Ceuta: in marcia per la dignità

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente contributo, resoconto della Marcha por la Dignidad, risposta alla chiamata annuale di mobilitazioni e proteste per la commemorazione della strage avvenuta per mano della Guardia Civil il 6 febbraio 2014 sulla spiaggia del Tarajal, Marocco, al confine con Ceuta.

Ringraziamo lx compagnx che hanno condiviso questa importante testimonianza.

Ceuta: in marcia per la dignità

Come ogni anno dal 2014 a Ceuta si è svolta la Marcha por la Dignidad, in commemorazione delle vittime della strage del Tarajal. Il 6 febbraio di dieci anni fa la Guardia Civil attaccò violentemente un gruppo di circa quattrocento persone che tentavano di attraversare la frontiera a nuoto. Mentre le motovedette della polizia marocchina le inseguivano, la Guardia Civil dalle imbarcazioni aprì il fuoco con proiettili di gomma, colpi a salve, candelotti fumogeni e granate stordenti. Ne uccise almeno quindici e molte delle sopravvissute riportarono gravi ferite. Nonostante la causa civile aperta dalle associazioni per i diritti umani, che ha portato sedici agenti alla convocazione davanti al tribunale di Ceuta, il caso è stato archiviato tre volte dal giudice istruttore. I più alti organi dello Stato spagnolo e i vertici delle forze di polizia hanno respinto ogni responsabilità e mistificato la realtà, negando l’utilizzo di attrezzatura antisommossa e il coinvolgimento di feriti.

L’iniziativa commemorativa si è aperta la mattina con una conferenza che ha ospitato l’intervento della ricercatrice Viviane Ogou, l’attivista Mouctar Bah, l’artista Abubakar e l’avvocatessa Patuca Fernandez. Gli interventi hanno riguardato il tema del diritto alla migrazione, il razzismo strutturale dell’economia globale e l’esternalizzazione della frontiera. In particolare ci si è soffermatə sull’importanza politica della visibilizzazione e della memoria. Dopo la strage del Tarajal i corpi non sono stati recuperati, è stato il mare a restituirli nei giorni seguenti dopo averli resi irriconoscibili. Il processo di identificazione è durato anni e non si è mai del tutto concluso. La frontiera oltre ad aver ucciso fisicamente le vittime le ha private della loro individualità, cancellandone la dignità in morte oltre che in vita. Come ha affermato l’avvocatessa Fernandez l’atto più violento fu quello di non poter riscattare i corpi, negandone quindi la possibilità di identificazione, memoria e commemorazione. Venne rifiutato inoltre alle famiglie ogni permesso di raggiungere la Spagna per rendere omaggio alle salme e intervenire in tribunale.

Giungendo nell’enclave spagnola dal Marocco, attraverso le alture del Rif, salta agli occhi nella sua interezza il muro che racchiude questa minuscola parte della fortezza Europa. Da qui si arriva alla zona del Tarajal, frontiera sud, unico punto di accesso attualmente percorribile per entrare legalmente nel territorio. E’ su questa spiaggia che si è conclusa la marcia, con un momento di raccoglimento sugli scogli. La frontiera nord è invece blindata dal 2004, sia per quanto riguarda il transito di persone che di merci. L’attraversamento da parte di persone in movimento era frequente fino al 2018, quando un accordo bilaterale ha portato l’inasprimento dei controlli, rendendola inaccessibile. La valla, recinzione in spagnolo, che racchiude completamente Ceuta tagliandola da costa a costa, fu innalzata da tre a sei metri nel 2006. In seguito ad un finanziamento europeo fu portata all’altezza di dieci metri. I nove km del perimetro frontaliero sono costantemente sorvegliati su entrambi i lati. L’esercito marocchino è stanziato in diversi punti con piccole caserme, su terreni che furono espropriati ai precedenti abitanti. Oltre a torrette per l’avvistamento e telecamere, c’è il filo spinato concertina. In seguito a pressioni di associazioni per i diritti umani queste recinzioni provviste di lame furono tolte dal lato spagnolo nel 2018, spostandole però su lato marocchino, finanziate con soldi europei. Questo processo di esternalizzazione delle frontiere comporta anche una presenza capillare di polizia nell’area che precede la frontiera, con funzione di filtro e rastrellamento delle persone in movimento. Dall’altro lato la Guardia Civil pattuglia Ceuta dall’interno, attraverso strade riservate al solo utilizzo militare e tramite appostamenti con sensori termici notturni.

Alcune associazioni attive in loco supportano le persone in transito, la lotta per il diritto a migrare e per l’abbattimento delle profonde disuguaglianze sociali della città. Tra le altre Elin si occupa principalmente dei corsi di spagnolo per le persone presenti al CETI (Centros de Estancia Temporal de Inmigrantes); No Name Kitchen presta sostegno alle persone in strada, per la maggior parte marocchine; Luna Blanca distribuisce gratuitamente i pasti quotidianamente. Sta inoltre nascendo un nuovo centro: ASCS (Agenzia Scalabriniana Cooperazione e Sviluppo) ha avviato un progetto sulle frontiere e investito su Ceuta. Nel centro dove già è attivo uno spazio diurno ricreativo, in cui si svolgono lezioni di spagnolo, sarà aperta una zona abitativa in cui poter offrire ospitalità.

A Ceuta vige un regime normativo speciale, la città ha uno statuto autonomo che prevede la sospensione di Schengen, maggiori restrizioni nell’accesso a servizi pubblici, difficoltà ad ottenere un domicilio e contratto di lavoro. Sono visibili enormi disuguaglianze tra i diversi quartieri, nei quali vige una netta separazione su base razziale, religiosa e disponibilità di risorse economiche. Percorrendone le vie è forte la sensazione di essere chiusə dentro una recinzione. Oltre lo Stretto è intravisibile il continente, apparentemente vicino, ma ancora fuori portata. Attualmente la maggior parte delle persone prova a superare la frontiera a nuoto attraverso la zona costiera del Tarajal. Per quanto il tratto marittimo possa sembrare breve, è estremamente pericoloso a causa delle forti correnti dello Stretto, oltre ad essere costantemente presidiato. L’1 febbraio più di venti minori e una decina di maggiorenni sono riusciti a raggiungere la spiaggia su territorio spagnolo approfittando del maltempo, quando pare esserci meno sorveglianza. I giornali locali affermano che il Governo di Ceuta ha domandato un ulteriore piano di contingenza per poter trasferire i minori, che per ora sono accolti dal centro La Esperanza. Mentre i maggiorenni sono stati rimpatriati in Marocco.

In quanto territorio europeo, su suolo africano, Ceuta rappresenta una rotta migratoria di interesse. Una volta raggiunta è possibile presentare domanda per regolarizzare la propria posizione e avviare la procedura per ottenere documenti europei.  Queste procedure vengono avviate in seguito all’inserimento al CETI. Per coloro che provengono da paesi considerati a rischio è prevista la possibilità di fare richiesta di protezione internazionale, si tratta principalmente di persone originarie dell’area subsahariana, che vengono prese in carico dal CETI. Sono invece escluse da questo servizio le persone del Maghreb, che rimangono quindi tagliate fuori dalla possibilità di presentare domanda e relegate ad un’ulteriore marginalizzazione, in virtù di criteri arbitrari poichè non dettati da alcuna legge. Per queste persone è stato istituito un apposito sportello informatizzato dove poter presentare domanda. Per ragioni tecniche legate alle modalità di prenotazione digitale la maggior parte delle persone non riesce ad accedervi, e si è sviluppato un sistema di compra-vendita delle prenotazioni, a partire da mille euro. Questa esclusione costringe alla vita di strada, e le lunghe attese ne aggravano le condizioni. A Melilla dove la situazione era simile, in seguito ad azioni legali si è riuscito a far accedere al CETI anche persone provenienti dall’area del Maghreb.

Le minorenni e i minorenni secondo la legge europea hanno diritto all’accoglienza a prescindere dalla provenienza. In città sono situati due centri, distinti per genere, nei quali sono costrettə a rimanere fino al raggiungimento della maggiore età. Solo dopo aver compiuto diciotto anni, infatti, potranno spostarsi nel continente con un permesso temporaneo della durata di sei mesi. Durante questo periodo devono regolarizzarsi sul territorio, attraverso contratti lavorativi e abitativi, per poter rinnovare i documenti. A causa di queste rigide condizioni la maggior parte preferisce quindi tentare la traversata. Le persone minorenni hanno come zona di riferimento la scogliera accanto al porto, qui trovano riparo tra gli spazi concavi delle rocce. Di notte chi prova la partenza cerca un nascondiglio per imbarcarsi, questo in gergo viene chiamato risky, data la nota pericolosità del tentativo. Il livello di violenza e mortalità della frontiera è altissimo: il monitoraggio di Caminando fronteras riporta 6.618 vittime nella rotta di accesso alla Spagna nel 2023. Sono 147 le persone uccise nell’ultimo anno nella zona dello stretto, la maggior parte nel tentativo di raggiungere Ceuta a nuoto.

