Solidarietà alle compagne e ai compagni per il processo al Brennero

Solidarietà alle persone sotto processo per il Corteo del 7 maggio 2016 al Brennero contro la costruzione di un muro di confine tra Austria e Italia

Con questo contributo vogliamo portare la nostra solidarietà alle compagne e ai compagni che hanno lottato contro la costruzione del muro di confine al Brennero, tra Italia e Austria

Il 5 marzo prossimo la Cassazione deciderà se confermare o meno oltre 125 anni di carcere. In vista di questa scadenza, hanno fatto un appello alla solidarietà presente in un opuscolo in cui sono raccolti una parte dei testi scritti durante quegli anni e che sviluppa in maniera più approfondita quanto accaduto. In questo appello ricordano che il 2 marzo a Trento e il 3 marzo a Bolzano ci saranno due cortei in solidarietà con gli imputati e le imputate del Brennero e con la popolazione di Gaza.

Le compagne e i compagni hanno creato una cassa di solidarietà. Non solo un numero di conto a cui far arrivare contributi economici, ma anche un contatto per avere materiale informativo (anche in francese, inglese e tedesco), organizzare interventi a concerti o altre iniziative di solidarietà, uno spazio in cui confrontarsi.

 “La questione non sono tanto gli anni di carcere che dovremo scontare, ma il rischio che questa condanna porta in sé per la libertà di tutti e tutte”.

Se volete ulteriori informazioni o aggiornamenti, potete consultare il blog all’indirizzo abbatterelefrontiere.blogspot.com 

Qui il link a una panoramica che le compagne e i compagni hanno scritto sulla situazione alle frontiere in quel periodo, la scelta di fare il corteo e degli accenni alla situazione attuale in Italia.

Qui gli opuscoli in italiano, inglese, tedesco e francese 

L’opuscolo costa 2 euro che verranno versati nella Cassa di solidarietà Brennero.

Qui gli opuscoli impaginati per la stampa in italiano (sono pagine in A4, quindi da stampare su A3), inglese, tedesco e francese (sono pagine in A5, quindi da stampare su A4).

Per ricevere gli opuscoli in carta e inchiostro, scrivere a cassasolidarietabrennero@riseup.net

Diamo forza alla solidarietà!

Le ragioni per cui tutte e tutti eravamo il 7 maggio al Brennero non hanno fatto che moltiplicarsi

Estate a Ventimiglia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Estate a Ventimiglia: ci sarà mai limite al peggio?

Le contraddizioni della città-confine Ventimiglia si percepiscono quotidianamente. Una dinamica che può portare in qualche caso a normalizzare un contesto surreale, anche a causa della narrazione capovolta che viene fatta. Colpevolizzando i soggetti più fragili, piuttosto che i responsabili dell’esasperarsi di condizioni di marginalità. Ma nonostante questo luogo possa sembrare già saturo di ingiustizie, arriva sempre qualche novità pronta a sorprenderti, a ricordarti che non c’è limite al peggio, che il concetto di umanità che ti eri figurato è relativo e continuamente sotto attacco. Mi sento di aprire con questa immagine il racconto su quest’estate a Ventimiglia. Quel momento in cui tutti e tutte ci siamo guardate e chiesti: avrà mai fine il peggio?

Proprio a causa dell’esasperarsi della situazione era stata convocata una manifestazione il 21 maggio, contro il Decreto Cutro, i suoi nuovi CPR e le modalità criminali di respingimento continuamente messe in atto dalla paf (police aux frontières) in accordo con la polizia italiana. In quell’occasione è stato anche espresso lo sdegno verso il candidato della Lega alle elezioni cittadine, Flavio Di Muro, noto per l’approccio ultra-securitario sbandierato in campagna elettorale e dato favorito nei sondaggi. Non si è fatta mancare la patetica solidarietà dello sfidante del PD che, compartecipe nel teatrino elettorale, ha manifestato supporto a Di Muro in riferimento a delle scritte contro di lui. Altrettanto celere è stata la risposta della questura che il giorno dopo ha identificato in stazione uno dei partecipanti alla protesta, denunciandolo per imbrattamento e dimostrando così la propria efficienza nell’acciuffar colpevoli e ripagare il leso onore dell’onorevole.

Così come preventivato, il 19 giugno si insedia il nuovo sindaco della coalizione di destra Di Muro. Il primo consiglio comunale si apre con un minuto di silenzio in memoria di tre vittime di un incidente d’auto dell’anno precedente: un mezzo militare si era capovolto nei pressi del confine. In quella stessa area dove altre decine di persone sono morte negli ultimi anni, il più recente da quel momento risaliva a 4 mesi prima. A loro non sarà dedicato alcun pensiero, anzi. I primi provvedimenti della nuova giunta porteranno ad una terribile escalation. Il giorno seguente infatti ha avuto luogo lo sgombero dell’accampamento all’addiaccio sotto il ponte di via Tenda, dove decine di persone in transito trovano riparo dalla pioggia e tentano di raccogliersi per stabilire qualche legame comunitario. Lo sgombero era già in programma ma era necessario l’insediarsi di un nuovo sindaco per autorizzarlo, dato che nei mesi precedenti la giunta dell’uscente sindaco Scullino era stata sfiduciata.

Non è la prima volta che l’accampamento informale è stato attaccato da irruzioni e sgomberi, la novità sta nel nuovo provvedimento “anti-bivacco” che, in riferimento al decreto Minniti, ha introdotto sanzioni per i senza tetto che stanziano in luoghi cittadini, prevedendo fino al daspo urbano. Nei giorni seguenti si è palesato un presidio di polizia fisso nei pressi dell’area, in aggiunta ad una cancellata che ne impediva l’accesso. Il risultato è stato un ovvio sparpagliarsi delle persone che vivevano in strada, divise in piccoli gruppi nei vari punti più nascosti della periferia e nella spiaggia più isolata, laddove il fiume Roja confluisce in mare generando una pericolosa corrente. A pochi giorni dallo sgombero riceviamo la notizia che un giovane era stato trovato deceduto sulla spiaggia. In breve capiamo che il ragazzo era una conoscenza nota a buona parte dei solidali e dei migranti stabili sul territorio da più tempo. Non ci sono parole sufficienti per descrivere l’orrore e la rabbia conseguenti alla notizia. La settimana seguente si verifica un episodio simile. Un altro corpo trovato in spiaggia, un altro ragazzo che nel tentativo di lavare i propri indumenti nel fiume ne viene travolto. Un bagnino della zona dice di aver denunciato alle autorità la mancanza di guardia spiagge in quel lato della riviera. Ma tutte le risorse del comune sono concentrate a coprire la parte più turistica. La risposta dell’amministrazione a questo secondo morto è l’istallazione di un cartello che segnala il divieto di balneazione, in una misera operazione di auto-assolvimento da ogni responsabilità. “Il razzismo uccide” era stato denunciato con lo spray sulla sede della Lega durante la manifestazione, sfregiando il sorridente volto del sindaco entrante, che in tutta risposta aveva presentato denuncia per diffamazione contro ignoti.

A inizio luglio mentre in Francia avevano luogo le proteste contro la violenza della polizia, in seguito all’uccisione di Nahel Merzouk, abbiamo assistito a delle anomalie nei pattugliamenti al confine. Infatti per un’intera settimana in zona di frontiera l’esercito ha assunto funzioni di polizia regolare, effettuando controlli e respingimenti. Questa novità è presumibilmente da imputare all’imponente dispiegamento di forze sul fronte interno per reprimere le proteste diffuse in tutto il paese, che ha avrebbe lasciato scoperta l’area di frontiera. E’ anche il risultato di 8 anni di militarizzazione del confine: quella settimana è stata eccezionale solo per come sistematicamente l’esercito ha svolto ruolo autonomo di polizia. Ci sono frequenti racconti di soldati che arrestano persone nelle montagne per poi detenerle illegalmente fino all’arrivo della polizia, una pratica anticostituzionale.

Nelle settimane seguenti nella via dove ha sede la base solidale “Upupa” cresce la tensione con il vicinato, intento a cacciare il collettivo dallo spazio per vie legali. Il pattugliamento della polizia con luci blu accese è costante, sguardi inquisitori fissi sull’infopoint, sul parcheggio dove vengono distribuiti i pasti, la pressione è alle stelle. Il pomeriggio del 25 luglio una colonna di fumo sovrasta la città. Un vasto incendio brucia l’intera area sotto il ponte dove ha sede l’accampamento informale delle persone in transito. Dove alcune settimane dopo lo sgombero erano, come sempre, lentamente tornate a stabilirsi. Immediatamente il dito viene puntato contro i migranti, contro chi cucinando avrebbe fatto sfuggire qualche fiamma. A chi conosce il contesto la dinamica risulta subito strana. I focolai scoppiano in tre punti diversi, distanti e contemporaneamente, coprendo un’importante area. A chi non vuole far finta di niente risulta evidente la natura dolosa. Quando le fiamme sono già alte e diffuse risuonano alcuni forti scoppi e successivamente vengono trovate bombole da campeggio usate per giustificare l’incidente. Il timore che questo episodio venga usato strumentalmente per una stretta securitaria è immediato.

Nei giorni seguenti notiamo che la guardia del cimitero situato di fronte al parcheggio sopra descritto ha degli atteggiamenti particolarmente spavaldi e prepotenti, naturalmente razzisti. Durante il caos dell’incendio era già arrivato a minacciare di sparare ad una solidale che si era recata nei bagni interni, e di chiamare i suoi amici ndranghetisti per completare l’opera ripulendo la zona dai neri. Da notare che stiamo parlando di una persona che non solo mentre parla è armata, ma che si permette addirittura di fare con la mano il segno di una pistola e puntarla in faccia alla ragazza. Gli atteggiamenti aggressivi aumentano fino a quando il sindaco pochi giorni dopo annuncia l’insediamento nel cimitero di una vigilanza privata con l’obiettivo di impedire l’accesso alle persone in movimento che si recavano nei bagni per prendere l’acqua dall’unico rubinetto pubblico rimasto, utilizzando la retorica della sacralità del luogo. Già da tempo tutte le fontane della città erano state sigillate proprio con l’obiettivo di respingere chi era alla ricerca di questo bene primario. La vigilanza viene presto estesa anche ai giardini pubblici cittadini, uno sparuto insieme di aiuole tra cemento e il lungomare. Mentre viene annunciato il ripristino del poliziotto di quartiere, dedito a pattugliamenti a piedi. Un altro provvedimento di riqualifica urbana sbandierato dalla giunta è la rimozione di una grande panchina rossa (simbolo contro la violenza sulle donne). Il sindaco lamenta essere frequentata soprattutto da migranti e accusa presunti no border di averla imbrattata, mentre a suo dire il vero scopo era quello di offrire ai turisti un bel palco per i selfie.

In agosto, in concomitanza con l’aumento degli sbarchi nel sud Italia, c’è stata un’impennata di persone in movimento a Ventimiglia. Data la completa assenza di presidi assistenziali statali l’aggravarsi delle condizioni umanitarie è fisiologico. Le persone alla ricerca di un pasto offerto da collettivi e associazioni hanno raggiunto le centinaia. Si moltiplicano le violazioni dei diritti, come aggressioni fisiche e detenzioni arbitrarie, più facilmente denunciabili riguardo i minori. Infatti la legge internazionale prevede per i minori non accompagnati la libertà di movimento tra gli stati membri dell’unione e protezione in ogni stato membro. Spetterebbe all’ASE (Aide Sociale à l’Enfance) valutare la loro minore età, invece il loro respingimento avviene regolarmente falsificando la data di nascita. Lunedì 21 agosto erano trattenut* illegalmente 68 minori in condizioni igienico-sanitarie deplorevoli: dentro un container, ammassati, dormendo per terra, senza avere accesso ad assistenza legale o a traduttore/traduttrice. Il 23 agosto erano in 78! Privati della libertà fino a 5 giorni, in chiara violazione della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, di cui la Francia è firmataria. Da gennaio abbiamo anche riscontrato l’utilizzo dell’OQTF (obligation de quitter la France) per respingere minori. Si tratta di un documento creato per criminalizzare persone in movimento inserendole in un database e rendendo così loro impossibile cercare una casa, un lavoro, ottenere una visa in ogni paese europeo. Questa nuova modalità di utilizzo è un preoccupante segnale che rientra nelle sperimentazioni repressive, una tecnica per diffondere la paura proprio perché è un provvedimento amministrativo particolarmente difficile da contestare e si può rischiare di essere deportati prima che le pratiche legali siano concluse, o che venga raggiunta la maggiore età prima che si riesca a dimostrare il contrario.

Quest’estate a Ventimiglia suona proprio come le parole di William Butler Yeats: “I migliori mancano di ogni convinzione, mentre i peggiori sono pieni di intensità appassionata”

 

Resistere al Confine

Condividiamo con piacere il risultato di un lavoro di collaborazione tra questo blog e il sito Osservatorio Repressione. Al link sottostante è possibile scaricare in formato pdf il quaderno informativo Resistere al Confine: un compendio sulla situazione al confine di Ventimiglia tra il 2015 e il 2023 e sulle conseguenze che questo confine causa nelle vite di chi tenta di resistere e attraversare la frontiera franco-italiana.

Per scaricare il quaderno integrale in versione pdf (a singola pagina o a doppia pagina):

Resistere al Confine-Ventimiglia 2015/2023

 

L’introduzione al lavoro di Osservatorio Repressione:

Continua il nostro viaggio tra quell’umanità che il 14 giugno le autorità greche hanno lasciato consapevolmente morire nel mare Egeo, così come hanno fatto le autorità italiane per la strage di Cutro, così come accadde a Lampedusa nell’ottobre del 2013 distante nel tempo ma vivo nella memoria. Non sapremo mai il numero degli annegati: sappiamo che una nuova strage si è compiuta. E non sapremo mai quante, quanti, non riescono a correre il rischio di sopravvivere al mare. I nuovi desaparesidos. Con Resistere al confine, grazie al collettivo «Parole sul confine» raccontiamo le lotte di resistenza e di speranza, e gli avvenimenti che dal 2015 si sono succeduti sugli scogli di Ventimiglia e lungo i sentieri della frontiera tra Italia e Francia

Dalla quarta di copertina:

In una città di frontiera come Ventimiglia si dispiega tutta la forza oppressiva e repressiva delle politiche migratorie: persecuzione, annientamento, riduzione in schiavitù, condanna all’isolamento e alla marginalità delle persone migranti. «Parole sul confine» nasce per raccontare le pratiche di resistenza e di lotta contro la violenza istituzionale e contro tutti i dispositivi che negano il diritto a migrare e ad una vita migliore.

 

Per scaricare la versione pdf integrale della graphic novel La Bolla di Emanuele Giacopetti: La Bolla

Home page Osservatorio Repressione

Ringraziamo anche il collettivo Progetto20k per aver accettato di curare due articoli pubblicati in questo lavoro.

Per Ahmed Safi

Ahmed Safi è un ragazzo afghano di diciannove anni. Lunedì 7 novembre è morto attraversando il confine a Ventimiglia. Pubblichiamo il testo del comunicato che è stato letto e distribuito ieri, domenica 13 novembre, dalle persone solidali del territorio che si sono radunate proprio davanti al confine tra Italia e Francia per commemorare e portare un saluto ad Ahmed. (1, 2)


Per Ahmed

Alcuni giorni fa, lunedì 7 Novembre, Ahmed Safi, un ragazzo afghano di 19 anni è morto sull’autostrada A10 a Ventimiglia, investito mentre provava a raggiungere la Francia.

Ahmed è l’ennesima vittima delle politiche di discriminazione e respingimento della fortezza Europa. Come lui sono più di cinquanta le persone morte dal 2015 ad oggi nel tentativo di attraversare la frontiera italo-francese.

Chi crede nella libertà di circolazione deve oggi fare i conti con un aumento esponenziale delle vittime ai nostri confini. Ogni volta il primo tentativo è quello di ricostruire, dare un nome, documentare, raccontare e, malgrado tutto, contare. Il numero dei morti, questa triste contabilità, perde però di significato se non riflettiamo come ciascuna di questa persone morte fosse una vita, una storia personale che si è interrotta e i cui affetti sono spesso lontani dal luogo della fine.

In ogni società alla morte di una persona la comunità risponde con un rituale nel quale si intende salutare chi se ne è andato e rinnovarne il ricordo. Crediamo sia giusto che questo accada anche qui in frontiera, per quelle persone che se ne sono andate lontane dai propri affetti, dopo aver attraversato migliaia di chilometri ed essersi trovate davanti l’ennesimo muro.

Crediamo che salutare e commemorare ogni singola vittima della frontiera sia tanto più importante oggi, nel momento in cui i governi di Italia e Francia gareggiano a chi riesce a garantire il trattamento più inumano a chi è in viaggio, l’una chiudendo i porti l’altra aumentando gli effettivi alle frontiere. A questa inumanità oggi rispondiamo con il più umano dei gesti, salutare chi se ne va.

Siamo quindi qui per Ahmed, per la sua famiglia, per i suoi amici e per le sue amiche.

Per dirgli addio e rendergli omaggio.

Per Ahmed Safi, ragazzo di 19 anni, morto lunedì 7 novembre a Ventimiglia

Italia-Francia… e migranti: tra i due litiganti, il terzo muore

Italia-Francia diventa un’espressione unica in questi giorni vibranti di tensioni, ricatti e giochi politici. Italia-Francia è un binomio che tiene insieme, in pochi mesi, un viaggio che parte dall’acclamata squadra mista di gendarmi e polizia “per la sicurezza transfrontaliera” per arrivare in picchiata alle velenose dichiarazioni delle ultime ore.

In tempi ormai sospetti e guasti, Italia-Francia suona come una minaccia di guerra.

Migranti, crisi Italia-Francia. Meloni: “non siamo più in grado di occuparcene”; Crisi Italia-Francia, in arrivo altre misure di ritorsione; Scontro tra l’Italia e la Francia, Parigi blinda i confini 500 agenti alla frontiera; Migranti, scontro aperto Italia-Francia; La crisi diplomatica tra Italia e Francia per la nave Ocean Viking.  Questo è ciò che stanno scrivendo in queste ore di litigiosa contesa geopolitica tutte le testate giornalistiche di qualsiasi schieramento politico. (1,2,3,4,5)

Ecco: povera Italia quindi. Ma soprattutto, poveri italiani…  Addirittura, su queste sponde italiche di rivoltamenti narrativi di convenienza, siamo riusciti a raggiungere nelle ultime dichiarazioni lo stadio del ‘poveri migranti!’ (che però non dovete sbarcare, crepate pure in mare, anzi gli uomini li rimandiamo direttamente in Libia perchè la pacchia è finita ).

Quello che accade è spiacevole, ma quello che si dice ha dell’incredibile.

In queste bieche ore di faide internazionali e minacce politiche, si stanno scalando inedite vette di ipocrisia, mentre si scava a piene mani dagli abissi più profondi dell’indecenza umana.

Una prima riflessione, per chi conosce Ventimiglia e le sue dinamiche di frontiera, è che una dichiarazione francese che annuncia torva la blindatura dei confini fa ridere. Una risata amara e lunga come la lista delle persone decedute a Ventimiglia nel tentativo di attraversare il confine dal 2015 ad oggi. Già, quante sono le persone morte sul confine Italia-Francia a Ventimiglia? C’è qualcuno che lo sa? Forse trenta. Forse quaranta. Probabilmente di più.

Era così aperto e accogliente prima questo confine, con la legione straniera con cani e infrarossi sui monti, i pattuglioni nelle stazioni francesi coi piedi di porco in una mano e i gas lacrimogeni nell’altra, i checkpoint lungo le strade e le autostrade, le detenzioni per donne uomini e bambini per ore infinite senza acqua e cibo in scatole di metallo, ma era così una festa che la gente decideva da sola di finire precipitata nei dirupi che portano in Francia, travolta sulle autostrade, bruciata sui tetti dei treni francesi.

L’ultima vita rubata dal confine Italia-Francia è quella di Ahmed Safi, diciannove anni, investito lunedì 7 novembre da tre diversi automezzi presso il casello autostradale che divide Italia-Francia: un corpo distrutto a causa di questo confine e raccattato in un macabro simbolismo proprio sulla linea della frontiera.

Che se non dicevano due giorni fa che vogliono blindarla, sta frontiera Italia-Francia, allora mica la gente se ne era accorta che si rischia l’osso del collo per raggiungere quella desiderata libertà in Europa.

Una seconda ovvia riflessione sorge leggendo certe grottesche dichiarazioni di certi amministratori regionali che scelgono, nel dubbio di un momento già abbastanza sinistro di per sé, di rincarare la dose di follia sostenendo che la gente che migra muoia di fame per strada a Ventimiglia per colpa della Francia.

A prescindere dai tuonanti titoli dei giornali e dalle scornate che si danno i politici italiani e i cugini d’Oltralpe in queste ore, quale che sia la posta in gioco nelle beghe per l’egemonia in Europa, il governo Italiano avrebbe il dovere di adoperarsi in ogni modo possibile per evitare che la gente finisca a morire lentamente, spegnendosi lungo i marciapiedi di una città.

Un dovere umano prima ancora che politico. E invece è proprio nell’anno del rinnovo della presidenza di regione di un certo personaggio, che oggi si straccia le vesti per i poveri migranti che languono nelle vie della città di confine, che si è deciso di sbaraccare qualsiasi centro d’accoglienza e ristoro per le persone in viaggio verso l’Europa: dal 2020 non c’è trippa per gatti, eppure gli oltraggiosi francesi erano, all’epoca, validi alleati per la sicurezza del territorio.

Per chiarezza: la gente moriva in strada col Pd (non ci si dimenticherà mai del divieto di portare da mangiare a chi aveva fame) come con la Lega. Con chiunque a qualsiasi livello politico, dagli amministratori locali agli apici delle posizioni in parlamento, negli ultimi sette anni la gente ha perso la vita certamente camminando sul confine, così come ha perso la vita nelle strade di Ventimiglia. Con Fratelli d’Italia, che il cielo scampi la popolazione migrante, le persone continueranno a morire in strada di fame, di freddo, di infarto, di abbandono, di malattie, annegate lungo il fiume dove sono costrette a dormire senza altre soluzioni. Queste sono responsabilità tutte nostrane, checchè abbia la faccia tosta di dichiarare chi è presidente per la regione Liguria, per ironia o forse no, proprio dal 2015.

È obiettivamente agghiacciante e impossibile prendere le parti di uno o dell’altro paese in questo rombare di accuse reciproche. Fate tutti veramente schifo, diciamolo un po’ fuori dai denti. Diciamolo serenamente che tra i due litiganti il terzo non gode, e chi ha sempre e da sempre pagato il conto più amaro è proprio la gente senza un documento europeo che viene dall’Africa e dal Medio Oriente.

