Un momento a Ventimiglia, ottobre 2020

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente contributo, istantanea amara e precisa di come si presenti, in questo momento, il territorio di frontiera tra Ventimiglia e Mentone.

Un momento a Ventimglia

Non andavo al confine da mesi, ci abito abbastanza vicino da trascurarlo, come quando non rispondi a tua madre perché sai che comunque puoi chiamarla dopo. Pensi che in qualche modo sia sempre lì, fermo sulla carta geografica, più immobile delle rocce sulle quali è stato disegnato.

Mi sono e ci siamo persi nella nostra piccola città, si è riempita anche lei di piccoli confini, di marginalità. Barriere una dentro l’altra nate dove prima lo sguardo era libero. Si sono distese come il filo spinato anche sotto casa mia ste stronze. Un colpo di forbice e le ho viste apparire simili ad omini di carta che si tengono per mano. Ho e abbiamo trascorso gli ultimi mesi tra quei muri, senza il coraggio ed il tempo di guardare a ponente, verso il far west un poco ‘ndrangheta, un poco Biamonti che è un pezzo della mia/nostra storia: Ventimiglia.

Pare che a ponte San Luigi, il confine alto, la polizia e l’Anas (o meglio la polizia con la scusa dell’Anas) vogliano cintare la piccola piazzola a bordo strada in cui vengono distribuiti generi di prima necessità alle persone respinte. Arriviamo che c’è il sole, al mattino poca pioggia svogliata, diversa dall’acqua che ha aperto Ventimiglia come un libro la settimana scorsa, quando il Roya era un ferro da stiro impazzito che trascinava tutto giù dal tavolo. Ci sono molte persone. Alcune 20k e kesha niya cercano di aiutare, danno cibo, caffè, informazioni. Non ci sono forze dell’ordine, si vedono solo gli alpini dormire sulle jeep in dogana, mentre la spiaggia delle baracche è bellissima, nonostante sia un centinaio di metri sotto di noi sembra lì, a portata di mano.

Ci sono molte persone, troppe, hanno facce stanche sotto le mascherine, banale dirlo, ma meglio ricordarselo, perché equivalgono a ore di container, di garde à vue, di strattonamenti. La CRS non si fa problemi, usava l’amuchina dopo che alzava le mani ancora prima del covid.

alcune persone respinte dalla polizia francese sostano a bordo Aurelia il tempo necessario a rifocillarsi e attendere il bus in direzione Ventimiglia.

Io dal 2011 qualcosa qui l’ho vista: i tunisini, i sudanesi, gli afgani, le somale, la tratta; tanti corpi, corpi pestati come lattine, disidrati, abbattuti, fieri, infreddoliti, poi madri sole, madri male accompagnate, anche farabutti, santi e bambini, ma quello che vedo oggi no, non l’avevo mai visto. C’è gente di ogni etnia ed età, alcuni vestiti male, altri che hanno imparato ad essere alla moda anche nella difficoltà, più o meno capaci di parlare le nostre lingue. Molti non sanno che fare, molte non sanno dove andare, pensano ad arrivare a domani forse, qualcosa nella pancia, senza infettarsi, giusto la possibilità di avere qualche sogno, senza esagerare però, che con i sogni in Europa ci si avvelena, che i sogni non realizzati diventano ossessioni. Non è più quello che i sociologi definiscono un flusso migratorio, queste sono persone che finita la musica al gioco della sedia non hanno trovato posto, partecipando così tante volte al gioco fino a che è diventato orrendo. La musica partendo è ormai il raccapricciante carillon di un film horror.

Il sole si fa più forte, andiamo al supermercato a prendere quello che serve. Io ed i miei amici abbiamo i capelli bianchi ed un cazzo di cane che mi lecca sempre, a me non piace il contatto fisico, mediamente antispecista, neanche da parte degli animali.

Portiamo i vestiti a Delia, che come sempre ha da fare: una famiglia, una distribuzione, un caffé. Sembra ancora più combattiva del solito e questo mi tira su, anche se il cane prova a leccarmi di nuovo. C’è un bambino con sua madre, dorme con la testa appoggiata al tavolo e molte altre persone che vanno e vengono, sono appena più decisi, voglio sperare che sia così.

Ventimiglia è devastata, c’è ancora un camion accartocciato sotto il ponte e cumuli di detriti ammassati in città. La passerella Squarciafichi rotta a metà rappresenta questa storia che non si chiude, una linea che non combacia.