Anche a Melilla nel 2022 si è verificato un terribile massacro. Oltre quaranta persone morirono nel tentativo di superare l’enorme recinzione. L’associazione marocchina per i diritti umani AMDH dichiara che il bilancio delle vittime è destinato a salire poiché sessantaquattro persone risultano disperse da quel giorno. Ong marocchine e spagnole denunciano un accanimento giudiziario contro le persone in movimento arrestate, che hanno ricevuto condanne detentive e sanzioni pecuniarie. A giugno, in occasione dell’anniversario, si terrà la prima manifestazione per chiedere giustizia, verità e riparazione.

Chiara e Timo

Una manifestazione transfemminista contro i confini

Riceviamo e pubblichiamo il resoconto dei fatti accaduti in occasione di una manifestazione transfemminista sul confine tra Ventimiglia e Mentone nelle giornate di sabato 5 e domenica 6 giugno.

*pour la version française

*for the English version

Una manifestazione transfemminista contro i confini:

Ventimiglia/Mentone sabato 5 e domenica 6 giugno

Tuoutes aux frontierès: manifestazione transfemminista in solidarietà con le persone detenute alla frontiera franco italiana di Ventimiglia, un primo vittorioso passo del movimento transfemminista europeo contro le frontiere dell’Europa, contro Frontex e la polizia, contro il sessismo e il razzismo … ovvero come le persone manifestanti sono riuscite a incastrare per ore gli ingranaggi discriminatori e razziali dei dispositivi di frontiera.

Nel pomeriggio di sabato 5 giugno 2021 si è tenuta a Nizza una manifestazione transfemminista europea contro i confini e le politiche migratorie.

Nella stessa giornata, persone solidali che vivono e attraversano la zona di frontiera italo-francese hanno pensato di condividere una mattinata di protesta contro i confini anche nel territorio di Ventimiglia e Mentone, per dare a tuttx la possibilità di unirsi in una giornata contro le frontiere, anche per chi poteva avere problemi a causa dei controlli covid o per la distanza da Nizza.

Un appuntamento improvvisato per la mattinata di sabato 5 giugno, immaginato e condiviso come saluto solidale alla manifestazione transfemminista di Nizza, e momento di lotta e sostegno alle persone recluse dentro ai container della Paf (Police aux frontieres), ulteriore scintilla di protesta proprio sul confine.

La manif al confine

Dopo essersi radunate alle 10:30 in frontiera italiana, le persone solidali si sono spostate a protestare direttamente davanti agli uffici della Paf ed ai container dal lato francese, dove erano recluse diverse decine di persone senza documenti. Alla manifestazione hanno deciso di partecipare anche alcune persone senza documenti arrivate da Ventimiglia. Striscioni, cartelli, grida, cori, interventi, canti, saluti alle persone rinchiuse, si sono susseguiti per oltre un’ora, a pochi centimetri dalle strutture di reclusione francesi, da dove le persone imprigionate nel tentativo di attraversare il confine hanno mandato saluti e risposte ai richiami di chi manifestava.

La polizia italiana è rimasta a guardare a distanza cercando di capire cosa stava succedendo, e successivamente schierando un gruppo di carabinieri in antisommossa; la polizia francese si è mostrata in difficoltà, impreparata a una manifestazione transfemminista partecipatissima e non annunciata, che è riuscita a spingersi oltre il confine senza che le autorità riuscissero a ostacolarla o reagire.

Sono arrivati rinforzi dal lato francese e hanno provato a far arretrare la gente, ma la forza collettiva della rabbia contro i confini ha risposto con ancora più rumore e cori. Quando la complicità e l’entusiasmo delle persone chiuse dentro ha iniziato a crescere, la Paf è entrata nei container e ha gasato chi si trovava dentro con spray urticante: all’interno è calato un improvviso silenzio, un forte odore chimico ha infiammato gli occhi di chi stava protestando fino a un centinaio di metri intorno alle gabbie di lamiera.

Nel pomeriggio, le persone rilasciate hanno poi raccontato che decine di loro erano collassate nei container sotto i gas. Nonostante questo, si sono mostrate felici per la manifestazione del mattino chiedendo entusiaste di portare più spesso saluti e solidarietà.

Verso mezzogiorno la manifestazione è risalita verso il lato italiano, superando gli uffici di polizia per poi disperdersi.

A Ventimiglia, sul treno per Nizza

Numerose persone hanno deciso di proseguire la protesta, andando a prendere un treno alla stazione di Ventimiglia, per raggiungere nel pomeriggio la manifestazione transfemminista a Nizza. Sul binario italiano in direzione Francia le persone sono state affrontate dalla solita presenza di polizia italiana e vigilanza privata, che ha il quotidiano compito di bloccare e controllare, in cima al sottopassaggio, tutti i passeggeri non bianchi, prima che riescano a salire sul treno fermo al binario. Il gruppo ha semplicemente continuato ad avanzare, facendo retrocedere la polizia che ha tentato di fermare alcune persone, ma si è poi fatta da parte lasciando infine che le manifestanti salissero sul treno delle 13:55, e lasciando piuttosto che se la vedessero i colleghi francesi all’arrivo a Menton Garavan. Una volta a bordo, si sono unite al vagone “manif Nizza” anche alcune persone già presenti sul treno.

Una decina di minuti più tardi, all’arrivo alla prima stazione in Francia, Menton Garavan, la polizia francese che controlla ogni convoglio da sei anni in cerca di tutte le persone senza documenti, si è avvicinata al treno per il consueto blitz. Ma ha trovato ad attenderla un vagone di grida, cori e percussioni contro le frontiere. Ad ogni tentativo di mediazione o di richiesta dei documenti di identità, è stato risposto protestando e suonando ancora più forte. A un certo punto il capotreno ha detto “se state tranquille e lasciate passare i controlli, proseguiamo fino a Nizza senza problemi”.

Controlli vuol dire rastrellamenti razziali, vuol dire gente che non ha commesso nessun reato trascinata a forza nei furgoni della Paf o della gendarmerie e sbattuta per ore senza cibo e acqua in una scatola di metallo. Vuol dire che le persone vengono insultate e umiliate, gasate e picchiate, uomini, donne, persone trans, intersex, o minori che siano. I cori contro i confini non si sono fermati.

Blocco sul treno a Menton Garavan

A un certo punto l’interfono del treno ha avvertito i signori e le signore passeggere che il treno era fermo, e che avrebbero trovato un altro treno per proseguire, in arrivo sul binario opposto, quello che normalmente copre la linea inversa, dalla Francia a Ventimiglia. Anche le persone che volevano raggiungere la manifestazione a Nizza si sono mosse allora per uscire assieme agli altri passeggeri e passeggere, così da cambiare treno e riprendere il viaggio.

Energumeni della Paf e della gendarmerie si sono lanciati alle due uscite del vagone, per bloccare chi voleva raggiungere la manifestazione transfemminista a Nizza. Hanno schiacciato con violenza le persone, gridando, spintonando, prendendo a pugni, insultando e provocando con la minaccia di usare il gas o ricorrendo a molestie verbali sessiste.

Per tutto il tempo che le persone sono state bloccate in attesa dell’arrivo dei rinforzi dall’aeroporto di Nizza, la polizia ha investito le persone con rabbia e feroce aggressività, cercando lo scontro con i pochissimi uomini etero cis presenti come unica soluzione ad una situazione che non sapevano affrontare. Quando i rinforzi sono arrivati con i furgoni, le persone sono state allora costrette a scendere con la forza, tra calci, pugni e spintoni, qualcuna con la testa tenuta abbassata a forza, qualcuna presa e quasi sollevata per il collo, sono state caricate sui mezzi e deportate nuovamente sull’altro lato del confine, proprio davanti agli uffici di polizia italiana.

Alla fine sono state trattenute solo una persona solidale, accusata di aggressione a pubblico ufficiale, e due persone senza documenti. Queste due sono state spostate nei container e rilasciate dopo alcune ore in direzione Italia, assieme a tutte le altre persone fermate nei precedenti controlli.

La persona accusata di aggressione è invece rimasta negli uffici di frontiera francesi in stato di fermo per 24 + 24 ore, chiamate in Francia garde à vue e prolungabili fino a 48 ore salvo casi più gravi.

La polizia italiana, indignata e innervosita per un pushback illegale di persone comunitarie, scaricate dai colleghi francesi in suolo italico senza nemmeno identificazione, ha deciso di sospendere il lavoro per il resto del pomeriggio, entrando in “sciopero riammissioni”. Se al mattino il ricatto del potere davanti a una manifestazione con cui non trovava dialogo è stato gasare persone chiuse in trappola, al pomeriggio la ripicca dell’autorità italiana ha deciso di bloccare sul ponte che separa il territorio italiano da quello francese, Ponte San Luigi, tutte le persone migranti respinte dalla Francia

Schierati all’inizio del ponte, un gruppo di poliziotti italiani in divisa e altri in borghese che filmavano, hanno proseguito per ore rifiutando l’ingresso alle persone, mentre alla fine del ponte poliziotti francesi nervosissimi controllavano la situazione e mantenevano fermo il rifiuto anche per l’ingresso in Francia.