Gente che viene definita “clandestini” quando serve alla politica italiana per far mambassa di voti per i partiti di estrema destra e che viene definita “persone che cercano solo di ricongiungersi ai parenti” quando bisogna fomentare il popolo, elmo di Scipio ben stretto sulla testa, a scagliarsi contro i nemici francesi.

Italia-Francia suona come una minaccia di guerra e in ogni guerra fatta a regola a versare il sangue è il capro espiatorio che si butta là davanti nel tritacarne: le persone migranti. Mentre chi dietro tiene le poltrone ci sprofonda saldamente ancora più dentro.

Inumani lo siete tutti, inumani e perversi, e fa veramente disgusto il modo in cui da anni riuscite a utilizzare i corpi e le vite delle persone per fare i vostri teatri di politica, le gazzarre elettorali italiane e i circhi dell’ipocrisia europea. Mentre fate a chi strilla più forte per potere e per soldi, per rivalsa e per orgoglio, la gente continua a camminare, a scappare da guerre, povertà, persecuzioni, cambiamenti climatici, mancanza di chance e prospettive di vita soddisfacenti. Le persone arrivano a centinaia al mese lungo il confine di Ventimiglia. A centinaia vengono catturate, vessate, rinchiuse e umiliate. Dalle polizie di qui come dalle polizie di là. Con o senza rinforzi di ulteriore gendarmeria, che essere fermati da quindici o trenta divise forse fa oggettivamente più brutto, ma il risultato è che le persone vengono comunque bloccate a morire nel corpo e nelle speranze nelle strade di un’Italia che dice che “non ce la fa”, ma che effettivamente nemmeno vuole provare a farcela.

Perchè infine bisogna dire anche che al confine di Ventimiglia continuano ad arrivare tante persone che sono appena sbarcate da queste navi di soccorso che fanno rizzare altre piume e scuotere altre scornate, quante altrettante (e negli ultimi anni sempre di più) sono quelle che stanno scappando da un’Italia in cui non riescono a trovare un proprio posto e continuano a rimbalzare contro muri di gomma e di razzismo fino a uscire di senno, suicidarsi o correre il rischio di perdere la vita per valicare questo confine maledetto che riempie la bocca di giornali, opinionisti e politici che di cosa sia la guerra per sopravvivere a Ventimiglia, che cosa sia la sfida a non soccombere a Italia-Francia, ma non ne hanno la più pallida idea.

Una manifestazione transfemminista contro i confini

Riceviamo e pubblichiamo il resoconto dei fatti accaduti in occasione di una manifestazione transfemminista sul confine tra Ventimiglia e Mentone nelle giornate di sabato 5 e domenica 6 giugno.

*pour la version française

*for the English version

Una manifestazione transfemminista contro i confini:

Ventimiglia/Mentone sabato 5 e domenica 6 giugno

Tuoutes aux frontierès: manifestazione transfemminista in solidarietà con le persone detenute alla frontiera franco italiana di Ventimiglia, un primo vittorioso passo del movimento transfemminista europeo contro le frontiere dell’Europa, contro Frontex e la polizia, contro il sessismo e il razzismo … ovvero come le persone manifestanti sono riuscite a incastrare per ore gli ingranaggi discriminatori e razziali dei dispositivi di frontiera.

Nel pomeriggio di sabato 5 giugno 2021 si è tenuta a Nizza una manifestazione transfemminista europea contro i confini e le politiche migratorie.

Nella stessa giornata, persone solidali che vivono e attraversano la zona di frontiera italo-francese hanno pensato di condividere una mattinata di protesta contro i confini anche nel territorio di Ventimiglia e Mentone, per dare a tuttx la possibilità di unirsi in una giornata contro le frontiere, anche per chi poteva avere problemi a causa dei controlli covid o per la distanza da Nizza.

Un appuntamento improvvisato per la mattinata di sabato 5 giugno, immaginato e condiviso come saluto solidale alla manifestazione transfemminista di Nizza, e momento di lotta e sostegno alle persone recluse dentro ai container della Paf (Police aux frontieres), ulteriore scintilla di protesta proprio sul confine.

La manif al confine

Dopo essersi radunate alle 10:30 in frontiera italiana, le persone solidali si sono spostate a protestare direttamente davanti agli uffici della Paf ed ai container dal lato francese, dove erano recluse diverse decine di persone senza documenti. Alla manifestazione hanno deciso di partecipare anche alcune persone senza documenti arrivate da Ventimiglia. Striscioni, cartelli, grida, cori, interventi, canti, saluti alle persone rinchiuse, si sono susseguiti per oltre un’ora, a pochi centimetri dalle strutture di reclusione francesi, da dove le persone imprigionate nel tentativo di attraversare il confine hanno mandato saluti e risposte ai richiami di chi manifestava.

La polizia italiana è rimasta a guardare a distanza cercando di capire cosa stava succedendo, e successivamente schierando un gruppo di carabinieri in antisommossa; la polizia francese si è mostrata in difficoltà, impreparata a una manifestazione transfemminista partecipatissima e non annunciata, che è riuscita a spingersi oltre il confine senza che le autorità riuscissero a ostacolarla o reagire.

Sono arrivati rinforzi dal lato francese e hanno provato a far arretrare la gente, ma la forza collettiva della rabbia contro i confini ha risposto con ancora più rumore e cori. Quando la complicità e l’entusiasmo delle persone chiuse dentro ha iniziato a crescere, la Paf è entrata nei container e ha gasato chi si trovava dentro con spray urticante: all’interno è calato un improvviso silenzio, un forte odore chimico ha infiammato gli occhi di chi stava protestando fino a un centinaio di metri intorno alle gabbie di lamiera.

Nel pomeriggio, le persone rilasciate hanno poi raccontato che decine di loro erano collassate nei container sotto i gas. Nonostante questo, si sono mostrate felici per la manifestazione del mattino chiedendo entusiaste di portare più spesso saluti e solidarietà.

Verso mezzogiorno la manifestazione è risalita verso il lato italiano, superando gli uffici di polizia per poi disperdersi.

A Ventimiglia, sul treno per Nizza

Numerose persone hanno deciso di proseguire la protesta, andando a prendere un treno alla stazione di Ventimiglia, per raggiungere nel pomeriggio la manifestazione transfemminista a Nizza. Sul binario italiano in direzione Francia le persone sono state affrontate dalla solita presenza di polizia italiana e vigilanza privata, che ha il quotidiano compito di bloccare e controllare, in cima al sottopassaggio, tutti i passeggeri non bianchi, prima che riescano a salire sul treno fermo al binario. Il gruppo ha semplicemente continuato ad avanzare, facendo retrocedere la polizia che ha tentato di fermare alcune persone, ma si è poi fatta da parte lasciando infine che le manifestanti salissero sul treno delle 13:55, e lasciando piuttosto che se la vedessero i colleghi francesi all’arrivo a Menton Garavan. Una volta a bordo, si sono unite al vagone “manif Nizza” anche alcune persone già presenti sul treno.

Una decina di minuti più tardi, all’arrivo alla prima stazione in Francia, Menton Garavan, la polizia francese che controlla ogni convoglio da sei anni in cerca di tutte le persone senza documenti, si è avvicinata al treno per il consueto blitz. Ma ha trovato ad attenderla un vagone di grida, cori e percussioni contro le frontiere. Ad ogni tentativo di mediazione o di richiesta dei documenti di identità, è stato risposto protestando e suonando ancora più forte. A un certo punto il capotreno ha detto “se state tranquille e lasciate passare i controlli, proseguiamo fino a Nizza senza problemi”.

Controlli vuol dire rastrellamenti razziali, vuol dire gente che non ha commesso nessun reato trascinata a forza nei furgoni della Paf o della gendarmerie e sbattuta per ore senza cibo e acqua in una scatola di metallo. Vuol dire che le persone vengono insultate e umiliate, gasate e picchiate, uomini, donne, persone trans, intersex, o minori che siano. I cori contro i confini non si sono fermati.

Blocco sul treno a Menton Garavan

A un certo punto l’interfono del treno ha avvertito i signori e le signore passeggere che il treno era fermo, e che avrebbero trovato un altro treno per proseguire, in arrivo sul binario opposto, quello che normalmente copre la linea inversa, dalla Francia a Ventimiglia. Anche le persone che volevano raggiungere la manifestazione a Nizza si sono mosse allora per uscire assieme agli altri passeggeri e passeggere, così da cambiare treno e riprendere il viaggio.

Energumeni della Paf e della gendarmerie si sono lanciati alle due uscite del vagone, per bloccare chi voleva raggiungere la manifestazione transfemminista a Nizza. Hanno schiacciato con violenza le persone, gridando, spintonando, prendendo a pugni, insultando e provocando con la minaccia di usare il gas o ricorrendo a molestie verbali sessiste.

Per tutto il tempo che le persone sono state bloccate in attesa dell’arrivo dei rinforzi dall’aeroporto di Nizza, la polizia ha investito le persone con rabbia e feroce aggressività, cercando lo scontro con i pochissimi uomini etero cis presenti come unica soluzione ad una situazione che non sapevano affrontare. Quando i rinforzi sono arrivati con i furgoni, le persone sono state allora costrette a scendere con la forza, tra calci, pugni e spintoni, qualcuna con la testa tenuta abbassata a forza, qualcuna presa e quasi sollevata per il collo, sono state caricate sui mezzi e deportate nuovamente sull’altro lato del confine, proprio davanti agli uffici di polizia italiana.

Alla fine sono state trattenute solo una persona solidale, accusata di aggressione a pubblico ufficiale, e due persone senza documenti. Queste due sono state spostate nei container e rilasciate dopo alcune ore in direzione Italia, assieme a tutte le altre persone fermate nei precedenti controlli.

La persona accusata di aggressione è invece rimasta negli uffici di frontiera francesi in stato di fermo per 24 + 24 ore, chiamate in Francia garde à vue e prolungabili fino a 48 ore salvo casi più gravi.

La polizia italiana, indignata e innervosita per un pushback illegale di persone comunitarie, scaricate dai colleghi francesi in suolo italico senza nemmeno identificazione, ha deciso di sospendere il lavoro per il resto del pomeriggio, entrando in “sciopero riammissioni”. Se al mattino il ricatto del potere davanti a una manifestazione con cui non trovava dialogo è stato gasare persone chiuse in trappola, al pomeriggio la ripicca dell’autorità italiana ha deciso di bloccare sul ponte che separa il territorio italiano da quello francese, Ponte San Luigi, tutte le persone migranti respinte dalla Francia

Schierati all’inizio del ponte, un gruppo di poliziotti italiani in divisa e altri in borghese che filmavano, hanno proseguito per ore rifiutando l’ingresso alle persone, mentre alla fine del ponte poliziotti francesi nervosissimi controllavano la situazione e mantenevano fermo il rifiuto anche per l’ingresso in Francia.

Tutte le persone che erano dirette alla manifestazione transfemminista a Nizza si sono radunate tra le due frontiere, aspettando di conoscere notizie delle persone fermate e di sbloccare quella situazione di stallo per le persone senza documenti, innescata da una questione di orgoglio e ripicca puerile tra le forze armate dei due paesi.

Dopo circa quattro ore di sollecitazioni, una poliziotta in borghese è andata a negoziare dentro gli uffici francesi coi colleghi, per tornare sul ponte raggiante, spiegando che c’era solo stato un “problema di comunicazione” e che era tutto risolto: le persone comunitarie potevano andare liberamente in Francia o in Italia a piacimento, “invece loro li prendiamo noi che li dobbiamo trattare”, ha affermato indicando le persone migranti bloccate per tutto il pomeriggio dalla polizia italiana.

Alla conferma che la persona solidale sarebbe stata trattenuta in garde à vue, e una volta che tutte le persone sono state autorizzate a rientrare in Italia e, per quelle confermate minorenni, è stato riconsiderato il riaccompagnamento in Francia dopo intervento dell’avvocato, la giornata di 12 ore alla “frontiera alta” di Ponte San Luigi si è conclusa con un appuntamento per il giorno successivo, nello stesso luogo.

Domenica, ritorno in frontiera (a Ventimiglia)

Domenica 6 verso le ore 14, quando l’avvocato ha confermato che i poliziotti francesi avevano trovato uno stratagemma per prolungare le 24 ore di garde à vue della persona solidale fermata il giorno prima, con l’escamotage della richiesta tardiva di acquisizione delle telecamere del treno e della stazione di Menton Garavan, il gruppo di solidali si è avvicinato nuovamente ai container, gridando per un paio di minuti cori e saluti a tutte le persone rinchiuse in quel momento, che a loro volta hanno nuovamente risposto; mentre dalla finestra del commissariato francese alcuni poliziotti mostravano lo spray urticante rivolgendolo ai container, come minaccia di ulteriore vendetta sulle persone prigioniere.

In pochi secondi, quando ormai le persone solidali se ne stavano andando, la Paf è uscita di corsa dagli uffici, chi sfoderando manganelli, chi agitando lo spray, fermandosi in schieramento sulla linea del confine per alcuni secondi, prima di ottenere probabilmente un’autorizzazione a sconfinare da parte della polizia italiana: un movimento rapido di cellulari tra un lato e l’altro del confine, ha fatto rompere gli indugi della polizia francese, che è corsa rabbiosa a circondare su suolo italiano un’auto delle persone solidali che stava facendo manovra per andarsene via.

Cinque persone sono state aggredite e tirate fuori a forza dall’auto, portate dentro gli uffici di frontiera francesi con le braccia bloccate dietro la schiena. La polizia italiana, a qualche centinaio di metri di distanza, ha osservato e filmato ogni cosa. Dopo alcune ore, tutte le persone sono state rilasciate con un refus d’entrée (rifiuto d’ingresso) dalla Francia, uguali a quelli che ogni giorno vengono dati a decine di persone rimandate in Italia, e una multa di 135 euro per ingresso in Francia -di circa cinque metri- senza test covid.

Lunedì, toutes aux frontières!

Al terzo giorno di presenza contestatrice alla frontiera, dopo ulteriori saluti da parte delle persone nei container, che si sono arrampicate dalla grata posta a chiusura sul tetto, per salutare con le braccia la presenza solidale, e dopo 45 ore di garde à vue, è stata rilasciata anche l’ultima persona presa sul treno diretto a Nizza.

I rastrellamenti razziali sui due lati del confine e il trattenimento per ore di persone senza documenti dentro prigioni di lamiera, continua giorno dopo giorno. Assieme al traffico di esseri umani, alla vendita del corpo delle donne come biglietto per attraversare il confine, agli accordi sottobanco tra guardie e ladri, alle aggressioni fisiche sempre più frequenti contro le persone non bianche.

Continua tuttavia anche la loro lotta quotidiana per la sopravvivenza in un territorio ostile, pericoloso, violento, razzista, sessista, omofobo, transfobo e patriarcale. Come femministe, non smetteremo di aiutarle con ogni mezzo necessario ad esercitare la loro fondamentale libertà di movimento.

Gli stati europei vanno mano per mano coi trafficanti !

Le frontiere in Europa sono uno stupro !

Vogliamo la chiusura di tutti i centri di detenzione amministrativa !

Vogliamo l’apertura di tutte le frontiere e la fine del business di armi e polizia !

 

Tou.te.s aux frontières!

Sabato 5 e domenica 6 giugno, Ventimiglia-Mentone

version française ici

Une manifestation transféministe contre les frontières :

Ventimiglia/Menton Samedi 5 et dimanche 6 juin 2021

Toustes au frontières : manifestation transféministe en solidarité avec les détenu.es à la frontière italo-française de Vintimille. Les personnes détenues son gazées dans les containers lors de l’action. L’action se poursuit vers Nice : violence policière raciste sur le trajet. Les personnes migrantes sont relâchées, 5 autres arrestations d’activistes en solidarité, dont une relâchée au terme d’une garde-à-vue de 48 heures. Amorce victorieuse d’un mouvement européen transféministe contre les frontières de l’Europe, Frontex, la police, le sexisme et le racisme… Ou comment les féministes sèment la discorde entre les polices frontalières.

Dans l’après-midi du samedi 5 juin 2021, une manifestation transféministe européenne contre les frontières et les politiques migratoires a eu lieu à Nice.
Le matin-même, les personnes solidaires qui vivent et traversent la zone frontalière franco-italienne ont elles aussi voulu partager une matinée de protestation. Ce rendez vous improvisé aux confins des territoires entre Vintimille et Menton émanait du désir de voir renaître une nouvelle étincelle de contestation et de lutte sur la frontière et de témoigner du soutien aux personnes emprisonnées à l’intérieur des containers de la PAF (Police aux frontières).

Manifestation à la frontière
Solidarité à travers les tôles. Détenu.es lacrymogené.es.

Après s’être rassemblées à 10h30 à la frontière italienne, des dizaines de personnes concernées et de féministes solidaires se sont déplacées pour protester directement devant les bureaux de la PAF et devant les containers, côté français. Pendant plus d’une heure on manifeste avec force, cris, chants, banderoles, discours, slogans et salutations aux dizaines de personnes emprisonnées à l’intérieur de ces containers à la suite de leur tentative de passer la frontière. La kyrielle protéiforme et décidée a réussi à franchir la frontière sous le regard hagard de la gendarmerie italienne et de la police française anti-émeute. De toute évidence, prise au dépourvu face à une manifestation transféministe non annoncée.

Les renforts arrivent du côté français et tentent de faire reculer les gens, mais la force collective de la colère contre les frontières répond par encore plus de bruit et de chants. Lorsque la complicité et l’enthousiasme des personnes enfermées à l’intérieur se font entendre plus fort, les agents de PAF entrent dans les containers et gazent les gens qui s’y trouvent avec leurs sprays lacrymogènes : le silence est soudain tombé à l’intérieur, une effluve chimique a piqué les yeux de celleux qui protestaient jusqu’à une centaine de mètres autour des cages métalliques.

Dans l’après-midi, les personnes libérées racontent que des dizaines d’entre elles s’étaient effondrées dans les containers sous l’effet du gaz. Malgré cela, iels se sont montrées heureu.ses de la manifestation du matin et ont demandé avec enthousiasme à ce que soient portés plus souvent des salutations et de la solidarité.

Vers midi la manifestation se disperse.

 

À Ventimiglia, dans le train pour Nice
Féministes véneres contre les frontières !

Une partie d’entre nous a décidé de continuer la journée d’action en allant prendre un train direction Nice, la grande manif. Sur le quai italien en direction de la France, présence habituelle de la police italienne et de la sécurité privée qui ont pour tâche quotidienne de bloquer et de contrôler toustes les passager.es non blancs avant qu’iels ne parviennent à monter dans le train. Nous avons simplement continué à avancer, amenant la police à reculer et finalement à laisser les manifestant.es monter dans le train de 13h55. Une fois à bord, un certain nombre de personnes déjà présentes dans le train rejoignent le wagon “manifestation de Nice”.

Une dizaine de minutes plus tard, à l’arrivée à la première gare de France, Menton Garavan, la police française qui, depuis six ans, contrôle chaque convoi à la recherche de tous les sans-papiers, s’approche du train pour la descente habituelle. Elle y découvre un wagon rempli de cris, de chants et de tambours anti-frontaliers. À chaque tentative de médiation ou de demande de papiers d’identité, on répondait en protestant et en jouant encore plus fort. Les contrôles, ce sont des rafles racistes, ce sont les personnes qui n’ont commis aucun crime traînées de force dans les fourgons de la PAF ou de la gendarmerie et jetées pendant des heures sans eau ni nourriture dans une boîte métallique. Cela signifie que des personnes sont insultées et humiliées, gazées et battues, qu’il s’agisse d’hommes, de femmes, de personnes trans, intersexes ou mineures. Les chants contre les frontières n’ont pas cessé.

 

Blocage du train à Menton Garavan
Les transféministes déroutent les polices

À un moment donné, les hauts-parleurs du train ont averti les passagers, mesdames et messieurs, que le train était arrêté, et qu’ils trouveraient un autre train pour continuer leur voyage sur la voie opposée. Des agents de la PAF et de la gendarmerie ont bloqué la sortie de celleux qui voulaient rejoindre la manifestation transféministe à Nice.

Dans une mêlée de coups de poing et d’insultes sexistes, les policier-es visiblement embarrassé.es par cette situation cherchaient la confrontation avec les rares hommes cis présents. Au final, deux personnes sans papiers sont arrêtées, emmené.es dans les containers et renvoyé.es vers l’Italie après quelques heures. Une personne solidaire est accusée de violences sur agent public et détenue.

La police italienne, déconcertée par le refoulement illégal de citoyen.nes européen.nes non-identifiées décide alors de suspendre son travail pour le reste de l’après-midi, entamant une “grève des réadmissions”.

Nous toustes qui voulions aller à la manifestation transféministe de Nice, on se rassemble entre les deux frontières.

Après environ quatre heures de sollicitation, arrive la « gentille policière » en civil, qui est allée négocier à l’intérieur des bureaux français. Revenant rayonnante sur le pont, elle explique qu’il n’y avait eu qu’un “problème de communication” et que tout était résolu : les citoyen.nes européen.nes pouvaient aller librement en France ou en Italie à leur guise, « par contre, eux, on les emmène parce qu’on doit les traiter » (sic), en indiquant les personnes bloquées tout l’après-midi par la police italienne.

 

Dimanche, retour à la frontière (Vintimille)
Liberté, égalité, refus d’entrée!

Le dimanche 6, vers 14 heures, les personnes emprisonnées répondent à nouveau à nos refrains, tandis qu’à la fenêtre, des policiers nous montrent leurs sprays lacrymogènes, comme une menace de vengeance supplémentaire sur les personnes emprisonnées dans les containers.

Cinq personnes du groupe sont attaquées et sorties de force de leur voiture qui manœuvrait pour partir.

Après quelques heures, toutes seront libérées avec un ̈refus d’entrée ̈, comme ceux qu’ils donnent chaque jour à des dizaines de personnes renvoyées en Italie, et une amende de 135 euros pour être entrées en France -sur environ cinq mètres- sans test Covid!

 

Lundi, toustes aux frontières!
Les frontières violent – nous les tuerons

Au troisième jour de la présence protestataire à la frontière, les personnes enfermées grimpent jusqu’à la grille posée entre les toits des containers pour saluer de leurs bras la présence solidaire. Après 45 heures de garde à vue, la dernière personne arrêtée dans le train pour Nice est libérée.

