Segnaliamo la video testimonianza, raccolta da Progetto 20k, di una delle persone respinte in Italia dopo essere state rastrellate sui treni alla stazione di Menton Garavan.
Questa testimonianza si pone in continuità con quanto già denunciato in tre resoconti pubblicati quest’anno dal collettivo Kesha Niya.
I report pubblicati da Kesha Niya a gennaio, maggio e giugno 2019 raccolgono i racconti e i segni della violenza esercitata dalla polizia francese contro le persone migranti durante i rastrellamenti sui treni e la detenzione arbitraria nel container di Ponte S.Luigi. I resoconti mettevano già in luce l’uso di spray al peperoncino, manganelli e taser, oltre a umiliazioni, privazione del sonno e del cibo durante la detenzione arbitraria.
A fine giugno 2019 le organizzazioni non governative Anafé, WeWorld e Iris hanno inviato al Procuratore di Nizza tredici segnalazioni riguardanti la privazione illegale della libertà di persone oltre alla privazione del cibo, del sonno e di esercitare i propri diritti nella fase precedente al loro respingimento in Italia (per es. chiedere asilo in quanto minori). Insieme ad altre organizzazioni francesi e italiane hanno poi invitato il Relatore speciale delle Nazioni Unite a recarsi sul posto per verificare le gravi violazioni ai diritti delle persone rifugiate commesse dalle autorità francesi. Il deferimento è stato trasmesso anche al Difensore dei diritti, al Controllore generale dei luoghi di privazione della libertà e alla Commissione nazionale consultativa dei diritti dell’uomo.
Progetto 20kè presente a Ventimiglia dal luglio del 2016 con attività di monitoraggio del territorio e aiuto concreto alle persone in viaggio. Ha ripreso una presenza costante sul territorio a giugno di quest’anno dopo la chiusura, avvenuta nel dicembre 2018, dell’Infopoint “Eufemia” che forniva accesso internet gratuito, spazio di incontro, consulenza legale e distribuzione di abiti, coperte e kit igienici. Oltre al supporto al presidio di Kesha Niya presso la Frontiera di Ponte S.Luigi, Progetto 20k è impegnato nell’informazione alle persone in viaggio tramite la distribuzione di materiale informativo presso la stazione di Ventimiglia.
Kesha Niya è impegnata dalla primavera del 2017 nella preparazione e distribuzione serale di pasti e nell’informazione alle persone migranti sui loro diritti e sui servizi a cui possono accedere nella città di Ventimiglia. Dall’estate del 2018 porta anche cibo e bevande sul lato italiano della frontiera di Ponte S.Luigi, dove le persone migranti respinte dalla Francia transitano per rientrare a Ventimiglia. La presenza di Kesha Niya a Ponte S.Luigi nei mesi scorsi è stata minacciata più volte di sgombero dalla polizia italiana e dalla polizia locale.
A seguito dell’articolo pubblicato la settimana scorsa sui minori sbarcati a Genova il 2 giugno, è arrivato alla redazione di Parolesulconfine un aggiornamento sul “trasferimento” degli stessi minori in altre città italiane, avvenuto proprio a ridosso dell’arrivo del Ministro degli Interni a Genova per l’esplosione dell’ultimo pilone del Ponte Morandi.
Abbiamo deciso di pubblicare questo contributo al fine di mostrare quanto il diritto alla vita, in questo caso alla vita di minori, sia alla mercè di querelles politiche e mediatiche orchestrate da coloro i quali violano essi stessi le leggi che vanno difendendo e istituendo. Botta e risposta, interviste, interrogazioni in Consiglio comunale: tanta confusione e nessuna presa di responsabilità, nessuna volontà di affrontare un problema che si è fatto vasto, al di là del breve spazio della durata delle attenzioni mediatiche e dell’eco delle dichiarazioni ad effetto. Far salire due minori su un Flixbus per Bologna senza accompagnamento è contro la legge – ma non lo è se nessuno li ha presi in carico come in questo caso. Non prendere in carico dei minori è contro la legge – ma non lo è se una presunta circolare del Viminale – di cui sembra si siano perse le tracce – ne impedisce la presa in carico. Un servizio sociale che non prende in carico dei minori è contro la legge – ma non lo è se il Ministro degli Interni interviene personalmente e crea un’eccezione che poi presto diventerà una norma nel prossimo Decreto Immigrazione e Sicurezza.
