Polifonia estiva dalla Frontiera di Ventimiglia (prima parte)

Tra gli obiettivi che ci hanno spint* alla creazione di questo blog, c’è la volontà di documentare Ventimiglia e la frontiera. Il nostro impegno è farlo a partire dalle nostre stesse esperienze o da quelle di chi, in forme e modalità differenti, vive quel territorio, puntualmente o nel lungo termine. Pensiamo si tratti di un approccio fondamentale, nell’ottica di mettere in discussione e decostruire tutte quelle narrazioni che tengono in conto solamente le voci ”forti” : quelle voci che si alzano esclusivamente nei momenti mediaticamente salienti, che non parlano, ma piuttosto gridano, nell’intento di raccogliere facili (e spaventati) consensi, di trarre un qualche tornaconto dall’esporsi sul palcoscenico dell’emergenza.  Numeri – in calo, in aumento… -, minacce – di chiusure, di sgomberi…– e voyeurismo – il degrado, la disperazione…– : questi gli ingredienti principali, in proporzioni variabili, del discorso a reti unificate.

Tv abbandonata presso gli scogli dei Balzi Rossi, Ventimiglia

Pensiamo che comprendere il materializzarsi di un confine interno all’Unione Europea, nel 2018, e misurare il peso e la portata delle politiche istituzionali in materia migratoria, comporti un esercizio attento di articolazione tra quelle che sono le dinamiche a più larga scala – tra esplosione e perdurare di conflitti o dittature, configurazioni economiche neocoloniali, accordi internazionali e politiche nazionali – e la quotidianità della frontiera. Un’articolazione da interrogare costantemente, per cogliere la misura dei mutamenti e delle costanti, e facendo appello alla pluralità di soggettività che vivono e osservano la frontiera.

Nel testo che segue, cerchiamo di raccontare i mesi estivi a Ventimiglia, incrociando i punti di vista e le opinioni di alcune persone che li hanno vissuti da vicino, convint* che capire meglio la frontiera, questa frontiera, sia anche un modo per capire configurazioni socio-politiche di vasta portata, per rendersi conto di quel che, come società, più o meno tacitamente decidiamo di ritenere accettabile.

I punti di vista di cui cerchiamo di rendere conto, infine, esprimono talvolta giudizi e analisi diversificate: ci auguriamo che questa polifonia, oltre a problematizzare i racconti superficiali che invadono lo spazio del dibattito pubblico, possa stimolare l’incrociarsi di prospettive ma anche la voglia di comprendere e agire per l’abbattimento di un sistema fondato sul razzismo e lo sfruttamento.

Abbiamo intervistato persone a noi vicine che durante questa scorsa estate sono state in forme, modalità e tempi diversi nella zona di confine di Ventimiglia. Nonostante le differenze, evidenti nelle risposte che seguiranno,  tutt* gli e le  intervistat* hanno scelto di stare in questa zona di confine in quanto solidal* con le persone migranti e convint* che la libertà di movimento debba essere garantita a tutti e tutte, così come il diritto a una vita libera e felice. Tutt* color* che parleranno, seppur in maniera diversa conducono una lotta contro il regime confinario europeo e le sue conseguenze sulla vita delle persone migranti.

 In sede di redazione dei testi delle interviste, ci è sembrato opportuno  dividere il lungo testo in due post differenti, sia per renderne più scorrevole la lettura, sia perché la mole di informazioni e di analisi è considerevole e merita di avere il giusto spazio per essere eleborata. Pubblicheremo, alla fine, anche il testo integrale in un unico dossier.  Ringraziamo caldamente le e i solidal*, che hanno voluto rispondere alle nostre domande, mettendo a disposizione cuore, testa e tempo:

Gabriele Proglio  – storico culturale orale, lavora presso il Centre for Social Studies dell’università di Coimbra con un progetto che nei prossimi cinque anni intende studiare i confini del Mediterraneo.

Lia Trombetta – medico e ricercatrice presso l’Università di Lisbona

Antonio Curotto – medico ospedaliero

Giulia Iuvarafemminista del movimento Non una di meno, attivista del progetto 20k ed educatrice

Lucio Maccarone attivista dell’AutAut357 di Genova, partecipa al progetto 20k dal 2017, nella vita vorrebbe insegnare a scuola

La redazione

La prima domanda che abbiamo posto ai nostri interlocutori riguarda la loro presenza, a Ventimiglia, durante questa estate 2018.

Lia e Antonio spiegano che, rispetto ai mesi passati, per loro si è trattato di continuare il lavoro di monitoraggio e visite mediche ai migranti bloccati alla frontiera: «Siamo stati a Ventimiglia almeno due volte al mese per la durata dell’intero fine settimana. Abbiamo fatto il solito lavoro, sia di sostegno al transito che di raccolta di notizie dal territorio per cercare di capire come evolvesse la situazione » (Lia).

Per altri, l’estate ha invece coinciso con l’occasione per impegnarsi  maggiormente, e in loco, in progetti ai quali si erano già interessate e interessati nei mesi invernali e primaverili. Così Giulia: « Ho iniziato a lavorare un po’ più seriamente su Ventimiglia solo da qualche mese. Ho iniziato, come Non Una di Meno, a seguire un po’ il sister group, che è partito da dicembre scorso, però non ho avuto la possibilità scendere molto, quindi in realtà l’ho seguito tanto in remoto e meno sul campo. Quest’estate sono stata una settimana con il progetto 20 k e ho fatto la volontaria con loro, stando sia ad Eufemia che fuori, e ho seguito più strutturalmente il sister group, attraverso NUDM » ; e Lucio :  « è un anno che seguo più attivamente il progetto 20 k svolgendo un lavoro più ”dalle retrovie”, quindi da qui, da Genova : cercare di raccogliere i beni di prima necessità che a seconda delle stagioni sono stati necessari da portare giù. Abbiamo fatto vari eventi, raccolte fondi e beni di prima necessità e medicine. Dalla primavera mi sono concentrato molto sulla creazione del campeggio di 20k. Il campeggio sta chiudendo in queste settimane ed era necessario per poter garantire una maggior presenza di volontari a Ventimiglia durante tutto l’arco estivo. Per cui è partito durante la settimana del corteo e ha ospitato stabilmente almeno 15 – 20 persone, se non più, garantendo un buon livello di disposizione sul territorio per i monitoraggi e le aperture dell’infopoint, più altre attività di indagine e rapporti sul territorio. Oltre a questo, fino al corteo sono stato qui a Genova assieme ad altri ed altre per organizzare la manifestazione e il 14 ero lì per partecipare alla gestione della manifestazione. Dopodiché sono tornato nella stessa settimana di Giulia ».