Le harcèlement raciste des deux côtés de la frontière et la détention pendant des heures des personnes sans papiers dans des prisons en tôle se poursuivent jour après jour sans que nous, vous, les voisins, ne protestent. Cela fait l’affaire de la traite des êtres humains, le business de la vente des corps des femmes en échange du passage de frontière. Cela n’est rendu possible que par des accords en sous-main entre gardiens et voleurs, et donne lieu à des agressions de plus en plus graves et fréquentes contre les personnes migrantes.

Cependant, leur lutte quotidienne pour la survie dans un territoire hostile, dangereux, violent, raciste, homophobe, transphobe et patriarcal se poursuit. En tant que féministes, nous ne cesserons pas de les aider par tous les moyens nécessaires à exercer leur liberté fondamentale de circulation.

États Européens, main dans la main avec les trafiquants !

En Europe, les frontières, c’est du VIOL !

Nous voulons la fermeture de tous les centres de rétention administrative !

Nous voulons l’ouverture de toutes les frontières et l’arret du business des polices et des armes !

 

Tou.te.s aux frontières !

Samedi 5 et dimanche 6 juin 2021, Vintimille-Menton

 

 

English version here:

A TRANSFEMINIST DEMONSTRATION AGAINST BORDERS:

Ventimiglia/Mentone Saturday 5th and Sunday 6th of June

Tuoutes aux frontierès: transfeminist demo in solidarity with the people detained at the French-Italian border of Ventimiglia, a first victorious step of the European transfeminist movement against the european borders, against Frontex and the police, against sexism and racism … or how the people demonstrating managed to jam the discriminatory and racial gears of the border devices for hours.

A transfeminist demonstration against borders and migration policies was held in Nice in the afternoon of Saturday 5 June 2021

In the same day, people in solidarity who live and cross the Italian-French border area decided to spend the morning protesting against borders in the territory of Ventimiglia and Mentone as well, to give everyone the possibility of gathering in a day against borders, even for those who might have problems because of the covid checks or for distance from Nice.

An impromptu appointment for the morning of Saturday 5th of June, imagined and shared as a solidarity greeting to the transfeminist demonstration of Nice, and moment of fight and support for people imprisoned inside the containers of the PAF (Police aux frontieres), further sparked protests right on the border.

 

The demonstration at the border

After gathering at 10:30 at the Italian border, the people in solidarity moved to protest directly in front of the PAF offices and the containers on the french side, where several dozen undocumented people were reclused. Some people without documents from Ventimiglia have decided to participate as well. There have been banners, signs, shouts, choirs, speeches, songs, greetings to locked up people for more than an hour, a few centimeters far away from the french prison structures, from where people imprisoned trying to cross the border have sent greetings and responses to the calls of those demonstrating.

Italian police watched from distance trying to understand what was happening, subsequently deploying a group of riot police; French police showed themselves in trouble, unprepared for a very participatory and unannounced transfeminist demonstration, that managed to go beyond the border without the authorities being able to obstruct or react.

Reinforcements arrived from the French side and tried to get the people back, but collective rage against borders responded with even more noise and chants. When the complicity and the enthusiasm of the people locked inside has begun to grow, Paf entered the containers and gassed those inside with stinging spray: a sudden silence fell inside, a strong chemical smell inflamed the eyes of those who were protesting up to a hundred meters around the sheet metal cages.

In the afternoon, released people have then reported that dozens of them were collapsed in containers under gas. Despite this, they showed themselves happy for the demonstration that has taken place in the morning, enthusiastically asking to bring greetings and solidarity more often.

Around noon the demonstration climbed towards the Italian side, passing in front of police offices and then dispersing.

 

In Ventimiglia, on the train to Nice

Many people have decided to continue the protest, going to get a train at Ventimiglia station, to reach in the afternoon the transfeminist demonstration in Nice. On the Italian rail towards France people have faced with the usual presence of Italian police and private security, which has the daily task to stop and control, at the top of the underpass, all non-white passengers, before they can be able to get on the train which is still at the platform. The group has simply continued to advance, pulling back the police who tried to stop some people, but then stepped aside and finally let the protesters board the 1:55 pm train, rather leaving it to the French colleagues upon arrival in Menton Garavan. Once on board, some people already present on the train joined the “Manif Nizza” wagon.

Ten minutes later, upon arrival at the first station in France, Menton Garavan, French police who have been checking every convoy for six years looking for all the people without documents, approached the train for the usual blitz. It found though a wagon of shouts, choirs and percussion against borders awaiting. To any attempt of mediation or request for identity documents, it was answered protesting and ringing even louder. At one point, the conductor said “if you are quiet and let the controls to be, we continue to Nice without problems ”.

Controls means racial roundups, it means people who have not committed any rime dragged by force into the containers of the Paf or the gendarmerie and beaten for hours without food and water in a metal box. It means that people are insulted and humiliated, gassed and beaten, men, women, intersex, trans persons, or minors who are. The choirs against the borders did not stop.

 

Blockage on the train at Menton Garavan

At one point the intercom of the train warned people that the train was still, and that another train to continue would have been found, arriving on the other platform, which normally covers the reverse line, from France to Ventimiglia. People who wanted to reach the demonstration in Nice then moved as well to go out with the other passengers, so as to change train and be back on the travel.

Army ginks of the PAF and of gendarmerie went to the two exits of the wagon, to block those who wanted to reach the transfeminist demonstration in Nice. They violently crushed people, shouting, throwing up their hands, grabbing, punching, insulting and provoking by threatening to use gas or resorting to sexist verbal harassment.

For the whole time when people have been blocked waiting for reinforcements to arrive from Nice airport, the police hit people with anger and ferociousness aggression, encounter the confrontation only with the very few straight men cis present as the only solution to a situation they did not know how to face. When reinforces arrived with vans, people have been then forced to get off by force, between kicks, punches and shoves, some with her head held down by force, some taken and almost lifted by the neck, they were loaded onto the vehicles and deported again on the other side of the border, right in front of the Italian police offices.

In the end, only one person in solidarity was detained, accused of assault to public official, and two people without documents. These two have been moved to the container and released after a few hours in the direction of Italy, together with all the other people stopped in previous checks.

The person accused of assault, on the other hand, remained in the border offices French in custody for 24 + 24 hours, called “garde à vue” in France and extendable up to 48 hours except for more serious cases.

The Italian police, outraged and nervous about the illegal pushback of community people, downloaded by his French colleagues on Italian soil without even identification, decided to suspend work for the rest of the afternoon, entering a “readmission strike”. If in the morning the blackmail of power in front of a demonstration with which could not find dialogue has been gassing trapped people, in the afternoon the spite of the Italian authorities has decided to block on the bridge that separates the Italian territory from the French one, Ponte San Luigi, all migrants rejected by France.

Lined up at the beginning of the bridge, a group of Italian policemen in uniform and others in plain clothes who were filming, continued for hours refusing people from entering, while at the end of bridge nervous French policemen controlled the situation and held the refusal to entry in France.

All the people who were directed to the transfeminist demonstration in Nice have gathered between the two borders, waiting for news of the people stopped and for unlocking the stalemate for people without documents, triggered by a question of pride and childish spite between the armed forces of the two countries.

After about four hours of soliciting, a plainclothes policewoman went to negotiate inside the French offices with colleagues, to return to the beaming bridge, explaining that it was there it was only a “communication problem” and that it was all solved: the community people could freely go to France or Italy at will, “instead we take them ‘cause we have to deal with them ”, she said pointing at the migrants blocked for the whole afternoon by the Italian police.

Upon confirmation that the person in solidarity would have been detained in garde à vue, and once that all people have been authorized to return to Italy and, for those confirmed minors, the return to France was reconsidered after the intervention of the lawyer, the 12-hour day at the “high border” of Ponte San Luigi ended with an appointment for the next day, in the same place.

 

Sunday, return to the border (Ventimiglia)

Sunday 6th around 2 pm, when the lawyer confirmed that the French policemen had found a trick to extend the solidarity person’s 24 hours of garde à vue stopped the day before, with the ploy of the late request for acquisition for the cameras of the train and the station of Menton Garavan, the group of solidarity people has approached the containers again, shouting for a couple of minutes choruses and greetings to all the people incarcerated at that time, who have in turn again answered; while from the window of the French police station some policemen showed him stinging spray aimed at containers, as a threat of further revenge on people recluse.

In a few seconds, when the people in solidarity were leaving, the PAF came out running from the offices, some pulling out batons, some waving the spray, stopping in line up on the border line for a few seconds, probably before getting an authorization to trespass from the Italian police: a rapid movement of mobile phones between one side to the other of the border, has broken the delay of the French police, who ran angrily to surround a car of supportive people on Italian soil which was maneuvering to leave.

Five people were attacked and forcibly pulled out of the car, taken inside the French border offices with their arms locked behind their backs. Italian police, a few hundred meters away, observed and filmed everything. After a few hours, all people were released with a refus d’entrée (refusal of entry) from France, the same as those that are given to dozens of deferred people every day in Italy, and a fine of 135 euros for entry into France – of about five meters – without testing covid.

Monday, all at the borders!

On the third day of protesting at the border, after further greetings from the people in the containers, who climbed from the closing grate on the roof, to greet the presence of supportive people, and after 45 hours of garde à vue, it was released as well the last person taken on the train to Nice.

The racial roundups on both sides of the border and the detention of people for hours without documents in sheet metal prisons, continues day after day. Together to human trafficking, to the sale of women’s bodies as a ticket to to cross the border, to under-the-table agreements between cops and thieves, to physicals assaults everyday more frequent against non-white people.

However, their daily struggle to survive in an hostile, dangerous, violent, racist, sexist, homophobic, transphobic, and patriarchal territory keeps going. As feminists, we will not stop helping them by any  necessary way to exercise their fundamental freedom of movement.

 

European States, hand in hand with the traffickers !

In Europe, borders are Rape !

We want all administrative detention centers to be closed !

We want the opening of all borders and the end of the police and arms business!

 

Tou.te.s aux frontières!

Saturday 5th and Sunday 6th June, Ventimiglia

La polizia di frontiera e il Covid 19, un anno dopo

Pubblichiamo la traduzione del report di marzo del collettivo Kesha Niya, attivo alla frontiera di Ventimiglia dalla primavera del 2017. Il resoconto mette in luce come la polizia di frontiera francese continui a utilizzare in modo strumentale l’emergenza Covid 19 per inasprire i controlli, mentre continua contestualmente a detenere in luoghi insalubri e affollati le persone da respingere, spesso illegalmente, in Italia. La traduzione del precedente report (febbraio 2021) è disponibile qui.

Cari amici! La situazione alla frontiera continua ad essere intollerabile. Le ultime settimane sono state caratterizzate da un buon numero di persone che ogni sera si fermano alla nostra postazione, sia per passarci la notte, sia per percorrere il Passo della Morte (sentiero per la Francia) durante la notte.

Le notti sono ancora molto fredde, cerchiamo di fornire coperte e vestiti caldi. La situazione è ulteriormente aggravata dalla pioggia.

Ci sono pochissime strutture coperte/tetto per dormire a Ventimiglia. La settimana scorsa, quasi tutti i treni per la Francia erano già controllati a Ventimiglia, quindi era quasi impossibile salire sul treno. Dato che così tante persone sono bloccate qui in questo momento, sorgono tensioni, che sentiamo anche alla postazione della colazione (postazione del colletivo Kesha Niya a qualche centinaia di metri dalla frontiera di ponte San Luigi) Tutte le persone respinte che arrivano alla nostra postazione hanno cercato di passare a piedi. Come risultato un minor numero di persone è arrivato dalla polizia di frontiera mentre il maggior numero è arrivato in autobus o a piedi da Ventimiglia.

I dati della scorsa settimana saranno pubblicati nel prossimo rapporto. La gente continua a raccontarci di insulti da parte della polizia. In diverse occasioni, le persone in movimento sono state insultate dalla polizia. Le donne sono state chiamate “puttanelle” e gli uomini “figli di puttana”. Il Covid è ancora molto presente e continua a creare problemi. Non sono solo i documenti mancanti a impedire (l’ingresso in Francia ndt), ma anche la mancanza di un test PCR impedisce l’ingresso e viene giustificato sul “refus d’entrée” (documento consegnato dalla polizia francese al momento del respingimento in Italia ndt) come “pericolo per il paese”.

Il Bar Hobbit è ancora chiuso, e non è ancora chiaro quando o se riaprirà.

Da un lato, il Covid porta a maggiori controlli con il pretesto della salute, di fatto però, solo le persone BIPOC (Black Indigenous People of Color, persone nere, indigene e e di colore ndt) vengono controllate. Il profilamento razziale è praticato qui al più alto livello. La conseguenza diretta dei controlli è la detenzione di troppe persone in container dove non si può mantenere la distanza. La condizione molto poco igienica aggrava la situazione. Come già raccontato in un precedente rapporto, il tribunale di Nizza ha definito illegale questo modo di gestire le persone alla frontiera. Ciononostante, la situazione rimane invariata. Le foto di seguito ci sono state inviate da una persona che è appena uscita dai container. Invierà queste foto anche al ministro della salute francese.

 

 

 

 

polizia di frontiera
Interno dei container di detenzione utilizzati dalla polizia francese

 

esterno dei container usati per la detenzione prima del respingimento in Italia

La settimana scorsa, un numero insolitamente grande di donne e bambini è venuto da noi. Molti di loro hanno deciso di non essere ospitati dalla Caritas in una casa per donne e famiglie. Una possibile ragione potrebbe essere che sono intrappolati nei circoli della tratta delle donne. Dormire in uno spazio sicuro potrebbe essere visto come un tentativo di fuga che potrebbe essere punito dai trafficanti e quindi è un pericolo per le donne e i loro bambini.

C’è uno squat a Ventimiglia dove i trafficanti offrono alle persone in fuga un posto per dormire in cambio di soldi. Secondo i racconti, non ci sono strutture adeguate per dormire lì, i vestiti vengono usati per fare il fuoco e la casa è piena di spazzatura e feci a causa della mancanza di servizi igienici. Scriveremo e pubblicheremo un articolo sulla situazione del traffico di donne nella zona di confine il più presto possibile.

Inoltre, un incidente ci ha accompagnato negli ultimi giorni. Un bambino di 11 anni è stato separato da sua madre mentre cercava di attraversare il confine in treno. Molto probabilmente i contrabbandieri avevano precedentemente nascosto la famiglia sul treno in luoghi diversi e solo un bambino non è stato scoperto dalla polizia. Ha viaggiato non accompagnato fino a Nizza. Nel frattempo, è stato accompagnato a Parigi da una persona conosciuta dalla madre. La madre è ancora in Italia.

Oltre alle famiglie, abbiamo incontrato molti minori non accompagnati. Alcuni di loro sono stati respinti più di 5 volte. Ci hanno anche detto che la polizia ha distrutto i documenti che provano la minore età dei minorenni.

Fino a sei mesi fa, un documento per i minori poteva essere rilasciato tramite il nostro avvocato con una procedura d’urgenza. Questo doveva essere preso in considerazione dalla polizia di frontiera e permetteva loro di attraversare la frontiera legalmente. Nel frattempo, la situazione in cui i minori sono costretti a vivere per strada è stata dichiarata come non urgente. Pertanto, le procedure urgenti non sono più attuabili e l’attraversamento legale della frontiera è quasi impossibile. Molti dei minori non hanno alcuna prova della loro età.

A causa di questo, sono privati dell’accesso ad alcune strutture come i posti letto qui sul posto (Ventimiglia ndt), poiché in molti casi questi possono essere richiesti solo con documenti ufficiali. Ecco le cifre delle ultime due settimane. Come sempre, vogliamo ricordarvi che queste cifre sono incomplete e possono dare solo una panoramica approssimativa della situazione al confine. Per il 19 marzo i numeri si sono persi.

Altri avvenimenti: 4.03.: Molte persone sono state rilasciate dopo l’ultimo autobus e hanno deciso di rimanere alla postazione della colazione per dormire. 10.03.: Alla postazione della colazione è arrivato un uomo dal Sudan che aveva lividi e ferite aperte al ginocchio. Ci ha detto che stava camminando sul sentiero di montagna (passo della morte). Quando è arrivata la polizia, voleva scappare ma un poliziotto lo ha afferrato per la caviglia e lo ha spinto a terra. E’ dovuto rimanere 15 ore nel container, senza cure mediche, cibo o acqua.

Grazie a tutti coloro che seguono continuamente i nostri reportage e si interessano alle persone che incontriamo.

Anche se siete lontanə, date nuova visibilità a tuttə coloro che sono statə lasciatə solə dal governo italiano e francese, maltrattatə e spesso oggetto di violenza da parte della polizia di frontiera francese. Per maggiori informazioni o per qualsiasi domanda contattate l’e-mail qui sotto. Siamo anche sempre felici di ricevere donazioni in denaro, per continuare il nostro lavoro e per l’arrivo di nuovi volontarə. restate ribelli! a presto – kesha niya <3

kesha-niya@riseup.net keshaniyakitchen@gmail.com Bank account:
GLS Bank Depositor: Frederik Bösing IBAN: DE32 4306 0967 2072 1059 00 BIC-Code: GENODEM1GLS

Respingimento e Controllo a Ventimiglia

Il respingimento dei minori, la violenza fisica e verbale della polizia francese, la nuova cooperazione tra la polizia francese e quella italiana alla stazione di Ventimiglia, raccontate da chi quotidianamente incontra e raccoglie i racconti delle persone in viaggio, in direzione ostinata e contraria al meccanismo disumanizzante della frontiera.

Pubblichiamo di seguito la traduzione del report di febbraio del collettivo Kesha Niya, attivo alla frontiera di Ventimiglia dalla primavera del 2017.

La traduzione del precedente report (dicembre 2020 – gennaio 2021) è disponibile qui.

Cari amici, ci scusiamo per l’intervallo di tempo tra questo aggiornamento e l’ultimo di gennaio. Recentemente, ci sono stati alcuni cambiamenti nel nostro gruppo, volontari* che se ne sono andat* così come nuov* che sono arrivat*.

Siamo a febbraio e anche se giorno dopo giorno le temperature sta aumentano, le notti restano ancora fredde. Ogni giorno incontriamo dalle 10 alle 20 persone che sono tenute per tutta la notte nei container di detenzione al confine francese. Riferiscono che all’interno dei container non c’è alcuna possibilità di dormire e che la polizia si rifiuta di distribuire coperte, tè, acqua o cibo.

Tutto considerato, rispetto alle settimane precedenti, durante le ultime due sono arrivate meno persone al posto di frontiera di Kesha Niya. Questo potrebbe essere collegato al fatto che gruppi della polizia francese e italiana (nuova cooperazione) stanno controllando la stazione ferroviaria di Ventimiglia. Chiedono documenti di viaggio validi alle persone che vorrebbero in raggiungere la Francia con il treno, non proibendo di fatto altro che un viaggio sicuro. A seguito di questo infatti, le persone in movimento sono costrette a cercare modi non sicuri per attraversare il confine, come camminare su un sentiero di montagna o dipendere da trafficanti che approfittano della situazione di vulnerabilità dei migranti.

La distribuzione di cibo a Ventimiglia è meno frequentata, stiamo ancora cercando di capire se c’è una ragione particolare per questo.

I controlli della polizia rimangono simili a quelli delle ultime due settimane. La novità è che la polizia francese ha iniziato a respingere le persone con documenti di viaggio validi a causa di una “mancanza di un test PCR (test per COVID-19 con risultato disponibile in 24 ore n.d.t.)” – trattenendoli per più di 4 ore nei container quindi in maniera illegale (come d’altronde è la stessa procedura di respingimento).

A causa del passaggio da zona gialla a zona rossa (Covid-19) a Ventimiglia devono chiudere anche importanti servizi per migranti in città (come il “Bar Hobbit” che è un locale aperto a tutti).

Il bar Hobbit
Dalla seconda settimana di febbraio c’è stato un numero significativo di minori respinti (ne abbiamo incontrati 63). Anche se queste persone avevano con se documenti che provano la loro minore età, la polizia li ha registrati un anno di nascita più basso per non essere responsabile della loro sicurezza. Alcuni dei minori che abbiamo incontrato non hanno più di 13 anni. Ad oggi non esiste a Ventimiglia un singolo centro di accoglienza per minori anche questi ragazzi quindi, come tutte le altre persone, sono costretti a dormire per strada.
Molte delle persone detenute dalla polizia ci hanno raccontato che la polizia francese si comporta in modo razzista e usa un linguaggio razzista (come ad esempio chiamarli “schiavi”). Il 14 gennaio, le persone che abbiamo incontrato ci hanno riferito che la situazione nel container di detenzione è degenerata e la polizia ha usato violenza fisica e spray al peperoncino contro 35 persone che erano all’interno. Due migranti sono svenuti e sono stati portati all’ospedale in ambulanza.

In altri giorni al nostro posto di frontiera sono arrivate persone con un braccio rotto, un labbro rotto o un dito rotto. La maggior parte delle persone ci dice di aver passato “di peggio” ma che speravano che sarebbe stato meglio in Francia e in mezzo all’Europa. Stiamo incontrando molte persone che hanno sperimentato avversità disumane nei campi di Malta o Lampedusa. Molti descrivono la loro frustrazione per la mancanza di consapevolezza della situazione lì. Altri raccontano della violenza in altre frontiere in Europa (per esempio in Croazia). “Abbiamo rischiato la vita attraversando questo mare… E ora questo”. – si sente spesso.

Nelle scorse settimane abbiamo incontrato famiglie e donne con bambini che sono state trattenute nei container per molte ore. All’inizio di febbraio, la polizia ha dovuto chiamare un’ambulanza per un bambino di 11 mesi, indebolito da queste pratiche disumane di respingimento. La maggior parte dei bambini che incontriamo sono sopraffatti dalla situazione e dallo stress fisico ed emotivo in cui sono messi sia loro che i loro genitori.

Di seguito trovate i numeri delle persone sottoposte a respingimento dalla fine di gennaio. Vogliamo ricordarvi che la nostra documentazione non è completa perché mancano le capacità per registrare tutte le persone che arrivano al posto di frontiera. Inoltre, è importante per noi non ridurre la situazione ai numeri, ma tenere presente che ogni “numero” è una persona con la sua storia e la sua vita:

                 Data/Persone Respinte/Uomini/Donne/ Bambini/Minori non accompagnati

Non possiamo e non vogliamo chiudere gli occhi di fronte alla violazione quotidiana dei diritti umani e siamo solidali con le persone! No borders, No problems

Kesha Niya

Per ulteriori informazioni o domande contattateci all’e-mail qui sotto. Sempre felici di ricevere anche donazioni, per continuare il nostro lavoro!

kesha-niya@riseup.net keshaniyakitchen@gmail.com
Bank account: GLS Bank Depositor: Frederik Bösing IBAN: DE32 4306 0967 2072 1059 00 BIC-Code: GENODEM1GLS

Un momento a Ventimiglia, ottobre 2020

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente contributo, istantanea amara e precisa di come si presenti, in questo momento, il territorio di frontiera tra Ventimiglia e Mentone.

