“Fare i conti, senza l’oste” – Ventimiglia (17/11/18 )

Ventimiglia 17/11/18 : “Fare i conti, senza l’oste”
Una pagina di diario che contiene impressioni rielaborate cercando un filo che non sia solo analitico ma anche emotivo. Nell’incapacità di tracciare un quadro esaustivo o di trovare una quadra politica rispetto alla sfida terribile che il presente ci pone di fronte, il racconto soggettivo è solo un modo di lasciare una traccia.

 


Ventimiglia è quella città di confine in cui esci dal treno e ti trovi davanti ad un quadro metafisico. Il tempo sembra sospeso: un gruppo di suore vestite in bianco si affretta sulle scale della stazione, pochi ragazzi neri aspettano il loro destino seduti su un muretto, un quartetto di donne e uomini di affari si salutano e entrano nella loro audi metalizzata, distrattamente una volante attraversa il piazzale.

Ventimiglia, di nuovo e d’autunno inoltrato, ormai quasi inverno.

 Ventimiglia: manca qualcosa, un’assenza corposa e tangibile.

Una città di confine dove le contraddizioni scoppiano e ti buttano in faccia quanto qualsiasi posizione – se non inserita in una visione complessiva, concreta e radicale di cambiamento – diventi astratta e moralistica.

A Ventimiglia quasi tutti i bar vivono grazie alle macchinette per il gioco. Il sindaco da un paio di settimane ha emesso un’ordinanza contro le macchinette che prescrive di tenerle chiuse dalle 7 alle 19.
Il sindaco delle ordinanze, quello del divieto di dare da mangiare alle persone migranti, emette un’altra ordinanza. A prima vista, stavolta fa bene. Ma davvero è così?

Alcuni bar potrebbero essere costretti a chiudere. Nei bar di Ventimiglia lavora gente normale con tutte le sue contraddizioni, molti lavorano da mattina a sera per campare. La maggior parte si è piegata al razzismo, non tutti come sappiamo però.
I commercianti strozzati dalle tasse, che non riescono a sbarcare il lunario e che saranno ancora più nella merda, magari costretti a chiudere, a causa della perdita delle macchinette.  Quei commercianti che sono alcuni degli omologhi italiani dei Gilets Jaunes che in questi giorni incendiano la République.

Certamente le macchinette sono una merda, sintomo della vita alienata che la gente, soprattutto quelli dei ceti più bassi, si trova a vivere. Ma un’ordinanza sulle macchinette fatta dal  sindaco delle ordinanze contro il cibo distribuito alle persone migranti, da un sindaco che ha ordinato lo sgombero dell’esperienza dei Balzi Rossi, da un sindaco del partito di Minniti, non potrà mai essere un’ordinanza buona.

Il confine ti mette continuamente di fronte alle contraddizioni sanguinanti di questo tempo.

Le persone in viaggio sono radicalmente diminuite e quelle che ci sono restano il più invisibile possibile.

 

Uscita dal bar di Delia, costeggio il lungo fiume prima di dirigermi all’assemblea del Coordinamento territoriale in Via Tenda, presso lo spazio Eufemia. Mi fermo a guardare delle palme che sono state decapitate. Mi si avvicina un signore sulla cinquantina, si presenta: “ Alfiero Pasquale, piacere, un tempo ero il vigile coi baffi . Guardi qui, nella foto, come ero bello un tempo. Sì le palme le hanno decapitate, hanno tagliato tanti alberi. Perché io lo so, sa, chi è stato. Quello lì, fa finta di fare ma non sa da dove si comincia.

 Ogni tanto sogno, o meglio sono in dormiveglia. Vedo delle cose, degli uomini. Appesi come pipistrelli, per i piedi. Sotto il ponte del cavalcavia della ferrovia là sotto. Lo sa? Li ha visti? Ma poi da lì sono stati mandati via. Verso la spiaggia. Ora li vedo, sotto il mare che camminano, in un tunnel. E io li inseguo e gli sparo delle frecce, proprio qui in mezzo alla fronte.”