Tutte le persone che erano dirette alla manifestazione transfemminista a Nizza si sono radunate tra le due frontiere, aspettando di conoscere notizie delle persone fermate e di sbloccare quella situazione di stallo per le persone senza documenti, innescata da una questione di orgoglio e ripicca puerile tra le forze armate dei due paesi.

Dopo circa quattro ore di sollecitazioni, una poliziotta in borghese è andata a negoziare dentro gli uffici francesi coi colleghi, per tornare sul ponte raggiante, spiegando che c’era solo stato un “problema di comunicazione” e che era tutto risolto: le persone comunitarie potevano andare liberamente in Francia o in Italia a piacimento, “invece loro li prendiamo noi che li dobbiamo trattare”, ha affermato indicando le persone migranti bloccate per tutto il pomeriggio dalla polizia italiana.

Alla conferma che la persona solidale sarebbe stata trattenuta in garde à vue, e una volta che tutte le persone sono state autorizzate a rientrare in Italia e, per quelle confermate minorenni, è stato riconsiderato il riaccompagnamento in Francia dopo intervento dell’avvocato, la giornata di 12 ore alla “frontiera alta” di Ponte San Luigi si è conclusa con un appuntamento per il giorno successivo, nello stesso luogo.

Domenica, ritorno in frontiera (a Ventimiglia)

Domenica 6 verso le ore 14, quando l’avvocato ha confermato che i poliziotti francesi avevano trovato uno stratagemma per prolungare le 24 ore di garde à vue della persona solidale fermata il giorno prima, con l’escamotage della richiesta tardiva di acquisizione delle telecamere del treno e della stazione di Menton Garavan, il gruppo di solidali si è avvicinato nuovamente ai container, gridando per un paio di minuti cori e saluti a tutte le persone rinchiuse in quel momento, che a loro volta hanno nuovamente risposto; mentre dalla finestra del commissariato francese alcuni poliziotti mostravano lo spray urticante rivolgendolo ai container, come minaccia di ulteriore vendetta sulle persone prigioniere.

In pochi secondi, quando ormai le persone solidali se ne stavano andando, la Paf è uscita di corsa dagli uffici, chi sfoderando manganelli, chi agitando lo spray, fermandosi in schieramento sulla linea del confine per alcuni secondi, prima di ottenere probabilmente un’autorizzazione a sconfinare da parte della polizia italiana: un movimento rapido di cellulari tra un lato e l’altro del confine, ha fatto rompere gli indugi della polizia francese, che è corsa rabbiosa a circondare su suolo italiano un’auto delle persone solidali che stava facendo manovra per andarsene via.

Cinque persone sono state aggredite e tirate fuori a forza dall’auto, portate dentro gli uffici di frontiera francesi con le braccia bloccate dietro la schiena. La polizia italiana, a qualche centinaio di metri di distanza, ha osservato e filmato ogni cosa. Dopo alcune ore, tutte le persone sono state rilasciate con un refus d’entrée (rifiuto d’ingresso) dalla Francia, uguali a quelli che ogni giorno vengono dati a decine di persone rimandate in Italia, e una multa di 135 euro per ingresso in Francia -di circa cinque metri- senza test covid.

Lunedì, toutes aux frontières!

Al terzo giorno di presenza contestatrice alla frontiera, dopo ulteriori saluti da parte delle persone nei container, che si sono arrampicate dalla grata posta a chiusura sul tetto, per salutare con le braccia la presenza solidale, e dopo 45 ore di garde à vue, è stata rilasciata anche l’ultima persona presa sul treno diretto a Nizza.

I rastrellamenti razziali sui due lati del confine e il trattenimento per ore di persone senza documenti dentro prigioni di lamiera, continua giorno dopo giorno. Assieme al traffico di esseri umani, alla vendita del corpo delle donne come biglietto per attraversare il confine, agli accordi sottobanco tra guardie e ladri, alle aggressioni fisiche sempre più frequenti contro le persone non bianche.

Continua tuttavia anche la loro lotta quotidiana per la sopravvivenza in un territorio ostile, pericoloso, violento, razzista, sessista, omofobo, transfobo e patriarcale. Come femministe, non smetteremo di aiutarle con ogni mezzo necessario ad esercitare la loro fondamentale libertà di movimento.

Gli stati europei vanno mano per mano coi trafficanti !

Le frontiere in Europa sono uno stupro !

Vogliamo la chiusura di tutti i centri di detenzione amministrativa !

Vogliamo l’apertura di tutte le frontiere e la fine del business di armi e polizia !

 

Tou.te.s aux frontières!

Sabato 5 e domenica 6 giugno, Ventimiglia-Mentone

version française ici

Une manifestation transféministe contre les frontières :

Ventimiglia/Menton Samedi 5 et dimanche 6 juin 2021

Toustes au frontières : manifestation transféministe en solidarité avec les détenu.es à la frontière italo-française de Vintimille. Les personnes détenues son gazées dans les containers lors de l’action. L’action se poursuit vers Nice : violence policière raciste sur le trajet. Les personnes migrantes sont relâchées, 5 autres arrestations d’activistes en solidarité, dont une relâchée au terme d’une garde-à-vue de 48 heures. Amorce victorieuse d’un mouvement européen transféministe contre les frontières de l’Europe, Frontex, la police, le sexisme et le racisme… Ou comment les féministes sèment la discorde entre les polices frontalières.

Dans l’après-midi du samedi 5 juin 2021, une manifestation transféministe européenne contre les frontières et les politiques migratoires a eu lieu à Nice.
Le matin-même, les personnes solidaires qui vivent et traversent la zone frontalière franco-italienne ont elles aussi voulu partager une matinée de protestation. Ce rendez vous improvisé aux confins des territoires entre Vintimille et Menton émanait du désir de voir renaître une nouvelle étincelle de contestation et de lutte sur la frontière et de témoigner du soutien aux personnes emprisonnées à l’intérieur des containers de la PAF (Police aux frontières).

Manifestation à la frontière
Solidarité à travers les tôles. Détenu.es lacrymogené.es.

Après s’être rassemblées à 10h30 à la frontière italienne, des dizaines de personnes concernées et de féministes solidaires se sont déplacées pour protester directement devant les bureaux de la PAF et devant les containers, côté français. Pendant plus d’une heure on manifeste avec force, cris, chants, banderoles, discours, slogans et salutations aux dizaines de personnes emprisonnées à l’intérieur de ces containers à la suite de leur tentative de passer la frontière. La kyrielle protéiforme et décidée a réussi à franchir la frontière sous le regard hagard de la gendarmerie italienne et de la police française anti-émeute. De toute évidence, prise au dépourvu face à une manifestation transféministe non annoncée.

Les renforts arrivent du côté français et tentent de faire reculer les gens, mais la force collective de la colère contre les frontières répond par encore plus de bruit et de chants. Lorsque la complicité et l’enthousiasme des personnes enfermées à l’intérieur se font entendre plus fort, les agents de PAF entrent dans les containers et gazent les gens qui s’y trouvent avec leurs sprays lacrymogènes : le silence est soudain tombé à l’intérieur, une effluve chimique a piqué les yeux de celleux qui protestaient jusqu’à une centaine de mètres autour des cages métalliques.

Dans l’après-midi, les personnes libérées racontent que des dizaines d’entre elles s’étaient effondrées dans les containers sous l’effet du gaz. Malgré cela, iels se sont montrées heureu.ses de la manifestation du matin et ont demandé avec enthousiasme à ce que soient portés plus souvent des salutations et de la solidarité.

Vers midi la manifestation se disperse.

 

À Ventimiglia, dans le train pour Nice
Féministes véneres contre les frontières !

Une partie d’entre nous a décidé de continuer la journée d’action en allant prendre un train direction Nice, la grande manif. Sur le quai italien en direction de la France, présence habituelle de la police italienne et de la sécurité privée qui ont pour tâche quotidienne de bloquer et de contrôler toustes les passager.es non blancs avant qu’iels ne parviennent à monter dans le train. Nous avons simplement continué à avancer, amenant la police à reculer et finalement à laisser les manifestant.es monter dans le train de 13h55. Une fois à bord, un certain nombre de personnes déjà présentes dans le train rejoignent le wagon “manifestation de Nice”.

Une dizaine de minutes plus tard, à l’arrivée à la première gare de France, Menton Garavan, la police française qui, depuis six ans, contrôle chaque convoi à la recherche de tous les sans-papiers, s’approche du train pour la descente habituelle. Elle y découvre un wagon rempli de cris, de chants et de tambours anti-frontaliers. À chaque tentative de médiation ou de demande de papiers d’identité, on répondait en protestant et en jouant encore plus fort. Les contrôles, ce sont des rafles racistes, ce sont les personnes qui n’ont commis aucun crime traînées de force dans les fourgons de la PAF ou de la gendarmerie et jetées pendant des heures sans eau ni nourriture dans une boîte métallique. Cela signifie que des personnes sont insultées et humiliées, gazées et battues, qu’il s’agisse d’hommes, de femmes, de personnes trans, intersexes ou mineures. Les chants contre les frontières n’ont pas cessé.