Un momento a Ventimglia

Non andavo al confine da mesi, ci abito abbastanza vicino da trascurarlo, come quando non rispondi a tua madre perché sai che comunque puoi chiamarla dopo. Pensi che in qualche modo sia sempre lì, fermo sulla carta geografica, più immobile delle rocce sulle quali è stato disegnato.

Mi sono e ci siamo persi nella nostra piccola città, si è riempita anche lei di piccoli confini, di marginalità. Barriere una dentro l’altra nate dove prima lo sguardo era libero. Si sono distese come il filo spinato anche sotto casa mia ste stronze. Un colpo di forbice e le ho viste apparire simili ad omini di carta che si tengono per mano. Ho e abbiamo trascorso gli ultimi mesi tra quei muri, senza il coraggio ed il tempo di guardare a ponente, verso il far west un poco ‘ndrangheta, un poco Biamonti che è un pezzo della mia/nostra storia: Ventimiglia.

Pare che a ponte San Luigi, il confine alto, la polizia e l’Anas (o meglio la polizia con la scusa dell’Anas) vogliano cintare la piccola piazzola a bordo strada in cui vengono distribuiti generi di prima necessità alle persone respinte. Arriviamo che c’è il sole, al mattino poca pioggia svogliata, diversa dall’acqua che ha aperto Ventimiglia come un libro la settimana scorsa, quando il Roya era un ferro da stiro impazzito che trascinava tutto giù dal tavolo. Ci sono molte persone. Alcune 20k e kesha niya cercano di aiutare, danno cibo, caffè, informazioni. Non ci sono forze dell’ordine, si vedono solo gli alpini dormire sulle jeep in dogana, mentre la spiaggia delle baracche è bellissima, nonostante sia un centinaio di metri sotto di noi sembra lì, a portata di mano.

Ci sono molte persone, troppe, hanno facce stanche sotto le mascherine, banale dirlo, ma meglio ricordarselo, perché equivalgono a ore di container, di garde à vue, di strattonamenti. La CRS non si fa problemi, usava l’amuchina dopo che alzava le mani ancora prima del covid.

alcune persone respinte dalla polizia francese sostano a bordo Aurelia il tempo necessario a rifocillarsi e attendere il bus in direzione Ventimiglia.

Io dal 2011 qualcosa qui l’ho vista: i tunisini, i sudanesi, gli afgani, le somale, la tratta; tanti corpi, corpi pestati come lattine, disidrati, abbattuti, fieri, infreddoliti, poi madri sole, madri male accompagnate, anche farabutti, santi e bambini, ma quello che vedo oggi no, non l’avevo mai visto. C’è gente di ogni etnia ed età, alcuni vestiti male, altri che hanno imparato ad essere alla moda anche nella difficoltà, più o meno capaci di parlare le nostre lingue. Molti non sanno che fare, molte non sanno dove andare, pensano ad arrivare a domani forse, qualcosa nella pancia, senza infettarsi, giusto la possibilità di avere qualche sogno, senza esagerare però, che con i sogni in Europa ci si avvelena, che i sogni non realizzati diventano ossessioni. Non è più quello che i sociologi definiscono un flusso migratorio, queste sono persone che finita la musica al gioco della sedia non hanno trovato posto, partecipando così tante volte al gioco fino a che è diventato orrendo. La musica partendo è ormai il raccapricciante carillon di un film horror.

Il sole si fa più forte, andiamo al supermercato a prendere quello che serve. Io ed i miei amici abbiamo i capelli bianchi ed un cazzo di cane che mi lecca sempre, a me non piace il contatto fisico, mediamente antispecista, neanche da parte degli animali.

Portiamo i vestiti a Delia, che come sempre ha da fare: una famiglia, una distribuzione, un caffé. Sembra ancora più combattiva del solito e questo mi tira su, anche se il cane prova a leccarmi di nuovo. C’è un bambino con sua madre, dorme con la testa appoggiata al tavolo e molte altre persone che vanno e vengono, sono appena più decisi, voglio sperare che sia così.

Ventimiglia è devastata, c’è ancora un camion accartocciato sotto il ponte e cumuli di detriti ammassati in città. La passerella Squarciafichi rotta a metà rappresenta questa storia che non si chiude, una linea che non combacia.

Qui ci sono rimasti i non europei, i ventimigliesi, le guardie, i 20k, le keshaniya e le mie amiche, quelle senza più collettivo, ma con le braci sempre accese in petto. Torno a casa e mi chiedo se continuare a pensare a quale tipo di momento sia questo, non renda tutto difficile. Forse semplicemente questo è il momento, mica solo a Ventimiglia.

un solidale

Un momento della distribuzione di cibo serale, nella piazza antistante al cimitero della città: dopo l’alluvione, lo spazio è stato adibito a discarica di tutto il materiale trascinato e distrutto dalla piena del fiume Roja
Un gruppo di persone si incammina verso il Passo della Morte, il sentiero di montagna che attraversa il confine e arriva in Francia

Fermati i bus per la frontiera: sullo sciopero di Riviera Trasporti

Sullo sciopero autisti di Riviera Trasporti: fermati i bus per la frontiera.

Nei giorni scorsi gli autisti di Riviera Trasporti hanno indetto per oggi, martedì 15 settembre, uno sciopero dei bus sulla tratta Ventimiglia/Ponte San Luigi, una linea assicurata da un numero già esiguo di corse (quattro al mattino e altrettante al pomeriggio, che si riducono a una e una di domenica), con un minibus a posti ridotti, circa una ventina, rispetto ai normali bus di linea della tratta Ventimiglia/Sanremo.

Dai giornali si apprende che una cordata di sigle sindacali aveva già raccolto e segnalato le lamentele degli autisti, inviando missive al prefetto imperiese Intini e al questore Milone.
Quali sarebbero dunque i problemi di tanta agitazione?
A leggere giornali e social, gli autisti denuncerebbero di essere quotidianamente vittime di aggressioni, minacce e insulti da parte della gente respinta dalla Francia, che violerebbe anche le regole del trasporto pubblico e delle procedure anticovid, mettendo in pericolo gli autisti e persino l’utenza.

Vediamo le parole usate per raccontare lo sciopero della linea1 di Riviera Trasporti: il comunicato di RT parla di “gravi eventi lesivi della incolumità e della sicurezza dei lavoratori e dell’utenza.” e ancora di “personale alla guida che si vede oggetto di minacce e aggressioni verbali”.
La carta stampata e i siti online amplificano l’eco: “i passeggeri della linea per Ponte San Luigi non rispettano le normative anti Covid”; “Minacce e aggressioni verbali da parte dei passeggeri che non vogliono rispettare le regole anti covid”; “Bus: troppi migranti senza mascherina, autisti in sciopero”.
Se però persino le sigle sindacali, per evitare una scivolata troppo palese nello stigma razziale, non hanno osato scrivere “migranti”, lasciando intendere il problema con la locuzione più gentile: “un gruppo di persone”, gli organi di stampa e i politici locali non si sono posti limiti, aggiungendo il fomento discriminatorio che mancava alla narrazione.

Che cosa succede lungo la linea Ventimiglia/Ponte San Luigi? È vero quanto dichiarato da giornalisti e autisti della Riviera Trasporti?
Visto il clima e i toni che istigano la caccia al capro espiatorio, è bene specificare che le persone rigettate in Italia, prima di salire sui bus, si muniscono tutte di mascherina e di regolare biglietto: entrambi gli oggetti sono infatti assicurati dal punto di distribuzione solidale in frontiera, che si premura di mettere a disposizione della gente scatoloni di mascherine chirurgiche e biglietti RT per chi voglia prendere l’autobus (chi ha i soldi lo compra, chi non li ha, ne riceve comunque uno gratis, pagato grazie alle sempre più esigue raccolte fondi fatte da persone solidali).
Al contrario, non è affatto raro incrociare qualche utente locale o francese che tiene invece la mascherina abbassata, senza che questo disturbi troppo gli autisti.

Durante tutta l’estate, con numeri variabili da qualche unità a qualche decina, le persone hanno preso l’autobus per coprire i nove chilometri di Aurelia che riportano a Ventimiglia. E così è stato anche per tutto l’anno precedente. Sono passati mesi e mesi, da quando la gente solidale, di monitoraggio lungo il confine, ha iniziato a supportare chi esce dalla doppia detenzione con acqua, cibo e informazioni, incluse quelle per tornare in città col bus, risparmiandosi ore di stanchezza e cammino, avanti e indietro tra i due paesi.

In questi anni non si sono mai verificate grosse problematiche, situazioni di pericolo per gli autisti o il resto dell’utenza, né aggressioni fisiche, verbali o alcun tipo di atto violento. Così come puntualmente, dopo la quarantena, sono state piuttosto rispettate tutte le misure sanitarie per il Covid: alla postazione solidale vicina alla frontiera viene distribuito gel disinfettante, e le persone fanno volentieri una scorta di mascherine nuove, visto che lungo il loro viaggio si trovano spesso forzate a decine in luoghi di reclusione e uffici di polizia, dove non si curano certo di assicurare a tutte e tutti corrette misure di prevenzione. E anche queste persone hanno paura di ammalarsi.

D’altronde gli stessi autisti dei mezzi, infastiditi dal numero crescente di persone migranti alle fermate, nei mesi scorsi han domandato la scorta per le corse da Ponte San Luigi, dichiarando situazioni di pericolo e violazioni delle norme. Alle fermate “critiche”, dunque, i poliziotti di scorta si assicuravano che la gente che saliva sulla navetta avesse effettivamente mascherina e biglietto (che gli veniva strappato anziché consentirne la normale obliterazione). Dopo alcune settimane di vigile vaglio poliziesco, era chiaro che le persone rispettavano tutte le regole del trasporto pubblico, e la scorta (non si sa se ufficiale o ufficiosa) si era quasi del tutto fermata.

Nonostante non ci fossero quindi particolari situazioni critiche, qualche autista ha più volte provato a saltare a piè pari le fermate dove attendono le persone respinte dalla Francia.
È capitato così che, per cercare di far accostare il bus alla regolare fermata, alcune persone si siano messe in mezzo alla strada, visto che allungare il braccio per richiedere lo stop non è sufficiente.
Capita anche che, dopo ore di attesa, le persone che non son salite sull’autobus perchè esauriti i posti, ci mettano un attimo per capire e tradurre cosa sta succedendo, e smettere di provare ad accalcarsi attorno alla porta del bus. A volte questo causa, effettivamente, un rallentamento di qualche minuto, prima che tutte le persone capiscano di doversi rimettere ad aspettare altre ore, fino all’arrivo della corsa successiva. Vedere venti, trenta persone assieme (ma dipende dai giorni e dalle stagioni, e spesso ci sono tre/cinque persone al massimo) che aspettano di salire sull’autobus e si affollano per riuscire ad aggiudicarsi uno dei pochi posti, forse, può fare impressione.
Ma questo non vuol dire che ci siano mai stati blocchi stradali, minacce o situazioni pericolose.

Bisognerebbe guardare alla realtà tenendone in considerazione complessità e contraddizioni, senza dover per forza ridurre tutto a spot mediatici e campagne elettorali.

 Flavio Di Muro, deputato leghista nonché commissario della Lega per la provincia di Imperia, non ha perso l’occasione per sfoderare le abituali armi della sua compagine politica, affilate di odio, falsità e luoghi comuni. Diffondendo la notizia dello sciopero, pubblica sulla sua pagina facebook il video di quello che viene presentato come un assalto terrificante. Nel montaggio, contornato dalle scritte “clandestini respinti dalla Francia, autista disperato” e “-ora chiamo la polizia! zero regole e lasciato solo. Solidarietà! Condividiamo!”, si ingrassa l’ansia dello spettatore grazie all’uso di una musichetta angosciosa e incalzante.
Ma se si guarda il video mettendo da parte la narrativa pregiudiziale, quello che si vede sono solo tante persone, in attesa in ordine sul marciapiede, che vorrebbero legittimamente usufruire di un servizio pubblico, per il quale hanno regolare titolo di viaggio (nonostante le malevoli supposizioni che fanno seguito nei commenti al video postato, e che si spingono a incitare l’omicidio con le frasi “ma caricali tutti e togli il freno” e ancora: “tutti sul bus e buttalo dalla scarpata“).
Si sentono voci che chiedono spiegazioni all’autista, un uomo che dice all’autista, “mi dispiace”. E poi si percepisce un’agitazione indomabile nel conducente, che inizia a minacciare di chiamare la polizia, e sbraita senza che nessun altro presente nella scena stia urlando nè intraprendendo azioni violente o aggressive.

Il problema è perciò che i clandestini-migranti sono cattivi per essenza genetica, aggrediscono la gente a caso e scroccano passaggi, oppure il problema è che tante persone vogliono solo fare nove chilometri in bus e la RT non si organizza con mezzi più grandi e corse più frequenti?
Perchè da questo punto di vista, la fonte delle tensioni non è tanto la gente riammessa dalla Francia, ma semmai l’incapacità della compagnia di trasporti di assicurare un servizio adeguato alla domanda.

Vero è che i proventi della vendita dei biglietti regolari non sono paragonabili con il guadagno incassato dalla compagnia, negli anni passati, per le deportazioni di persone migranti al sud, ma in ogni caso fruttano alcune migliaia di euro al mese (stimando, al ribasso, una media di cinquanta persone al giorno che utilizzano la corsa).

Si dovrebbe a questo punto fare una pausa, per riflettere sul paradosso di uno sciopero indetto per prendersela con la troppa utenza, anziché con una dirigenza aziendale inetta, che sta sfasciando il servizio pubblico del ponente ligure… E sul paradosso nel paradosso che trattasi della stessa utenza per la quale Riviera Trasporti faceva settimanale servizio di deportazione a Taranto, per la prefettura imperiese (servizio sospeso per covid e strutture affollate al sud a causa di sbarchi e quarantene). Pullman dedicati -e incellophanati- per trasportare migranti sì, autobus misti guai: fanno tremare i cittadini italiani e addirittura temere per la propria incolumità.

Si potrebbe perfino azzardare una riflessione ancora più ampia, e ricordarsi che il motivo per cui tante persone hanno bisogno di prendere un autobus in frontiera, riempiendo la corsa che torna indietro, è perchè tutte loro sono state catturate nel tentativo di andare avanti. E che non ci vorrebbero proprio restare, lì, tra le invettive e gli insulti della gente nostrana, ad aspettare un pulmino che nemmeno si vuol fermare per farle salire.

Ciò che dovrebbe davvero mettere angoscia, in questa storia, è quanta paura sia stata seminata nella testa delle persone. Paura ignorante e antica, quanto attuale e pericolosa, che fa risorgere richieste di apartheid sui mezzi pubblici, manco fossimo nell’Alabama degli anni ’50.

Paura che si mescola alla diffidenza; ansia per la salute che si allunga nel sospetto per le genti straniere; intolleranza verso persone considerate un po’ meno umane perchè clandestine, che si espande nell’intolleranza per persone considerate un po’ meno umane perchè attiviste e solidali.
In epoca di pandemia gli allarmismi hanno gioco facilissimo, ma suscitare lo spauracchio del contagio gettando la gente nel fango della calunnia e di accuse infondate, è un gesto di una bassezza umana che fa vergogna.

Ma bisogna pure saperla provare, questa vergogna.

La Redazione

Estate 2020 al confine: respingimenti e solidarietà. Parte 3

Respingimenti e solidarietà (Parte 3)

Abbiamo detto che, a ben vedere, le persone migranti non hanno mai smesso di attraversare il confine: persino durante il pieno dell’emergenza Covid, su rotte secondarie e a numeri ridotti al minimo, la gente ha continuato ad arrivare. E sono schizzati alle stelle i prezzi per passare una frontiera serrata a doppia mandata, non solo davanti alle migrazioni, ma anche per contrastare la diffusione del virus. Nei mesi di Marzo e Aprile, il normale costo di un passaggio auto coi trafficanti è arrivato a 500 euro a testa, rispetto ai soliti 150/200. Non si sono mai fermati i respingimenti da parte della Francia, e si sono aggiunti i respingimenti inversi della polizia italiana, con la nuova sanatoria.

Il procedimento è rimasto invariato: i rastrellamenti, l’arresto al confine, poi il giro ai container della polizia francese a Ponte san Luigi, dove le persone vengono tenute anche oltre dieci ore. Poi si torna indietro, ripassando dalla polizia italiana. Dentro ai container, che ora sono forni a 40 gradi, così come negli uffici italiani, dove la gente passa forzatamente prima della riammissione su territorio ventimigliese, non viene fornito alcun tipo di servizio. Per loro solo insulti, violenze, prese in giro. Le persone non ricevono quasi mai cibo o acqua, non possono parlare con un avvocato, non gli viene spiegato quello che sta loro accadendo, né cosa c’è scritto sui fogli che la polizia gli ficca in mano. Trattamento uguale per donne, uomini o minori che siano. Anche se sarebbe illegale respingere i minorenni, e anche se sono state fatte diverse battaglie giuridiche per impedire che questo avvenisse, appena le persone sono aumentate e gli sguardi si son girati altrove, la polizia italiana ha ricominciato ad accettare minorenni, facendo finta che vadano bene i dati falsificati dei colleghi francesi.

Un centinaio di metri prima del confine italiano di Ponte San Luigi, sull’Aurelia in direzione Italia, il gruppo di solidarietà Kesha Niya mantiene da un paio di anni una presenza giornaliera di supporto alla gente respinta e di monitoraggio sulla situazione e sui vari abusi, che sono diventati usi quotidiani. Per anni, a Ventimiglia, le istituzioni e le varie forze dell’ordine hanno perseverato nel tentativo di isolare le persone migranti dal supporto della solidarietà. Hanno cercato di spezzare i contatti tra persone europee e persone migranti, a suon di denunce, identificazioni, ordinanze, retate e caccia alle streghe, spingendo la gente in viaggio a nascondersi verso zone sempre più periferiche. Perciò la postazione in frontiera, uno slargo sterrato in cui rifiatare dopo ore e ore di detenzione, è diventata punto di riferimento per tutte le associazioni, ong, chiesa, giornaliste, fotografi, ricercatori, giuriste, documentaristi e via dicendo. Tuttavia il vicinato della zona, benestante frazione ventimigliese di Grimaldi, ha sempre mal sopportato la presenza di solidali e migranti.  E lo ha dimostrato con giri di insulti, telefonate alle forze dell’ordine, raid notturni per buttare nella scarpata rocciosa i tavolini pieghevoli su cui viene appoggiato il cibo, escrementi di sconosciuta provenienza spalmati sui muretti dove siedono le persone a riposare, delazioni e minacce.

Lex spazio di solidarietà in frontiera, recitanto durante il lockdown

Col favore dello stop alle attività durante il lockdown, è stato recintato lo slargo in cui per due anni si è potuto sostare, impedendo quindi alla solidarietà di tornarvi, una volta revocate le misure sanitarie. Mentre il vecchio spazio si sta ripopolando di rovi, è stato individuato un altro slargo, sempre a bordo Aurelia, dove portare avanti una presenza solidale.  Dovendo tuttavia retrocedere di un chilometro circa rispetto agli uffici di frontiera di Italia e Francia, e da quel che lì dentro accade. La nuova postazione è in un tratto di strada privo di abitazioni, lontano dagli occhi della cittadinanza e dai turisti, che, perlopiù, passano da lì solo sfrecciando su un motore verso la Costa Azzurra. Eppure è partito l’attacco incrociato di privati cittadini, polizie e sindaco, già dalla prima settimana di ripresa della presenza di monitoraggio e supporto. Un mantra ripetuto alla noia: “dovete andare via, qui non si può stare”.

La gente che si ferma, sosta il tempo necessario per rifocillarsi, riprendersi dal fallimento del passaggio frontaliero e dalle ore di detenzione, raccogliere informazioni e contatti utili (avvocati, domande su permessi e documenti vari, dubbi sulla propria posizione giuridica, ecc), e medicarsi le ferite (i boschi, le botte della polizia, la Libia, le aggressioni lungo la rotta balcanica…). Quindi le persone aspettano l’autobus locale (sempre Riviera Trasporti) che fa la spola, ogni tot ore, tra Ventimiglia e Ponte San Luigi, per evitare di camminare altri nove chilometri, e risparmiare energie da spendere in un nuovo tentativo contro il confine.

Lo spazio curato dai Kesha Niya è un presidio basilare di solidarietà, dalle nove del mattino alle venti circa di sera, quando escono le ultime persone detenute dai francesi e la polizia italiana chiude i battenti. Qualche ora di respiro tra persone che si danno una mano: un oltraggio al regime di intolleranza che si è instaurato in tutta la zona di frontiera, e quindi deve essere spazzato via.

Nelle ultime due settimane, pattuglie, auto in borghese e digos, si sono presentati decretando che lo spazio, “attrezzato” con due taniche d’acqua, frutta, pane, biscotti, cerotti e powerbank (ogni sera ripulito e lasciato vuoto), rappresenta occupazione di suolo pubblico. Hanno detto che è vietato “dare da mangiare agli stranieri” -letteralmente-, che è in vigore un’ordinanza che vieta la distribuzione di cibo in strada, che ci sono altri luoghi dove “fare volontariato coi migranti, come la Croce Rossa”, che la distribuzione di cibo è autorizzata solo nel parcheggio cittadino di fronte al cimitero di Ventimiglia, che o si sgombera tutto o arrivano le denunce, che o si sgombra tutto o buttano tutto giù per la scarpata, che portano tutti in commissariato, che il sindaco stesso ha chiamato le forze dell’ordine per far sloggiare la gente da lì, che lì non ci si può stare perchè non serve che lo dica una legge, ma basta il verbo di un signore in divisa che dice “non serve nessun papier che dimostri che state occupando, il papier sono io che vi dico di andarvene!”.

