Traduciamo il comunicato con cui il collettivo Kesha Niya – che da quasi due anni opera sulla frontiera di Ventimiglia fornendo quotidianamente pasti e sostegno alle persone migranti che tentano di attraversarla – racconta i fatti dell’ultima settimana.
Le autorità, in particolare con l’interessamento del nuovo sindaco Scullino, hanno deciso di spostare ancora l’asticella della criminalizzazione della solidarietà alle persone in viaggio. Del tutto in linea, va detto, con le decisioni del governo centrale e con le azioni della precedente amministrazione comunale (tristemente nota per le ordinanze del sindacolo Ioculano di divieto di distribuzione del cibo in città alle persone migranti). Il presidio di accoglienza delle persone rilasciate dopo le detenzioni in frontiera è evidentemente diventato scomodo, probabilmente anche a seguito delle denunce della violenza della polizia di frontiera fatte sulla pagina dei Kesha e tradotte su questo blog. In maniera, a dire il vero abbastanza goffa e assai poco avveduta, le forze dell’ordine intervengono per sgomeberare un telone per proteggersi dal sole (posto sul ciglio della strada, su di un pezzo di terra di proprietà del demanio) e poche vettovaglie utili a fornire qualche genere di conforto a chi ha passato ore e ore recluso nei container della frontiera, molto spesso subendo abusi e violenze da parte della polizia di frontiera.
Il collettivo Kesha Niya, con le e i solidali rimasti sul territorio di Ventimiglia, come in questi due anni passati, intende resistere e continuare a fare quello che non solo è giusto ma non può essere vietato da nessuna legge e seppure lo fosse, continuerebbe ad essere giusto fare.
La resistenza è vita. Grazie Kesha Niya, grazie Carola Rackete, grazie a tutte e tutti, le e i resistenti che continuano a dimostrarlo con i fatti.
Martedì 25 giugno: municipale, polizia di stato e digos, con tre volanti e operatore della scientifica per le riprese, salgono al punto ristoro a poche centinaia di metri dalla frontiera, intimando alle persone solidali di allontanarsi
Segue traduzione del comunicato dei Kesha Niya.
Negli ultimi tre giorni, la polizia è venuta ogni giorno alla colazione a ridosso del confine per sgomberarci.
La prima mattina abbiamo ricevuto la visita di un uomo vestito di blu. Prima ci ha chiesto cosa stessimo facendo, per poi dirci che non possiamo distribuire cibo senza autorizzazione. Abbiamo provato a spiegare che la polizia era già venuta diverse volte e che non era mai stato un problema, a patto che avessimo portato via ogni cosa finita la distribuzione. Ma l’uomo in blu ha chiamato qualcuno e se n’è andato. Qualche minuto più tardi, è arrivata la polizia dicendo che non eravamo autorizzati ad essere lì, accusandoci di occupare lo spazio in maniera abusiva. Ci hanno detto di andarcene, altrimenti ci avrebbero portato in commissariato. Mentre, lentamente, impacchettavamo tutto, sono arrivati i carabinieri. Ci siamo seduti vicino alla macchina per fare qualche telefonata e avvisare di diffondere la notizia. Ma la polizia ci ha raggiunti, dicendoci che non potevamo stare neanche lì, perché era un’area adibita a parcheggio.
Lo stesso giorno è apparso un articolo sui giornali locali, nel quale si diceva che il sindaco era molto contento del lavoro della polizia e che avevamo installato una vera e propria cucina da campo. Ha aggiunto che con l’estate il problema degli attivisti che cercano di aiutare i migranti sarebbe riapparso.
Il giorno seguente, la polizia locale è venuta nel pomeriggio e ci ha detto si togliere tutto. Quando abbiamo chiesto perché, hanno detto “perché siamo la legge e vi diciamo di fare così”. Quindi, abbiamo chiamato un avvocato per un consiglio e abbiamo discusso sul da farsi. Dopo qualche tempo, la polizia ci ha detto che avevamo due minuti per portare via tutto, altrimenti ci avrebbero portati al posto di polizia. Abbiamo lentamente iniziato a impacchetare tutto, tranne il telo che ci protegge dal sole. Qualche minuto ancora e la polizia ci chiede di levare il telo. Quando abbiamo chiesto spiegazioni e se valesse lo stesso per gli ombrelloni dei turisti sulla spiaggia, ci hanno risposto che il telo non è autorizzato, mentre gli ombrelloni lo sono. Mentre spostavamo le cose della colazione, un poliziotto ha aggiunto che se non ci muovevamo ci denunciava. Abbiamo cercato di capire con quale motivo ci stavano “sgomberando” e se c’è una legge che motivi le loro azioni, ma di nuovo hanno risposto: “Non ti deve interessare la legge, lo fai perché ti dico di farlo” . Poi ci hanno chiesto di mostrare i nostri documenti. Uno dei poliziotti ha aggiunto che se non ci davamo una mossa ci denunciava. Abbiamo chiesto per quale motivo e lui ha risposto “Non sono affari tuoi, intanto ti io ti denuncio e poi lo scoprirai il perché”. Quando hanno chiamato il commissariato, abbiamo lentamente rimosso il telo e poi mostrato i nostri documenti di cui hanno fatto delle foto.
Nello stesso giorno, sul giornale locale appariva una dichiarazione del sindaco che annunciava che sarebbero venuti a controllare ogni giorno e che nessuno può fare certe cose senza autorizzazioni. Aggiungendo: “questi attivisti non saranno autorizzati a stare lì”.
Il giorno seguente, una donna facente parte di Amnesty International è venuta da noi. Ci ha spiegato che aveva chiamato la polizia di frontiera a Ventimiglia e che questi avevano detto che quel che stavamo facendo non era vietato. Più tardi, 10 poliziotti sono venuti a dirci che quel che stavamo facendo non era permesso, dandoci spiegazioni differenti (presidio illegale, campeggio, occupazione abusiva…), ma dicendo anche che il giorno dopo saremmo potuti tornare: non sapevano cosa sarebbe successo il giorno dopo, non dipende da loro.
Non smetteremo di andare alla frontiera a preparare la colazione. Restiamo e resistiamo.
NO NATION. NO BORDER. FIGHT LAW AND ORDER!
(contro le nazioni e le frontiere, combatti la legge e l’ordine costituito)