesta d’asilo in Italia. Questo fattore, unito alla lontananza del campo dai servizi della città e alla mancanza di sicurezza sul percorso necessario per raggiungerla, hanno determinato un incremento delle persone che decidono di trovare riparo sotto alla superstrada, in condizioni igienico sanitarie critiche(3).

Nel corso del 2017 lungo il percorso dal campo alla città di confine sono state investite 3 persone e 2 hanno perso la vita, un giovane di 27 anni e il conducente dello scooter che lo ha investito, un uomo di 66 anni.

                                                                                                                                                                                                                               Grage

1 https://www.riviera24.it/2017/08/ventimiglia-lacrime-e-rabbia-il-difficile-addio-delle-famiglie-di-migranti-ai-volontari-delle-gianchette-262300/
2 https://www.riviera24.it/2017/08/ventimiglia-rabbia-e-frustrazione-alle-gianchette-per-il-primo-trasferimento-di-donne-e-bambini-al-parco-roja-262285/
3 https://parolesulconfine.com/violazioni-diritto-alla-salute-confine

Immigrazione: degrado sono le strade pulite e l’umanità ridotta a rifiuto

Pensa alla chiave che gira nella toppa, al familiare profumo di casa tua. Al frigo pieno, alla facilità con cui apri un’anta e scegli cosa cucinare questa sera. Al riscaldamento che accidenti se va acceso, l’inverno sta arrivando e ci sono solo 25 gradi, non so se mi spiego.

Pensa alla tua camera. Al mobile con i tuoi libri, ai ricordi, a quegli oggettini inutili che non riesci mai ad abbandonare perchè in un modo o nell’altro raccontano tutta la tua vita. Pensa al tuo armadio, alle ore passate a scegliere quale tonalità di blu si intoni meglio con i tuoi occhi e mi sta meglio il cardigan o quel vestito a tubino che dove cavolo è in mezzo a tutta questa roba?

Pensa al letto morbido che ti accoglie ogni sera, in cui puoi sprofondare nel sonno, al caldo, per poi ricominciare daccapo le tue giornate.

E adesso, se hai bene a mente queste piccole routine quotidiane di cui a malapena ti accorgi perchè nessuno ti ha mai impedito di viverle, immagina di perderle.

Immagina di non avere più niente, nessuna casa, niente abiti, niente cose a cui tenere, nessun oggetto che ti riporti al passato, nessuna traccia che ti possa far sperare di costruire un futuro.

Immagina di avere solo i vestiti che indossi: qualcuno ti donerà una giacca, un paio di calze, indumenti di ottava mano che tanto non potrai tenere, dopotutto dove posso metterli se con me non ho nemmeno uno zaino?, una coperta che in poche ore cambierà colore, imbrattandosi della terra e della spazzatura su cui sei costretto a dormire, sotto un ponte, al freddo.

Immagina che per ogni sguardo traboccante di solidarietà e gentilezza ce ne siano almeno mille di odio e diffidenza, che poi cos’hai fatto per meritare questo disprezzo ancora non lo sai.

Immagina di non avere più la libertà di fare una passeggiata, un’escursione con gli amici, un semplice giro dove vuoi tu. Di essere trattato come un criminale. Sei solo un numero e una provenienza geografica e, soprattutto, un problema.

Non possiedi più niente, nemmeno la tua vita.

Novembre 2017, Ventimiglia: le condizioni di vita dei migranti non sono migliorate, ancora oggi centinaia di persone vivono accampate sul letto del fiume Roja, nonostante le temperature sempre più basse e l’intensificarsi delle piogge. Alimentata dalle dichiarazioni cariche d’odio dei politicanti vari e da un giornalismo d’accatto e irresponsabile, crescono in una parte della cittadinanza italiana l’indifferenza, il cinismo e l’insofferenza verso il “degrado lasciato dai migranti”. Ma cos’è davvero il degrado? E’ nei resti di un accampamento di fortuna, nei pochi averi abbandonati sul ciglio della strada mentre si tenta la salvezza oltre confine, in questa miseria che spinge migliaia di esseri umani a rischiare (e spesso perdere) la vita… Oppure nelle politiche di accoglienza e negli interessi senza scrupoli di pochi, che di umano non hanno nulla? Il degrado non è forse nei cuori e nelle teste di chi tratta una parte di umanità come un rifiuto gettato ai bordi della strada?

parolesulconfine immigrazione e degrado (1)

fotografie: Francesca Ricciardi
vedi anche: le immagini di luglio dal fiume Roja

Poesie dal confine: coriandoli di mondo

 

Poesie dal confine: coriandoli di mondo

Riceviamo da un lettore e volentieri pubblichiamo.