Per capire meglio la tragicomicità della situazione, bisogna spulciare oltre all’ipse dixit della polizia. Nell’agosto del 2015, poi rinnovata nel 2016, l’allora sindaco Ioculano firmò un’ordinanza che vietava la somministrazione di cibo ai “profughi” per “mero spirito di solidarietà”. L’associazionismo informale ingaggiò una battaglia di resistenza a oltranza, senza interrompere le distribuzioni di cibo in giro per la città, e impugnando denunce e multe (fino a 2.000 euro). Ioculano fece la figura del razzista affamatore (si raccoglie quello che si semina) e nei mesi, l’ordinanza fu criticata da avvocati, associazioni umanitarie, dalla chiesa. La polemica si propagò, fino alla mobilitazione di certi personaggi dello spettacolo, noti intellettuali e compagnia, che promossero una raccolta firme per chiederne la revoca. Per scongiurare l’assalto di una protesta nazionale, l’ordinanza fu revocata nell’aprile 2017.

Da allora né Ioculano, né il nuovo sindaco Scullino, hanno più avuto la faccia di firmare una nuova ordinanza che vieti il cibo a chi ha fame.

Eppure secondo la polizia, che visita regolarmente lo spiazzo solidale in frontiera, è vietato farlo perchè lo dice l’ordinanza: quale, non si sa. E ovviamente non ci sono altri luoghi per le persone respinte, dal momento che il centro della Croce Rossa è chiuso, anche se gli operatori dell’ordine suggeriscono il contrario. L’unico punto di riferimento per recuperare qualche vestito, cibo e due informazioni, sarebbe la Caritas, che però apre solo due ore al mattino, risultando già chiusa quando la gente rilasciata dai francesi raggiunge di nuovo Ventimiglia.

Dalla Francia arrivano giornalmente almeno un centinaio di persone respinte, e nello spiazzo solidale dei Keshaniya vengono messe a disposizione mascherine, guanti e gel disinfettante. Nonostante questo, nonostante non esista nessuna ordinanza, nessun altro punto di appoggio per la gente che esce barcollando dai container, nonostante non ci sia alcun condominio né alcuna villetta che si affacci in quel pezzo di strada e a cui possa storcersi il naso davanti alle genti straniere, quella postazione è perennemente sotto attacco e minaccia. Con argomentazioni più o meno sconclusionate, quando non proprio false. E se la polizia dice, in frontiera alta, che la distribuzione di cibo è autorizzata solo nel parcheggio del cimitero; al parcheggio, durante la cena, si è recentemente presentato il sindaco in persona, a dire che lì la distribuzione non si può più fare, perchè lo dice lui.  Tutti dicono la propria, insomma. Cercando intanto di fare un po’ d’effetto, presentandosi col blindato in un’aiuola dove una ventina di persone mangia crackers e aspetta il bus.

Nelle due foto: polizia di scorta all’autobus di Riviera Trasporti

E siccome i tentativi di far sloggiare la gente sfoderando ordinanze inesistenti e minacce non è andato a buon fine, si escogitano innovative misure di stalking e fantasiose dimostrazioni di forza.  Come seguire con un’auto in borghese, per un’intera mattinata e a meno di un metro di distanza, l’automobile delle persone solidali, impedendogli di parcheggiare lungo l’Aurelia, poi di scaricare cibo e acqua, e persino alle persone dentro la macchina di scendere prendendo almeno il proprio zaino con gli effetti personali. Oppure presentandosi con un blitz alla fermata dell’autobus, per controllare -la polizia, non il personale di Riviera Trasporti- che tutte le persone abbiano il biglietto del bus.  Poichè tutte hanno sia biglietto che mascherine, si passa di grado nel bullismo: da una settimana l’autobus gira scortato da una volante a lampeggianti accesi, talvolta saltando pure a piè pari la fermata a cui aspettano le persone respinte. Quando invece il bus ferma, un poliziotto della scorta si piazza alle porte d’ingresso, stile body-guards, supervisionando che tutte le persone siano docili e mascherinate, quindi strappa i biglietti mano a mano che salgono.  Non si capisce perchè alle persone classificate come “non dei nostri“, come dice qualche autista, non viene permesso di obliterare il biglietto, così da poter usufruire della normale validità di 100 minuti del ticket. Le genti migranti, parrebbe, non sono in grado di timbrare un pezzo di carta. Sia la polizia che gli autisti stessi, che usano la stessa procedura quando qualche volta salta la scorta, assicurano che non sono razzisti e che riservano anche alle persone italiane lo stesso servizio.

Biglietti dell’autobus strappati dalla polizia: le persone “non nostre” non possono obliterare

La gente migrante non ha diritto a farsi nove chilometri in bus in santa pace, nemmeno pagando quell’euro e mezzo di biglietto (per un guadagno giornaliero dell’RT di oltre cento euro, considerati i numeri di persone) alla stessa compagnia di trasporti che pure la deporta al sud da anni, stavolta a carico dello Stato.

Per tutto luglio sono arrivate dai respingimenti decine di donne, molti minori, bambini e bambine sotto ai cinque anni, intere famiglie, gente ferita o malata; più volte si è dovuta chiamare l’ambulanza, e infinite volte, vista la collaborazione degli autobus, si è fatta la spola tra la frontiera e la città, per accompagnare giù chi non era in grado di camminare. Come le persone recuperate in elicottero dal Passo della Morte, rimaste aggrappate solo per le braccia a un tronco d’albero sospeso nel vuoto per tutta la notte, quindi smollate sul lato italiano che ancora non riuscivano a muovere gli arti o usare le mani, per lo sforzo prolungato nel tentativo di salvarsi la vita.

Rifocillare le persone, regalare biglietti del bus a chi non può permetterseli, accompagnare gente in ospedale e cercare un riparo per la notte alle tante ragazze in gravidanza; litigare con turisti razzisti e proprietarie di ville a picco sul mare, indignati per lo sconcio spettacolo della povertà; monitorare i rastrellamenti nelle due stazioni di frontiera; tradurre alla gente papiri inutili di espulsioni su espulsioni su espulsioni: quello che si fa, è ancora troppo poco.

È insufficiente remare contro il vento dell’intolleranza e della persecuzione razziale, mettendo qualche pezza ai danni e agli sfregi inflitti alla gente. Questo posto è insopportabile, ed è insopportabile provare a renderlo un po’ migliore, anziché farne deflagrare tutti gli orrori che cova, lasciando che accada quel che deve accadere. E lasciando che coloro che sono responsabili di tutto ciò, paghino un prezzo senza sconti per il palcoscenico che hanno voluto approntare: è troppo comodo lasciare che sia il volontariato (a patto che sia mansueto e invisibile) a non far morire le persone di fame, incidenti, malattie e indifferenza.

Non importa se l’autobus si ferma o no, alla fine: le persone dormiranno comunque in mezzo ai rifiuti, in qualche angolo nascosto della città di frontiera. Non c’è un posto sicuro da raggiungere. La polizia continuerà ad ammassare decine di persone in una fetida scatola di metallo, in barba a qualsiasi emergenza virus, a falsificare dati, a brutalizzare le persone solo perchè senza documenti validi. I trafficanti continueranno a ingrassare le proprie tasche e quelle della ‘ndrangheta locale. Il confine continuerà a seminare disagio e violenza, a raccogliere corpi feriti e cadaveri.

Nonostante l’impegno e il cuore che vengono messi, le energie nel tempo si consumano, la gente si dimentica dell’orrore incontrato, magari stando qui in visita una settimana per scoprire cos’è sto fantomatico confine, e colpo dopo colpo ci si abitua a qualsiasi cosa. A pensare persino che sia normale, che sia in ogni caso inevitabile, quello che succede, e che si stia facendo comunque tutto il possibile per combattere questa palude di miseria e cattiveria umana. Ci si abitua a giocare al ribasso, arrivando, ogni anno, al punto di rimpiangere la situazione dell’anno precedente: col senno di poi, la baraccopoli della Croce Rossa, luogo ambiguo e pericoloso, sembra un lusso d’altri tempi; la chiesa delle Gianchette un rifugio meraviglioso; la condivisione quotidiana della vita sotto al ponte di via Tenda, appartiene a un mondo che non è più permesso nemmeno immaginare.

Si dovrebbe fare molto di più. Si potrebbe fare molto altro.

 

(Per leggere la prima parte, vedi qui, per la seconda qui

Per leggere gli altri report del gruppo Kesha Niya, sui comportamenti delle polizie al confine: gennaio 2020; novembre 2019; ottobre/novembre 2019; ottobre 2019; Giugno 2019; Maggio 2019)

Presso lo spazio solidale in frontiera, sorprese al mattino: panchina e muretti spalmati di escrementi come azione intimidatoria.

 

Estate 2020 al confine: un quadro della situazione. Parte1

L’estate a Ventimiglia è un eterno ritorno, un film di cui si conosce perfettamente il brutto finale: qui si aspetta la nuova ordinanza, magari nuove leggi speciali, a stroncare ogni buona volontà. Qui si aspettano nuove morti, che si aggiungeranno alla ventina di vite già spezzate: altra polvere da buttare sotto al tappeto rosso su cui sfilano i ministri dell’interno e i vertici delle forze dell’ordine.

Luglio sta finendo e agosto, là davanti, promette di essere un ennesimo mese di circo e calvari.

(Parte 1. Qui la seconda parte. Qui la terza parte)

 

Esatate 2020, un quadro della stuazione:

Al confine di Ventimiglia, come ogni estate dal 2015, la bella stagione ha nuovamente portato un aumento di violenza, repressione, disagio, abbandono, abusi, traffico, e un numero crescente di persone che provano ad attraversare la frontiera. Dai media arrivano notizie frammentarie, che non spiegano i fondamentali di ciò che sta accadendo, ma raccontano solo la punta di un iceberg che, sotto i colpi del sensazionalismo, restituiscono flash sconnessi della vita di frontiera: l’arresto di un trafficante, l’aggressione di un uomo ai danni della polizia, persone che dormono nel mercato chiuso, i siparietti delle istituzioni, qualche grido di pietà o di allarme dell’associazione di turno. A seconda dello scoop del momento, a seconda delle tendenze di interesse dell’opinione pubblica, emergono spizzichi di eventi e narrazioni incomplete.

A Ventimiglia arrivano ancora le persone migranti? Che succede lungo le rotte che attraversano la barriera di Stato sulle strade, sui treni, o sui sentieri di montagna? I giornali hanno parlato di “recrudescenza del fenomeno migratorio”, ma al confine le persone sono sempre arrivate, ininterrottamente, e ininterrottamente subiscono discriminazioni e ingiustizie. D’estate, semplicemente, è più facile viaggiare, con il mare calmo e le strade asciutte.

Quest’anno l’inizio dell’estate è coinciso con la fine delle restrizioni per il lockdown, quindi quando tutto il traffico ferroviario si è sbloccato ed è stato possibile tornare nelle strade, nella città frontaliera hanno iniziato ad arrivare tutte le persone che non avevano potuto proseguire il loro viaggio, durante i due mesi di chiusura totale del paese e dell’Europa intera.

Attualmente a Ventimiglia e nelle zone circostanti (il confine passa a nove chilometri dal centro città) si trovano circa due/trecento persone. Ogni giorno e ogni notte un centinaio di queste prova a sconfinare in Francia, e il novanta per cento di loro finisce catturata dalle reti di pattugliamento della polizia italiana e soprattutto francese, che si avvale anche della collaborazione dei militari della Legione Straniera, assegnati a presidiare i passaggi montani. Diverse decine sono poi le persone che arrivano nuove ogni giorno da altre parti d’Italia, sempre in treno, nonostante stiano aumentando i controlli interni sulle reti ferroviarie.

Proprio come era già accaduto in passato, quando si avvicina l’estate aumentano sia le strategie di controllo delle zone di frontiera, sia le retate e i rastrellamenti nelle stazioni a monte di Ventimiglia. Molti treni da Torino, Milano e Genova vengono controllati alla partenza, bloccando chi ha i documenti non in regola; oppure i convogli sono attesi dalle pattuglie miste di polizia e militari, direttamente ai binari di Ventimiglia, che fermano e controllano tutte le persone che non hanno l’aspetto di essere europee o turisti in vacanza.

Tra coloro che passano il confine, dopo numerosi tentativi, e chi arriva ogni giorno a Ventimiglia, la media dice che ci sono circa duecentocinquanta persone nelle strade della città. Probabilmente nelle prossime settimane arriverà altra gente, come racconta la storia di Ventimiglia. In autunno rallenteranno i viaggi e le presenze scenderanno fino a poche decine durante l’inverno. Nella primavera dell’anno prossimo scriveranno un altro scoop sull’”emergenza clandestini”.

La gente gira per il mondo, qui c’è un confine: arriveranno sempre persone, da ogni parte della Terra con ogni tipo di motivazione. In queste settimane post lockdown si incontrano persone appena arrivate dagli sbarchi in Sicilia, in Sardegna e in generale nel sud Italia (Mali, Senegal, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea, Sudan, Eritrea, Somalia, Nigeria, Tunisia, Algeria, Egitto, Marocco, quasi tutte passate dalla Libia); persone appena arrivate dalla rotta balcanica ed entrate dalla frontiera di Trieste (Siria, Iran, Iraq, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh, Turchia, Russia, territori curdi); persone dublinate dalla Germania, dall’Austria, dalla Francia; persone che stanno lasciando l’Italia.

Una novità registrata quest’estate è l’aggiunta di un flusso inverso di persone, oltre a quelle che vanno in direzione Italia-Francia: tutte coloro che tentano di tornare in Italia, per cercare di rientrare nella sanatoria. Quindi la polizia italiana ricerca le persone in viaggio dalla Francia all’Italia senza documenti validi, per riconsegnarle in frontiera ai colleghi francesi.
Ci sono diverse persone che rimangono incastrate al confine ventimigliese, e che non stanno riuscendo ad andare avanti e nemmeno a tornare indietro, in nessuna delle due direzioni.

L’emergenza legata al Coronavirus ha peggiorato molto, infatti, il livello dei controlli al confine. Dopo mesi che erano spariti, sono ricominciati i checkpoint lungo le strade della Val Roya, la valle che collega i territori italiani e francesi. Anche i sentieri di montagna rimangono presidiati notte e giorno, aggiungendo gli inseguimenti tra i boschi al già elevato rischio di precipitare a valle a causa del dissesto dei sentieri, che richiederebbero anche manutenzione e una messa in sicurezza costanti. Dieci giorni fa, un uomo è caduto dal sentiero in una cisterna d’acqua sottostante, senza riuscire più a risalire: si è salvato solo grazie a un altro viaggiatore che, sentendo le grida di aiuto, è riuscito o ripescare il compagno offrendogli come appiglio un lungo ramo spezzato.

Per la prima volta dopo cinque anni di rastrellamenti su base etnica, alla stazione di Menton Garavan la polizia francese chiede sempre più spesso i documenti a tutte le persone. Europee, italiane, turiste, migranti, bianche o nere che siano. I controlli a tappeto intercettano anche coloro che “sembrano” persone europee, e che in passato riuscivano invece ad attraversare il confine abbastanza tranquillamente, visto che la selezione si concentrava solo sul profilo razziale.

Si dovrebbe sapere che, quando si accetta che il controllo straordinario diventi abitudine, prima o poi l’eccezione diventa la regola per tutte e tutti: nel 2015 passavano moltissime persone, piuttosto facilmente; negli anni, i criteri di selezione sono diventati sempre più stringenti e le modalità della repressione sempre più cruente. Capita così che arrivi in frontiera, respinta dai francesi, una diciottenne di Genova, spaventata e in lacrime: si era dimenticata a casa la carta d’identità, èd è stata fermata dagli agenti della CRS sul treno, portata agli uffici di frontiera e poi rilasciata in Italia. Stava andando a trovare la nonna a Nizza, per rientrare a Genova in serata.

Questa cosa è sconvolgente solo se si applicano due pesi e due misure, come troppo spesso avviene nella testa di chi ha il privilegio di un documento europeo e commette l’errore di considerarlo un diritto inalienabile: è più terribile che abbiano iniziato a fermare anche cittadini italiani sprovvisti di documento e a trattarli come i temibili “clandestini”, o che da cinque anni ci siano controlli razziali differenziali, effettuati su base etnica, che questa cosa non sia mai interessata pressochè a nessuno – perchè tanto non succedeva a noi -, e nemmeno sia mai scoppiata una rivolta transnazionale per fermare questo schifo?

 

 

Aumentano le persone respinte e la violenza è ormai strutturale

Pubblichiamo le immagini, registrate da alcune persone detenute nei container e diffuse dal collettivo Kesha Niya, che mostrano le condizioni in cui le persone vengono trattenute dalla polizia di frontiera francese prima di essere respinte in Italia

Sulla propria pagina facebook, il collettivo ha pubblicato due report riferiti alle giornate tra il 20 ottobre e il 2 novembre: ne pubblichiamo la traduzione qui di seguito.

Entrambi i report evidenziano il netto aumento del numero di persone migranti che tentano di lasciare l’Italia dalla frontiera di Ventimiglia. Gli ultimi due resoconti, e i dati raccolti dallo stesso collettivo nella settimana dal 3 al 9 novembre, registrano il respingimento di 1799 persone in sole 3 settimane, mentre in tutto il mese di settembre erano state 1536. Anche le presenze presso il Campo gestito dalla Croce Rossa nel Parco Roya sono evidentemente in crescita: se da oltre un anno il numero delle persone ospitate nella struttura non superava le 250 presenze, al 12 di novembre le persone registrate al campo erano 400.

Ad aggravare la situazione già difficile delle persone in viaggio si aggiungono le reazioni sempre più violente della polizia francese, ormai divenute prassi strutturale nei locali per la detenzione delle persone respinte al confine. Insulti e umiliazioni, spray al peperoncino e percosse si sommano così, con sempre maggior costanza, alle pratiche già normalizzate della privazione di cibo e acqua, della detenzione fino a 24 ore in locali insalubri e non attrezzati, del rifiuto di fornire qualsiasi forma di assistenze medica.

REPORT 20-26 Ottobre

Ciao a tutt*,

nell’ultima settimana abbiamo incontrato 553 persone al confine italo-francese a Grimaldi inferiore, che sono state fermate dalla polizia francese e poi respinte verso l’Italia. E’ il numero più grande da quando raccogliamo i dati. Il numero di persone sta aumentando molto in queste ultime settimane. Sappiamo di un totale di 578 persone respinte, abbiamo infatti visto 18 persone andare a Ventimiglia con l’autobus, la Croce Rossa o la polizia italiana, senza entrare in contatto con noi e 9 minori sono stati riportati in Francia dalla polizia italiana. Questo numero include 13 donne, tre delle quali incinte, 27 minori, 8 bambini e 4 minori accompagnati da un familiare. Non sono incluse in questo numero le circa 20 persone che sono state mandate a Taranto dalla polizia italiana il 24 ottobre.

Minori

7 minori sono stati riportati in Francia dalla polizia italiana prima di arrivare da noi.

Siamo tornati dalla polizia italiana con un quindicenne e un sedicenne che non avevano ancora dato le impronte digitali in Europa perché fossero registrati come minorenni. La polizia ha asserito che i due minori si erano dichiarati maggiorenni, fatto negato dagli interessati. La polizia italiana ha poi detto che il loro sistema di registrazione non funzionava. Ci hanno ordinato di andarcene e di non ritornare.

Questa settimana abbiamo incontrato una minore che viaggiava da sola.

Un sedicenne ci ha raccontato la sua esperienza con la PAF (Police Aux Frontières – Polizia di frontiera francese n.d.t.). Due poliziotte erano in disaccordo sull’accettarlo o meno come minore. Alla fine è stato respinto in Italia, ha dato 4 impronte digitali ed è stato registrato come ventunenne dalla polizia italiana perché questa era l’età indicata sul “refus d’entrée” (rifiuto di ingresso, documento consegnato alle persone respinte in Italia dalla polizia francese n.d.t.).

Violenza

Due quindicenni hanno detto di essere stati minacciati dalla polizia francese che sarebbero stati picchiati se avessero riprovato a passare.

7 persone che hanno attraversato il confine in montagna nella notte tra il 21 ed il 22 ottobre hanno riferito di essere state arrestate dalla Legione Straniera all’una del mattino e che alcuni militari hanno puntato loro contro il fucile. Il refus d’entrée dichiarava che erano stati arrestati a Ponte S.Ludovico (dove ci sono i controlli di confine sulla costa).

5 altre persone avevano sul loro “refus d’entrée” l’indicazione di luoghi errati in cui sono stati fermati. Sono stati fermati al primo casello dell’autostrada (La Turbie) a bordo della vettura di un trafficante. La polizia ha arrestato il conducente ma ha scritto che i passeggeri sono stati fermati mentre si trovavano su un autobus.

Una persona ha perso il controllo durante la detenzione nel container e ha rotto una finestra con la testa e le mani. Ha riferito di essere stato preso a pugni dalla polizia francese. Un’altra persona ha assistito ai fatti e ha visto anche un uomo ferirsi con i frammenti della finestra rotta. La persona ferita ha chiesto aiuto ma la polizia ha detto che non era niente e si è rifiutata di aiutarlo.

Dopo 16 ore di detenzione una persone ha chiesto di essere rilasciata. Ci ha detto che la polizia francese lo ha sollecitato ad avvicinarsi alla porta e quando lui l’ha fatto è stato prima picchiato e poi rilasciato.

Una persona ha riferito di essere stata colpita dalla polizia francese con un manganello su una gamba e sulla schiena. Il poliziotto gli avrebbe detto che lo faceva perché a causa sua non potevano andare in pausa a mangiare.

Alle 18.30 del 26 ottobre abbiamo visto più di 10 persone venire rilasciate dai container mentre la polizia francese urlava loro contro.

Ci è stato raccontato un caso di brutalità della polizia avvenuto nei container 3 mesi fa. Questo reporter ci ha detto di aver visto un poliziotto dare un calcio nei genitali ad una delle persone detenute che ha perso conoscenza per via del dolore. La polizia non ha fornito alcun supporto di primo soccorso.

Ci è stato detto da 32 persone di essere state detenute tra le 11 e le 22 ore dalla PAF.

Abbiamo continuato a incontrare un gran numero di persone con ferite infette, specialmente sulle gambe, e abbiamo praticato il primo soccorso.

REPORT 27/10-2/11

Ciao a tutt*,

questa settimana abbiamo incontrato 565 persone al confine italo-francese a Grimaldi inferiore, che sono state fermate dalla polizia francese e poi respinte verso l’Italia. E’ stato nuovamente superato il numero più alto che abbiamo registrato dall’inizio della raccolta dati. Sappiamo anche di altre 6 persone che sono state respinte ma con le quali non siamo entrati direttamente in contatto. Queste sei persone sono andate a Ventimiglia con l’autobus, la Croce Rossa o la polizia italiana. Ci sono stati quindi almeno 571 respingimenti. Il numero di persone menzionate (565/571) include 14 minori non accompagnati, 18 donne (di cui una in cinta), 5 bambin* e un minore non accompagnato che la polizia italiana ha riportato in Francia senza bisogno del nostro intervento.