Un ragazzo arrivato nella zona di confine per passare la frontiera guarda la costa francese seduto sul litorale italiano a Ventimiglia. Ventimiglia, 2018

La quarta persona con cui abbiamo discusso, Gabriele, ha svolto un lavoro di ricerca sul campo, nell’intento di comprendere il confine, in quanto dispositivo, in una prospettiva calata nella realtà locale e nelle vicende storiche e politiche di lungo corso : «Il mio lavoro quest’estate a Ventimiglia è stato caratterizzato da due tipi di azioni: la raccolta delle memorie non solo dei migranti ma anche degli italiani sulla questione del confine e degli sconfinamenti a Ventimiglia, dalle lotte del 2011, con la cosiddetta emergenza tunisini, fino al 2015, con la lotta dei Balzi rossi, fino alle recenti mobilitazioni; e poi un lavoro più classico, di archivio, basato sull’indagine negli archivi di stato di Ventimiglia e di Imperia, rispetto ai processi penali per immigrazione clandestina durante il fascismo. Il dispositivo di confine ha delle ricadute nel definire e selezionare i corpi secondo un meccanismo di esclusione ed inclusione differenziale. Anche questo meccanismo è legato a uno statuto epistemologico, da una sorta di “archivio”, che si configura nel passato attraverso specifiche strategie del controllo, fondate sul corpo, in particolare sul genere e sulla razza. Durante il fascismo questo controllo è stato esteso ad altre categorie, per esempio quelle politiche che identificavano chi andava in Francia per la fare la Resistenza, ma anche a chi scappava dall’Italia perché non trovava una risposta nel fascismo, persone di ceti molto bassi, che con la loro fuoriuscita esercitavano una critica dal basso al regime, come si evince dalla loro storia. Una critica non solo a quella che era l’organizzazione fascista del lavoro ma anche alle sue politiche patriarcali, autoritarie, gerarchiche». Le due linee di ricerca, quella sul campo e quella d’archivio, acquisiscono spessore e potenziale analitico, accostate l’una all’altra : «Queste due ricerche tessono un rapporto e una connessione tra quello che è stato il passato del fascismo e il presente. Connessioni che sono importanti sia rispetto al meccanismo di inclusione differenziale, sia per l’utilizzo di alcuni metodi repressivi, come nel caso del foglio di via, già utilizzato in epoca fascista. Emerge il ruolo del confine non solo come frontiera, ma anche come strumento per rinegoziare le forme, le strutture e l’organizzazione della società, come dispositivo di controllo biopolitico della società».

Quindi, assieme ai nostri interlocutori, abbiamo cercato di definire il paesaggio sociale ventimigliese degli ultimi mesi : Quali presenze permeano lo spazio pubblico cittadino ? Quali attori sociali sembrano avere un ruolo nel definire le dinamiche socio-economiche a cavallo del confine ?

Per Lia, la risposta non può che iniziare da una costatazione durissima : « l’attore rimasto più importante e che tutto permea sono le mafie. Non è una situazione evidente che si può riconoscere andando a Ventimiglia qualche fine settimana, ma nel corso degli anni la consapevolezza è aumentata e appare evidente che i principali attori sociali siano influenzati da accordi che coinvolgono più forme di associazione a delinquere ».

Antonio aggiunge profondità a questa lettura: « Con il rarefarsi delle persone solidali, la percezione della presenza delle mafie, che ci sono sempre state, si è amplificata attraverso la conoscenza diretta ma anche in maniera indiretta, anche nei racconti di chi e più presente sul territorio. Un altro attore sociale rimasto e da sempre costante sul territorio di Ventimiglia, è costituito dalle forze dell’ordine. L’attività repressiva si esplica in maniere differenti ma prevalentemente tramite il trasferimento coatto, con frequenza settimanale, e la deportazione verso il Sud ».

Una lettura condivisa anche da Giulia, che sottolinea come anche la minor presenza di migranti contribuisca a rendere evidenti certi meccanismi : « forse anche perché c’è meno flusso, si vede più chiaramente quale sia il traffico : davanti alla stazione c’è sempre il gruppo che sta lì e chi scende dal treno sa già dove andare oppure loro lo vanno a prendere… poi, probabilmente tanti di loro sono anche poracci che cercano di svoltarsi la vita come possibile … è anche difficile dare un giudizio univoco : cioè, c’è chi è ‘ndraghetista o al soldo dell’ndraghetista e fa la tratta degli esseri umani ; altri, che magari sono lì da qualche mese e hanno visto lo spiraglio di possibilità per vivere ».

Lucio completa l’analisi, dando spazio a preoccupazioni che hanno a che fare con la complessità del fenomeno e la necessità di non cadere in giudizi univoci : « diciamo che, come diceva Giulia, vengono più allo scoperto e poi si nota di più la presenza di chi resta per qualche mese. Il problema è quanto questo faccia parte di un sistema. E’ una cosa che andrebbe analizzata e di cui bisognerebbe parlare cautamente, perché non si è certi di tutto, ma quel che immagino è che la ‘ndrangheta ventimigliese abbia trovato questo metodo per sfruttare gli ultimi, come al solito, come sullo spaccio e sul mettere in strada a vendere gli ultimi arrivati e più sacrificabili : la stessa cosa vale qui per i passaggi, per cui ci metto l’ultimo che è arrivato, che non ha un soldo per passare e gli dico « se tu mi garantisci dieci passaggi, poi quando ti trovi di là ti ritrovi pure qualche soldo in tasca ». Soldi che non sappiamo assolutamente quantificare. Vuol dire che criminalizzare un passeur oggi è più difficile rispetto al passato, perché è probabile che sia proprio quello con minor mezzi a finire a fare il passeur per racimolare qualcosa ».