 

Coriandoli di mondo

Come pastore in transumanza
scollino su un ennesimo sentiero
nella mano destra un sacchetto di nostalgia
nella sinistra il coraggio
ben stretto dentro il pugno

Ho imparato a temere il mare
la sua bellezza la lascio allo sguardo dei pescatori
alle sfumature dell’acquamarina
all’ossido sui vostri passamano

Scivolando verso i lussureggianti giardini di Mentone
mi imbatto in scogli affioranti
scogli di plexiglas e manganelli

Rinchiuso e respinto.
Barca alla deriva
torturata dalla risacca
stuprata dal maestrale
soffocata d’olio di ricino

Rigettato a sud.
Rifiuto tossico
pronto ad essere interrato dal caporalato
più a Sud della terra dei fuochi
al riparo dagli occhi dell’italica brava gente

Ritornerò
ritorneremo
come il poeta aspetta la sua musa
noi aspetteremo la prossima fase lunare
saliremo con l’alta marea

Nuoterete nelle nostre anime
vi specchierete nelle nostre coscienze
ci asciugheremo lacrime a vicenda.

Quando la marea cesserà d’abbracciarci
resteremo soltanto noi
coriandoli di mondo
ballerini di carta innamorati del vento

 

Alessandro Fanari

Deportazione dei migranti da Ventimiglia: come “alleggerire il confine”

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Deportazione dei migranti da Ventimiglia: come “alleggerire il confine”

 Retate, pullman e trasferimenti di massa: la strategia di controllo nel territorio di frontiera

 

deportare: v. tr. [dal lat. Deportare (…). – Condannare alla pena della deportazione; più com., trasportare, accompagnare il condannato nel luogo stabilito per la deportazione (…) trasferire coattivamente in campi di lavoro o di concentramento (talora anche di sterminio) lontani dalla madrepatria gruppi o masse di cittadini, perché invisi o sospetti, o come misura di carattere politico o militare, in periodo bellico o d’occupazione”. 1

 

12 Maggio 2016 – giornata di rastrellamenti per le strade di Ventimiglia: per la prima volta cinquanta persone migranti vengono catturate e, senza alcuna accusa formale, sono costrette a salire su un pullman della locale Riviera Trasporti, verso ignota destinazione (solo il giorno seguente si scoprirà che il pullman era diretto a Trapani ). 2

L’obiettivo è “alleggerire” la città dalla presenza indesiderata delle persone che tentano di varcare il confine, attraverso quotidiani trasferimenti di massa diretti prevalentemente al sud Italia. 3

Settembre 2017: dal 12 maggio 2016 non si è più arrestata la pratica degradante dei trasferimenti di massa, con la sua portata di violenza e umiliazioni inflitte alle persone migranti. Oggi, dopo 16 mesi di pullman e identificazioni coatte, nemmeno le principali testate giornalistiche si fanno più scrupolo a sollevare il tabù, chiamando queste procedure così come attivisti e solidali le chiamano da oltre un anno: “deportazioni”. 4

Le persone destinate alla deportazione devono essere “sottoposte al trattamento” (così definito dalle forze dell’ordine): identificazione, anche imposta con l’uso di violenza in caso di resistenza; screening medico; perquisizione; video-ripresa integrale del corpo del condannato; imbarco coatto; trasferimento. 5

Nei mesi, la pratica si è raffinata: l’hotspot di Taranto è diventato la principale meta dei trasferimenti forzati; è stato raddoppiato su ogni convoglio il numero di deportati, dimezzandone la scorta; i sedili dei pullman vengono adesso fasciati con sacchi di plastica, mentre le FF.OO. sono state munite di guanti e mascherine anti-contagio. Le operazioni di rastrellamento in città vengono ormai effettuate principalmente nelle ore serali, notturne e all’alba, così da renderle meno evidenti allo sguardo di cittadini e turisti. Sono stati ampliati gli uffici di frontiera a Ponte san Luigi, per poter meglio gestire l’aumento di persone migranti catturate in Italia o respinte dalla Francia e in attesa del “trattamento”.