 

Blocage du train à Menton Garavan
Les transféministes déroutent les polices

À un moment donné, les hauts-parleurs du train ont averti les passagers, mesdames et messieurs, que le train était arrêté, et qu’ils trouveraient un autre train pour continuer leur voyage sur la voie opposée. Des agents de la PAF et de la gendarmerie ont bloqué la sortie de celleux qui voulaient rejoindre la manifestation transféministe à Nice.

Dans une mêlée de coups de poing et d’insultes sexistes, les policier-es visiblement embarrassé.es par cette situation cherchaient la confrontation avec les rares hommes cis présents. Au final, deux personnes sans papiers sont arrêtées, emmené.es dans les containers et renvoyé.es vers l’Italie après quelques heures. Une personne solidaire est accusée de violences sur agent public et détenue.

La police italienne, déconcertée par le refoulement illégal de citoyen.nes européen.nes non-identifiées décide alors de suspendre son travail pour le reste de l’après-midi, entamant une “grève des réadmissions”.

Nous toustes qui voulions aller à la manifestation transféministe de Nice, on se rassemble entre les deux frontières.

Après environ quatre heures de sollicitation, arrive la « gentille policière » en civil, qui est allée négocier à l’intérieur des bureaux français. Revenant rayonnante sur le pont, elle explique qu’il n’y avait eu qu’un “problème de communication” et que tout était résolu : les citoyen.nes européen.nes pouvaient aller librement en France ou en Italie à leur guise, « par contre, eux, on les emmène parce qu’on doit les traiter » (sic), en indiquant les personnes bloquées tout l’après-midi par la police italienne.

 

Dimanche, retour à la frontière (Vintimille)
Liberté, égalité, refus d’entrée!

Le dimanche 6, vers 14 heures, les personnes emprisonnées répondent à nouveau à nos refrains, tandis qu’à la fenêtre, des policiers nous montrent leurs sprays lacrymogènes, comme une menace de vengeance supplémentaire sur les personnes emprisonnées dans les containers.

Cinq personnes du groupe sont attaquées et sorties de force de leur voiture qui manœuvrait pour partir.

Après quelques heures, toutes seront libérées avec un ̈refus d’entrée ̈, comme ceux qu’ils donnent chaque jour à des dizaines de personnes renvoyées en Italie, et une amende de 135 euros pour être entrées en France -sur environ cinq mètres- sans test Covid!

 

Lundi, toustes aux frontières!
Les frontières violent – nous les tuerons

Au troisième jour de la présence protestataire à la frontière, les personnes enfermées grimpent jusqu’à la grille posée entre les toits des containers pour saluer de leurs bras la présence solidaire. Après 45 heures de garde à vue, la dernière personne arrêtée dans le train pour Nice est libérée.

Le harcèlement raciste des deux côtés de la frontière et la détention pendant des heures des personnes sans papiers dans des prisons en tôle se poursuivent jour après jour sans que nous, vous, les voisins, ne protestent. Cela fait l’affaire de la traite des êtres humains, le business de la vente des corps des femmes en échange du passage de frontière. Cela n’est rendu possible que par des accords en sous-main entre gardiens et voleurs, et donne lieu à des agressions de plus en plus graves et fréquentes contre les personnes migrantes.

Cependant, leur lutte quotidienne pour la survie dans un territoire hostile, dangereux, violent, raciste, homophobe, transphobe et patriarcal se poursuit. En tant que féministes, nous ne cesserons pas de les aider par tous les moyens nécessaires à exercer leur liberté fondamentale de circulation.

États Européens, main dans la main avec les trafiquants !

En Europe, les frontières, c’est du VIOL !

Nous voulons la fermeture de tous les centres de rétention administrative !

Nous voulons l’ouverture de toutes les frontières et l’arret du business des polices et des armes !

 

Tou.te.s aux frontières !

Samedi 5 et dimanche 6 juin 2021, Vintimille-Menton

 

 

English version here:

A TRANSFEMINIST DEMONSTRATION AGAINST BORDERS:

Ventimiglia/Mentone Saturday 5th and Sunday 6th of June

Tuoutes aux frontierès: transfeminist demo in solidarity with the people detained at the French-Italian border of Ventimiglia, a first victorious step of the European transfeminist movement against the european borders, against Frontex and the police, against sexism and racism … or how the people demonstrating managed to jam the discriminatory and racial gears of the border devices for hours.

A transfeminist demonstration against borders and migration policies was held in Nice in the afternoon of Saturday 5 June 2021

In the same day, people in solidarity who live and cross the Italian-French border area decided to spend the morning protesting against borders in the territory of Ventimiglia and Mentone as well, to give everyone the possibility of gathering in a day against borders, even for those who might have problems because of the covid checks or for distance from Nice.

An impromptu appointment for the morning of Saturday 5th of June, imagined and shared as a solidarity greeting to the transfeminist demonstration of Nice, and moment of fight and support for people imprisoned inside the containers of the PAF (Police aux frontieres), further sparked protests right on the border.

 

The demonstration at the border

After gathering at 10:30 at the Italian border, the people in solidarity moved to protest directly in front of the PAF offices and the containers on the french side, where several dozen undocumented people were reclused. Some people without documents from Ventimiglia have decided to participate as well. There have been banners, signs, shouts, choirs, speeches, songs, greetings to locked up people for more than an hour, a few centimeters far away from the french prison structures, from where people imprisoned trying to cross the border have sent greetings and responses to the calls of those demonstrating.

Italian police watched from distance trying to understand what was happening, subsequently deploying a group of riot police; French police showed themselves in trouble, unprepared for a very participatory and unannounced transfeminist demonstration, that managed to go beyond the border without the authorities being able to obstruct or react.

Reinforcements arrived from the French side and tried to get the people back, but collective rage against borders responded with even more noise and chants. When the complicity and the enthusiasm of the people locked inside has begun to grow, Paf entered the containers and gassed those inside with stinging spray: a sudden silence fell inside, a strong chemical smell inflamed the eyes of those who were protesting up to a hundred meters around the sheet metal cages.

In the afternoon, released people have then reported that dozens of them were collapsed in containers under gas. Despite this, they showed themselves happy for the demonstration that has taken place in the morning, enthusiastically asking to bring greetings and solidarity more often.

Around noon the demonstration climbed towards the Italian side, passing in front of police offices and then dispersing.

 

In Ventimiglia, on the train to Nice

Many people have decided to continue the protest, going to get a train at Ventimiglia station, to reach in the afternoon the transfeminist demonstration in Nice. On the Italian rail towards France people have faced with the usual presence of Italian police and private security, which has the daily task to stop and control, at the top of the underpass, all non-white passengers, before they can be able to get on the train which is still at the platform. The group has simply continued to advance, pulling back the police who tried to stop some people, but then stepped aside and finally let the protesters board the 1:55 pm train, rather leaving it to the French colleagues upon arrival in Menton Garavan. Once on board, some people already present on the train joined the “Manif Nizza” wagon.

Ten minutes later, upon arrival at the first station in France, Menton Garavan, French police who have been checking every convoy for six years looking for all the people without documents, approached the train for the usual blitz. It found though a wagon of shouts, choirs and percussion against borders awaiting. To any attempt of mediation or request for identity documents, it was answered protesting and ringing even louder. At one point, the conductor said “if you are quiet and let the controls to be, we continue to Nice without problems ”.

Controls means racial roundups, it means people who have not committed any rime dragged by force into the containers of the Paf or the gendarmerie and beaten for hours without food and water in a metal box. It means that people are insulted and humiliated, gassed and beaten, men, women, intersex, trans persons, or minors who are. The choirs against the borders did not stop.

 

Blockage on the train at Menton Garavan

At one point the intercom of the train warned people that the train was still, and that another train to continue would have been found, arriving on the other platform, which normally covers the reverse line, from France to Ventimiglia. People who wanted to reach the demonstration in Nice then moved as well to go out with the other passengers, so as to change train and be back on the travel.

Army ginks of the PAF and of gendarmerie went to the two exits of the wagon, to block those who wanted to reach the transfeminist demonstration in Nice. They violently crushed people, shouting, throwing up their hands, grabbing, punching, insulting and provoking by threatening to use gas or resorting to sexist verbal harassment.

For the whole time when people have been blocked waiting for reinforcements to arrive from Nice airport, the police hit people with anger and ferociousness aggression, encounter the confrontation only with the very few straight men cis present as the only solution to a situation they did not know how to face. When reinforces arrived with vans, people have been then forced to get off by force, between kicks, punches and shoves, some with her head held down by force, some taken and almost lifted by the neck, they were loaded onto the vehicles and deported again on the other side of the border, right in front of the Italian police offices.

In the end, only one person in solidarity was detained, accused of assault to public official, and two people without documents. These two have been moved to the container and released after a few hours in the direction of Italy, together with all the other people stopped in previous checks.

The person accused of assault, on the other hand, remained in the border offices French in custody for 24 + 24 hours, called “garde à vue” in France and extendable up to 48 hours except for more serious cases.