La polizia porta al confine le persone catturate nelle retate in città, destinate ad essere deportate coi pullman RT verso Taranto. Ventimiglia, 2018

Lucio conclude dicendo che sicuramente la quotidianità della frontiera è in parte determinata da queste presenze, ma che tutto ciò si definisce all’interno di fenomeni più vasti. Fenomeni il cui impatto sulle vite delle persone sembra assolutamente differenziale, come osserva Giulia: « questo tipo di presenze e dinamiche per alcuni sono determinanti, per altri quasi invisibili ».

Il tema dell’invisibilizzazione apre il discorso alla presenza migrante, sempre più marginalizzata : « per il turista o il frontaliero che viene a comprare alcol e sigarette, in questo momento, la presenza migrante credo non incida in nulla nel suo passaggio a Ventimiglia » (Lucio). Per Giulia, l’ambiente sembrava molto diverso rispetto alle altre volte che era passata da Ventimiglia, « nel senso che, con la chiusura del campo informale, lo spazio pubblico era molto poco attraversato dai migranti, che stavano per lo più nel campo o comunque sempre nella zona di via Tenda ». Antonio, facendo riferimento a fasi attraversate negli ultimi anni, afferma : « Sono ritornati a rendersi meno visibili. L’invisibilità, probabilmente indotta dall’aumento dalla repressione, è aumentata. Pochi giorni fa, abbiamo visto i segni della presenza anche recente delle persone lungo il fiume, ma ne abbiamo incontrate poche. Dai racconti e dalle informazioni sembrerebbe che il passaggio attraverso la città sia molto più rapido. Non c’è più un luogo stanziale, a parte la Croce Rossa, dove le persone in viaggio possano fermarsi e organizzarsi. Ci sono dei gruppi di persone che sono in Italia già da tempo e si spostano da un confine all’altro alla ricerca di “lavoro”, per esempio legato al transito. In una situazione come questa i branchi di lupi che attaccano il gregge sono molto più evidenti ».

Ci chiediamo, quindi, cosa abbia contribuito a questa mutazione.

Il parere di Lia è che  « in merito al cambiamento degli attori sociali è stata determinante la repressione sui solidali, il fatto che siano stati allontanati e la carenza di partecipazione, non solo politica ma affettiva, elementare. Dalle persone che volevano l’abbattimento delle frontiera, alla Caritas, sono state tutte eliminate. Questo ha fatto sì che i vari tipi di sfruttamento, il traffico di esseri umani in genere, dal piccolo trafficante a quello che usa le donne per guadagnare, ad altri tipi di commercio di cui noi possiamo solo intuire le dimensioni, agiscano a nostro parere incontrastati, perché il territorio fondamentalmente non viene vissuto anche da altre persone. Se l’interesse umano è venuto meno, se anche l’interesse politico è venuto a mancare, l’interesse economico è quello che resta, o se ne va per ultimo. Per i piccoli trafficanti il passaggio di persone può costituire l’unica fonte di sopravvivenza. Ciò che spesso si sente ripetere è che noi abbiamo perso. Con “Noi” si intende le persone che hanno partecipato ai balzi rossi, che hanno partecipato ai campi informali del 2016 e che hanno continuato a rimanere sempre in minor numero anche nel 2017, fino a trovarsi oggi inermi di fronte a questa situazione pericolosa. E’ chiaramente pericoloso il fatto di non avere persone ben intenzionate per la strada, di non avere gruppi che possano aiutarsi, una presenza di compagni, di individui che vivano il territorio allo scopo di comprendere questo fenomeno, accompagnarlo, tentare di sviluppare delle strategie contro una situazione assurda e violenta, che non avrei immaginato di vedere sviluppata a questo livello. Questo è l’apice dell’iceberg di una situazione agghiacciante e ovviamente ci si chiede come ciò possa continuare a verificarsi sotto gli occhi di chiunque ». La repressione attuata sugli spazi di stanziamento autonomi è continuata anche dopo la manifestazione, con la chiusura con delle grate di quello che rimaneva del campo informale, facendo sì che il campo della Croce Rossa resti l’unica opzione praticabile per chi transita da Ventimiglia. Praticabile ma certamente non sicura: per Antonio si tratta di « un campo sperimentale, con  alcune delle caratteristiche tipiche dei campi di concentramento, lontano dalla città, difficile da raggiungere, permettendo, almeno teoricamente, un controllo dall’esterno. Ci è stato raccontato da più persone che i rastrellamenti vengono effettuati anche nella zona immediatamente antistante alla Croce Rossa ». Le condizioni del viaggio fino all’Italia, e poi della permanenza nei luoghi in cui questo viaggio trova le sue strozzature, si sono fatte, se possibile, ancor più complicate e dure negli ultimi tempi. Una costatazione, questa, che genera interrogativi importanti in chi, da anni, è a contatto con persone che decidono di partire: «Non sono attori sociali immediatamente comprensibili, perché, per quanto si cerchi di entrare in contatto con loro, non si capisce bene come questo fenomeno continui, nonostante la violenza e la repressione, quale sia esattamente la loro ricerca. Certamente c’è la sfida ad un ordine precostituito che impedisce di viaggiare liberamente, che non permette di chiedere un visto e andare dove si vuole. A parte chi ha avuto la famiglia sterminata dai Janjaweed in Sud Sudan e coloro che raccontano di un immediato rischio di vita, a volte cerchiamo di comprendere questo attore sociale, cercare di capire chiaramente come nasce l’idea del viaggio. Per esempio quando una ragazzina eritrea che va a scuola a un certo punto si mette d’accordo con le sue compagne. Si domandano e decidono «prima che ci mettano a fare il servizio militare a vita, perché non andiamo in Europa?». Le singolarità sono determinanti, abbiamo visto persone che lavoravano in Libia e non volevano andare via, ma per i casini successi lì sono dovuti scappare e partire verso l’Italia, perché era il primo paese disponibile, per poi andare ovunque, al di fuori di esso. Le situazioni sono singole, le ricerche sono varie e molto spesso la ricerca non è sovradeterminata dalla provenienza da un paese, è tutto molto complesso e la comprensione di questo fenomeno è qualcosa di importante, anche per noi» (Lia).