“ Per ammazzarli?” – domando io.

“ Ma no sono già morti. Sono tanti, neri, vengono da altri posti, io li vedo, sono visioni che mi arrivano, come nel dormiveglia, me le manda il Padre di tutto, così lo chiamo io, che mi chiede di pregarlo…..”

L’ex vigile viene interrotto e io proseguo, pensando a come alcune situazioni con la loro enorme violenza sociale e politica producano nelle menti più sensibili e più porose delle visioni, delle ossessioni, pazzie che in fondo lo sono poco, confrontate all’accettazione brutale e diffusa della normalità spettrale.

 

 

Via Tenda è buia, piena di lavori stradali. Dentro Eufemia la luce è accesa e la stanza piena. La prima cosa che penso è che, partecipanti alla riunione del coordinamento territoriale, siamo solo europei con i documenti in regola.

Si ricapitola la situazione.

L’afflusso delle persone migranti è radicalmente diminuito. Le presenze al campo Roya lo dimostrano. Molti si fermano appena nella città di confine, sono già indirizzati al circuito dei passeurs. Il campo Roya se chiuderà, probabilmente poi riaprirà sotto forma ancora peggiore. Verranno applicate delle misure speciali varate per le zone di frontiera. Suona tutto molto inquietante e molto verosimile.

A gennaio lo spazio Eufemia gestito dal progetto 20K dovrà chiudere, il proprietario non rinnova il contratto d’affitto, non vuole grane. Difficile sarà trovare un nuovo spazio  in un territorio sempre più blindato, da una politica locale e nazionale razzista, dal controllo mafioso, da una popolazione in buona parte in difficoltà e chiusa nel suo egoismo. Resta un posto solo, ancora amico, il bar di Delia, ma per proteggerlo ci vorrebbe un progetto collettivo fatto da persone solidali che vivono il territorio e che abbiano la voglia e trovino le motivazioni per sporcarsi le mani con la melma di questa città di frontiera.

La repressione è sempre più forte: viene citato il caso delle due compagne che hanno ricevuto il foglio di via da Ventimiglia solo per aver documentato un’azione poliziesca volta alla deportazione delle persone migranti dalla città. Qualcuno chiede se sia possibile fare qualcosa collettivamente, un’azione dimostrativa per denunciare il livello repressivo inaudito, ma nell’assemblea sembra prevalere l’idea che occorra evitare altri problemi. Resta da chiedersi per fare cosa, visto che gli spazi di agibilità sono praticamente finiti.

La riunione si conclude, lasciando più interrogativi che progettualità condivisa.

Percorrendo Via Tenda a ritroso, nel buio fitto della sera, di nuovo percepisco un’assenza così concreta e reale. E cercando il comune denominatore di questa mezza giornata al confine, come al solito col suo tempo sospeso, condensato e lunghissimo, penso al detto: “fare i conti, senza l’oste”.

g.b. della redazione

 

 

 

Picnic contro la frontiera: una giornata di protesta a Sospel

Nella mattinata e nel pomeriggio di Domenica 18 Novembre decine di abitanti del territorio di confine tra Ventimiglia e la Val Roja hanno organizzato nel villaggio di Sospel alcuni momenti di informazione e un picnic contro la frontiera, la sua violenza e le sue conseguenze. Riceviamo e volentieri pubblichiamo il resoconto della giornata di protesta e il testo che è stato volantinato nelle strade di Sospel.

 

Domenica 18 Novembre a Sospel una trentina di abitanti delle valli transfrontaliere hanno rotto il silenzio sulla militarizzazione del territorio e sulle morti, più di 20, che tali politiche securitarie hanno causato. In mattinata si è svolto un volantinaggio nelle vie del paese per comunicare quanto sta accadendo e raccontare la concretezza dell’espressione «la frontiera uccide».