The Italian police, outraged and nervous about the illegal pushback of community people, downloaded by his French colleagues on Italian soil without even identification, decided to suspend work for the rest of the afternoon, entering a “readmission strike”. If in the morning the blackmail of power in front of a demonstration with which could not find dialogue has been gassing trapped people, in the afternoon the spite of the Italian authorities has decided to block on the bridge that separates the Italian territory from the French one, Ponte San Luigi, all migrants rejected by France.

Lined up at the beginning of the bridge, a group of Italian policemen in uniform and others in plain clothes who were filming, continued for hours refusing people from entering, while at the end of bridge nervous French policemen controlled the situation and held the refusal to entry in France.

All the people who were directed to the transfeminist demonstration in Nice have gathered between the two borders, waiting for news of the people stopped and for unlocking the stalemate for people without documents, triggered by a question of pride and childish spite between the armed forces of the two countries.

After about four hours of soliciting, a plainclothes policewoman went to negotiate inside the French offices with colleagues, to return to the beaming bridge, explaining that it was there it was only a “communication problem” and that it was all solved: the community people could freely go to France or Italy at will, “instead we take them ‘cause we have to deal with them ”, she said pointing at the migrants blocked for the whole afternoon by the Italian police.

Upon confirmation that the person in solidarity would have been detained in garde à vue, and once that all people have been authorized to return to Italy and, for those confirmed minors, the return to France was reconsidered after the intervention of the lawyer, the 12-hour day at the “high border” of Ponte San Luigi ended with an appointment for the next day, in the same place.

 

Sunday, return to the border (Ventimiglia)

Sunday 6th around 2 pm, when the lawyer confirmed that the French policemen had found a trick to extend the solidarity person’s 24 hours of garde à vue stopped the day before, with the ploy of the late request for acquisition for the cameras of the train and the station of Menton Garavan, the group of solidarity people has approached the containers again, shouting for a couple of minutes choruses and greetings to all the people incarcerated at that time, who have in turn again answered; while from the window of the French police station some policemen showed him stinging spray aimed at containers, as a threat of further revenge on people recluse.

In a few seconds, when the people in solidarity were leaving, the PAF came out running from the offices, some pulling out batons, some waving the spray, stopping in line up on the border line for a few seconds, probably before getting an authorization to trespass from the Italian police: a rapid movement of mobile phones between one side to the other of the border, has broken the delay of the French police, who ran angrily to surround a car of supportive people on Italian soil which was maneuvering to leave.

Five people were attacked and forcibly pulled out of the car, taken inside the French border offices with their arms locked behind their backs. Italian police, a few hundred meters away, observed and filmed everything. After a few hours, all people were released with a refus d’entrée (refusal of entry) from France, the same as those that are given to dozens of deferred people every day in Italy, and a fine of 135 euros for entry into France – of about five meters – without testing covid.

Monday, all at the borders!

On the third day of protesting at the border, after further greetings from the people in the containers, who climbed from the closing grate on the roof, to greet the presence of supportive people, and after 45 hours of garde à vue, it was released as well the last person taken on the train to Nice.

The racial roundups on both sides of the border and the detention of people for hours without documents in sheet metal prisons, continues day after day. Together to human trafficking, to the sale of women’s bodies as a ticket to to cross the border, to under-the-table agreements between cops and thieves, to physicals assaults everyday more frequent against non-white people.

However, their daily struggle to survive in an hostile, dangerous, violent, racist, sexist, homophobic, transphobic, and patriarchal territory keeps going. As feminists, we will not stop helping them by any  necessary way to exercise their fundamental freedom of movement.

 

European States, hand in hand with the traffickers !

In Europe, borders are Rape !

We want all administrative detention centers to be closed !

We want the opening of all borders and the end of the police and arms business!

 

Tou.te.s aux frontières!

Saturday 5th and Sunday 6th June, Ventimiglia

Aiuto ai migranti: fino a quattro mesi di prigione per i “sette di Briançon”

Ieri il tribunale di Gap, nelle Hautes-Alpes francesi, ha emesso giudizi pesanti nei confronti di sette persone, accusate di aver favorito l’ingresso illegale in Francia di una ventina di migranti. Si è scelto di non considerare il contesto dell’episodio: una manifestazione, il 22 aprile scorso, che arrivava dopo un intero inverno di drammi e interventi in montagna, per soccorrere chi, totalmente privo di equipaggiamento, si trova ad attraversare valichi alpini innevati, braccato dalla polizia francese. Si è scelto di non dare peso alle condizioni materiali e politiche delle valli franco-italiane: nessuna menzione per la carenza di infrastrutture e sostegno ai migranti dalla parte italiana, nessun accenno alle sortite dei neofascisti, che, proprio in quei giorni, manifestavano pubblicamente la volontà di costituirsi in pattuglie di frontiera autonome e illegali (nessuno di loro è stato inquisito, nessuna inchiesta è stata aperta). Si è scelto di non guardare ai percorsi dei militanti, da anni impegnati nel soccorso in montagna e nella solidarietà attiva. Tutto ciò succede ad un giorno dall’annullamento di un’altra sentenza per “delitto di solidarietà”, caduta su altri militanti, di altre valli frontaliere. Non è semplice esprimere giudizi su tale disparità di trattamento. A caldo, prevale un sentimento di ingiustizia, prevale la rabbia verso una società che accetta di scagionare un eroe, ma che sia uno! Il messaggio sottinteso sembra dire: non osate ripetere le sue gesta, che la solidarietà non diventi appannaggio di tutti, soprattutto se praticata collettivamente e alla luce del sole.

Ci sembra chiaro che, ad essere sanzionata, sia prima di tutto la linea politica che ha animato una manifestazione che, in maniera chiara e radicale, avulsa da qualsiasi velleità umanitaria e assistenzialista, esprime una lotta orizzontale contro i dispositivi di confine, per la libertà di tutt*.

Traduciamo un articolo dal portale Politis, qui il link all’originale: https://www.politis.fr/articles/2018/12/aide-aux-migrants-jusqua-quatre-mois-de-prison-ferme-pour-les-sept-de-briancon-39748/

Il tribunale correzionale di Gap (Hautes-Alpes) giovedì ha emesso dei verdetti che vanno fino a quattro mesi di prigione nei confronti di sette militanti, il cui capo d’imputazione è quello di aver aiutato dei migranti a entrare in Francia la primavera scorsa. Due degli imputati, francesi, già condannati in passato e inquisiti in questo stesso dossier giudiziario anche per ribellione, sono stati condannati a dodici mesi di prigione, di cui 4 da scontare in carcere.

Per uno di loro, M. B., 35 anni, la pena prevede anche una ‘messa alla prova’ di due anni e una multa di 4.000 euro. «Erano due le scelte possibili oggi, si trattava di scegliere tra la solidarietà e la morte. Il tribunale di Gap ha scelto la morte per gli esiliati» – ha dichiarato quest’ultimo all’uscita dal tribunale (https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2018/12/13/7-de-briancon-les-reactions-apres-les-condamnations-hautes-alpes-gap). In effetti, l’allarme ha suonato in quel di Briançon: le associazioni di aiuto ai migranti (Anafé, Amnesty, Cimade, Médecins du monde, Médecins sans frontières, Secours catholique…) hanno lanciato l’allerta «sull’insufficienza della presa in carico e il respingimento sistematico di uomini, donne e bambini che cercano di oltrepassare la frontiera franco-italiana (…) mentre inizia la fredda stagione invernale». Si temono altri drammi, considerando che le temperature scendono a -10° in montagna.

Gli altri cinque, due francesi, un’italiana, uno svizzero e un belga-svizzero, dalla fedina penale intonsa, sono stati condannati a sei mesi di prigione con la condizionale. Hanno dieci giorni per ricorrere in appello. Un centinaio di militanti della causa dei rifugiati si sono radunati giovedì pomeriggio sotto le finestre del palazzo di giustizia per sostenere i ‘sette di Briançon, come vengono chiamati. Il tribunale ha seguito le richieste del procuratore di Gap Raphael Balland, che durante il processo dell’8 novembre non aveva invocato l’aggravante di ‘banda organizzata’.

«Sono un po’ basito davanti a una decisione così severa, per dei fatti che sono quantomeno discutibili (…). I gilets jaunes ne hanno fatte di ben più gravi» – si è lamentato Christophe Deltombe, présidente della Cimade, associazione di difesa dei diritti dei migranti. «Ero convito che sarebbero stati rilasciati. Non vedevo dove potessero essere individuati gli elementi materiali e intenzionali dell’infrazione penale. Siamo in pieno in quel che viene chiamato ‘crimine di solidarietà’: sono condannati perché sono stati solidali a delle altre personé» – ha aggiunto.

«Siamo tutti un po’ colpiti da questa decisione. E’ una pena estremamente severa. La motivazione del tribunale non ci ha convinto» – ha reagito da parte sua Maeva Binimelis, uno dei sei avvocati dei militanti. «Questa decisione è un colpo di freno alla direzione presa in favore di una maggiore umanizzazione e individualizzazione delle condanne per delitto di solidarietà, nell’attesa della sua soppressione», critica da parte sua un altro dei difensori, Vincent Brengarth.