Ingresso a campo CRI nel Parco Roja: al container di polizia vengono controllate impronte e generalità delle persone che chiedono ospitalità. Ventimiglia, 2018

Il quadro ha decisamente delle tinte fosche, ma, nonostante le difficoltà, i solidali non sono scomparsi. Alcune presenze sono individuate unanimemente come particolarmente importanti, perché individuate come punti di riferimento, avendo, negli anni, assicurato la continuità di alcuni percorsi e azioni politiche. Delia in primis.  Si parla anche di quei solidali che sono sopraggiunti in loco proprio per motivi politici e la cui presenza si consolida nel corso del tempo. Tra questi, il Progetto 20k, che, con l’apertura dell’Infopont Eufemia, garantisce un luogo d’incontro e anche di avvicinamento per persone, o gruppi di persone, che arrivano a Ventimiglia con l’intenzione di attivarsi : un esempio, i vari gruppi scout che hanno iniziato a frequentare la zona.

Tutti d’accordo anche sul ruolo importantissimo di Kesha Niya, il collettivo internazionale che si occupa di distribuire pasti e viveri.

Antonio riassume le loro traiettorie : «un ruolo essenziale dal punto di vista del supporto al transito e dell’assistenza l’ha svolto Kesha Niya. Finché hanno potuto sono stati nei pressi dei campi informali sotto il ponte. Poi a causa del peggioramento della repressione e dell’arrivo del nuovo prete (che ha mostrato un’immediata avversione per il loro gruppo), si sono dovuti spostare. Al momento, dalle notizie che ci arrivano, sembra che siano al confine, dove alle persone che vengono respinte non vengono forniti cibo e acqua anche per molto tempo ».

Da oltre frontiera, vengono citati gli abitanti della Val Roya, riuniti nell’associazione Roya Citoyenne, e altri cittadini francesi, riuniti intorno a gruppi islamici che effettuano sostegno al transito tramite fornitura di beni di prima necessità ormai da anni. Proprio nel riannodarsi di un confronto con Roya Citoyenne, Lucio vede un segnale positivo: «anche se vessati e costretti a vivere in un territorio militarizzato tutto l’anno, partecipano a degli incontri per discutere di un’azione solidale congiunta. Anche perché poi si è visto che dopo il corteo del 14 luglio uno spiraglio politico, una considerazione in più anche da parte di questi attori sociali c’è: diciamo che l’impressione è che oltre ad essere per la prima volta considerati come un soggetto politico dagli attori istituzionali, anche con gli altri solidali c’è stato una nuova spinta al confronto e per fare progetti assieme». Infine, vengono nominate quelle persone che, singolarmente o in piccoli gruppi, si impegnano per sostenere il transito delle donne e gli avvocati che, senza riuscire a garantire una grande continuità, cercano di contribuire con le loro competenze professionali.

Gabriele, attento alle relazioni tra i diversi attori sociali per finalità di ricerca, ha un’opinione leggermente differente e osserva che le numerose realtà ancora presenti restano piuttosto «divise, lontane una dall’altra, senza coordinamento. In realtà so che c’è un tavolo di coordinamento, ma la dispersione rimane comunque grande su questo territorio di confine, un confine che è il limes tra gli stati ma anche un dispositivo potentissimo che rimette in discussione tutti i significati».

Chi sembra uscito di scena, o comunque molto meno presente che in passato, sono le ONG. Per Lia: «Il tempo delle ONG è un po’ passato. Non ci sono più i medici che avevano tentato di fare l’ambulatorio anche all’esterno, nel campo informale del fiume Roya. Credo ora facciano alcune ore di ambulatorio al giorno nella sede della Caritas. Tutto quello che girava intorno alla Chiesa delle Gianchette. come l’alimentazione e l’assistenza medica, ora credo si svolga presso la Caritas». Una presenza, quindi, valutata come discontinua e poco incisiva:

«Poi le ONG hanno dei pezzetti che si pigliano, con alcuni di noi hanno collaborato, ci sono delle individualità positive, ma anche le ONG non è che facciano un lavoro strutturale e strutturante, fanno raccolta dati quando va bene e quando ci sono, però non è cambiata rispetto agli anni scorsi : continuano a non esserci i medici …»(Giulia) . «Poi è chiaro, se non ci investono dei fondi….loro sono persone che lavorano e se sono in uno due… non possono fare molto altro che monitorare…» (Lucio). Vengono menzionate altre associazioni, che non hanno mai smesso di partecipare al sostegno alle persone in viaggio, come Popoli in Arte, che collabora all’esistenza dello spazio Info point gestito dai 20k.

Un’osservazione di Antonio obbliga a considerare il ruolo degli attori economici ufficiali e delle istituzioni: «secondo me uno degli attori sociali è anche il servizio di trasporto locale (la Riviera Trasporti) che ha appianato il proprio debito tramite questo tipo di attività che noi paghiamo e che ha un costo molto alto per persona. Questo rientra nel discorso dell’industria legata allo sfruttamento. Diventano oggetti di un trasporto forzato pagato da noi».