Durante il volantinaggio nelle bacheche pubbliche del paese è stata affissa la lista delle 21 morti documentate sulla frontiera di Ventimiglia e delle Alpi Marittime dal 2016, di ciascuna è spiegata la causa e il luogo della morte.

Successivamente le/i partecipanti si sono ritrovate/i per un pic-nic in un prato che si affaccia sul check-point fisso di Sospel, per denuciarne la presenza e disturbarne la routine del controllo. Durante tutto il pic-nic ogni controllo dei veicoli di passaggio in questo incrocio, che mette in collegamento la Val Roya col resto delle Alpi Marittime, è stato accompagnato dal suono di trombette di carnevale e da slogan contro la frontiera. «plutot chomeur, que controleur» , «moins des militaires, plus des sorcieres» , « la frontière tue, honte à ses guardian»1 gli slogan più cantati.

Alla fine del pic-nic mentre si allontanavano tutte/i le/i partecipanti sono state/i fermate/i e identificate/i dalla gendarmerie.

Resta la convinzione che di pic-nic come questo ce ne vorrebbero 100 o 1000 e che la prossima volta saremo di più.

1 «piuttosto disoccupati che controllori» , « meno militari, più streghe», «la frontiera uccide, vergogna ai suoi guardiani»

Momenti del picnic di protesta contro il confine e la militarizzazione della frontiera- Sospel- Domenica 18 Novembre
Sospel, una delle bacheche del paese in cui è stato affisso l’elenco delle persone decedute a causa della chiusura del confine italo francese dal 2016 a oggi

 

Di seguito, il testo che è stato volantinato per informare le persone sulla situazione lungo la frontiera italo-francese.

 

LA FRONTIERA UCCIDE, BASTA ALLA MILITARIZZAZIONE!

La frontiera di Ventimiglia è chiusa ormai da giugno 2015, ma è a partire dal 2016 che la militarizzazione di tutto il territorio frontaliero diventa massiccia ed invasiva. La prima diretta conseguenza di questa politica di militarizzazione sui due lati della frontiera è la morte di oltre 20 persone. Queste morti non sono conseguenza del caso, ma dei quotidiani respingimenti che costringono le persone a esporsi a rischi crescenti nel tentativo di attraversare il confine.

All’Europa oggi evidentemente non bastano nè gli hotspot (centri di prima identificazione voluti dall’UE nei paesi di primo approdo), nè gli accordi infami sottoscritti con governi autoritari come la Turchia, l’Egitto o le due Libie in guerra tra loro. Di sicuro non bastano le migliaia di persone morte nel Mediterraneo come nelle altre frontiere interne ed esterne. Il ritorno di rigurgiti sovranisti e populisti si sposa con il sogno tecnocratico di Bruxelles laddove ciò a cui aspira è il controllo delle popolazioni indesiderate. Nei sogni degli uni e degli altri le strade devono essere ripulite e le persone selezionate, che questo avvenga per la purezza della razza o per la valorizzazione del centro storico cittadino il succo non cambia.

Un sogno totalitario quindi, che vediamo svolgersi con copioni simili a Ventimiglia come a Claviere o al Brennero. Luoghi di frontiera e di turismo, in cui non vengono risparmiate brutalità e violenze pur di garantirsi un discreto, ma mai totale, controllo della situazione. Il copione tipo prevede una militarizzazione del territorio di cui le popolazioni locali restano passive spettatrici. Ecco, da questo ruolo di spettatori è necessario smarcarsi, è di nuovo il momento di prendere parola contro la frontiera e la sua militarizzazione.

Diverse mobilitazioni si stanno costruendo nelle località di frontiera dell’arco alpino, da qui fino a Trieste. Nelle valli Roya e Bevera da ormai due anni i check-point si moltiplicano e la presenza di militari armati sui sentieri, cosi come nelle strade dei paesi, è la norma. Noi non vogliamo vivere in silenzio in un territorio determinato ormai dalla militarizzazione e dai controlli razziali. Che questi controlli avvengano nelle nostre valli, nelle città o al di là del Mediterraneo resta il fatto che la presenza dell’esercito e delle forze di polizia costruisce e ricostruisce frontiere ovunque, e nessuno è più al sicuro in un mondo così pieno di sbirri.