                               Persone fermate dalla polizia di frontiera francese alla stazione di Menton-Garavan.

Minori

Dei 14 minori che abbiamo incontrato questa settimana, 4 casi spiccano in particolare.

Un ragazzo di quattordici anni è stato registrato dalla polizia francese come se ne avesse quaranta (data di nascita 1979 apposta sul suo refuse d’entrée) e la polizia italiana lo ha apparentemente registrato, con quattro impronte digitali, come se avesse quarant’anni. Siamo andati dalla polizia italiana con il ragazzo quattordicenne e abbiamo chiesto come sia stato possibile un errore di registrazione così ovvio. La poliziotta presente ci ha detto che non poteva farci nulla perché in quel momento non c’era la connessione con il data base di Stato. Resta il dubbio se questa informazione fosse vera dal momento che delle impronte erano stato prese un attimo prima e questo è possibile solo se l’accesso al data base è disponibile e il sistema per la registrazione è funzionante. E’ inoltre già successo in passato che, quando ci siamo recati dalla polizia italiana con dei minori, il sistema di registrazione fosse per coincidenza fuori uso.

Il giorno successivo lo stesso adolescente è stato nuovamente respinto dalla Francia ma questa volta come diciannovenne.

Un sedicenne, registrato in Italia come ventenne, aveva con se tutti i suoi documenti ufficiali della Costa d’Avorio che confermavano la sua età ma non li ha mostrati alla polizia per timore che glieli rubassero.

Ci sono stati raccontati due casi di violenza contro minori.

Un minore è stato preso a calci dalla polizia francese

Il 2 di Novembre un diciassettenne è stato colpito al naso dalla polizia francese. Aveva detto di avere vent’anni perché non voleva essere separato dai suoi amici. Durante il suo rilascio, la polizia francese lo ha spruzzato sul volto con spray al peperoncino.

         2/11/2019 Ragazzo di 17 anni colpito al naso e fatto bersaglio di spray al peperoncino dalla polizia francese.

Violenza

Il 2 di novembre siamo venuti a conoscenza di almeno 24 casi i cui la polizia francese ha usato spray al peperoncino contro le persone durante il loro rilascio. Una di queste, dopo che la polizia la ha spruzzata con lo spray al peperoncino, ha perso conoscenza, è caduta e si è ferita a un ginocchio. Il suo amico ci ha raccontato che la polizia francese lo ha preso a calci mentre si trovava a terra.

Nell’arco della settimana abbiamo ascoltato altri 17 casi in cui la polizia francese ha usato spray al peperoncino contro le persone durante il loro rilascio.

Un uomo ci ha spiegato che che alle nove di sera del 27 ottobre si trovava vicino a una galleria sulla A8, sulle montagne sopra Mentone. Era sul percorso che porta a Mentone e si è avvicinato ad una proprietà privata. Il momento dopo ha sentito qualcuno gridare “Stop”. Si è voltato ed ha iniziato a correre verso l’Italia. Durante la fuga ha sentito esplodere un colpo di pistola. E’ riuscito a tornare in Italia senza essere arrestato. Prima che accadesse tutto questo aveva visto un gruppo di cinque persone che cercavano anch’esse di attraversare il confine a piedi. Il gruppo è stato arrestato sulle montagne dai militari francese e ci ha incontrati il giorno dopo, confermando di aver sentito degli spari alle nove della sera prima.

Due persone hanno riferito di essere state picchiate dalla polizia francese dopo essere stati arrestati nella toilette del treno.

Un uomo ha detto di essere stato picchiato da cinque poliziotti francesi sul binario 1 della stazione di Menton Garavan alle 18.12 del 31 Ottobre quando è stato arrestato. Ricordava chi fossero gli aggressori ma dal momento che durante l’attacco si è protetto il capo con le mani non ha potuto darci altri dettagli.

A una persona che era detenuta nel container sono stati chiesti i documenti attraverso la porta dalla polizia francese. L’uomo ha passato i documenti attraverso la porta socchiusa e in quel momento il poliziotto l’ha sbattuta sulla mano dell’uomo. L’uomo ha riportato una ferita grave.

Un attivista per i diritti umani in Marocco è stato arrestato dalla polizia francese e detenuto nei container. Durante la detenzione ha registrato un video con il suo telefono cellulare. In questo video, ora in nostro possesso, sono registrate diverse violazioni dei diritti umani e comportamenti discutibili della polizia francese. L’uomo ha chiesto ai poliziotti francesi di presentare domanda di asilo politico, come risposta lo hanno preso in giro. Nel video si vede una persona incosciente sul pavimento. Questo è accaduto dopo che la polizia ha usato contro le persone detenute lo spray al peperoncino. Nel video si vede anche un uomo che chiede cibo alla polizia francese e si sente la polizia rispondere che non ce n’è. Il video mostra chiaramente anche la pessima condizione igienica all’interno dei container, si vede lo scarico della toilette che perde sul pavimento. L’attivista per i diritti umani ci ha detto che lui ed il suo amico hanno dovuto firmare il loro rifiuto d’ingresso prima che questo fosse compilato con i loro dati dalla polizie. Ha anche riferito che in questo giorno (29/10) la polizia è entrata nel container all’una di pomeriggio e ha usato lo spray al peperoncino su molte persone. In un altro video registrato da lui si vede un uomo incosciente che viene portato fuori dalla polizia e da alcune persone detenute in quel momento.

A due persone è stata negata assistenza medica dalla polizia francese nonostante avessero con sé documentazione medica ufficiale e l’avessero mostrata alla polizia.

Il primo caso riguarda una persona con una patologia polmonare, confermata da un medico tedesco di Colonia. La persona in questione ha chiesto medicine e acqua alla polizia francese. Sono state negate entrambe.

Il secondo caso riguarda una persone con problemi dentali confermati da un medico spagnolo . La richiesta di cure mediche fatte da questa persona sono state anch’esse negate.

In un’altra situazione un poliziotto francese ha picchiato un uomo del Mali. L’uomo ci ha raccontato che lo stesso poliziotto gli ha rubato il bankomat un momento dopo.

Una persona ci ha detto che la polizia francese gli ha sottratto il suo permesso scaduto.

Sappiamo di 10 persone detenute tra le 12 e le 23 ore dalla polizia francese. Possiamo presumere che il numero di casi sia molto più alto dal momento che ci sono persone che vengono detenute per tutta la notte ogni notte ed alcune di loro non sono le prime ad essere rilasciate e spesso neanche le ultime.

Kesha Niya Kitchen

– CUCINANDO CON E PER I RIFUGIATI –

www.keshaniya.org 

https://www.facebook.com/KeshaNiyaProject/

Il collettivo Kesha Niya è impegnato a Ventimiglia nella preparazione e distribuzione serale di pasti dalla primavera del 2017. Dall’estate del 2018 porta cibo e bibite calde sul lato italiano della frontiera di Ponte S.Luigi, dove le persone migranti respinte dalla Francia transitano per rientrare a Ventimiglia.

 

Accoglienza Svizzera: bunker militari e deportazioni. Intervista a R-esistiamo

Nell’articolo che segue, presentiamo un’intervista al collettivo R-esistiamo, attivo da un paio di anni nella lotta contro le politiche migratorie svizzere e, in particolare, contro la reclusione delle persone cosiddette migranti all’interno dell’ex bunker militare di Camorino. Parliamo quindi della frontiera tra Svizzera e Italia, e delle dinamiche repressive operate dal paese elvetico contro chi cerca di raggiungere l’Europa svalicando dai confini italiani a nord, anziché dall’estremo ponente ligure. Eppure parliamo sempre delle stesse politiche discriminatorie ed escludenti, che condannano le persone provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente a progetti esistenziali precari e spezzati, sospesi nel vuoto dei continui dinieghi, della privazione di dignità e libertà, intrappolandole negli infiniti “giochi dell’oca” disseminati di pericoli, minacce, violenze, ricatti e non-sensi.
Che sia la frontiera all’altezza di Ventimiglia, Mentone e Val Roya; che sia quella più a nord, da Bardonecchia, Claviere e Oulx; o quella ancora più in su, che attraversa le città di Como e Chiasso, il progetto della Fortezza Europa non cambia. Non cambiano gli effetti che gli ingranaggi di controllo e gestione delle persone in viaggio hanno sulle vite di migliaia di esseri umani. A Ventimiglia è comune incontrare persone che abbiano tentato già altrove di raggiungere la propria meta, prima di finire rinchiuse e gasate nei container a Mentone. Sono comuni le storie di respingimenti dalla Svizzera, soprattutto per chi proveniva dalle frontiere est della rotta balcanica: queste storie raccontano sempre degli stessi dispositivi, degli stessi attori e degli stessi abusi. Che si parli di Francia, Germania, Svizzera o Italia, più che le insignificanti differenze tra i meccanismi punitivi, sono gli elementi ricorrenti ad essere rivelatori della logica del dominio delle frontiere: la retorica della sicurezza, il lucroso business dei respingimenti e la corsa all’armamento dei confini. I responsabili sono i vari governi ed i loro esecutori: polizie, eserciti, Croce Rossa, agenzie di security e ditte private che vincono appalti milionari per gestire le gabbie dei reclusi e delle recluse.
Ringraziamo il collettivo R-esistiamo per aver condiviso la loro esperienza di lotta.

 

L’intervista

Cominciamo dalla cornice generale: in quale situazione si trovano le persone migranti in Canton Ticino? Com’è organizzata, a livello federale e cantonale, la politica migratoria della Svizzera?

Partiamo dal presupposto che, in Svizzera, è piuttosto difficile avere accesso a informazioni puntuali e veritiere circa decisioni e leggi riguardanti le politiche migratorie. Non si trovano documenti scritti ufficiali e si parla il meno possibile di migranti e frontiere. Per le istituzioni, l’obiettivo è mantenere la quiete sociale e insabbiare ogni testimonianza e notizia di abusi e ingiustizie. Per il governo federale, l’unico aspetto importante è non concedere affatto permessi alle persone, concentrandosi completamente su respingimenti e rimpatri.

Il Collettivo R-esistiamo è nato nella primavera del 2018: il nostro obiettivo è anzitutto rompere questo isolamento informativo, far circolare la verità sui fatti e sui maltrattamenti a cui sono sottoposte le persone, e chiedere la chiusura dei bunker militari in cui vengono messe per mesi e, talvolta, per anni. Le informazioni che riusciamo a raccogliere sono frutto della conoscenza diretta con loro, nonostante l’incontro e la comunicazione tra i e le migranti e persone attiviste e solidali sia scoraggiato in ogni modo dalle istituzioni. In questo senso, anche l’uso dei bunker è strategico: luoghi isolati, sotto terra, il cui accesso è vietato ai civili.

La politica migratoria, in Svizzera, è infatti una macchina ben organizzata, il cui unico scopo è non ammettere per nulla le persone e non dare la possibilità di ottenere permessi sul territorio. È inaccettabile l’ostinazione con la quale i vari responsabili dei percorsi per la richiesta d’asilo e per l’accoglienza, la Segreteria di Stato della Migrazione (SEM), i Cantoni, la Croce Rossa Svizzera, la ORS2 (ditta privata che si occupa della logistica nei centri per migranti, ndr) non riconoscano l’umanità e l’individualità di ciascuna Persona. Non vengono mai presi in considerazione i loro bisogni, la volontà, le competenze, e vengono invece viste solo come un peso, un problema da espellere il più velocemente possibile.

Da sempre, a tutela del proprio sistema economico, la Svizzera porta avanti una politica di selezione differenziale tra chi può restare per contribuire all’incremento delle ricchezze, e chi viene spinto a lasciare il paese o addirittura viene espulso coattamente. Questo vale sia per gli immigrati di ieri, come spagnoli, italiani, portoghesi, e tanto più per le nuove immigrazioni dall’Africa e dal Medio Oriente. Eppure, a livello di opinione pubblica mondiale, si sente parlare di “Svizzera umanitaria”, basti pensare alla retorica sulla nascita della Croce Rossa proprio in questo paese.

Nell’ultimo anno, è partito un progetto di costruzione di sette centri federali per la raccolta e l’identificazione delle persone migranti. Nonostante sia in ancora in fase di rodaggio e potrebbe volerci ancora qualche tempo, l’idea è quella di accentrare il controllo delle persone in questi luoghi, per poi smistarle nei vari centri cantonali, metterle nei bunker, o, ancora, per respingerle nei primi paesi d’ingresso (soprattutto l’Italia) o direttamente destinarle a un volo di rimpatrio. È stato anche proposto di organizzare delle scuole differenziali per i figli delle persone che si trovano stoccate nei centri federali: si vuole negare l’inserimento nei percorsi scolastici svizzeri a bambini e bambine le cui famiglie vengono spinte con forza a lasciare il paese e vengono, spesso, infine rimpatriate coattivamente.

In Canton Ticino, al momento, abbiamo tre centri federali: Stabio (distretto di Mendrisio), Biasca e Chiasso, che probabilmente saranno però sostituiti da un unico centro federale dei sette in costruzione su tutto il territorio elvetico. A Rancate, sempre nel Ticino, è stato allestito un centro respingimenti, dove le persone passano la notte in attesa che, il mattino successivo, riapra la dogana italiana1  e possa completarsi il respingimento. Il costo per mantenere il centro si aggira sui 670.000 franchi all’anno: a quante persone si potrebbe offrire una chance di vita dignitosa, se questi soldi fossero usati diversamente? Ci sono inoltre, ancora operativi, i centri a gestione cantonale: Paradiso, Cadro, Castione e Camorino

Veniamo quindi allo specifico del’impegno del collettivo R-esistiamo: la lotta per la chiusura del bunker di Camorino. Che cos’è questa struttura? Come viene utilizzata?

Durante la Guerra Fredda, per paura di un possibile attacco atomico, vennero costruiti dei bunker a scopo militare e di protezione civile. Rimasti inutilizzati, salvo che per alcune esercitazioni militari, questi luoghi sono stati “presi in prestito” negli ultimi anni dalla SEM, la Segreteria di Stato della Migrazione, che ha pensato di destinarli alla gestione delle persone migranti. Il bunker di Camorino (Bellinzona), che è aperto dal 2014, si trova fuori dal centro abitato, in un luogo isolato tra l’ingresso autostradale e la centrale di polizia. Per la gente costretta a vivere lì è impossibile allontanarsi, non avendo un abbonamento ai trasporti né soldi sufficienti a comprare un biglietto.

I locali in cemento armato sono sottoterra e privi di un’adeguata areazione, gelidi d’inverno e oltre i trenta gradi d’estate; l’acqua dai rubinetti esce sporca, durante la scorsa estate ci sono state gravi infestazioni da cimici nei materassi, non vi sono spazi adeguati nè possibilità di privacy. Da agosto 2019, per il cibo, che in passato era comunque insufficiente e di scarsa qualità, i vestiti, scarpe, le necessità personali di qualsiasi genere, le persone ricevono 10 franchi svizzeri al giorno, denaro insufficiente per coprire tutti i propri bisogni, visto il costo molto alto della vita nel paese. Il coprifuoco serale, l’obbligo di pernottamento, le perquisizioni, i ricatti e il controllo costante della polizia cantonale unito alle ronde della Securitas (ditta privata di vigilanza) rendono il luogo paragonabile a una prigione più che a un centro di accoglienza.

Per chi si trova nel centro, gestito prima dalla dalla Croce Rossa, che ha rinunciato dopo lo sciopero di luglio, e attualmente dal Dipartimento Sanità e Socialità del Cantone, viene ostacolato l’accesso alle cure mediche (salvo iperdosaggi di antidolorifici e psicofarmaci) e alla tutela legale; non vi è alcun programma di attività, corsi di lingua o percorsi di inserimento: decine di persone, semplicemente, sono costrette a restare lì mesi, aspettando il proprio turno di rimpatrio, quando la polizia viene a prenderli in piena notte per caricarli su un aereo.

Non si vuole riconoscere di chi sia la responsabilità di questo posto e di quello che vi accade: se si chiede al Cantone, dicono che la responsabilità è della SEM e quindi federale. Se chiedi alla SEM, rispondono che il referente è il Cantone, in un gioco di rimpalli dove non esiste nessun tipo di trasparenza rispetto alla struttura.

ingresso del Bunker a Camorino (fonte immagine).

 

Il bunker è, a tutti gli effetti, l’ultima spiaggia delle persone indesiderate, quelle per le quali non c’è altra via di uscita né alcuna volontà del governo di concedere dei permessi. È un posto talmente malsano e abbrutente che la minaccia di un trasferimento a Camorino viene utilizzata come avvertimento per coloro che fanno problemi negli altri centri, e per scoraggiare qualsiasi protesta o rivendicazione di istanze.

Alcune delle persone che sono a Camorino non possono nemmeno essere espulse, sebbene il governo non abbia in ogni caso intenzione di rilasciare loro un documento: si tratta, per esempio, di uomini con lo status di apolidi, oppure il cui paese che sarebbe meta del rimpatrio non ne riconosce l’identità. È il caso di un uomo che si identifica come tibetano e a cui la Cina rifiuta la possibilità di rimpatrio. O, ancora, sono persone il cui paese di provenienza non ha firmato accordi di rimpatrio con la Svizzera, come l’Algeria, che accetta solamente rimpatri volontari. La maggior parte della gente rinchiusa a Camorino si trova in un limbo, senza possibilità di sbloccare la propria condizione. Tra l’altro, il sistema di rilascio dei permessi è assai controverso: non ci sono leggi precise in proposito alla valutazione dello status dei richiedenti asilo. Non esiste nemmeno una lista ufficiale di paesi d’origine considerati “sicuri”, così che la decisione spetta di volta in volta all’arbitrio della Segreteria di Stato della Migrazione.

Una parte delle politiche viene decisa a livello federale a Berna, ma una parte delle decisioni è presa a livello cantonale: la situazione è così nebulosa, che è molto difficile anche per gli stessi avvocati capire come agire. A pagine e pagine di ricorsi, spesso, viene semplicemente risposto un “non entriamo nel merito della questione del ricorso”: un no e basta insomma, senza ulteriori spiegazioni.

Come siete riusciti, visto il contesto ostile, ad entrare in contatto con le persone nel bunker? Com’è adesso la situazione a Camorino e quante persone vi sono rinchiuse?

Momenti di protesta al bunker di Camorino (fonte immagine)

L’incontro è cominciato nella primavera del 2018, grazie ad una prima conoscenza avviata con alcune di queste persone, che banalmente provavano a seguire un percorso di inserimento nel tessuto sociale, per esempio durante partite di calcio in cui partecipavano anche dei solidali (in seguito la Croce Rossa ha smesso di accompagnarle per sport e visite mediche, sostenendo di non avere personale sufficiente). Dai primi racconti sulle difficoltà che vivevano, è nata la voglia di conoscersi meglio, di capire che cosa stava succedendo e cosa fossero questi bunker in cui veniva messa la gente. Sono troppe le persone che aspettano in Svizzera come fantasmi, senza diritti e senza speranze di ottene davvero un regolare permesso, depositate nei centri per anni e infine espulse.

La nostra linea d’azione è quindi diventata la volontà di rompere l’isolamento, di informarci e di informare. Di costruire delle relazioni che possano portare un po’ di sollievo: parlare con qualcuno che ti considera una persona, e che prova a darti una mano per quanto possibile.

Abbiamo organizzato delle “merende” fuori dal bunker di Camorino, costruendo dei momenti e degli spazi per incontrare e conoscere chi stava lì dentro. L’intenzione dei presidi era anzitutto quella di far sentire meno sole le persone, raccogliere i loro racconti e le testimonianze di quello che subiscono. Ma, appena qualcuno si dimostrava interessato e partecipava, il giorno dopo veniva spostato lontanissimo, facendoci perdere il contatto reciproco.

Ovviamente per le istituzioni il punto è ostacolare la creazione di relazioni e spaccare i legami che nascono. Alle persone solidali sono state fatte pressioni sul posto di lavoro da parte delle autorità, diffondendo informazioni e articoli diffamanti. Per chi invece sta nel bunker, la strategia è quella di esercitare continuamente pressioni psicologiche e minacce. Alcuni funzionari cantonali, in visita a Camorino, avrebbero detto agli uomini che si trovano lì che è meglio se stanno zitti, che se stanno buoni prima o poi le cose cambiano, e che è meglio che non diano ascolto a noi e che non si uniscano ai momenti di manifestazione e ai presìdi.

Le persone, nel tempo, hanno comunque capito che gli vengono date solo false illusioni: anche se la loro situazione è sempre difficile, talvolta scoppiano delle proteste.

Quest’estate, il 2 luglio, i circa trenta uomini che stavano a Camorino hanno fatto uno sciopero della fame, per protestare contro la terribile situazione in cui vivono e perché, con la motivazione di dover areare le stanze, la direzione del bunker li obbligava ad uscire dai locali il mattino e a non potervi far ritorno fino alla sera. Questo senza soldi per potersi spostare, senza nulla da fare, senza un riparo dalla canicola estiva, con un panino e una bottiglietta d’acqua per tutto il giorno. La reazione immediata è stata quella di silenziare la protesta: nel giro di 24 ore, coloro che avevano un permesso anche solo provvisorio sono stati spostati. Sostenendo tra l’altro che i trasferimenti fossero già decisi da tempo e che la protesta non c’entrasse nulla.

A nessuno dei responsabili del bunker, dalla SEM, alla polizia, alla Croce Rossa, conviene che si parli della situazione a Camorino, quindi ogni voce di dissenso deve prontamente essere scoraggiata. Per tenere buone le persone si fa vedere che vengono concessi piccoli miglioramenti, o si promettono vantaggi in futuro (che poi vengono comunque disattesi) per i migranti che si comportano “bene”, seguendo la strategia di dividere le persone tra buone e cattive, con lo scopo di sedare gli animi e fiaccare le resistenze.

Dopo le proteste, nel bunker di Camorino sono rimaste al momento una decina di persone, prive di qualsiasi permesso e in attesa di espulsione o di finire in prigione.