Pullman della Riviera Trasporti, dedicati alle deportazioni delle persone migranti. Ponte S.Luigi, Ventimiglia, 2018

Quindi, «lo Stato sembra assente o presente solo a livello repressivo, ma probabilmente partecipa anche nel regolare i commerci che derivano dal transito e dalle deportazioni. Il campo della Croce Rossa ha costituito, dall’estate scorsa, l’unico luogo di permanenza esistente. Per l’accordo con lo Stato, la Croce Rossa incamera soldi per l’acquisto del cibo, la gestione e la costruzione delle strutture» (Lia).

Questa ambiguità della presenza istituzionale, tra militarizzazione e repressione, da una parte, e assenza di politiche strutturali e tangibili, viene sottolineata anche da Lucio: « a me è sembrato che ci sia un grosso vuoto : nonostante la presenza militare costate. Ad esempio, il sindaco sembra già in campagna elettorale, per maggio/giugno o quando saranno le amministrative. Tant’è vero che durante la preparazione del corteo, lui che cercava di ostacolarne lo svolgimento, ha detto apertamente « noi su questo tema ci giochiamo la rielezione ». Allora i continui proclami che sta facendo, la presenza a Milano la scorsa settimana (al corteo contro l’incontro Salvini-Orban, n.d.r.) dicono questo: di base non fa nulla, quando c’è la notizia, il gossip, il tema, allora prende parola, ma il tutto è sempre teso a cercare di farsi credito, mentre non pratica nessuna politica istituzionale». Giulia aggiunge: «sembra proprio che stia funzionando la marginalizzazione totale, nel senso che, anche in negativo, non ho visto grande accanimento, se non da parte della polizia soprattutto francese (perché comunque, tramite i monitoraggi, si è visto che ogni giorno succede il peggio del peggio su quei treni). A livello politico istituzionale c’è un vuoto perché l’obiettivo è quello di invisibilizzare : tu non esisti, io di te non parlo neanche.

Baracche bruciate dalle persone migranti lungo il fiume Roja per protestare contro lo sgombero dell’ultimo campo informale. Aprile 2018

E ora che non c’è il campo informale ecc., sono talmente lontani dalla città che il turista potrebbe anche non accorgersi di niente, potrebbe anche sembrare una cittadina qualunque, borghese ecc». La lettura data da Antonio ci permette di valutare le attuali posizioni dell’amministrazione locale in quanto conseguenza di una linea politica scelta, e perseguita, dal 2015: «A livello di amministrazione locale a Ventimiglia c’è un sindaco del PD che è rimasto tale sin dall’inizio, quindi non è cambiato niente. Alle prossime elezioni vincerà probabilmente la Lega, in continuità naturale con le politiche portate avanti fino ad oggi. Ciò rappresenta la fine di questo percorso di imbarbarimento. Dall’inizio c’è stata una sinergia completa tra l’attività repressiva poliziesca e l’amministrazione locale. Per non peggiorare i contrasti con la popolazione locale e le situazioni di disagio evidente delle persone che dormono in strada bastava veramente poco. Bastava un accesso diretto all’acqua potabile, che adesso di nuovo non c’è più, i servizi igienici e una raccolta dei rifiuti. Se avesse fornito queste tre condizioni sarebbe stato differente e avrebbe avuto costi sicuramente inferiori a quelli delle deportazioni e delle periodiche “pulizie” del greto del fiume. Si lasciano vivere le persone nelle condizioni peggiori poi, quando la situazione è arrivata a un limite non più valicabile, arrivano le ruspe a distruggere e togliere tutto. Questa è una politica a mio avviso folle, anche dal punto di vista economico».

Una strategia che, comunque, sembra aver quantomeno rabbonito il dissenso di alcuni abitanti: «In passato ci sono state manifestazioni contro la presenza dei migranti e spesso delle grandi discussioni con gli abitanti del quartiere delle Gianchette, che mostravano evidentemente il loro essere contrari o molto critici, anche piuttosto aggressivamente, alla presenza delle persone in viaggio o almeno alla modalità con cui questa cosa veniva gestita. Dal momento che ora le persone migranti non sono più raggruppate di fronte alle loro abitazioni, questo fenomeno mi sembra sia venuto meno. Non ci sono più manifestazioni, né rimostranze così frequenti. Ogni tanto prima si vedevano dei manifesti lungo la strada con scritte come “Basta degrado” “Ventimiglia libera”, ora non più» (Lia).

Ovviamente, anche la cittadinanza, a ben guardare, esprime posizionamenti differenziati e, secondo Giulia, qualche individualità tra gli abitanti manifesta interesse, «soprattutto portando cibo e vestiti … di certo non si tratta di masse…».

… To be continued …

Sull’emergere dei comitati cittadini anti-migranti

[immagine in evidenza: repertorio Riverapress.it]