L’accusa imputava ai sette militanti, le cui età vanno dai 22 ai 52 anni, di aver facilitato, il 22 aprile, l’entrata in Francia di una ventina di migranti confusi ai manifestanti forzando una barriera eretta dalle forze dell’ordine. Durante l’udienza, gli imputati avevano contestato il fatto di aver coscientemente aiutati i rifugiati a passare la frontiera nel corso della manifestazione. Partita da Clavière, in Italia, questa si era conclusa a Briançon.

Il processo iniziale, previsto in maggio, era stato rapidamente rimandato, per concedere il tempo al Consiglio costituzionale di esprimersi sul ‘delitto di solidarietà’. In luglio, i ‘Saggi’ hanno considerato che, in nome del ‘principio di fraternità’, un aiuto disinteressato al soggiorno irregolare non sarebbe passibile di condanna, l’aiuto all’entrata resterebbe però illegale.

Mercoledì, la Corte di cassazione –la più alta giurisdizione dell’ordine giudiziario in Francia – ha annullato la condanna di Cédric Herrou, diventato un volto noto dell’aiuto ai migranti, e di un altro militante della Valle Roya, condannati in appello per aver assistito dei migranti.

Picnic contro la frontiera: una giornata di protesta a Sospel

Nella mattinata e nel pomeriggio di Domenica 18 Novembre decine di abitanti del territorio di confine tra Ventimiglia e la Val Roja hanno organizzato nel villaggio di Sospel alcuni momenti di informazione e un picnic contro la frontiera, la sua violenza e le sue conseguenze. Riceviamo e volentieri pubblichiamo il resoconto della giornata di protesta e il testo che è stato volantinato nelle strade di Sospel.

 

Domenica 18 Novembre a Sospel una trentina di abitanti delle valli transfrontaliere hanno rotto il silenzio sulla militarizzazione del territorio e sulle morti, più di 20, che tali politiche securitarie hanno causato. In mattinata si è svolto un volantinaggio nelle vie del paese per comunicare quanto sta accadendo e raccontare la concretezza dell’espressione «la frontiera uccide».

Durante il volantinaggio nelle bacheche pubbliche del paese è stata affissa la lista delle 21 morti documentate sulla frontiera di Ventimiglia e delle Alpi Marittime dal 2016, di ciascuna è spiegata la causa e il luogo della morte.

Successivamente le/i partecipanti si sono ritrovate/i per un pic-nic in un prato che si affaccia sul check-point fisso di Sospel, per denuciarne la presenza e disturbarne la routine del controllo. Durante tutto il pic-nic ogni controllo dei veicoli di passaggio in questo incrocio, che mette in collegamento la Val Roya col resto delle Alpi Marittime, è stato accompagnato dal suono di trombette di carnevale e da slogan contro la frontiera. «plutot chomeur, que controleur» , «moins des militaires, plus des sorcieres» , « la frontière tue, honte à ses guardian»1 gli slogan più cantati.

Alla fine del pic-nic mentre si allontanavano tutte/i le/i partecipanti sono state/i fermate/i e identificate/i dalla gendarmerie.

Resta la convinzione che di pic-nic come questo ce ne vorrebbero 100 o 1000 e che la prossima volta saremo di più.

1 «piuttosto disoccupati che controllori» , « meno militari, più streghe», «la frontiera uccide, vergogna ai suoi guardiani»

Momenti del picnic di protesta contro il confine e la militarizzazione della frontiera- Sospel- Domenica 18 Novembre
Sospel, una delle bacheche del paese in cui è stato affisso l’elenco delle persone decedute a causa della chiusura del confine italo francese dal 2016 a oggi

 

Di seguito, il testo che è stato volantinato per informare le persone sulla situazione lungo la frontiera italo-francese.

 

LA FRONTIERA UCCIDE, BASTA ALLA MILITARIZZAZIONE!

La frontiera di Ventimiglia è chiusa ormai da giugno 2015, ma è a partire dal 2016 che la militarizzazione di tutto il territorio frontaliero diventa massiccia ed invasiva. La prima diretta conseguenza di questa politica di militarizzazione sui due lati della frontiera è la morte di oltre 20 persone. Queste morti non sono conseguenza del caso, ma dei quotidiani respingimenti che costringono le persone a esporsi a rischi crescenti nel tentativo di attraversare il confine.

All’Europa oggi evidentemente non bastano nè gli hotspot (centri di prima identificazione voluti dall’UE nei paesi di primo approdo), nè gli accordi infami sottoscritti con governi autoritari come la Turchia, l’Egitto o le due Libie in guerra tra loro. Di sicuro non bastano le migliaia di persone morte nel Mediterraneo come nelle altre frontiere interne ed esterne. Il ritorno di rigurgiti sovranisti e populisti si sposa con il sogno tecnocratico di Bruxelles laddove ciò a cui aspira è il controllo delle popolazioni indesiderate. Nei sogni degli uni e degli altri le strade devono essere ripulite e le persone selezionate, che questo avvenga per la purezza della razza o per la valorizzazione del centro storico cittadino il succo non cambia.

Un sogno totalitario quindi, che vediamo svolgersi con copioni simili a Ventimiglia come a Claviere o al Brennero. Luoghi di frontiera e di turismo, in cui non vengono risparmiate brutalità e violenze pur di garantirsi un discreto, ma mai totale, controllo della situazione. Il copione tipo prevede una militarizzazione del territorio di cui le popolazioni locali restano passive spettatrici. Ecco, da questo ruolo di spettatori è necessario smarcarsi, è di nuovo il momento di prendere parola contro la frontiera e la sua militarizzazione.

Diverse mobilitazioni si stanno costruendo nelle località di frontiera dell’arco alpino, da qui fino a Trieste. Nelle valli Roya e Bevera da ormai due anni i check-point si moltiplicano e la presenza di militari armati sui sentieri, cosi come nelle strade dei paesi, è la norma. Noi non vogliamo vivere in silenzio in un territorio determinato ormai dalla militarizzazione e dai controlli razziali. Che questi controlli avvengano nelle nostre valli, nelle città o al di là del Mediterraneo resta il fatto che la presenza dell’esercito e delle forze di polizia costruisce e ricostruisce frontiere ovunque, e nessuno è più al sicuro in un mondo così pieno di sbirri.

Basta morti di frontiera, qui e altrove!

Basta militarizzazione!

 

Che scusa abbiamo come antirazzisti per non fare nulla?

Riceviamo e pubblichiamo un report scritto da un solidale che ha partecipato al corteo “Ventimiglia città aperta” svoltosi il 14 luglio scorso a Ventimiglia. Un testo lucido che, raccontando i fatti, gli avvenimenti vissuti, i fenomeni osservati, fa emergere le enormi contraddizioni soggettive (cioè politiche) e oggettive che ci riguardano come antirazzisti e cittadini europei. La storia non è ancora scritta: la coscienza del mondo in cui viviamo è il primo passo per poter essere “pulling factors” di un mondo radicalmente altro.


Partito alle 9.30 da Marsiglia, arrivo a Ventimiglia intorno all’ora di pranzo. Per prima cosa mi dirigo verso l’info-point Eufemia: là alcuni volontari offrono informazioni e supporto logistico. Un ragazzo, dopo avermi fornito gli ultimi aggiornamenti organizzativi sulla manifestazione, mi consiglia di andare a mangiare al bar bar Hobbit.

Nel clima surreale che la propaganda mediatica e le scelte politiche hanno creato in città, anche scegliere dove mangiare diventa una scelta di campo, una presa di posizione politica: non mi stupisco, allora, di ritrovare lì molti attivisti, alcuni dei quali – si capisce dai calorosi saluti che rivolgono alla proprietaria – dei veri habitués del luogo. Del resto, chi frequenta la città conosce bene la signora Delia e il suo bar vicino alla stazione: non solo è un luogo di ritrovo storico delle lotte “no borders” qui a Ventimiglia, ma anche un punto di riferimento indispensabile per chi si ritrova bloccato qui dalla militarizzazione delle frontiere. Qui questi ultimi possono ricaricare il cellulare, mangiare un panino anche se non hanno soldi o anche solo di riposarsi un attimo bevendo un bicchiere d’acqua pulita… Quindi questo stabilimento farebbe parte di quei “pulling factors” che, secondo la dottrina del sindaco Ioculano, non solo favoriscono l’installazione dei migranti sul territorio, ma addirittura li attirano.

L’impegno della signora Delia, il suo “buonismo”, si dice ora come se fosse un insulto, le è costato un boicottaggio silenzioso da parte degli abitanti e “un’attenzione” particolare da parte delle forze dell’ordine.

Stamattina per esempio – mi racconta Lia – la polizia aveva bloccato la via d’accesso al bar Hobbit: i potenziali avventori venivano fermati da zelanti uomini in divisa che si giustificavano con la necessità di garantire la sicurezza del console francese, installato nella piazzetta adiacente. A parte il fatto che nessuno si era preoccupato di avvertire la signora Delia, che il mattino stesso aveva scoperto di trovarsi all’interno di questa ampia “zona rossa”, viene da interrogarsi sulla pertinenza di un dispositivo di sicurezza di tale ampiezza, dal momento che il tragitto della manifestazione non si sarebbe nemmeno avvicinato all’area… tant’è che, qualche ora dopo, grazie alle proteste, finalmente la linea viene arretrata all’ingresso della piazza, liberando l’entrata del bar: una fila di celerini in tenuta antisommossa resta comunque a sorvegliare gli avventori che, dal canto loro, chiacchierano, mangiano un panino e, in generale, ingannano il tempo davanti al bar.