Molti di loro, infatti, hanno già subito anche periodi di detenzione amministrativa (che prevede fino a 18 mesi di reclusione), con la sola accusa di non possedere documenti “utili”. Principalmente gli arrestati vengono messi nel carcere di Realta, nel Canton Grigioni, dove un intero piano del carcere è dedicato proprio ai sans papiers, che hanno minori diritti dei detenuti comuni. Un ragazzo ci ha raccontato che per un mese di fila non gli è stato concesso di uscire dalla sua cella, e, per questo motivo, ha cominciato a praticare gesti di autolesionismo. Adesso è tornato proprio a Camorino e sta peggio che mai. Un’altra ragione per essere imprigionati è se il governo federale pensa che tu possa allontanarti prima dell’esecuzione di espulsione: un uomo si è recato a trovare il fratello in un cantone della Svizzera interna, pur non avendo un permesso per spostarsi, è finito in un controllo di polizia (che si basano sempre sul racial profiling, visto che vengono fermate le persone in base al colore della carnagione) e, solo per questo, è stato imprigionato.

Alla luce di questo stato di cose, quali sono le richieste e gli obiettivi di lotta che portate avanti come collettivo R-esistiamo?

Quello che chiediamo è che luoghi come questo, e in particolare il bunker di Camorino, vengano definitivamente chiusi.

Siamo consapevoli che, quando cala l’attenzione, ricominciano invece a portare lì le persone. Vogliamo che il bunker venga chiuso e che venga data una possibilità di vita a queste persone, condannate ad un’esistenza sotto terra senza nessuna prospettiva.

Nel 2014 uscì un rapporto ufficiale della Commissione Federale Contro la Tortura, in cui si affermava che le persone non possono essere tenute nei bunker per oltre tre settimane, per ragioni igienico sanitarie. Nonostante non sia cambiata la loro situazione, nel report del 2018 della stessa Commissione non si fa più nessuna menzione a questo ammonimento, e nessun ente ufficiale federale si è più espresso in merito al fatto che, alcune persone, siano sottoterra da anni.

Da Marzo 2019 è entrata in vigore una nuova legge sulla migrazione, che avrebbe dovuto evitare alle persone di rimanere in attesa per anni, e velocizzare l’iter di valutazione delle richieste di asilo. Dopo pochi mesi, vediamo già come questa legge non funzioni affatto: la gente non riceve mai assistenza legale, la polizia cambia a proprio piacimento, sui moduli, dati, età e provenienza delle persone, per metterle nella condizione di poter essere espulse o respinte.

Nonostante le immense risorse di uno dei paesi più ricchi del mondo, che potrebbe con estrema facilità assorbire il numero esiguo di persone che arrivano in Svizzera, a prevalere sono in ogni caso gli interessi economici, che preferiscono nutrirsi del fruttuoso business legato alla repressione, alla militarizzazione delle frontiere, alle deportazioni e allo sfruttamento della manodopera in nero delle persone senza documenti giusti.

Sappiamo che sarà molto difficile farsi ascoltare e che abbiamo a che fare con il muro di gomma delle istituzioni, ma non si può proprio mollare.


Sembra che nel 2020 il centro di Rancate verrà chiuso: gli arrivi in Svizzera nell’ultimo anno, a fronte di un’ingente spesa di mantenimento della struttura, sono andati diminuendo in maniera consistente. La proposta del consigliere leghista Norman Gobbi, tuttavia, non è di eliminare un punto di riferimento per i respingimenti, ma semplicemente quella di spostarlo a Stabio o a Chiasso, sul confine con l’Italia, dove alcuni magazzini delle ferrovie FFS sarebbero già stati allestiti da tempo come dormitori, senza tuttavia mai essere utilizzati.
La ORS Service AG è una società privata svizzera che gestisce alloggi per l’asilo per conto del governo federale, ed è uno dei maggiori attori in questo campo. In seguito alla diminuzione degli arrivi in Svizzera, la società è entrata in una fase di crisi che l’ha portato a cercare di espandere il proprio mercato nei paesi sul Mediterraneo, in primis l’Italia. Nel luglio 2018 è stata fondata quindi a Roma la nuova filiale ORS Italia S.r.l., che mira ad aggiudicarsi la cospicua fetta di investimenti piovuti sul settore degli hotspot e dei centri di detenzione e rimpatrio, grazie ai decreti legge Salvini e all’imminente apertura dei nuovi CPR, come il Corelli di Milano.

 

Esterno bunker di Camorino (fonte immagine)

Agosto in frontiera: report sulle violenze della polizia francese

Pubblichiamo l’ultimo resoconto estivo del collettivo Kesha Niya sugli episodi di violenza e abuso di potere commessi dalla polizia francese alla frontiera tra Ventimiglia e Mentone. Dopo i report e le testimonianze pubblicate a maggiogiugno e luglio, anche ad agosto non si sono visti miglioramenti rispetto all’esercizio arbitrario di ferocia gratuita che le guardie di frontiera infliggono alle persone non desiderate sul suolo francese. Anzi, a seguito di un modesto incremento, nell’ultimo mese, del numero di persone che prova a raggiungere il nord Europa (400 sono quelle respinte in Italia solo nella prima settimana di settembre, secondo i dati rilevati da associazioni e ong), il trattamento riservato alle persone non europee è diventato ancora più brutale: quotidiane sono le testimonianze di calci e pugni ricevuti dalla gente, di uso di gas e spray urticanti, di retate aggressive contro uomini, donne e minori, di insulti, bugie, minacce, furti e privazioni.

Le persone incassano, ma non si rassegnano: sempre più spesso decidono di raccontare, per poi tentare ancora di superare questo maledetto confine.

Il collettivo Kesha Niya mantiene quotidianamente un presidio per le “colazioni” al confine, nonostante i controlli e le continue pressioni da parte delle autorità nostrane affinché vadano via anche loro, testimoni scomodi di quello che avviene negli uffici di frontiera, lontano dagli occhi della città. 

(Qui la versione integrale in inglese)

Nel mese di agosto circa 1072 persone sono passate dal presidio solidale in frontiera, dopo la detenzione nei containers della polizia francese e la successiva riammissione in Italia. Due sono i pullman di Riviera Trasporti partiti alla volta di Taranto: le deportazioni avvengono ora con cadenza bisettimanale.
Sono di nuovo in aumento le persone appena arrivate in Italia, dagli sbarchi attraverso il mediterraneo, o, per la maggioranza, arrivate a piedi lungo la rotta balcanica. A causa di questi lunghi viaggi molte persone riportano ferite e gravi infezioni alle gambe.
Un elemento molto preoccupante, testimoniato dai racconti di diverse persone catturate, è la prosecuzione di azioni illecite e vessatorie da parte della polizia francese: telefoni cellulari e documenti sottratti arbitrariamente e non restituiti (di fatto, rubati), reiterate falsificazioni dei dati anagrafici delle persone respinte, retate violente sui treni diretti in Francia, con assalti fisici alle persone che oppongono resistenza e che, più volte, sono state costrette ad abbandonare i propri bagagli (con dentro tutti i soldi, i documenti e gli averi personali) sul treno che ripartiva.

Vediamo, nel dettaglio, i casi di abusi e torture fisiche e psicologiche che le persone catturate nel tentativo di attraversare la frontiera sono state costrette a subire.

 

ATTENZIONE! A SEGUIRE, I RACCONTI CHE CI SONO STATI RIFERITI SULLA VIOLENZA DELLA POLIZIA!

2019/03/08:

– 2 algerini erano sul treno e hanno incontrato un francese amichevole che parlava con loro e che voleva dare un aiuto. A Menton Garavan sono stati tutti fatti scendere dal treno e il ragazzo francese è stato afferrato e stretto alla gola dalla polizia francese, prima che lo lasciassero libero di andare.

– Un giovane tunisino è stato picchiato e respinto illegalmente [in Italia], abbiamo inviato la sua storia a un avvocato, così che possano sporgere denuncia.

M. è in Francia da 20 giorni, ha lasciato l’Italia perché è stato costretto a farlo, dopo una pena detentiva. Stava camminando al mercato di Nizza con un amico quando è stato fermato dalla polizia locale per un controllo di documenti e hashish. L’amico di M . aveva i documenti, e si è potuto allontanare liberamente. M. non aveva droghe con sé ma nemmeno i documenti, quindi è stato portato alla stazione di polizia. Lì ha dovuto dare le sue generalità e spogliarsi completamente in modo che potessero controllare se avesse droghe. Quindi è stato messo in cella per 2 ore.

Il poliziotto è tornato e ha detto a M. che sarebbe stato riportato in Italia. M. si è rifiutato, ha domandato le motivazioni, ha alzato la voce e chiesto di parlare con un avvocato. Il poliziotto lo ha ignorato e gli ha solo detto che lì era ricercato. M. è stato quindi ammanettato e spinto in una macchina. È stato portato agli uffici della PAF con i lampeggianti blu accesi.

Poiché M. non beveva nulla dalla mattina, diverse volte ha domandato dell’acqua, ma gli è solo stato risposto di aspettare. Una volta alla PAF è stato portato in ufficio e ha nuovamente domandato dell’acqua. Il poliziotto gli ha chiesto di guardarlo negli occhi. M. non ha obbedito e ha rivolto a terra lo sguardo. Il poliziotto l’ha colpito con un pungo molto forte sotto al mento per farlo guardare su. M. è stato preso a calci e pugni più volte alla schiena e alla nuca. È caduto a terra mentre ancora era ammanettato e sputava sangue sul pavimento. Una poliziotta gli ha calpestato la gamba destra e gli ha ordinato di guardarla in faccia. M. è stato lasciato lì, sdraiato a terra per 15 – 20 minuti finché non si è sentito meglio e ha aperto di nuovo gli occhi. È stato respinto in Italia.

Quando lo abbiamo incontrato aveva una piccola ferita sul labbro, segni rossi delle manette sui polsi e dolore al cranio, dietro l’orecchio sinistro e sulla schiena.

Il suo ‘refus d’entree’ diceva che era stato catturato su un pullman proveniente dall’Italia. Non era ricercato in Italia, la polizia italiana lo ha identificato con le impronte digitali e gli ha solo dato il normale invito ad andare in questura [per “regolarizzare la sua posizione in Italia”].

2019/11/08:

Un uomo si è sentito male nei container. Ha vomitato e ha chiesto alla polizia di aiutarlo. L’unica risposta che ha ottenuto sono stati 2 pugni in faccia.

19/08/2019:

Un ragazzo ha cercato di recarsi a Parigi per fare il suo passaporto perché la sua ambasciata, in Italia, ha rifiutato di rilasciarglielo e perché lo stato italiano non ha mai risposto alla sua richiesta di permesso di viaggio, che aveva presentato 6 mesi fa. Ha spiegato questo alla polizia francese e ha mostrato il suo certificato di nascita e il certificato di nazionalità che gli servono per andare all’ambasciata. La polizia ha preso i documenti e ha detto che avrebbero inviato loro stessi i documenti all’ambasciata in Francia. Il ragazzo ha rifiutato e ha detto che non se ne voleva andare senza i suoi documenti. La polizia gli ha restituito i documenti e [gli ha spruzzato] spray al peperoncino su tutta la faccia.

23/08/2019:

Un gruppo di 8 persone era nascosto nei servizi igienici del treno. La polizia ha usato spray al peperoncino per farli uscire.

– in questo gruppo un giovane ha detto alla polizia che non sono autorizzati a trattare le persone in questo modo. È stato ammanettato e spinto a terra. Il suo telefono è stato rubato.

– nello stesso gruppo c’era una donna incinta di 3 mesi. Dopo lo spray al peperoncino non riusciva più a respirare, aveva molto dolore al grembo e ha iniziato ad avere contrazioni. È stata portata in ospedale a Nizza.

Abbiamo incontrato suo marito che era davvero preoccupato e non aveva modo di contattarla perché tutte le sue cose, incluso il telefono, erano con lui. Abbiamo raggiunto l’ospedale, che ha accettato di trasmetterle il numero di suo marito e ci ha anche detto che non sarebbe stata riportata alla polizia. Più tardi abbiamo avuto l’informazione che non le avevano mai dato il numero e che avevano chiamato la polizia affinché la riprendessero al termine degli esami. L’abbiamo incontrata nel pomeriggio.

24/08/2019:

La polizia si è presa gioco di un ragazzo, gli ha scattato diverse volte delle fotografie e lo ha gasato nei containers.

25/08/2019:

– A molte persone viene spruzzato spray al peperoncino mentre si trovano sul treno o dentro ai container.

– un uomo è stato colpito in faccia e gasato su tutto il corpo.

– Altri 2 sono stati colpiti al ventre, sono stati ammanettati molto stretti e colpiti alla testa. Uno di loro perdeva sangue dal naso.

– un uomo è stato spruzzato con spray al peperoncino sul treno e davanti ai container. È stato picchiato con i manganelli e preso a calci con gli stivali, così forte che sanguinava molto e ha perso conoscenza. La polizia lo ha poi trascinato a terra fin dentro ai container. Le persone all’interno hanno iniziato a urlare quando lo hanno visto e quando la polizia lo ha riportato fuori trascinandolo di nuovo sul pavimento. È stato portato all’ospedale di Mentone.

Non abbiamo incontrato questa persona, abbiamo ricevuto questo resoconto dei fatti da un suo amico, che è stato anche lui picchiato e arrestato sullo stesso treno. Questa versione è stata confermata da diverse persone che hanno visto la scena.

Abbiamo chiamato l’ospedale per avere sue notizie, ma a quel punto era già stato restituito alla polizia. Non l’abbiamo mai incontrato, nè il giorno in cui questo è successo e nemmeno il giorno seguente. Deve essere stato respinto [in Italia] per qualche altra via.

29/08/2019:

Un uomo è stato arrestato mentre saliva su un treno in Francia, dopo aver attraversato il confine in altro modo. Sul suo ‘refus d’entrée’ è stato scritto che è stato arrestato mentre camminava sull’autostrada. La polizia ha preso il telefono per controllare il suo profilo Facebook e gli ha detto che stava mentendo sulla sua età (anche se questo non era importante, perché comunque non si trattava di un minore) e per tre volte è stato preso a schiaffi. È stato accusato di aver rilasciato false dichiarazioni.

 

La situazione al confine è nuovamente peggiorata e questo ci ha dato molte volte motivo di preoccuparci. Ci addolora e ci fa rabbia il fatto che la polizia possa liberamente abusare del proprio potere in questo modo. Nessuno dovrebbe mai affrontare questo trattamento e trovarsi in una tale situazione. Vogliamo diffondere le informazioni per mostrare alle persone il vero volto dei confini.

Vi invitiamo a condividere e parlare di ciò che sta accadendo per creare consapevolezza.

Innesca il cambiamento e continua a combattere le autorità!

Un’estate al male

Riceviamo e pubblichiamo il seguente contributo, che racconta gli eventi di una normale giornata d’agosto: una violenta routine diventata la prassi dell’estate in frontiera.

 

UN’ESTATE AL MALE

una mattinata in frontiera
(Ventimiglia, 9 agosto 2019)

“Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma le persone per le quali non c’è più differenza tra realtà e finzione, tra il vero e il falso.”
[Hannah Arendt, La banalità del male]

 

Questo scritto è frutto di tre sguardi che hanno esperienze e conoscenze differenti rispetto alla frontiera fra Ventimiglia e Mentone. Per qualcuna è luogo quotidiano di presenza e resistenza, qualcun’altra ha potuto attraversare più volte a distanza di tempo gli spazi segnati dal dispositivo di controllo del confine, per qualcuna altra ancora questo è stato invece il primo incontro diretto con la frontiera alta di ponte S.Luigi e con il meccanismo di respingimento delle persone indesiderate dalla Francia.

Il pullman che ci porta in frontiera è dell’RT (Compagnia Riviera Trasporti) la stessa che portava le persone negli aereoporti per essere deportate, e che continua a portarle negli hotspot del Meridione. Ma questa è una piccola navetta carica di “onestx cittadinx” che sale nella ridente località di Grimaldi, ultimo paesino prima della frontiera alta, a cui siamo dirette.

Neanche il tempo di attraversare il lato francese che veniamo fermate per un “ordinario controllo di documenti”. Probabilmente ci stavamo guardando intorno in modo stra-ordinario.
Ci ritroviamo nell’ufficio di polizia della P.A.F.(Police Aux Frontiéres), vediamo il desk dove ci sono un sacco di guardie, da quella minacciosa, all’ultimo arrivato, passando per l’umorista, il poliglotta,il graduato ecc. Un clima da gita, grandi battute, saluti e scherzi. Dietro di loro una lavagna sulla quale sono scritte tre categorie: internatx, uscitx e trattenutx. Le persone in questa tabella sono numeri fluttuanti, cancellati e aggiornati continuamente man mano che le persone vengono respinte al confine italiano, lasciando il posto a quelle che nel frattempo vengono trattenute quotidianamente nelle retate sui treni. Ad un certo punto arriva uno sbirro che ci dà un caloroso Bonjour. Si risente del fatto che non rispondiamo al saluto. Ci dice di sorridere, mostrare i denti. Ci dicono di sorridere perchè siamo carine, noi non veniamo gasate con gli spray, non ci sequestrano e rompono i cellulari, non ci rubano i documenti nè ci tagliano le suole delle scarpe. Solo una molestia da bar, niente di diverso da quello a cui anche compagni di scuola, autobus e squat ci hanno abituate a reagire. Nulla in confronto alle molestie e violenze che chi detiene l’autorità e tutela l'”ordine” mette in atto continuamente con chi viaggia o comunque con qualsiasi persona abbia la possibilità di soverchiare. Dopo le 10 arriva un’operatrice di un’O.N.G. che si porta via quelli che sembrano dei minori, gli unici che riusciranno a restare sul suolo francese. Finalmente ci ridanno i documenti e, mentre rilasciano noi, cominciano a cacciare le persone recluse, i numeri sulla lavagna vengono cambiati e gli internati scendono da 24 a 19: gli sbirri cambiano modo di fare, indossano guanti di pelle e aria da duri.

Tornando verso la dogana italiana incontriamo una persona, ci dice che nel carcere di Solicciano ha conosciuto un amico, ci dice ridendo che i nostri compas hanno fatto un macello lì. Si ricorda il rumore, le grida, i saluti sotto quella galera. Giusto il tempo di una sigaretta, poi lo lasciamo tristemente alle ore che dovrà passare coi doganieri italiani.
Poco oltre al confine c’è una postazione con un po’ di ombra, cibo, acqua e pannelli solari per caricare i telefoni tenuta da qualche solidale. Lì ci fermiamo per due chiacchiere. Qualcuno racconta che è in italia da pochi mesi ed è alla terza notte nei container, qualcuno ha il permesso regolare, ma in corso di rinnovo, ci può volere anche un anno e nel frattempo è in un limbo burocratico. Ci parlano di una donna con tre bambinx che ha passato la nottata nel container, di tre persone che hanno provato a non farsi sbattere fuori dal bagno del treno, sono state gasate con spray al peperoncino. Poco dopo le vediamo arrivare, sembrano in forze, pare che da queste parti non sia niente di speciale. Ci raccontano quello che da anni succede nei container: non gli viene spiegato quello che sta succedendo, non gli vengono dati cibo e acqua, il pavimento viene bagnato impedendo che occupino troppo spazio sedendosi o sdraiandosi, e questo per un periodo di tempo variabile, spesso la nottata intera, a volte anche di più.
Sappiamo che i soprusi non si limitano a questo, che non risparmiano l’uso di taser, calci, violenza fisica e psicologica.(2)

Per andarcene noi, con i nostri documenti comunitari, scendiamo di nuovo in Francia, andiamo alla stazione di Menton Garavan. Nel parcheggio, due camionette di C.R.S. (antisommossa francese) e un pullmino grigio per deportare chi viene presx. Arriva il treno da Ventimiglia. Salgono almeno in sei, palestrati, perlustrano i vagoni, e alla fine sbattono giù un uomo e una donna con due bambinx. Gli controllano i documenti nella sala d’aspetto della stazione, mentre uno sbirro troppo spiritoso mima ridacchiando ai colleghi la scena di aver stanato qualcunx con aria spaventata dal proprio nascondiglio.

Saliamo sul nostro treno, arriviamo a Ventimiglia. Sbirri ufficiali e sedicenti scandagliano la stazione: affianco alla pol.fer le pattuglie della Vigile-guardia privata di imperia, incaricata dalla SNCF (Société Nationalle de Chemins de fer Français) per controllare che non salga sui loro convogli chi non ha documenti validi per entrare in Francia. Andiamo via giusto in tempo per non assistere alla retata coordinata fra una squadra della mobile di Torino e agenti e digos del commissariato di Ventimiglia (1).

L’unico punto di vista che spiega i fatti della retata, che ha portato 15 persone a un fermo in commissariato, è il comunicato della P.S. ventimigliese, da loro girato alle varie testate online e ripubblicato tale e quale. Niente di insolito nel panorama mediatico, abituato a ricevere le veline dei commissariati talvolta addirittura in anticipo rispetto alle loro operazioni, come successo poche settimane fa in occasione del tentativo di far sloggiare il presidio che distribuisce colazioni in frontiera: quella volta la municipale arrivò mezz’ora dopo che il successo dello sgombero era già stato pubblicato dalla testata di Sanremonews. Questa volta non c’erano testimoni scomodx durante la retata e il vanaglorioso racconto dell’operazione è l’unica voce che ci arriva. “Le operazioni si sono protratte per tutta la giornata”: la polizia ferma gente per strada a mucchi in base a caratteristiche cromatiche, arresta, emette espulsioni, rincorre persone nel fiume.Tutto questo viene spacciato per “attività di vigilanza” per “tutelare le vittime”, ovvero le persone definite “in stato di vulnerabilità e bisogno”, tradite dagli stessi “compagni di viaggio”, come se il “viaggio” fosse una piacevole scampagnata e non un dispositivo a ostacoli in cui finire gasatx, picchiatx, perquisitx, detenutx per ore e rimbalzatx decine di volte dalla frontiera presidiata. Le risse per il prezzo dei passaggi in francia, gli accordi saltati con i trafficanti, la lotta per la sopravvivenza quotidiana tra fughe e rastrellamenti sono la diretta conseguenza dei continui controlli razziali di cui questa retata è, per, ora, l’ultimo inglorioso atto. Due fogli di via, otto espulsioni, aggravamenti di misure per violazione di divieto di dimora, denunce per invasione di terreno sono il collaudato repertorio per far sparire le persone sprovviste del giusto pezzo di carta.
Ma la verità è uno schifo troppo difficile da abbellire: la velina degli sbirri è infarcita di termini quali “caccia”, “mirino”, “retata”. La chiamano “prevenzione”, mentre si dedicano alla persecuzione.