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, un articolo che ripercorre come il fenomeno delle proteste anti-migranti, così frequente negli ultimi tempi, si sia declinato a Ventimiglia.
La Cronaca italiana, da un paio d’anni a questa parte, ci ha fatto conoscere un nuovo tipo di soggetto sociale : il comitato, di cittadini, di quartiere, di abitanti, ecc. ecc. che si mobilita contro l’istallazione, nei dintorni delle proprie abitazioni, di centri e strutture di accoglienza ai/alle migranti. Il più delle volte, si constateranno il supporto (o la sobillazione) da parte di gruppi facenti riferimento ad aree politiche di estrema destra e l’ingigantimento strumentale della problematica, sia che l’accento venga messo sulla ‘piaga’ del degrado, sia che si paventino scenari di violenza e insicurezza.
Alcuni casi, di vere e proprie azioni organizzate o raid, hanno conquistato le prime pagine dei giornali, dando voce ad un’ansia securitaria che lascia impietriti, tanto è irragionevole : minori accusati di aggressioni mai avvenute a Tor Sapienza[1], una quindicina tra donne e bambini a Gorino[2], qualche famiglia in un palazzo di Via XX Settembre a Genova[3] … si potrebbe continuare a lungo ad elencare i ‘nuovi mostri’ che hanno scatenato fobie e isterismo da un estremo all’altro della penisola. A Multedo, quartiere del ponente genovese, si è arrivati a costruire una narrazione falsata, secondo la quale l’asilo di quartiere sarebbe stato chiuso per far spazio ai migranti[4]: il fumo negli occhi storpia la realtà, fino a far dimenticare che quell’asilo privato è stato chiuso per questioni di budget, poichè le rette non bastavano più a mandarlo avanti, secondo quanto dichiarato dalle Suore della Neve che lo gestivano. Per quale bizzarra traiettoria il problema trasla dal taglio indiscriminato allo stato sociale all’accoglienza di qualche decina di richiedenti asilo?
Nonostante la brutalità del confine, della repressione poliziesca, dell’assenza di un supporto istituzionale degno alle persone in viaggio, anche a Ventimiglia la rabbia si scatena nei confronti di chi questo sistema lo subisce e cerca di combatterlo. Quando la rabbia è cieca, diventa odio indiscriminato, quindi di facile strumentalizzazione. Il gioco è pericoloso e chi lo istiga non merita alcuna agibilità politica.
immagine repertorio La Riviera.it

Negli ultimi anni stiamo assistendo in Italia all’emergere con forza di sedicenti gruppi / comitati cittadini spesso accomunati dai seguenti elementi:

– vertenze, presidi e cortei anti-migranti, contro il “degrado” e per la “sicurezza”, in larga parte espressioni di razzismo “di pancia”: quest’ultimo può essere collegato all’incomprensione dei fenomeni sociali in corso e all’incapacità frustrante di non sapere come agire politicamente, e quindi attraverso quale modalità interfacciarsi con le decisioni istituzionali;

– infiltrazione e/o guida di questi gruppi o comitati da parte dei movimenti di estrema destra (Lega Nord, Forza Nuova, CasaPound, oltre a specifiche associazioni ad essi collegate) con conseguente radicalizzazione delle pratiche (emblematici i casi di incendi / danneggiamenti alle strutture adibite all’ospitalità dei richiedenti asilo e delle barricate anti-profughi);diffusione di gruppi facebook intolleranti utilizzati per il coordinamento pratico e ideologico attraverso il tipico modello “Sei di (nome città) se”[5];

– concessione di agibilità politica da parte delle istituzioni locali nell’ottica della funzionale e deresponsabilizzante – per loro – “guerra tra poveri” (emersa in maniera evidente con l’esplosione della crisi del 2008).

[Questa riflessione tuttavia non deve portare a generalizzazioni riguardo al ruolo dei comitati cittadini che in molti casi nascono invece per opporsi a grandi opere inutili e/o alle discriminazioni dilaganti.]

Anche a Ventimiglia, da un anno a questa parte, si è sviluppato lo stesso fenomeno: sul territorio è infatti nato un movimento cittadino autodefinitosi prima “Adesso Basta” e poi “Ventimiglia Libera”, espressione di una rabbia viscerale e in larga parte disorganizzata, che però ha già all’attivo quattro manifestazioni di intolleranza nei confronti dei transitanti. Come già raccontato dal blog Parole sul Confine[6], nel corso di questi cortei sono stati individuati personaggi riconducibili a Forza Nuova e Lega Nord e sono stati urlati slogans palesemente razzisti (“Bruciate i loro bambini!”), oltre che commenti a sostegno di Gaetano Scullino (Forza Italia), sindaco della precedente amministrazione comunale sciolta per infiltrazioni mafiose un paio di anni fa. Come se non bastasse, infatti, a Ventimiglia la presenza della ‘ndrangheta calabrese è ancora molto forte e determinante nelle scelte della vita cittadina[7].

L’11 novembre 2017[8] abbiamo assistito all’ultimo episodio di questa trafila: circa un centinaio di cittadini ventimigliesi, tra cui alcuni esponenti della Lega Nord locale, si sono mossi in corteo per protestare contro la presenza dei migranti in città e per richiederne l’allontanamento dal territorio. Hanno mostrato alcuni striscioni con scritto: “Rivogliamo la nostra città”, “Ventimiglia dice basta”, “Tutti uniti per Ventimiglia” e “Ventimiglia: accoglienza, no delinquenza”. Passando da via Tenda, i manifestanti hanno insultato i/le solidali dell’info-legal point Eufemia, che da quest’estate si occupa di fornire gratuitamente servizi minimi ai ragazzi in viaggio (materiale informativo, ricarica cellulari, connessione internet, sportello legale). I volontari hanno scelto di non rispondere alle provocazioni, optando invece per la tutela collettiva dello spazio e dei ragazzi lì presenti[9]. Al termine della manifestazione, conclusasi di fronte al palazzo comunale, è stato letto il testo della “petizione anti-migranti” da inviare al prefetto di Imperia, con allegate alcune firme dei cittadini.

Risulta sostanzialmente chiaro come il tiro si stia indirizzando verso i soggetti più vulnerabili e attaccabili localmente, ovvero migranti e solidali.

L’illusione di avere un minimo di potere reale su quanto le circonda (purtroppo in senso reazionario), infatti, spinge queste persone a scendere in piazza denunciando l’abbandono “da parte dello Stato” e riuscendo immediatamente ad identificare il “nemico” da combattere: sembra proprio che la xenofobica divisione tra noi (“bianchi”) e loro (“neri”) stia tenendo banco, aprendo la possibilità di pericolose derive razziste.