Basta morti di frontiera, qui e altrove!

Basta militarizzazione!

 

Le vie del signore sono finite – Ventimiglia 10/11 Novembre

Le vie del signore sono finite.  Ventimiglia 10/11 Novembre

 

“Esco dalla stazione. Piove, e la pioggia mi accompagnerà per tutto il fine settimana. Nessuna divisa sui binari e nella piazza antistante. Un gruppo di 6 ragazzi ed una ragazza di apparente provenienza mediorientale parlano con un giovane della croce rossa monegasca.

Passo oltre e raggiungo il bar di Delia. Come sempre è gentile ed accogliente. Una mente critica con un cuore d’oro. C’è un ragazzo proveniente da Milano, della Costa d’Avorio, che ci ascolta un pò sorridendo e poi esce con le ciabatte ai piedi. Delia mi dice che purtroppo ha finito le scarpe. Molte persone, anche famiglie assai numerose, sono passate da lei per indumenti e coperte essendo anche chiuso l’infopoint di via Tenda. Infatti Eufemia ha subìto un danno alla saracinesca, speriamo non doloso, che costringe il gruppo 20K a tener chiuso questo spazio per almeno una settimana. Arriva un giovane ragazzo sudanese che ha richiesto il permesso di soggiorno e fa volontariato. Delia dice di essere preoccupata per una ragazza nigeriana con una bimba di età inferiore a 1 anno che si era allontanata dal bar il giorno prima con alcune persone, apparentemente appena conosciute. Il ragazzo racconta che, incontrata per strada, l’ha accompagnata alla croce rossa per avere un pò di riparo, in tutti i sensi. D’altra parte non esiste alcuna alternativa su questo territorio per una donna.

 Intanto continuano le deportazioni: l’ultima giovedì con il classico pullman che arriva in città all’alba, ora delle attività indicibili.   Esco dal bar e mi dirigo verso via Tenda. Ci sono un discreto numero di ragazzi per strada. Molti, oltre ai ragazzi africani, provengono dal Medio Oriente o Oriente. Altre persone già più volte incontrate, diciamo stanziali, sono sedute nei bar della via, prima del passaggio a livello. Intravedo persone che escono da recessi dall’altra parte del fiume e percorrono il ponte. Sono indeciso, penso che il mio eventuale arrivo e la domanda: “Have you any health problem? I am a medical doctor”, sia più un’intrusione che un aiuto, in una situazione come questa. Ci penserò domani con la luce.

Scritte di alcune persone migranti lungo la strada per il campo della Croce Rossa

 

Il blindato dei carabinieri staziona nel parcheggio antistante alla chiesa. La chiesa offre uno spettacolo pietoso, una iconografia dell’intervento attuale della chiesa in questo territorio: un cartello di divieto di sosta davanti ad una transenna che impedisce la sosta e l’entrata nella chiesa. Forse il motivo è un altro, ma è una chiara immagine dell’avversione nota da parte del parroco attuale nei confronti delle persone in transito.

L’esperienza di don Rito, nonostante i limiti, era punto di riferimento per donne bambini e famiglie. La conseguenza è stata che don Rito è stato ringraziato dal vescovo per il suo impegno spedendolo a prestar servizio a San Biagio, Soldano e Perinaldo, posti spersi tra i monti. Le donne, i bambini e le famiglie hanno ora la sola possibilità di stare nel campo Roja in condizioni di promiscuità illogiche oltre che illegali. D’altra parte mi viene detto come il vescovo Suetta non nasconda le sue franche simpatie leghiste. Un’amica solidale evidenzia, inoltre, come in questa istituzione per sua stessa natura gerarchica, le parole del capo, papa Francesco, vengano completamente disattese nel territorio di Ventimiglia.