Qui ci sono rimasti i non europei, i ventimigliesi, le guardie, i 20k, le keshaniya e le mie amiche, quelle senza più collettivo, ma con le braci sempre accese in petto. Torno a casa e mi chiedo se continuare a pensare a quale tipo di momento sia questo, non renda tutto difficile. Forse semplicemente questo è il momento, mica solo a Ventimiglia.

un solidale

Un momento della distribuzione di cibo serale, nella piazza antistante al cimitero della città: dopo l’alluvione, lo spazio è stato adibito a discarica di tutto il materiale trascinato e distrutto dalla piena del fiume Roja
Un gruppo di persone si incammina verso il Passo della Morte, il sentiero di montagna che attraversa il confine e arriva in Francia

Ventimiglia dopo l’alluvione, tra fango e attesa

Immagine satellitare della foce del fiume Roja a Ventimiglia: è visibile la colata di fango che il fiume ha portato dalla vallata fino al mare. fonte
Ventimiglia dopo l’alluvione, tra fango e attesa

Nella notte del 2 ottobre, su Ventimiglia e nella Val Roja, che separa e collega i territori italiano e francese, si è abbattuta una furia atmosferica di portata storica. Nei giorni seguenti l’alluvione, la città di frontiera si presenta stravolta e allarmante.

Devastata tutta la zona che circonda la foce del Roja; quello che resta della passerella Squarciafichi, uno dei simboli della città, affiora a monconi dalle acque ancora agitate del fiume. Il fango esce ancora da ovunque, nell’area del “quadrilatero commerciale” (tra via Roma, Ruffini, Cavour e Repubblica). Molti commercianti, disperati, hanno lavorato per giorni (e ancora tanto c’è da fare) con pale e secchi, aspettando gli autospurghi delle ditte incaricate per la ripulitura della città, dopo l’esondazione del fiume. Per tutta la settimana, montagne di spazzatura, merce ridotta a rottami e mobili impantanati, hanno ingombrato le vie davanti ai negozi inondati dall’urto della piena. L’odore dell’acqua mista a melma, che ristagna nei sottofondi dei palazzi e che esce dai tombini intasati, aleggia anche nelle vicine strade già ripulite.

Nonostante i tentativi dei soliti giornalisti e sciacalli politici, poco sensazionalismo e molta praticità: gente al lavoro, moltissima solidarietà, determinazione anche se le persone iniziano ad essere stanche. A livello fisico, dopo una settimana di fango e fatica, ma anche nello spirito, che cede davanti alle preoccupazioni per i danni causati dall’alluvione. Molte persone che abitano nell’area della foce del Roja hanno perso automobili e mezzi privati, rimasti per giorni incastrati nei garage sommersi dall’acqua. Così come sono tante le cantine, le botteghe, i laboratori e i magazzini ancora sommersi da fango e detriti.

Nel resto della città, poche centinaia di metri oltre la zona colpita dall’alluvione, le vie del centro si sono salvate, e l’onda del Roja non è arrivata a divorare i piani terra: qui è la Ventimiglia indifferente di sempre, shopping e aperitivi.
Nella zona della stazione, invece, si incontrano molte più persone del solito in attesa di passare il confine. Circondate dalle attenzioni di un numero crescente di passeurs e trafficanti di donne. È infatti inagibile tutta l’area della foce e dell’alveo del fiume, dove ormai abitualmente, da anni, trovano riparo per la notte le persone che vivono in strada il tempo necessario per riuscire a raggiungere la Francia. Poichè anche il campo di transito e accoglienza della CRI è stato chiuso durante l’estate, non ci sono altri luoghi che offrano un punto di ristoro per chi sta migrando. Quindi, da giorni, le vie intorno alla stazione sono rimaste l’unico luogo disponibile d’attesa e organizzazione per la gente in viaggio.

Ventimiglia attraversa un momento decisamente fuori dall’ordinario, persino per una città che conosce già abitualmente eventi particolari per la presenza della frontiera. La percezione di eccezionalità, camminando per le vie, è palpabile: dalle giornate dell’alluvione, sembra che tutti siano in movimento, nel tentativo di adattarsi a questa nuova situazione post disastro ambientale, e prendere le misure con le risorse a disposizione. Ma anche che tutti siano “in attesa”: di ritornare alla normalità, di ricominciare a lavorare (molte persone hanno chiesto ferie per poter aiutare, a parte quelle comunque senza più lavoro per i danni alle attività commerciali), di riprendere il viaggio, di passare il confine, di poter raggiungere di nuovo la Val Roja, di scoprire come si rimedierà al disastro del crollo di chilometri di strade fino al colle di Tenda.

