Nuovi fogli di via da Ventimiglia

Volano fogli di via, a Ventimiglia. Soffia un vento caldo, in questo autunno che sembra estate, e al confine tutto cambia ancora, in una calma sempre più spettrale.
Riceviamo e con grande solidarietà pubblichiamo una testimonianza  di quanto successo la  settimana scorsa a Ventimiglia.
Gli effetti della violenta politica razzista dell’attuale governo si sentono, si vedono e si toccano…sempre che si abbiano orecchie, mani e occhi attenti.
Il Decreto Sicurezza non è solo un pezzo di carta o un manifesto di propaganda. E’ un dispositivo giuridico che impone regole ancora piu’ repressive rispetto al precedente decreto Minniti-Orlando, particolarmente effettivo su alcune categorie di popolazione e alcuni comportamenti.
Contestualmente all’entrata in vigore del Decreto, a Ventimiglia la polizia ha spostato la barra dell’azione repressiva ancora più in alto. Le retate in città hanno assunto un carattere, se possibile, più violento e plateale. La “caccia al negro” e il coprifuoco vengono applicati in maniera sempre più sistematica. Per chi prova a denunciare, testimoniare, opporre resistenza, sono pronte misure repressive spropositate, come previsto dal Decreto.
Se Ventimiglia, come collettivamente si è detto tante volte, è un laboratorio e uno specchio potente delle politiche nazionali ed europee, il clima autunnale deve essere considerato con attenzione. La brutalità del razzismo di Stato si fa cieca e più pericolosa, ma su cosa si regge? Un consenso ottenuto con la violenza istituzionale è un consenso fragilissimo. Leggere il Decreto Sicurezza e i suoi effetti impone un esercizio di analisi estremamente realistica, ma anche una capacità critica, per comprendere il groviglio di contraddizioni che vi sta dietro. E’ tutto un modello di società, di economia, di configurazione politica a rigurgitare violenza, nell’impossibilità -o non volontà- di mediare. La durezza di quello che ci circonda è indiscutibile, tocca a noi chidersi se, in questa “crisi” sempre più’vertiginosa, con uno sguardo più ampio e dialettico e con uno sforzo collettivo più determinato sia possibile cogliere, e far crescere, la nostra forza e le nostre possibilità’.

Nuovi fogli di via da Ventimiglia

 

“Se fai foto ti rompo la macchina fotografica”: questo il buongiorno ricevuto da due compagne che, mercoledì 17 mattina, stavano monitorando lo svolgimento delle operazioni di rastrellamento nelle strade della città di Ventimiglia.
La cornice degli eventi che sono seguiti parla di una routine fatta di razzismo e repressione crescenti verso tutte le persone non bianche che vivono o attraversano questo territorio di frontiera.
Da oltre due anni, una o più volte alla settimana scatta la “caccia al nero”, con controlli e retate nelle strade della città, nella stazione, lungo i valichi di frontiera, sulle spiagge, nei giardini pubblici, dentro ai bar e attorno al centro della Croce Rossa ormai diventato l’unico punto di contenimento e gestione delle centinaia di persone in viaggio.

Lo scopo è deportare settimanalmente decine di persone tramite pullman turistici della Riviera Trasporti, che raccolgono il carico di indesiderati braccati dalla polizia italiana come da quella francese, per spedirli nei centri di controllo e identificazione a Taranto o Crotone, da dove spesso avvengono trasferimenti nei CPR del sud Italia.

Da oltre due anni c’è chi non accetta che le prassi brutali e umilianti del regime del confine scivolino nella normalizzazione e nel silenzio. Fanno schifo i rastrellamenti focalizzati sulla sfumatura del colore di pelle. Fanno schifo i fermi di massa eseguiti nella sala d’attesa della stazione di Ventimiglia, dove le persone sono bloccate e controllate a vista dai militari, mentre sciami di turisti transitano indifferenti a pochi metri di distanza. Fa schifo la processione di procedure e violenze con cui, una alla volta, le persone vengono caricate in frontiera sui bus delle deportazioni: chi non ha il pezzo di carta giusto viene perquisito, sottoposto a controllo medico obbligatorio, spogliato di cinture e stringhe delle scarpe, etichettato con un numero di matricola per la deportazione in atto, infine registrato con un primo piano su busto e volto da un poliziotto munito di fotocamera, e poi via, caricato per l’esilio.

Fa schifo la frontiera.

L’obiettivo è ripulire il territorio da chi non è conforme alle norme e alle regole dell’attuale programma di eugenetica sociale di una società razzista e farlo nel silenzio assenso di una città che sprofonda nell’indifferenza.
E allora ci spieghiamo così gli eventi di mercoledì 17 mattina: nessuna può permettersi di ostacolare la burocratizzazione di questa collaudata macchina di repressione. Davanti all’ennesima retata in spiaggia due compagne si fermano a documentare le scorribande del braccio armato dello stato. Ad uno di questi signori non sta bene: “se fai una foto ti spacco la macchina fotografica” è il preludio all’aggressione che sta per scattare. Tre minuti e le compagne si ritrovano assaltate fisicamente e verbalmente, strattonate e bloccate alle spalle, uno zaino rotto, le macchine fotografiche – una risulterà danneggiata dall’aggressione – ed un telefono cellulare sottratti con prepotenza. Sequestrati gli strumenti con cui si prova a raccontare la verità del confine. Le compagne sono condotte in commissariato e dopo cinque ore in stato di fermo le fastidiose testimoni sono rilasciate con le accuse di resistenza, interruzione di pubblico servizio, oltraggio aggravato e foglio di via obbligatorio da Ventimiglia per tre anni, perché considerate una minaccia all’ordine e alla sicurezza pubblici: non deve esserci clamore, né testimoni critici, né dissenso.

Altri due allontanamenti coatti che si vanno a sommare agli oltre sessanta fogli di via rifilati dal 2015 a coloro che, sostenendo le resistenze e le ribellioni delle persone migranti, hanno lottato contro la frontiera.
Il sistema repressivo costruito in tre anni di regime di confine, aboliti gli spazi di solidarietà e rabbia, vuole che le persone in viaggio siano isolate, bandite e ricattabili.
In un luogo presidiato e pattugliato da militari e polizia, dove il ricatto umanitario è complice del sistema di gestione, controllo e carcerazione e gli unici riferimenti sociali da difendere sono il turismo e il decoro urbano, pericolosa è diventata chi guarda e documenta l’orrore della normalizzazione di tutto questo.

Non ci troverete sottomesse, né cieche, né mute, ma sempre cocciute nemiche delle frontiere.

 

Complici e solidali con le compagne scacciate,
Alcune ribelli del ponente ligure