Il tema del “degrado cittadino” risulta inoltre presente in questa populistica analisi: il problema non è una linea immaginaria chiamata frontiera, il problema non è l’atteggiamento dell’UE, degli Stati italiano e francese e delle istituzioni locali nei confronti delle migrazioni, il problema non è il Comune che lascia delle persone in condizioni igienico-sanitarie precarie e pericolose e che non attrezza la zona del greto del fiume almeno con bagni chimici, fontanelle e cestini dei rifiuti (questo chiaramente nell’ottica di impedire assembramenti informali, che tuttavia, nonostante gli sgomberi estivi avvenuti con le ruspe targate Pd, continuano ad esistere e resistere): il problema, per alcuni cittadini ventimigliesi, sono i ragazzi che sporcano, strumentalizzando i quali possono dunque esprimere il loro legalitarismo, utile per mascherare e giustificare il razzismo di fondo che li anima. E nulla sembra valere il fatto che ogni mercoledì scout Agesci, volontari e migranti si impegnino nel ripulire la zona del Roja cercando di renderla meno invivibile. È anche vero che la questione sta a monte: «Cos’è davvero il degrado? E’ nei resti di un accampamento di fortuna, nei pochi averi abbandonati sul ciglio della strada mentre si tenta la salvezza oltre confine, in questa miseria che spinge migliaia di esseri umani a rischiare (e spesso perdere) la vita… Oppure nelle politiche di accoglienza e negli interessi senza scrupoli di pochi, che di umano non hanno nulla? Il degrado non è forse nei cuori e nelle teste di chi tratta una parte di umanità come un rifiuto gettato ai bordi della strada?»[10].

Le politiche di espulsione, marginalizzazione e invisibilizzazione del “diverso”, già palesemente in atto per esempio con la presenza del centro della Croce Rossa situato all’estrema periferia di Ventimiglia[11] e con la pratica criminale delle deportazioni, vengono dunque incoraggiate da questa parte della popolazione locale, che addirittura ne vorrebbe un’ulteriore implementazione.

Ricette preconfezionate e pronte all’uso non esistono, ma risulta chiaro che occorre pensare a come opporsi, con fermezza e nella pratica concreta, a questa parte di popolazione intollerante. In primo luogo è necessario sottolinearne l’esistenza, evitando banalizzazioni del fenomeno e sottovalutazioni del potenziale che questo può avere: insomma, inutile far finta che le persone in questione non esistano. Utile, invece, smontarne le deliranti narrazioni con criterio, cioè tramite una controinformazione mirata e costante, e quindi denunciarne politicamente le opinioni e le azioni xenofobe. Nonostante l’apparente paradosso, infatti, dimostrarsi intolleranti verso gli intolleranti risulta essere il mattone fondamentale per costruire una vera società della tolleranza.

Alcuni solidali di Ventimiglia

immagine repertorio Sanremonews.it

Note:

[1] http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/14_novembre_13/tumulti-tor-sapienza-stranieri-redistribuiti-6fba45f0-6b08-11e4-8c60-d3608edf065a.shtml

[2] http://www.corriere.it/cronache/16_ottobre_26/dicono-undici-donne-2d911842-9af0-11e6-97ec-60bd8f16d4a5.shtml

[3] http://genova.repubblica.it/cronaca/2016/11/12/news/migranti_in_via_xx_settembre_a_genova_la_prefettura_cita_i_condomini_che_negarono_l_acqua-151845973/

[4] http://genova.repubblica.it/cronaca/2017/10/09/foto/multedo_l_arrivo_dei_migranti_fa_riscoprire_la_voglia_di_asilo_-177793356/1/; http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2017/10/26/ASKX9iIK-multedo_difesa_martino.shtml

[5] https://news.vice.com/it/article/gruppi-cittadini-facebook-estrema-destra

[6] https://parolesulconfine.com/marea-razzista-ventimiglia-no-borders/

[7] http://www.ilsecoloxix.it/p/imperia/2017/06/25/ASPDJt4H-ndrangheta_spuntano_business.shtml

[8] https://parolesulconfine.com/ventimiglia-libera/

[9] Comunicato sui fatti dell’11/11/17: https://www.facebook.com/progetto20k/posts/535242253502360

[10] https://parolesulconfine.com/immigrazione-e-degrado/

[11] https://parolesulconfine.com/parco-roja-minaccia-la-sicurezza/

‘Ndrangheta, spuntano nuovi “business” nel Ponente ligure (dal Secolo XIX, 25-06.2017)

‘Ndrangheta, spuntano nuovi “business” nel Ponente ligure

DAL SECOLO XIX DEL 25 GIUGNO 2017

leggi l’articolo

 

Il 25 Giugno 2017 è uscito sul Secolo XIX un articolo che parlava dei nuovi “business” della ‘ndrangheta nel Ponente Ligure. Affari di ogni genere come ad esempio «edilizia, trasporti, giochi e scommesse, raccolta e smaltimento rifiuti» nei comuni di Bordighera, Sanremo, Taggia e Diano Marina. L’articolo cita pure Ventimiglia, affermando che nella città di confine esiste “un’associazione a delinquere di stampo mafioso”: addirittura “la camera di controllo di Ventimiglia” viene definita. Certo non è una novità per chi attraversa quel territorio. E nemmeno, andrebbe detto, la mafia si occupa solamente di edilizia, trasporti, scommesse, raccolta e smaltimento rifiuti.

A Ventimiglia c’è un grosso traffico che riguarda gli esseri umani: dai passeurs che speculano sui migranti facendosi pagare per passare il confine (non sempre questa operazione va a buon fine), ai trafficanti che avviano alla prostituzione donne di tutte le età, anche con figli, costringendole a vendere il proprio corpo per attraversare il confine ed arrivare nel posto desiderato.
La mafia agisce anche così nel territorio di Ventimiglia, ma sembra che le istituzioni e le autorità, nonostante le ripetute segnalazioni di operatori e volontari, non facciano caso al crescente businnes di esseri umani, alimentato dalla presenza del confine.
Anche i giornalisti del Secolo, come quelli delle altre testate, possono pertanto permettersi di ignorare un fenomeno che collega mafia, ‘ndrangheta e malavita di vario livello: il traffico di esseri umani, che, grazie alla chiusura della frontiera da parte della Francia, sta dilagando in tutto il territorio ventimigliese e si sta rafforzando anno dopo anno.