Chiesa di Sant Antonio alle Gianchette, Ventimiglia

 

Raggiungo il cimitero con una pioggia battente. Insieme a me una decina di persone aspetta la distribuzione del cibo nel parcheggio antistante. Verso le 19.00, dopo che si era verificato anche l’allagamento della strada e del parcheggio, vado ad incontrare un’amica solidale. Dopo quasi un’ora torno, non c’è nessuno, solo alcuni poliziotti. Spero che siano almeno riusciti a dare il cibo. Ritornando in via Tenda vedo molti ragazzi lungo la via con bagagli e zaini.

La mattina dopo incomincio il percorso dalla spiaggia. Incontro un gruppo di ragazzi nigeriani, circa una decina, con una giovane ragazza rumena. Hanno dermatiti e malattie da raffreddamento. Li visito e consegno loro alcuni farmaci, poi mi chiedono qualche antidolorifico per vaghi dolori, penso che la richiesta faccia riferimento ad una situazione di dipendenza. Continuo la mia strada. Vicino al ponte della ferrovia incontro alcuni ragazzi provenienti dall’altra riva, chiedo loro se hanno o se conoscono qualcuno che ha problemi di salute. La risposta è negativa. Scendo lungo il fiume, noto almeno 4 giacigli protetti dal ponte e due persone che riposano, nonostante la presenza del blindato della guardia di finanza. Tutti gli appartenenti alle forze dell’ordine che incontro nei presidi hanno il viso illuminato costantemente dai cellulari.

Scorcio sui container dalla recinzione del campo CRI

Raggiungo la riva del fiume in piena, vedo coperte tra gli alberi, ma non persone. Proseguo verso il Campo Roja.

Ogni volta che faccio questa strada, sento la fatica e mi rendo conto della violenza insita nella scelta di questo luogo. Il campo si è ulteriormente ampliato. Sento le voci dei bambini, spero che vada tutto bene. Ho notizie di famiglie numerose che dopo 2 notti si sono allontanate per rimanere alla stazione fino alla partenza. Incontro e visito 2 ragazzi curdo/iracheni che vivono in prossimità del campo Roja. Ritorno verso la stazione. Mi fermo a pranzo lungo via Tenda. È stato aperto un nuovo locale da parte di un ragazzo che avevamo incontrato già varie volte. Ci aveva preannunciato il desiderio di aprire un locale, avendo i documenti ma non un lavoro. Ci riconosciamo e ci salutiamo, mangio bene, in una stanza dove sono l’unico occidentale. Prendo alla fine il treno di ritorno.

Quello che si nota a mio avviso è, nella estrema variabilità degli eventi, la progressiva polverizzazione delle persone. Mi chiedo quanto sia profonda la consapevolezza di far parte di una lotta di un gruppo di persone che aspirano ad una libertà comune, quella di potersi muovere. Questa lotta sembra progressivamente sgretolarsi sotto i colpi della repressione locale, nazionale e internazionale.

Coerentemente con l’affievolirsi della partecipazione politica, anche negli incontri accademici e nei testi recentemente pubblicati viene spesso rimossa tutta la prima esperienza dell’occupazione dei Balzi Rossi e dei campi informali del 2016, dove la coscienza di gruppo era espressa dai protagonisti e le loro decisioni raggiunte attraverso procedure assembleari. Nulla a che vedere con l’ultimo campo informale del 2018 , area di prevaricazione, violenza e tratta, che ho sentito enfatizzare recentemente.

La memoria ad oggi è quello che ci rimane, è auspicabile che non sia forzata da chi la racconta.

Antonio Curotto

Solidarietà oltre i confini: libertà per * partigian* del Colle della Scala!

 

Solidarietà oltre i confini.