È qui che incontro Lia e Antonio, appena prima che partano in bicicletta verso in via Tenda, luogo del concentramento della manifestazione: ci sono già stati stamattina appena arrivati, ma vogliono fare un altro “giro visite” prima che la manifestazione parta. Vado con loro.

Arrivati nel piazzale antistante al cimitero ci dirigiamo subito sotto al basso ponte dell’autostrada, dove vari gruppi di persone si riparano dal sole che oggi picchia duro. Ci sistemiamo intorno a una delle biciclette, quella nelle cui sacche laterali sono stoccati i medicinali e il resto degli strumenti del mestiere. Subito facciamo un giro per avvisare i presenti della possibilità di farsi visitare in modo gratuito da medici: Lia ogni volta ha cura di precisare che non sono legati al sistema ufficiale di accoglienza, verso cui ormai si è sviluppata tra i ragazzi una certa diffidenza.

Antonio racconta che stamattina, quando hanno fatto il primo giro, c’erano solo i pochi africani che avevano dormito qui e un tavolino con un bidone di thè caldo e qualche tanica d’acqua potabile: “Ora c’è più gente, sarà più difficile lavorare”… È vero ma l’atmosfera è così festosa che non ce ne si può veramente lamentare: migranti e europei si mischiano, discutono, ogni tanto qualcuno fa partire un coro o una canzone al ritmo dei tamburi o della fanfara, ed è subito ripreso dai vicini…

I pazienti non si fanno attendere. Il primo gruppo è composto da 6 persone: solo uno ha bisogno di vedere il medico, un altro traduce in inglese e gli altri, semplicemente, gli stanno intorno, discutono tra loro e sembrano dare opinioni: a noi viene tradotto solo il necessario, l’esito di questi scambi. I segni della scabbia sono evidenti, così gli viene spiegato che il problema è dovuto a un parassita che prolifera dove le condizioni igieniche sono precarie. Il ragazzo, quasi sulla difensiva, replica che si lava tutti i giorni, allora Lia spiega che l’acqua non basta, nemmeno se usata con il sapone: bisogna cospargersi di una crema speciale, dal collo in giù e poi cambiare tutti i vestiti. Certo – precisa – basterebbe lavarli ad alte temperature, ma qui non è possibile perciò meglio buttare tutto! Il ragazzo, tramite il traduttore, fa presente che questi che ha indosso sono gli unici vestiti che ha. Gli viene spiegato che all’info-point può trovarne di nuovi. È estremamente grato.

Il gruppo si allontana ma il traduttore torna poco dopo con un’altra persona che lamenta la stessa sintomatologia. Dopo un breve esame delle cicatrici la diagnosi è scabbia, pertanto il paziente riceve gli stessi consigli e lo stesso bicchierino di plastica pieno di crema che il precedente.

Anche il seguente, sempre di origine ovest-africana, non parla alcuna lingua europea perciò, ancora una volta, comunichiamo solo grazie al nostro amico traduttore. Quest’ultimo spiega che il ragazzo ha molto male all’interno del ginocchio destro. Lia, esaminandolo, nota una vecchia cicatrice sullo stinco, ricordo di quella che deve essere stata una brutta ferita, pertanto chiede chiarimenti. Il ragazzo sembra non volerne parlare: dice che è vecchia e che ora il problema è altrove (indica il legamento interno del ginocchio). Non insistiamo. Gli viene allora spiegato che la causa del dolore di cui parla non può essere compresa a occhio nudo: serve una radiografia. Il consiglio è di cercare un ospedale non appena arrivato a destinazione, qualunque essa sia; tutto quello che si può fare, per ora, è fornirgli degli antidolorifici da prendere quando il dolore diventa forte. Mentre sembra che il lavoro sia finito, il ragazzo aggiunge di soffrire di mal di pancia (indica il basso-ventre) e di vomitare spesso. Il primo sospetto, visti i precedenti nel campo informale sul Roja (vd ad esreport 1, 2, 3), è che beva l’acqua del fiume ma, a domanda diretta, nega: ci si lava e basta… Dice che, secondo lui, il problema è quello che mangia. Non c’è modo di andare a fondo alla faccenda: oltre agli antidolorifici, che andranno bene tanto per il ginocchio che per la pancia, lo si lascia con il consiglio di fare delle analisi appena possibile e, nel frattempo, di bere molta acqua pulita.

Con il passare del tempo gli europei diventano sempre di più: ci sono italiani da ogni parte del paese, francesi e un nutrito gruppo di spagnoli (qualcuno dice 250, altri addirittura 400… Io credo che il numero esatti conti poco!) che, partiti da Barcellona intendono raggiungere in carovana la Sicilia. Sorrisi, emozione: siamo tanti. Alcuni sono affaccendati intorno al camion che aprirà il corteo, i più cercano un po’ di riparo dal sole sotto al ponte.

Intanto la gente aumenta, la zona d’ombra sotto il ponte non riesce più a contenere la massa che deborda nel piazzale, riempiendolo poco a poco. Il ragazzo nigeriano, quello che ci ha fatto da traduttore fin’ora, guarda incredulo: “I’ve never experienced something like this, I arrived here just one week ago: when they told me about this demonstration, I thought that we would be not more than 20 or maybe 30 persons…. There are a lot of people here, all a country!”. Il suo entusiasmo scalda il cuore: ci spiega che in Nigeria ha ottenuto una laurea in chimica ma che questa da sola non basta. È partito per l’Europa per raggiungere l’Inghilterra e lì iscriversi a una scuola di business, così da poter aprire un’attività: mi spiega che qui in Europa le università sono migliori. In mano ha uno strano oggetto: una Bibbia elettronica multilingue con cui può ascoltare il brano che desidera o farlo ascoltare ad altri, anche se parlano un’altra lingua. Mi chiede se sono cristiano, rispondo di no: sorride, mi guarda con un certo benevolo paternalismo “No problem, it’s OK: God doesn’t care how do you call him”. Non deve essere la prima volta che riceve tale risposta. Gli chiedo se anche il suo amico, con cui lo vedo girare e scherzare fin dal mio arrivo, è cristiano: sorride ancora “No, he’s muslim”.

Il successivo paziente, anglofono, lamenta dolore al collo: Antonio e Lia notano un rigonfiamento sulla nuca, forse un linfonodo infiammato. Anche in questo caso sarebbe necessario fare altri esami, cosa impossibile per il momento, perciò vengono dati anche a lui degli antidolorifici.

Il seguente dice di avere male alla schiena, precisamente alla base colonna vertebrale. Antonio lo fa piegare in avanti: il ragazzo arriva poco oltre le ginocchia. Rialzandosi fa presente che, per lavoro, sollevava carichi molto pesanti. Il sospetto è che si tratti di ernia: gli viene spiegato in modo intuitivo di cosa si tratta e si esorta anche lui ad andare a fare delle radiografie una volta arrivato a destinazione. Per ora, oltre a degli antidolorifici da prendere quando ha dolore, riceve il consiglio (mimato per assicurarsi che la comprensione sia chiara) di non piegarsi sforzando sulla schiena ma sulle ginocchia.

C’è un momento di calma e per qualche minuto nessuno si avvicina alla “bicicletta-ambulanza”, questo ci lascia il tempo di chiacchierare un po’. Lia mi spiega che il territorio a Ventimiglia è sotto lo stretto controllo della criminalità organizzata, della ‘Ndrangheta per la precisione. La città, grazie alla sua posizione strategica sul confine, è uno snodo fondamentale del contrabbando e di altri traffici: nei suoi dintorni, davanti al cimitero per esempio, si svolgono continuamente e durante tutto il giorno scambi di merci tra un camion e l’altro … Questo per dire – continua – che se i migranti sono qui nel campo informale, è perché ce li lasciano: se la loro presenza disturbasse veramente questi traffici, per esempio attirando troppa attenzione mediatica, di sicuro vi verrebbero cacciati. Se non accade è perché non danno fastidio e, anzi, sono forse una fonte di guadagno: del resto lei è certa che i trafficanti di donne e i “passeurs”, per poter agire, debbano chiedere il permesso. E il permesso, in questi ambienti, si paga.