 

PER UN MONDO SENZA GABBIE E FRONTIERE

 

(1) http://www.riviera24.it/2019/08/ventimiglia-aggressione-a-un-afgano-maxi-retata-della-polizia-sono-decine-le-persone-identificate-600341/

(2)https://parolesulconfine.com/la-violenza-della-polizia-francese-si-intensifica/

“Senza autorizzazione” – dalla frontiera di Ventimiglia

Traduciamo il comunicato con cui il collettivo Kesha Niya – che da quasi due anni opera sulla frontiera di Ventimiglia fornendo quotidianamente pasti e sostegno alle persone migranti che tentano di attraversarla – racconta i fatti dell’ultima settimana.

Le autorità, in particolare con l’interessamento del nuovo sindaco Scullino, hanno deciso di spostare ancora l’asticella della criminalizzazione della solidarietà alle persone in viaggio. Del tutto in linea, va detto, con le decisioni del governo centrale e con le azioni della precedente amministrazione comunale (tristemente nota per le ordinanze del sindacolo Ioculano di divieto di distribuzione del cibo in città alle persone migranti). Il presidio di accoglienza delle persone rilasciate dopo le detenzioni in frontiera è evidentemente diventato scomodo, probabilmente anche a seguito delle denunce della violenza della polizia di frontiera fatte sulla pagina dei Kesha e tradotte su questo blog. In maniera, a dire il vero abbastanza goffa e assai poco avveduta, le forze dell’ordine intervengono per sgomeberare un telone per proteggersi dal sole (posto sul ciglio della strada, su di un pezzo di terra di proprietà del demanio) e poche vettovaglie utili a fornire qualche genere di conforto a chi ha passato ore e ore recluso nei container della frontiera, molto spesso subendo abusi e violenze da parte della polizia di frontiera.

Il collettivo Kesha Niya, con le e i solidali rimasti sul territorio di Ventimiglia, come in questi due anni passati, intende resistere e continuare a fare quello che non solo è giusto ma non può essere vietato da nessuna legge e seppure lo fosse, continuerebbe ad essere giusto fare.

La resistenza è vita. Grazie Kesha Niya, grazie Carola Rackete, grazie a tutte e tutti, le e i resistenti che continuano a dimostrarlo con i fatti.

Martedì 25 giugno: municipale, polizia di stato e digos, con tre volanti e operatore della scientifica per le riprese, salgono al punto ristoro a poche centinaia di metri dalla frontiera, intimando alle persone solidali di allontanarsi

 

Segue traduzione del comunicato dei Kesha Niya.

 

Negli ultimi tre giorni, la polizia è venuta ogni giorno alla colazione a ridosso del confine per sgomberarci.
La prima mattina abbiamo ricevuto la visita di un uomo vestito di blu. Prima ci ha chiesto cosa stessimo facendo, per poi dirci che non possiamo distribuire cibo senza autorizzazione. Abbiamo provato a spiegare che la polizia era già venuta diverse volte e che non era mai stato un problema, a patto che avessimo portato via ogni cosa finita la distribuzione. Ma l’uomo in blu ha chiamato qualcuno e se n’è andato. Qualche minuto più tardi, è arrivata la polizia dicendo che non eravamo autorizzati ad essere lì, accusandoci di occupare lo spazio in maniera abusiva. Ci hanno detto di andarcene, altrimenti ci avrebbero portato in commissariato. Mentre, lentamente, impacchettavamo tutto, sono arrivati i carabinieri. Ci siamo seduti vicino alla macchina per fare qualche telefonata e avvisare di diffondere la notizia. Ma la polizia ci ha raggiunti, dicendoci che non potevamo stare neanche lì, perché era un’area adibita a parcheggio.

Lo stesso giorno è apparso un articolo sui giornali locali, nel quale si diceva che il sindaco era molto contento del lavoro della polizia e che avevamo installato una vera e propria cucina da campo. Ha aggiunto che con l’estate il problema degli attivisti che cercano di aiutare i migranti sarebbe riapparso.

Il giorno seguente, la polizia locale è venuta nel pomeriggio e ci ha detto si togliere tutto. Quando abbiamo chiesto perché, hanno detto “perché siamo la legge e vi diciamo di fare così”. Quindi, abbiamo chiamato un avvocato per un consiglio e abbiamo discusso sul da farsi. Dopo qualche tempo, la polizia ci ha detto che avevamo due minuti per portare via tutto, altrimenti ci avrebbero portati al posto di polizia. Abbiamo lentamente iniziato a impacchetare tutto, tranne il telo che ci protegge dal sole. Qualche minuto ancora e la polizia ci chiede di levare il telo. Quando abbiamo chiesto spiegazioni e se valesse lo stesso per gli ombrelloni dei turisti sulla spiaggia, ci hanno risposto che il telo non è autorizzato, mentre gli ombrelloni lo sono. Mentre spostavamo le cose della colazione, un poliziotto ha aggiunto che se non ci muovevamo ci denunciava. Abbiamo cercato di capire con quale motivo ci stavano “sgomberando” e se c’è una legge che motivi le loro azioni, ma di nuovo hanno risposto: “Non ti deve interessare la legge, lo fai perché ti dico di farlo” . Poi ci hanno chiesto di mostrare i nostri documenti. Uno dei poliziotti ha aggiunto che se non ci davamo una mossa ci denunciava. Abbiamo chiesto per quale motivo e lui ha risposto “Non sono affari tuoi, intanto ti io ti denuncio e poi lo scoprirai il perché”. Quando hanno chiamato il commissariato, abbiamo lentamente rimosso il telo e poi mostrato i nostri documenti di cui hanno fatto delle foto.
Nello stesso giorno, sul giornale locale appariva una dichiarazione del sindaco che annunciava che sarebbero venuti a controllare ogni giorno e che nessuno può fare certe cose senza autorizzazioni. Aggiungendo: “questi attivisti non saranno autorizzati a stare lì”.

Il giorno seguente, una donna facente parte di Amnesty International è venuta da noi. Ci ha spiegato che aveva chiamato la polizia di frontiera a Ventimiglia e che questi avevano detto che quel che stavamo facendo non era vietato. Più tardi, 10 poliziotti sono venuti a dirci che quel che stavamo facendo non era permesso, dandoci spiegazioni differenti (presidio illegale, campeggio, occupazione abusiva…), ma dicendo anche che il giorno dopo saremmo potuti tornare: non sapevano cosa sarebbe successo il giorno dopo, non dipende da loro.

Non smetteremo di andare alla frontiera a preparare la colazione. Restiamo e resistiamo.

NO NATION. NO BORDER. FIGHT LAW AND ORDER!

(contro le nazioni e le frontiere, combatti la legge e l’ordine costituito)

Aumenta anche la violenza della polizia italiana

Pubblichiamo di seguito la traduzione del terzo report del gruppo Kesha Niya postato su facebook il 14/06/2019.

 Il resoconto oltre a denunciare il proseguimento della violenza della polizia francese nei confronti delle persone migranti che cercano di lasciare l’Italia, mette in luce anche un incremento della violenza della polizia italiana nei confronti delle persone respinte dalla Francia affinché registrino le loro impronte digitali In Italia. Secondo il regolamento di Dublino le persone migranti sono vincolate a chiedere asilo nel paese in cui vengono registrate per la prima volta le loro impronte digitali.

Immagine tratta dal resoconto di Kesha Niya del 26 gennaio 2019

Attenzione! Questo è un altro post contenente resoconti sulla violenza della polizia!

03/06/2019un uomo è stato colpito diverse volte con un manganello da una poliziotta italiana dopo che si è rifiutato di dare le impronte digitali che non aveva ancora dato in Italia. L’uomo aveva dei lividi sulla testa e sulle mani.

04/06/2019Un uomo che si trovava in mare è stato inseguito dalla polizia francese verso l’Italia. Lo hanno inseguito, quando si trovava già in acque italiane, senza portarlo a bordo. Quando ci hanno visto guardare e filmare la situazione dall’alto, hanno detto: “Stop! Non facciamo niente per il momento, stanno filmando!”. Abbiamo chiesto loro cosa stessero facendo e perché non lo aiutassero. Senza rispondere hanno continuato a seguire l’uomo che ha nuotato fino ai Balzi Rossi dove la polizia italiana ha usato una barca a remi per portarlo fuori. La polizia francese se n’è andata poco dopo. La polizia italiana lo ha ammanettato e lo ha portato al confine. Dal momento che abbiamo assistito alla scena, ci hanno detto: “non avete visto e non sapete niente”, gli abbiamo spiegato che abbiamo visto tutto.

Su un giornale locale è stato pubblicato un articolo sul fatto, contenente anche una dichiarazione della polizia in cui si sostiene che l’uomo era “irregolare” in Italia ed era stato rimandato in Francia dove è scappato saltando in acqua per tornare in Italia. L’uomo avrebbe “raggiunto” a nuoto i Balzi Rossi e sarebbe stato tratto a riva grazie all’aiuto di un bagnino e di un carabiniere.
DIVERSE ONG, e anche il nostro gruppo, credono che l’articolo non sia molto accurato, perché non abbiamo mai visto un caso di persone irregolari che vengono mandate in Francia. In realtà, nella nostra esperienza è altamente improbabile che le persone siano respinte in Francia, anche quando ce ne sarebbe un valido motivo, come per esempio l’essere minorenni. Se l’uomo voleva tornare in Italia, avrebbe potuto semplicemente fare la strada a ritroso, la polizia francese sta infatti fermando le persone che entrano nel paese molto più di quanto faccia la polizia italiana.

08/06/2019 – mentre un uomo era in stato di fermo, gli è stato chiesto se parlasse inglese e se sapesse scrivere il suo nome. Dal momento che non sapeva parlare in inglese e non sapeva scrivere in lettere latine il poliziotto ha iniziato a colpirlo fino a quando il suo collega non gli ha detto di fermarsi. Più tardi, l’uomo ha provato a usare qualche parola stentata di inglese per paura di essere colpito di nuovo. Lo stesso poliziotto gli ha detto che prima stava evidentemente mentendo perché in realtà sapeva parlare inglese e lo ha colpito di nuovo.

09/06/2019 – un uomo che di solito vive e lavora in Italia è andato a Mentone in giornata. Quando aspettava il suo treno di ritorno in Italia, la polizia francese lo ha controllato. Gli hanno detto che doveva tornare in Italia ma invece di fargli prendere il treno lo hanno preso, controllato brutalmente e gli hanno detto che doveva andare con loro. Lo hanno spinto in macchina e quando ha chiesto perché erano così aggressivi, hanno detto soltanto: ” entra in macchina, testa di cazzo!” e lo hanno schiaffeggiato più volte. Alla Paf (Police Aux Frontières) è stato controllato molto velocemente e gli è stato detto di camminare fino a Ventimiglia. Ha chiesto se poteva prendere il treno ma gli hanno detto di stare zitto e che doveva farsi i 10 km a piedi. Ha chiesto di nuovo perché tutta questa aggressività ed è stato nuovamente schiaffeggiato. La polizia francese gli ha poi detto di correre verso l’Italia ma l’uomo ha continuato a camminare e ha risposto: “non sono un animale e non siamo a Libia”. La polizia ha usato il taser per due volte sulla sua schiena, dicendo che due persone francesi sono morte in Francia, il mese scorso. Lo hanno poi inseguito in direzione dell’Italia per farlo correre. Quando è arrivato alla colazione era in condizioni pessime e aveva una guancia gonfia.

 Lo stesso giorno un minore di 15 anni è stato spruzzato con lo spray al peperoncino mentre si trovava sul treno e portato alla Paf. Nonostante non abbia opposto resistenza, per farlo entrare nel container lo hanno preso a calci nella schiena. Sul refus d’entree hanno dichiarato che aveva 19 anni.

Immagine tratta dal resoconto di Kesha Niya del 29 maggio 2019
Il gruppo Kesha Niya è impegnato dalla primavera del 2017 a Ventimiglia dove si occupa della preparazione e distribuzione serale di pasti. Dall’estate del 2018 porta cibo e bibite calde sul lato italiano della frontiera di Ponte S.Luigi, dove le persone migranti respinte dalla Francia transitano per rientrare a Ventimiglia.
Kesha Niya ha pubblicato altri due resoconti a gennaio e maggio di quest’anno denunciando la violenza della polizia francese sulle persone migranti.

uomini di origine nigeriana, arte di origine europea

La settimana appena trascorsa a Ventimiglia si è aperta e si è chiusa con due eventi che sembrerebbero non collegati tra loro, ma che ci parlano invece della situazione sociale e politica nella cittadina di frontiera se osservati nell’interezza della cornice in cui si sono verificati.

  1. Lunedì 3 giugno viene trovato il cadavere di un giovane di origine nigeriana.

  2. Da giovedì 6 e fino al sabato si è discusso della notizia della probabile rimozione di un’installazione artistica che è ora collocata alla frontiera.

Due uomini di origine nigeriana…

– pregresso –

Il 29 maggio 2019, durante una rissa scoppiata in spiaggia tra alcune persone di origine non europea, un uomo finisce in mare nei pressi della foce del fiume Roya. In quel tratto di litorale, dove le onde incontrano le acque dolci del fiume, si generano mulinelli e forti correnti: restare a galla è un tentativo disperato. L’uomo è sparito tra i flutti e nonostante le ricerche durate due giorni non è stato ripescato vivo né è stato ritrovato il corpo: si pensava che le correnti lo avessero trascinato in Francia.

Il 31 maggio i giornali riportano la notizia del fermo in zona stazione di un diciannovenne di origine nigeriana: un poliziotto lo riconosce come una delle tre persone avvistate sulla spiaggia durante la rissa che ha causato l’incidente. Non si sa se abbia fornito ulteriori informazioni per dare un nome e un pezzo di storia all’uomo trascinato via dal mare. Veniamo però a sapere che il diciannovenne fermato è un migrante con richiesta d’asilo in Francia e con espulsione dall’Italia, che è stato fermato come uno dei responsabili della rissa, che è stato processato per direttissima per inottemperanza all’ordine di espulsione del questore di Imperia, che è stato trasferito in Francia e che da qui dovrebbe essere infine espulso (cioè rimpatriato? Sulla base della presunta responsabilità per l’incidente? Sulla base di qualcosa che ha commesso in Francia? Sulla base degli accordi di rimpatrio con la Nigeria? Interrogativi senza risposta). Game-over, anche per lui. E game-over anche per l’altro uomo di 24 anni di origine siriana di cui, nello stesso articolo di giornale, apprendiamo di sfuggita che gli tocca la medesima sorte: espulsione.

Il corpo di Osakpolor Morogie, 25 anni, viene ritrovato sulla riva all’altezza della foce del Roya.

 

– Lunedì 3 giugno –

Poi, nella mattinata di lunedì, il cadavere dell’uomo caduto in acqua viene infine restituito dal mare, che lo deposita sulla spiaggia nella stessa zona in cui si era inabissato: il corpo doveva essersi incagliato da qualche parte sul fondale lì intorno. Nelle tasche dei vestiti che ancora coprono il corpo senza vita vengono trovati i suoi documenti, che dicono che lui era Osakpolor Morogie, uomo di 25 anni di origine nigeriana, residente in Italia nella frazione ventimigliese di Bevera assieme al fratello con cui si era ricongiunto.

Quindi a voler essere in regola con la lingua italiana l’uomo non era uno straniero o un migrante, come descritto negli articoli di giornale, ma al massimo un immigrato regolarmente residente in città. Ma le etichette classificatorie, che non restituiscono la completezza della realtà ed anzi la stravolgono e la viziano, restano lo strumento più facile per pensare in modi semplici e riduttivi a un mondo complesso e pieno di sfumature. Per tradurci un mondo che meno capiamo e più ci spaventa; che più ci spaventa e meno lo capiamo.

Dalla chiusura delle frontiere francesi nel giugno 2015 a Ventimiglia si è fatta l’abitudine alla morte di persone non europee arrivate qui per attraversare il confine. Oltre venti le persone decedute a causa delle difficoltà nel passare la frontiera o per i disagi e gli stenti che devono patire nell’attesa dell’impresa: qui è morta così tanta gente in viaggio che, alla quinta persona che ha perso la vita tra il fiume Roya e il mare, l’equazione nero/migrante era già lì pronta all’uso.  (22 novembre 2016; 13 giugno 2017; 22 giugno 2018; 10 settembre 2018)

Uno straniero (con un pezzo di famiglia e residenza italiane) dunque è morto. E un altro straniero, forse coinvolto nell’incidente e forse no (le indagini ancora erano in corso e non sono stati resi noti i risultati dell’autopsia sul cadavere ripescato), è stato deportato in Francia e verrà espulso. Non sappiamo nulla delle vite e dei progetti di queste due persone. Non sappiamo le cause e le esperienze che hanno portato a un epilogo così negativo della loro presenza a Ventimiglia. Tutto quello che interessa sapere: due stranieri fuori dai giochi.

un’opera d’arte di origine europea

12 Aprile 2017, inaugurazione dell’installazione artisticha Terzo Paradiso presso il valico di frontiera di Ponte San Ludovico, Ventimiglia_fonte Sanremonews

 

– pregresso –

Il 12 Aprile 2017 a Ventimiglia fu inaugurata in pompa magna l’opera Terzo Paradiso dell’artista Michelangelo Pistoletto. Il simbolo rappresenta un infinito a tre cerchi: nelle intenzioni di Pistoletto il cerchio centrale costituirebbe il punto di incontro, di armonia e congiunzione tra i poli avversi, i due cerchi opposti che sono il tu e l’io e che trovano al centro la sintesi nella scoperta del noi. Vuole essere un simbolo di pace. L’inizio di una nuova civiltà formulata in 50 pietroni che l’amministrazione dell’ex sindaco Ioculano (PD) decise di far “installare” nell’aiuola che si affaccia sul confine di Ponte San Ludovico.

Nello stesso luogo, due anni prima, centinaia di persone che avevano provato ad entrare in Francia ed erano state respinte (colore sbagliato, pezzo di carta sbagliato) avevano deciso di accamparsi ed iniziare una protesta, durata cento giorni, contro le frontiere e le discriminazioni, chiedendo il rispetto dei propri diritti e la libertà di poter realizzare le proprie aspettative di vita.

Ioculano era sindaco quando sgomberarono a ruspate quello spazio di lotta, resistenza, incontro e sperimentazione collettiva che fu il campo dei Balzi Rossi. Due anni dopo annuiva convinto accanto all’artista Pistoletto, uomo bianco di origine europea, che spiegava con vibranti parole il significato della sua opera e la sua personale interpretazione della Storia recente di quelle aiuole:

A me pare quasi un sogno veder realizzato questo simbolo dell’armonia, della pace e dell’incontro qui, in questo luogo di scontro e divisione. In questo spazio specifico (…) di forte tensione tra i due paesi, momenti di tensione inutile, anche provocata… io credo che non è sulla provocazione che dobbiamo muoverci, non è sulla critica e sull’aggressione, ma sulla proposta. (…) Se veramente si ha qualcosa da proporre, si sa cosa fare dopo la rivoluzione, non c’è nemmeno più bisogno di fare la rivoluzione. (…) Noi dobbiamo dimostrare in questa zona simbolica di essere capaci di fare proposte di unione, di connessione, di condivisione.

I giornali rincararono il condimento di entusiasmo per l’arrivo del Terzo Paradiso : “Un modo per dare un calcio, con l’arte, ai confini geografici e soprattutto sociali, che spesso emergono con più intensità al confine con la Francia”.

 Veduta di Ponte San Ludovico: l’installazione artistica simbolo dell’incontro si affaccia sulla barriera delle dogane francese e italiana.

 

– Giovedì 6 giugno –

Dall’inaugurazione dell’opera sono passati nuovamente due anni: Giovedì 6 giugno i quotidiani on line riportano dell’incontro, voluto dalla destrorsa giunta comunale appena eletta, tra Anas e il neo sindaco Scullino, che si propone si riqualificare la zona stradale innanzi alla frontiera. Sintesi: nella zona del confine si fanno i soldi, non spettacolini per allodole, quindi al posto dei 50 pietroni artistici ci si metteranno 50 parcheggi.

Parafrasando i giornali di allora: un modo per dare un calcio, con gli affari, all’arte e alla retorica sul buonismo sociale e sull’abbattimento dei confini. Proprio qui, di fronte alla barriera con la Francia.

La settimana si chiude nelle polemiche di routine del PD circa lo smantellamento della profetica opera d’arte che tanto fu lodata dall’allora sindaco ruspaiolo dello stesso partito. Eppure guardando le cose con un’onesta prospettiva non è affatto strabiliante che si voglia sostituire un simulacro della retorica europea sull’accoglienza con cinquanta parcheggi per far girare macchine e soldi. (Anche) dalle parti delle frontiere funziona così e chi non lo sa è in malafede: le merci hanno la precedenza e per il denaro tutto fila liscio. L’unico inconveniente lungo il confine erano e restano gli esseri umani ai quali, sulla base di criteri etnici, si deve impedirne l’attraversamento.

A poche centinaia di metri dall’installazione Terzo Paradiso, in linea d’aria sulle alture dell’Aurelia, c’è l’altro valico di confine, ponte san Luigi, dove la frontiera esercita quotidianamente il suo potere sulla vita della gente che ha un documento di poco valore e una pigmentazione troppo scura.

Là sotto, adagiato su un prato abbandonato, riposa coi giorni contati quell’infinito fatto di macigni giganti e muti innanzi ai controlli frontalieri ed al setaccio razziale. Sulla destra dell’installazione artistica, ad altezza mediana tra le due frontiere, corrono le rotaie che portano in Francia: troppe persone sono rimaste gravemente ferite o sono morte sfidando la frontiera ferrata e i suoi treni proibiti.

Sulla sinistra del Terzo Paradiso corrono invece gli scogli che nel 2015 furono casa di una lunga battaglia internazionale contro le chiusure dei confini. Poco oltre le rocce ondeggia il Mediterraneo che unisce e divide le terre. Un po’ come il centro dell’infinito di Pistoletto, che voleva ricongiungere gli opposti e portare la pace, ma che finirà smantellato in nome del profitto.

I tentacoli della frontiera sono potenti e pervasivi: Ventimiglia regala ogni settimana folgoranti accadimenti, bug di un sistema catastrofico che causa cortocircuiti di senso di fronte alla presenza e alle conseguenze del confine.

Vinceranno i 50 parcheggi. Proprio lì dove 50 pietroni si vantavano di aver inaugurato una proposta di unione e armonia: game-over anche per loro. Dalla posa di quei sassi, che sarebbero stati più sinceri se fossero state lapidi, sono morte -almeno- altre undici persone non europee che volevano attraversare la barriera per l’Europa. A Ventimiglia (in tutto lo stivale) le persone non-bianche resteranno comunque straniere, qualsiasi pezzo di carta abbiano in tasca. Qualcuno di origine europea suggeriva che non serve una rivoluzione…