A questo punto si possono fare alcune ipotesi su quello che accadrà: domani i minori verranno trasferiti a Bologna o in chissà quale altra città d’Italia, scortati dalla polizia per evitarne una nuova fuga. Verrà aperta un’indagine sulle strutture di accoglienza per i minori così da spostare l’attenzione sul sistema di accoglienza a cui seguirà il solito balletto di chi attacca e chi difende. Verrà realizzato un nuovo regolamento per le strutture che accolgono minori stranieri non accompagnati contente ancora più restrizioni e ancora più dispositivi punitivi.
Queste sono previsioni non così lontane da quanto già abbiamo visto accadere negli anni passati. Nessun cambio di direzione quindi: il programma sicuritario sta solo erigendo altri piani ad un palazzo che ha visto porre le sue fondamenta nei decenni di neoliberismo e neocoloniasmo appena trascorsi e tutt’ora in corso. Decenni che in alcun modo possono cambiare segno, alla luce di un protagonismo – strumentale e viscido – di chi fino a ieri lavorava di gran lena a questo stesso cantiere.
Ma c’è chi continua a viaggiare in direzione ostinata e contraria, cercando di minare quel palazzo e svelare cosa si cela dietro a quelle pareti di vetro riflettente: a queste persone, pensiamo sia giusto e sempre più necessario dare voce… a chi ha “la forza nelle gambe“.
La forza delle gambe. Resistenze
I minori stranieri non accompagnati trasferiti il 25 giugno in varie città italiane (Salerno, Bologna, Milano) si sono allontanati rapidamente dalle strutture di destinazione. In particolare due minori inseriti presso uno Sprar di Bologna hanno fatto ritorno a Genova il giorno 27 giugno. Sono stati indirizzati alla Questura, dove, a norma di legge e secondo la procedura, sono stati segnalati ai Servizi Sociali e inseriti presso la struttura di prima accoglienza Villa Canepa, perché è questo che succede quando un minore viene identificato sul territorio secondo l’art. 403 del Codice Civile: “Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all’educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione”. La Pubblica Autorità in questione è il Sindaco e l’Assessorato competente all’assistenza dell’infanzia, che, legalmente parlando, termina al compimento del diciottesimo anno di età.
Ma i minori stranieri non accompagnati a Genova di questi tempi sono evidentemente “stranieri” ancorché “minori”, perché all’interrogazione urgente promossa dalla Consigliera del PD Cristina Lodi in data 27 giugno il Sig. Sindaco ha esplicitamente declinato la responsabilità sui minori sbarcati il 2 giugno, demandandola al Ministero dell’Interno. Questa e altre inesattezze espresse dal primo cittadino sono consultabili ai links https://www.facebook.com/149684422423391/posts/404256226966208/e https://www.youtube.com/watch?time_continue=17&v=TFCVNqq2TvM. In quella sede la Consigliera Lodi chiedeva conto di due argomenti:
Se nei trasferimenti fosse stato garantito il principio del maggior benessere dei minori.
Alle domande il Sig. Sindaco risponde:
Che si dovrebbe avere l’accortezza di riportare fedelmente le sue dichiarazioni. Peccato che l’assicurazione che i minori in questione sarebbero rimasti a Genova è perfettamente udibile dalla bocca dello stesso Sindaco nella citata dichiarazione a Telenord;
Che i trasferimenti sono stati preceduti da valutazioni caso per caso. Falso: l’unico intervento lontanamente somigliante ad una valutazione è stata una telefonata da parte del funzionario comunale in cui si chiedeva: “I minori come stanno?”. Stop.