Oggi, 8 novembre 2018, a Gap, cittadina francese vicino a Briançon, è iniziato il processo per i e le 7 solidali accusat* di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in banda organizzata”, a seguito del corteo che il 20 aprile scorso ha attraversato il confine italo francese, raggiungendo Briançon.

Stamattina a Gap,  solidali francesi e italian* si sono presentat* numeros*, sfidando gli ostacoli della macchina repressiva, per manifestare il loro sostegno nei confronti delle e degli accusat*.

Di fronte al fermo dei pullman da parte della polizia francese, i e le solidali hanno  rifiutato di farsi identificare.

L’azione ha avuto successo in quanto la polizia impossibilitata a portare più di 150 persone al posto di fermo ha dovuto lasciarle passare comunque.

Più di mille e duecento persone hanno sfilato nel centro di GAP con un corteo caloroso e determinato.

L’importanza della rivendicazione di azioni collettive di lotta vincenti come quella del 20 aprile scorso, che ha visto un corteo di persone migranti ed europee attraversare insieme il confine, è enorme.

Il 20 aprile ha dimostrato che una collettività determinata è in grado di bucare i confini  e di farlo salvaguardando il desiderio di chi è in viaggio di arrivare a destinazione.

Per questo alcun* ora stanno pagando un prezzo; hanno scelto consapevolmente che valesse la pena correrne il rischio. Nella maniera più incisiva hanno così trovato un piano reale di condivisione e orizzontalità con le persone in viaggio: quello della scelta della lotta per affermare una libertà collettiva.

Quando un piano simile si è dato sul confine di Ventimiglia la repressione è arrivata violentissima, disarticolando dall’esterno e dall’interno quelle pratiche e discorsi di lotta così potenti. Le tracce delle lotte reali tuttavia non vanno perse e gli spettri riappaiono su altre linee di confine.

Tenere a mente il filo rosso di queste lotte ci sembra  un ulteriore modo per sfidare i dispositivi di controllo e di confinamento.

Traduciamo di seguito il breve comunicato de** solidali francesi pubblicato sul sito di informazione autonoma francese mars-infos.org all’interno dell’articolo in cui si può leggere la cronaca della giornata di oggi a Gap.

“Manifestiamo il nostro sostegno ai 7 compagni arrestati a Briançon e la nostra resistenza collettiva ai rinvii forzati in Italia e alle politiche migratorie che uccidono.

Alla frontiera franco-italiana, due luoghi di rifugio e delle persone tentano di rendere meno terribile l’esodo dei migranti in fuga dall’Italia, dove le condizioni di non accoglienza si sono deteriorate ancora di più con l’insediamento del governo di estrema destra. Di fronte a loro, poliziotti, gendarmi e fascisti occupano la montagna. Il ventidue aprile una marcia trasfrontaliera di protesta contro la presenza della milizia neofascista di Génération Identitaire sul colle della Scala ha portato all’arresto e alla denuncia di sette militanti, che rischiano dieci anni di prigione (processo l’8 novembre a Gap).

Eppure – ed è il senso di una denuncia collettiva fatta da alcune persone migranti del collettivo Al Manba di Marsiglia contro l’Italia – così come le lotte contro le espulsioni chiamate “dublinamenti” , tutti i racconti testimoniano dell’inumanità crescente delle condizioni di vita e di accesso ai diritti  per le persone migranti che richiedono asilo dall’altra parte delle Alpi.

Se sicuramente non va tanto meglio in Francia, ne va comunque della libertà di scegliere il proprio destino e della dignità di non far schiacciare, senza protestare, la propria vita e le pratiche di solidarietà.

Rilascio dei 7 compagni arrestati a Briançon !

Libertà di circolazione e di dimora per tutte e tutti !”

La seduta di ieri si è infine  chiusa con la richiesta da parte del procuratore di 12 mesi di pena, dei quali 4 di carcere,  per due dei solidal* accusat* e di 6 mesi con la condizionale per gli altri cinque. La sentenza verrà emessa il 13 dicembre prossimo.