La vergognosa assenza di un serio lavoro d’inchiesta sullo sfruttamento economico e sessuale delle persone migranti che transitano da Ventimiglia, purtroppo, fa da contraltare ad alcune scelte istituzionali che, consapevoli o meno che siano, vanno a incentivare la creazione di un contesto favorevole alla tratta degli esseri umani e quindi anche agli affari delle varie mafie presenti sul territorio. Una decisione scellerata e assolutamente criminogena, ad esempio, è stato l’ordine di spostare anche donne e bambini all’interno del campo della Croce Rossa Italiana, nella zona del parco Roja: un’area isolata, pericolosa e già segnata dal fenomeno della prostituzione e dalla folta presenza di trafficanti a caccia di affari.

Non dovrebbe essere una novità, insomma, il fatto che il territorio frontaliero italo-francese veda una strutturata azione mafiosa, operativa non soltanto nelle scommesse, trasporti e smaltimento rifiuti, ma impegnata anche nell’ampia fetta di affari legati alla presenza di centinaia di persone che vogliono oltrepassare un confine chiuso. Eppure l’articolo in questione rivela la scoperta dell’estate: a Ventimiglia, e in tutta la Costa Azzurra, “spuntano” la ‘ndrangheta e la camorra, infiltratesi finanche nella criminalità marsigliese. Uno scoop!

Il pressapochismo delle informazioni e la mancanza di approfondimenti concreti, sono un’ennesima occasione persa dalla pregevole stampa italiana di raccontare e documentare anche i pezzi più scomodi e torbidi, e quindi taciuti, della realtà di frontiera. Andando possibilmente anche al di là dello scontato e arcinoto: forse gli inquirenti e i validi giornalisti nostrani si documentano leggendo bei noir come Duri a Marsiglia, ambientato negli anni ’30 del secolo scorso… nel libro, il protagonista in fuga dall’oppressione dell’Italia fascista, giunge a Marsiglia e viene preso a servizio… indovinate da chi? Dai Calabresi, che a Marsiglia e in Costa Azzurra si contendono il controllo del territorio con i Marsigliesi e i Catalani… Niente di nuovo sotto al sole quindi, almeno da qualche decennio.

D’altronde, l’accuratezza del lavoro giornalistico fa ancora luce nella conclusione dell’articolo: «I magistrati hanno anche “attenzionato” le realtà legate alla galassia anarchica, riscontrando presenze nell’attività di volontariato legata all’assistenza dei migranti a Ventimiglia. Hanno inoltre individuato la presenza, ma non radicata sul territorio, di gruppi criminali albanesi, senegalesi e nigeriani». Giulio Gavino, il giornalista che ha scritto questo pezzo, dopo aver snocciolato informazioni approssimative e superficiali sulle mafie agenti nel territorio del Ponente Ligure, conclude quindi l’articolo con estrema pertinenza d’argomenti, tirando in ballo i solidali presenti a Ventimiglia.
Un ennesimo e pacchiano tentativo volto screditare qualsiasi opposizione politica, affiancando in modo vergognoso la realtà della criminalità mafiosa alla presenza di solidali socialmente e politicamente impegnati nel territorio: la chiusa fa piombare “ad arte” sulle teste della fantomatica “galassia anarchica” un’aura oscura di pericolosità sociale e colpevolezza. Illazioni campate per aria che inseguono gli anarchici fin dai tempi di Sacco e Vanzetti: si vede che il nostro giornalista è un cultore degli anni ’20 e ’30 del secolo passato….

Ci sarebbero da farsi quattro risate, se dietro queste righe maldestre non si celasse un’inquietante volontà di spostamento dell’attenzione e falsificazione (o insabbiamento) della realtà, ad uso e consumo di istituzioni che costruiscono continuamente capri espiatori per non ammettere le proprie responsabilità. I vari poteri istituzionali che tollerano, fingono di ignorare, o addirittura favoreggiano il traffico di esseri umani gestito da ’ndrangheta e dai vari gruppi della criminalità italo francese – gli stessi poteri che poi demonizzano i trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo, per giustificare gli interventi militari in Libia – costruiscono una retorica pelosa, che criminalizza e accusa, non si sa bene di che cosa, il mondo dell’attivismo e della solidarietà ai migranti in transito.
Un impegno diffamatorio e meschino, volto a colpire proprio coloro che lottano concretamente anche contro l’assalto di mafia e trafficanti al contesto migratorio. I solidali, i volontari, gli attivisti, sono gli unici, assieme ai migranti, ad essere criticamente presenti e attenti sul territorio, a vedere e quindi denunciare quanto accade.

Già nell’estate del 2016 i media, le istituzioni e le autorità locali hanno avuto buon gioco criminalizzando un gruppo estremamente eterogeneo e numeroso di attivisti, adoperando nei loro confronti l’appellativo di terroristi ed accusandoli di eversione. Addirittura i giornali scrissero di campi estivi d’addestramento alle armi e sciabole portate alle manifestazioni: stupidaggini senza riscontro nella realtà, calunnie per gettare discredito sulle voci che si levarono per contestare il blocco delle frontiere e la privazione della libertà e dignità di centinaia di persone. Nessun giornalista ha dato di conto per quelle bugie.

Il tempo passa, ma le strategie restano uguali: giornali locali e scribacchini conniventi, evidentemente, continuano quest’anno la pantomima contro coloro che si spendono e impegnano in prima persona al fianco delle persone migranti, pur non appartenendo a nessuna associazione, ong o gruppo istituzionale.
Sul secolo XIX l’attivismo finisce equiparato alle sacche mafiose che a Ventimiglia gestiscono, tra le tante altre cose, anche il traffico di esseri umani: come sempre il giornalismo italiano si adegua, con serenità, al ruolo di cane da guardia del potere costituito.

 

 Cati, g.b