A proposito del principio del maggiore benessere del minore, i due minorenni tornati a Genova recavano con sé alcune immagini scattate e video girati nella struttura sprar bolognese, che qui alleghiamo, in modo che – molto onestamente – ognuno si possa fare un’idea della cura con cui la nostra amministrazione si occupa delle necessità dei minori a lei affidati dalla legge:
Da questa struttura i minori trasferiti si sono allontanati e due di essi, ingenuamente, hanno pensato che Genova potesse riaccoglierli o, semplicemente, potesse tener fede alla parola data. Ma così non è stato. In data 8 luglio, infatti, su richiesta dell’Assessorato alle Politiche Sociali, la struttura ospitante Villa Canepa è stata informata che i due minorenni avrebbero dovuto essere rimandati a Bologna via bus. Il funzionario di detto Assessorato si è premurato di accompagnarli al bus e si è poi prodotto in un ridicolo inseguimento, quando i due minori si sono dati alla fuga, contando sull’unica forza a loro disposizione: la forza delle gambe. Perché questa Amministrazione non li ha difesi, né li ha assistiti, violando la legge, pur essendo perfettamente a conoscenza delle condizioni di decadenza della struttura bolognese.
Un’ultima amara amenità. In Consiglio Comunale il Sig. Sindaco non ha mancato di lamentare le cosiddette “fughe” dei minori stranieri non accompagnati dalle strutture genovesi, alludendo ad una supposta incapacità delle stesse a svolgere correttamente il lavoro per cui sono pagate. Rendiamo conto al Sig. Sindaco che il lavoro per cui le strutture di accoglienza sono pagate è l’assistenza e l’integrazione e che quando un minore non fa ritorno in comunità, l’evento si definisce “allontanamento”, che poi le FF. OO. stabiliranno se di natura volontaria o meno. Se l’Amministrazione definisce “fuga” ciò che è allontanamento se ne possono trarre le seguenti deduzioni (alcune confortate da esplicite affermazioni dell’Assessora Fassio):
Che le strutture di accoglienza per i minori sono limitanti della loro libertà: devono fare contenzione, non integrazione.
Che l’Amministrazione non ha la benché minima considerazione della capacità di un minore (16/17 anni) migrante, proveniente da qualche migliaio di chilometri di distanza, reduce da un viaggio pluriennale, di autodeterminare il proprio progetto di vita, che non è scontato coincida con i nostri programmi di accoglienza.
Eppure l’Assessora Fassio sta lavorando affinché i minori stranieri non accompagnati non possano più circolare autonomamente in città e affinché le strutture di accoglienza li privino dei telefoni cellulari durante le ore notturne.
Qual è l’idea di accoglienza, tutela e integrazione che questa città sta sviluppando?
Quante limitazioni alle libertà personali siamo disposti ad accettare?
Ma per finire una nota di speranza, anzi no, di resistenza: perché questi non sono tempi di speranza, bensì di tenere duro, fare piccoli passi in avanti ed essere respinti dalla durezza dei cuori. Durante la vicenda legata allo sbarco dei minori del 2 giugno, alcuni di noi hanno fatto conoscenza con operatori di Save the Children operanti nel campo Roja di Ventimiglia. Da essi hanno appreso che molte volte e per molti mesi Save the Children aveva fatto richiesta di inserimento dei minori del campo presso le strutture sprar/siproimi di Genova, non ricevendo risposta. Finalmente il 5 luglio quattro minori sono stati inseriti in strutture adeguate in città. Piccoli passi, ma a noi bastano per continuare a difendere i diritti garantiti dalla legge e dal senso di umanità.