La Francia è presente sulla bocca e nei pensieri di tutte queste anime che formicolano attorno alle vie principali della città: c’è chi polemizza coi francesi per la gestione delle dighe di Casterino e Breil; chi è in pensiero per i “cugini d’oltralpe”, in una Val Roja ridotta a brandelli (ad una settimana dall’alluvione, ancora interi villaggi sono isolati, e con problemi di approvvigionamento elettrico, idrico e di cibo); chi si lamenta perchè i turisti francesi hanno da subito ingorgato il traffico, già messo a dura prova dai blocchi nelle zone alluvionate; chi cerca di capire come salire nella vallata francese per aiutare nella ricostruzione anche lassù; chi prende informazioni per sapere come proseguire il progetto migratorio in Europa, adesso che raggiungere la Francia è ancora più complicato, tra strade crollate, treni sospesi e frontiere ancora più attenzionate per l’aumento dei contagi di Covid.

Sullo sfondo di questo brulicare, mentre ciascuna persona cerca di risolvere al più presto i propri ostacoli per poter andare avanti, le minacce del virus e i balletti delle mascherine sui volti (che sarebbero obbligatorie, ma scendono spesso sotto al mento, soprattutto nella fatica di svuotare a mano i fondi allagati), aumentano la sensazione di attraversare uno scenario apocalittico: non soltanto perchè le acque del Roja hanno devastato strade, ponti, negozi, botteghe, progetti di vita, collegamenti e possibilità di movimento… ma perchè tutte le persone che parlano e si confrontano per la strada si dimostrano consapevoli che, il peggio, arriverà nelle prossime settimane e mesi.


C’è tanta energia, tanto slancio solidale, ma anche tanto fatalismo, tanta preoccupazione e un ineluttabile senso di precarietà: il territorio si sgretola, le infrastrutture crollano, le malattie dilagano, il mare restituisce lentamente i corpi travolti dalla furia della tempesta. Le persone cercano di andare dove devono andare, ma sembra che infondo sappiano un po’ tutte che non si andrà lontano, visto che il sistema è al capolinea e non si vedono cambiamenti all’orizzonte.

Il viaggio è sicuramente terminato per le nove persone i cui corpi sono stati riportati a riva, durante la settimana. Si pensa siano perlopiù francesi, anche se le identificazioni sono ancora in corso, perchè il numero di quelle disperse in val Roja è molto alto, mentre non risultano mancanze in costa, anche se è difficile averne la certezza. Neppure è possibile affermare con sicurezza che non ci fosse gente accampata lungo gli argini del Roja, dal momento che le istituzioni non hanno provveduto ad avvertire per tempo dell’allerta meteo e dell’apertura delle dighe in Francia, andando direttamente lungo gli argini del ponte ad avvisare le persone, come è stato fatto in passato. Lungo via Tenda, in serata, si sono sentite delle grida d’aiuto, ma le ricerche non hanno portato risultati. Il fiume stava ingrossandosi sempre di più, e chi lo sa cos’è successo poi nella notte, mentre il Roja distruggeva tutto scendendo dalla Francia e inondava le zone dove trovano riparo per la notte le persone che arrivano a Ventimiglia proprio per passare il confine.

La linea ferroviaria e le strade che portano in val Roja, costeggiando le sponde del fiume, sono state utilizzate negli anni come rotte migratorie al pari delle vie lungo la costa. Adesso che la valle italo francese conta milioni di euro di danni per l’alluvione, e alcuni villaggi sono raggiungibili solo in elicottero per le forniture di beni di prima necessità, si sono cancellate non solo strade e progetti di vita delle comunità italiane e francesi della valle, ma anche metà delle chance di oltrepassare la frontiera per chi sta migrando. E i primi risultati sono, infatti, già arrivati: nemmeno l’uomo bruciato vivo sul tetto di un treno a Latte potrà proseguire il viaggio, si era nascosto aggrappato al pantografo del treno, giovedì nel tardo pomeriggio, in un tentativo estremo di raggiungere la Francia.

La tempesta Alex ha travolto la vita delle persone proprio in un luogo dove è già così difficile, in tutti i sensi, andare avanti. Solo noi umani facciamo distinzioni di passaporti e calcoli di nazionalità: il fiume Roja non ha fatto sconti a nessuna delle parti, e il prezzo di questo disastro, annunciato ma sottostimato, sarà un conto amarissimo per tutto il territorio.

La redazione

(nella foto di copertina, i resti della passerella Squarciafichi che affiorano nelle acque della foce del Roja, Ventimiglia)