Sono passati sedici mesi dal primo pullman e ancora c’è chi si preoccupa di redarguire i toni, sventolando il famoso dito che indica la luna: caccia al nero e deportazione di massa? Assolutamente no: solo questione di obbedire agli ordini; solo ordinaria amministrazione.

Owl

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Il Ministro della Difesa Roberta Pinotti e il rispetto dei diritti umani dei migranti

Genova 8 settembre 2017. Il Ministro della Difesa Roberta Pinotti è alla Festa dell’Unità per un incontro pubblico, che non prevede domande da parte dell’audience.

L’intervista, condotta da Carlo Rognoni è iniziata con il resoconto del ritratto che di lei ha fatto il Giornale, chiosato poi dalla compiaciuta constatazione che questo non sia certo un giornale di sinistra. Svariati poi i temi toccati dal Ministro, dal rilancio della città tramite accordi tra Ministero della Difesa, Facoltà di Ingegneria navale e Fincantieri per la costruzioni di navi (militari, ma non è bello dirlo), al nuovo modello di difesa europeo, passando velocemente anche per la Libia e la questione dei migranti. A questo proposito il Ministro ha sottolineato il buon risultato prodotto dall’esecutivo, l’86% in meno di sbarchi a luglio, ed ha tenuto a precisare che la difesa dei diritti umani dei migranti è una priorità per il governo.

Grage

Per approfondimenti: 

L’inchiesta dell’Associated Press,  alcune delle testate che l’hanno ripresa o ne hanno condotto di simili

www.apnews.com/9e808574a4d04eb38fa8c688d110a23d

www.nytimes.com/2017/09/17/world/europe/italy-libya-migrant-crisis.html

www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-italy-exclusive/exclusive-armed-group-stopping-migrant-boats-leaving-libya-idUSKCN1B11XC

www.businessinsider.com/ap-the-latest-italy-makes-deals-in-libya-to-halt-trafficking-2017-9?IR=T

www.apnews.com/9e808574a4d04eb38fa8c688d110a23d

www.dailystar.com.lb/News/Middle-East/2017/Aug-30/417673-backed-by-italy-libya-enlists-militias-to-stop-migrants.ashx

Le dichiarazioni della Farnesina in merito alla denuncia dell’AP. 

www.ansa.it/english/news/2017/08/30/italy-does-not-deal-with-libya-traffickers-foreign-min-2_a610d5d2-adb7-4883-9c27-5fdc3dbe9d12.html

www.ansa.it/english/news/politics/2017/08/30/italy-does-not-deal-with-traffickers-2_ec96fd82-9361-4daa-8199-feda46df9040.html

Aumento delle missioni militari

www.difesa.it/OperazioniMilitari/Pagine/RiepilogoMissioni.aspx

Luglio 2016. L’Italia è impegnata in 25 missioni militari. 

Ottobre 2017. Le missioni italiane sono aumentate del 52% salendo a 38 mentre  i paesi in cui siamo presenti militarmente solo saliti a 23.

Hotel a 5 stelle per i migranti

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I migranti negli hotel a 5 stelle e gli italiani per strada

Nelle foto, un classico esempio dei servizi extralusso ricevuti dalle persone migranti che raggiungono il confine a Ventimiglia. I migranti si accampano sul letto del fiume, esponendosi a diversi rischi, tra cui le conseguenze dei problemi idrogeologici che caratterizzano la Liguria (alluvioni, piene improvvise) e il contagio di malattie dovute all’acqua inquinata del Roja e alle pessime condizioni in cui “alloggiano”. Per leggere anche la testimonianza di un giovane migrante sudanese, clicca qui.

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fotografie: Francesca Ricciardi

 

migranti italia[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]