Riceviamo e pubblichiamo un contributo scritto da compagne e compagni che hanno seguito, in questi anni, la lotta alle frontiere da Ventimilgia a Calais. Il testo affronta il fenomeno dell’eroizzazione della solidarietà bianca, che nelle ultime settimane ha investito la comandante della Sea Watch Carola Rackete. La costruzione dell’eroe/eroina, in questo come altri casi di sovraesposizione mediatica delle azioni intraprese da persone solidali, si accompagna immediatamente alla produzione di narrative diffamatorie, che distorcono la realtà restituendo un’interpretazione dei fatti piegata agli interessi della propaganda sovranista. Nel caso di Carola Rackete, per alimentare il polverone mediatico, la stampa italiana è riuscita a costruire un forzoso e inappropriato paragone con il caso di un’altra donna che, nel 2016, è finita a processo in Francia per favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Ma Carola e Francesca non sono pupazzi a consumo delle testate giornalistiche, che, senza domandarne il consenso e diffondendo false informazioni, vorrebbero usarle per l’aumento di audience morbosa e click compulsivi. Mentre il circo massmediatico costruisce le sue favole, la nostra attenzione è rapita e portata altrove, lontano dalla scomoda verità di quello che succede alle persone lungo le rotte migratorie.
Carola e Francesca nel mare in tempesta
Donde manda capitán muere, muere marinero. Sara Hebe, Asado de Fa
A seguito dei recenti avvenimenti che riguardano la nave Sea Watch 3 e la sua comandante Carola Rackete, su alcuni media italiani e sui social network sono apparsi articoli e riferimenti alla vicenda di Francesca, da alcuni definita «la Carola italiana».
Come compagne e compagni di Francesca, che con lei hanno condiviso alcune esperienze di solidarietà ai/alle migranti che dal 2015 subiscono il regime europeo delle frontiere, ci siamo sentite/i interpellate/i dall’uso strumentale della sua storia e da alcuni meccanismi che essa svela.
Innanzitutto vorremo fare chiarezza sul processo e la condanna che riguardano la nostra amica, dato che sono diversi gli errori che abbiamo dovuto leggere. Francesca è stata condannata dalla Corte di appello di Aix en Provence, in Francia, a sei mesi di carcere con la sospensione condizionale della pena, e cinque anni di interdizione dal dipartimento delle Alpi Marittime, dopo che nel Novembre 2016 era stata fermata dalla gendarmeria lungo il confine italo-francese mentre era alla guida di un furgone con a bordo otto persone senza documenti. La condanna della Corte d’appello è arrivata dopo il ricorso contro la sentenza di primo grado che l’aveva condannata al pagamento di mille euro di multa. Francesca, tramite il suo avvocato, è ricorsa in cassazione.
Come Francesca stessa ha ribadito la sua storia e quella di Carola sono diverse per contesto e scelte fatte dalle due donne. Le ragioni per le quali queste due storie vengono messe l’una accanto all’altra e diffuse a più non posso sono svariate e vanno viste in maniera distinta.
Per la stampa generalista si tratta di «fare notizia». Che il parallelo sia pertinente o meno, la scelta di due donne bianche impegnate nel portare la propria solidarietà a dei/delle migranti neri/e è di per sé «notiziabile». E la notizia di eventi che non sono, per fortuna, unici diventa in questo modo rilevante per l’opinione pubblica, qualcosa rispetto alla quale prendere posizione. Qualcosa di giustamente importante per chi crede nella solidarietà, perché contrasta lo spettacolo della crudeltà che Salvini sta portando avanti. Qualcosa di altrettanto importante per chi odia diversità e solidarietà, perché permette di mischiare in un unico discorso confuso e virulento appartenenza nazionale, giustizialismo, misoginia e razzismo puro e semplice. Detta in altri termini, che si sia pro o contro la solidarietà alle persone in viaggio, si sta centrando tutta l’attenzione sulla figura della solidale cosi da imputare a lei tutto il bene o il male del mondo, facendo scomparire dalla scena i reali protagonisti delle vicende in corso e le drammatiche evoluzioni delle scelte politiche europee.
Sia chiaro, noi siamo dalla parte della solidarietà e contro le frontiere, e non stiamo dicendo che sostenitori di Carola e razzisti, nel pubblicare e ripubblicare sui social le proprie posizioni, sono la stessa cosa. Se deve essere tutto ridotto alla presa di posizione rispetto alle due donne non abbiamo dubbi, siamo con Carola e Francesca. Cio’ che non ci piace in tutta questa faccenda, al netto delle vere e proprie fake news che sono circolate, è la costruzione di una narrazione che ha i/le suoi eroi/ne, le sue vittime e i suoi carnefici, e che in fondo questa narrazione non solo non spiega fino in fondo la violenza delle frontiere, ma contribuisce a occultare responsabili, protagonisti/e e questioni centrali della cosiddetta «crisi migratoria» e del regime di frontiera che ne scaturisce.
