Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente contributo, istantanea amara e precisa di come si presenti, in questo momento, il territorio di frontiera tra Ventimiglia e Mentone.
Un momento a Ventimglia
Non andavo al confine da mesi, ci abito abbastanza vicino da trascurarlo, come quando non rispondi a tua madre perché sai che comunque puoi chiamarla dopo. Pensi che in qualche modo sia sempre lì, fermo sulla carta geografica, più immobile delle rocce sulle quali è stato disegnato.
Mi sono e ci siamo persi nella nostra piccola città, si è riempita anche lei di piccoli confini, di marginalità. Barriere una dentro l’altra nate dove prima lo sguardo era libero. Si sono distese come il filo spinato anche sotto casa mia ste stronze. Un colpo di forbice e le ho viste apparire simili ad omini di carta che si tengono per mano. Ho e abbiamo trascorso gli ultimi mesi tra quei muri, senza il coraggio ed il tempo di guardare a ponente, verso il far west un poco ‘ndrangheta, un poco Biamonti che è un pezzo della mia/nostra storia: Ventimiglia.
Pare che a ponte San Luigi, il confine alto, la polizia e l’Anas (o meglio la polizia con la scusa dell’Anas) vogliano cintare la piccola piazzola a bordo strada in cui vengono distribuiti generi di prima necessità alle persone respinte. Arriviamo che c’è il sole, al mattino poca pioggia svogliata, diversa dall’acqua che ha aperto Ventimiglia come un libro la settimana scorsa, quando il Roya era un ferro da stiro impazzito che trascinava tutto giù dal tavolo. Ci sono molte persone. Alcune 20k e kesha niya cercano di aiutare, danno cibo, caffè, informazioni. Non ci sono forze dell’ordine, si vedono solo gli alpini dormire sulle jeep in dogana, mentre la spiaggia delle baracche è bellissima, nonostante sia un centinaio di metri sotto di noi sembra lì, a portata di mano.
Ci sono molte persone, troppe, hanno facce stanche sotto le mascherine, banale dirlo, ma meglio ricordarselo, perché equivalgono a ore di container, di garde à vue, di strattonamenti. La CRS non si fa problemi, usava l’amuchina dopo che alzava le mani ancora prima del covid.
Io dal 2011 qualcosa qui l’ho vista: i tunisini, i sudanesi, gli afgani, le somale, la tratta; tanti corpi, corpi pestati come lattine, disidrati, abbattuti, fieri, infreddoliti, poi madri sole, madri male accompagnate, anche farabutti, santi e bambini, ma quello che vedo oggi no, non l’avevo mai visto. C’è gente di ogni etnia ed età, alcuni vestiti male, altri che hanno imparato ad essere alla moda anche nella difficoltà, più o meno capaci di parlare le nostre lingue. Molti non sanno che fare, molte non sanno dove andare, pensano ad arrivare a domani forse, qualcosa nella pancia, senza infettarsi, giusto la possibilità di avere qualche sogno, senza esagerare però, che con i sogni in Europa ci si avvelena, che i sogni non realizzati diventano ossessioni. Non è più quello che i sociologi definiscono un flusso migratorio, queste sono persone che finita la musica al gioco della sedia non hanno trovato posto, partecipando così tante volte al gioco fino a che è diventato orrendo. La musica partendo è ormai il raccapricciante carillon di un film horror.
Il sole si fa più forte, andiamo al supermercato a prendere quello che serve. Io ed i miei amici abbiamo i capelli bianchi ed un cazzo di cane che mi lecca sempre, a me non piace il contatto fisico, mediamente antispecista, neanche da parte degli animali.
Portiamo i vestiti a Delia, che come sempre ha da fare: una famiglia, una distribuzione, un caffé. Sembra ancora più combattiva del solito e questo mi tira su, anche se il cane prova a leccarmi di nuovo. C’è un bambino con sua madre, dorme con la testa appoggiata al tavolo e molte altre persone che vanno e vengono, sono appena più decisi, voglio sperare che sia così.
Ventimiglia è devastata, c’è ancora un camion accartocciato sotto il ponte e cumuli di detriti ammassati in città. La passerella Squarciafichi rotta a metà rappresenta questa storia che non si chiude, una linea che non combacia.
Qui ci sono rimasti i non europei, i ventimigliesi, le guardie, i 20k, le keshaniya e le mie amiche, quelle senza più collettivo, ma con le braci sempre accese in petto. Torno a casa e mi chiedo se continuare a pensare a quale tipo di momento sia questo, non renda tutto difficile. Forse semplicemente questo è il momento, mica solo a Ventimiglia.
un solidale