Dal 2015 ad oggi sono stati/e i/le migranti a sfidare le frontiere, interne ed esterne, dell’Europa, ed è stata l’intera governance europea, e non solo Salvini o il suo predecessore Minniti, a determinare la violenza di queste frontiere e la loro natura troppo spesso letale. La mediatizzazione di gesti che riteniamo di semplice umanità, per quanto coraggio questa umanità possa oggi necessitare, non puo far dimenticare il fatto che non sono i/le solidali europei/ee il soggetto principale di questa storia. Come a Ventimiglia le persone in viaggio non hanno certo aspettato i/le solidali per tentare e riuscire migliaia di volte ad attraversare la frontiera, allo stesso modo non sono state le ONG a determinare la scelta coraggiosa di centinaia di migliaia di persone di salire su una barca in direzione dell’europa.
Come antirazzisti/e europei/ee è giusto rispondere alla barbarie e alla crudeltà salviniana col massimo della determinazione, ma per fare questo è necessario rinunciare a qualunque narrazione che trasforma in eroine ed eroi le/i solidali. Crediamo sia importante essere coscienti di come la personalizzazione della solidarietà e la spettacolarizzazione della frontiera fisica esterna siano strumenti utili tanto a Salvini quanto all’UE per invisibilizzare le vere questioni alla base del dramma delle morti in mare. In concomitanza con la sua spettacolarizzazione infatti questa frontiera esterna perde, secondo noi, la sua centralità a fronte di un’espansione su entrambe le sponde del Mediterraneo. Da una lato i campi di prigionia libici, voluti da Minniti e finanziati dall’UE, si ritrovano oggi in prima linea nella guerra per procura che vede i diversi stati europei giocarsi risorse e controllo strategico di una regione in cui sono intrappolate migliaia di persone. Dall’altro un complesso controllo dei flussi fatto di hotspot, accoglienza più o meno coatta e centri di detenzione, il cui nodo centrale è il c.d. sistema di Dublino, un dispositivo reticolare che fa dell’europa una vasta zona di frontiera dove chi non resta là dove gli è stato imposto di rimanere si ritrova criminalizzato/a, invisibilizzato/a senza diritti né status, e non ha altra alternativa che continuare a fuggire senza tregua all’interno dell’europa stessa. Infine la personalizzazione della solidarietà oltre a fare il gioco delle destre razziste, che trovano qualcuno su cui sfogare le proprie basse tensioni, impedisce una reale moltiplicazione di gesti di solidarietà in favore di una delega che cerca nell’eccezionalità del gesto il proprio riferimento.
Le frontiere sono ovunque, ed ovunque e quotidianamente vengono messe in discussione da chi le subisce. E’ quindi necessaria un’attivazione della solidarietà che sia consapevole dei propri limiti e non definisca sempre e comunque le persone in viaggio come delle vittime che vanno aiutate. A noi il compito di affinare lo sguardo e cercare pratiche discrete di solidarietà e complicità con i/le migranti e di sabotaggio dell’attuale regime di frontiera. Potremo cosi vedere più chiaramente nell’europa delle frontiere, e nei suoi retaggi fascisti, la macchina di morte che dobbiamo combattere, nelle persone in viaggio le vere eroine ed eroi di questa storia, ed infine in Carola e Francesca due donne tra le tante che partecipano di quella bella umanità che lotta contro la distopia concreta che ci circonda.
Non ci servono né capitani, né capitane, ma marinai e marinaie pronti/e ad attraversare questo mare in tempesta per approdare alla tanto agognata libertà per tutte e tutti.
alcune/i amiche/i e compagne/i di Francesca
(Immagine a copertina: grafica di Margherita Allegri)