Mentre chiacchieriamo passeggiamo sotto il ponte: cerchiamo di raggiungere gruppi di migranti che non abbiamo ancora incontrato, per offrire la possibilità di parlare con un medico. Incontriamo così un altro ragazzo proveniente dall’Africa dell’Ovest, questa volta è francofono. Dice di avere male alla testa e al collo, come se quest’ultimo fosse sempre contratto… E poi si lamenta della tosse: non ce l’ha sempre ma ogni tanto ha degli attacchi che durano anche una settimana. Lia lo ausculta e nota un’infiammazione a livello polmonare: sospetta un caso di asma. Descrivo i sintomi al ragazzo e gli chiedo se ha già avuto delle diagnosi a riguardo: lui si riconosce nella descrizione e dice che, in effetti, ha già visto dei medici perché stava già male quando stava “au campo” [della croce rossa. NdA], solo che nessuno ha mai fatto altro che dargli del paracetamolo: non gli hanno mai fatto alcun esame. Lia gli mette nelle mani degli antidolorifici e il necessario per completare un ciclo di antibiotici: questi ultimi serviranno per contrastare l’infiammazione polmonare ma il consiglio è, ancora una volta, di andare a fare dei controlli approfonditi non appena arrivato a destinazione: dice che vuole andare Padova. Prima di andarcene Lia tiene a spiegare per bene la posologia degli antibiotici e ad assicurarsi che il ragazzo abbia capito.

Subito dopo, quello che ormai possiamo considerare il “nostro” traduttore, accompagna un altro gruppo di ragazzi: anche questa volta il paziente è uno solo. Questo, invece di presentare un problema, chiede direttamente una medicina contro i capogiri: Lia spiega che nel loro stock non hanno niente che faccia al caso suo. Il problema, in effetti, è che lo spazio limitato disponibile costringe a fare una selezione tra i farmaci da portare: così quelli per i disturbi meno comuni, come quello in questione, restano fuori. Il consiglio è di andare a domandare alla Caritas, ma la risposta del ragazzo è che ci va ogni giorno, senza ottenere altro che paracetamolo: gli altri annuiscono. Lia spiega che è necessario fare delle analisi per capire la natura del problema che potrebbe avere molte cause diverse: consiglia pertanto di andare a Bordighera, dove c’è un piccolo ospedale, o anche da un medico qualunque generalista. Gli sguardi dei ragazzi sono dubbiosi, Lia ricorda loro che in Italia hanno diritto a tutte le cure mediche necessarie indipendentemente dal loro status amministrativo: nessuno li arresterà, non bisogna aver paura.

Verso le ore 16 la manifestazione, finalmente, parte. Da via Tenda attraverserà il ponte sul Roja per fare il giro della città vecchia e chiudersi verso le 18h30 nel parco vicino al Municipio, dove sono previsti vari interventi. Sul carro che apre il corteo sventola, come una bandiera, una coperta termica e molti tra i partecipanti indossano uno scampolo dello stesso materiale, quasi come un segno di riconoscimento. Pochi sono gli abitanti di Ventimiglia che partecipano, molti quelli che guardano dal balcone: alcuni sorridono, lo sguardo di altri è meno solidale. Anche alcune delle associazioni attive in città hanno deciso di non integrare la manifestazione, in polemica con alcuni dei gruppi presenti che considerano troppi estremisti. Nonostante questo la partecipazione è imponente e varia. Accanto ad associazioni e collettivi sfila uno spezzone composto solo da africani: reggono uno striscione e danzano, mentre uno di loro con un megafono lancia slogan che vengono ripresi dai compagni. Riconosco alcuni dei ragazzi curati da Lia e Antonio. Ci sorridiamo: i loro occhi brillano.

Arrivati al parco ritrovo Lia e Antonio, che avevo perso di vista all’inizio del corteo. Stanno discutendo con un ragazzo che non sembra completamente lucido e che richiede una medicina specifica per lo stomaco. Dice che gli fa spesso male. Alla domanda se beve o fuma risponde di sì: viene dall’Asia e afferma, con una punta di spacconaggine quasi adolescenziale, che gli asiatici bevono molto… Lui, per esempio, non beve birra ma solo vodka fin da colazione. La diagnosi è evidente e l’efficacia della terapia farmacologica è legata, ovviamente, al controllo del consumo di alcool. Il ragazzo ride e prende la scatola di medicine che gli viene data da Antonio ma, guardandola, si accorge che il dosaggio sia inferiore a quello a cui è abituato: dice che queste non gli faranno nulla, non servono. Credo il ragazzo cercasse semplicemente un po’ di attenzione.

Intanto, mentre al microfono si susseguono gli interventi, il parco viene decorato con lunghi striscioni fatti di bandane fuxia annodate l’una all’altra: è un’iniziativa di “Non una di meno”, si vuole lasciare un segno tangibile del passaggio della manifestazione. Antonio, guardando le persone radunate intorno al carro, si augura che lo spirito di questa mobilitazione non si spenga alla fine di questa giornata, ma venga reinvestito nel quotidiano dei molti partecipanti: questo farà davvero la differenza! Non posso che essere d’accordo con lui.

Dopo gli interventi e i concerti, piano piano, i manifestanti abbandonano il parco. Saluto Lia e Antonio, loro resteranno ancora una notte per fare un altro giro visite domani. Io invece torno a Marsiglia.

Riparto da Ventimiglia verso le ore 23, sulla strada veloce che porta all’autostrada supero vari ragazzi che tornano verso il campo della croce rossa. La strada non è illuminata, né dispone di marciapiedi dato che è a scorrimento veloce, inoltre le banchine sono strette: il pericolo è reale ed è inaccettabile costringere le persone a una tale “roulette russa”; io stesso, nonostante la guida prudente per la coscienza del pericolo, rischio di investire una persona.

Sul tragitto di ritorno penso a quanto poco basterebbe per migliorare le condizioni igieniche e sanitarie delle persone bloccate a Ventimiglia: non abbiamo incontrato casi complicati o malattie esotiche… La maggior parte degli eventi patologici era legato alle condizioni di vita e per essere risolto non richiedeva che qualche accorgimento di buon senso, delle condizioni minime di igiene, medicine comunissime e poco costose e, al massimo, qualche esame di accertamento… Che scusa abbiamo dunque per non fare nulla? Per impedire l’accesso alle condizioni minime d’igiene e alle cure sanitarie di base?

Secondo la distorta dottrina umanitaria dell’amministrazione comunale l’accesso all’acqua potabile, al nutrimento, ai servizi igienici e alle cure mediche, … sarebbero dei “pulling factors” da sopprimere per scoraggiare i migranti a installarsi in città. Io credo che l’unico vero “pulling factor” che costringe queste persone a installarsi a Ventimiglia sia la chiusura della frontiera.

Quelli di cui parla il Sindaco Ioculano, invece, sono le condizioni minime per garantire la sopravvivenza delle persone in transito e scongiurare il rischio di epidemie. E le epidemie riguardano tutti, indipendentemente dallo status amministrativo.

Matteo Fano

Quanto vale la vita di un immigrato

Quanto vale la vita di un immigrato: Ventimiglia 14 e 15 luglio 2018.

La mattina di sabato 14 una trentina di persone dormiva o aveva dormito sotto il ponte di via Tenda a Ventimiglia.

I solidali di Kesha Nyia, come sempre, forniscono acqua, tè, frutta e pane alle persone in viaggio che sostano sotto il ponte. Forse in vista della manifestazione, le forze dell’ordine lasciano quel luogo sguarnito, e per la prima volta dopo tanto tempo facciamo le visite in maniera rilassata. L’unica acqua disponibile per questi giovani è proprio quella fornita dai solidali di Kesha Niya. Appaiono molto affaticati, disidratati, alcuni hanno influenza e bronchite, di nuovo alcuni casi di scabbia, anche complicata da sovra-infezione batterica.

Dopo aver parlato con tutti coloro che lamentavano qualche problema di salute, grazie alla traduzione di un ragazzo nigeriano, andiamo al bar Hobbit, da Delia. L’ingente schieramento di forze dell’ordine che blocca completamente la strada dove il bar è situato le causa una certa esasperazione, tanto che l’indistruttibile “mama Africa” sembra avere un momento di cedimento. Tiene molto al nome del bar, frutto di fatiche di generazioni, nella sua famiglia. Costruito con i proventi di una migrazione in Australia, quando lei e i suoi genitori vissero a loro volta nei container per mesi, per poi riuscire a crearsi una vita e mettere qualche soldo da parte.

Nel corso della mattinata si riesce con l’aiuto di solidali locali ad aprire uno dei due varchi, così Delia si tranquillizza. Ha preparato circa 500 panini per l’arrivo di solidali da varie parti d’Italia e d’Europa per la manifestazione prevista nel pomeriggio.

In bicicletta ci continuiamo a muovere nelle diverse zone della città, per capire se ci siano persone in difficoltà. Sembra che la maggior parte di coloro che non soggiornano nel campo della croce rossa siano sotto il ponte, in via Tenda.

Durante il concentramento della manifestazione, davanti al cimitero, alcune e alcuni degli europei sopraggiunti andranno a posizionarsi sotto il ponte. Qualcuno inizia a suonare e a cantare, qualcuno parla con i ragazzi. Donne solidali appartenenti al gruppo NonUnaDiMeno distribuiscono fazzoletti colorati fuxia, le ragazze e i ragazzi del gruppo 20k delle strisce fatte con le coperte termiche. Gli slogan parlano di libertà di movimento, di permesso di soggiorno europeo, di tutela della vita umana. Anche in questo caso la presenza di molte persone ci permette di continuare a visitare chi ne ha bisogno. Sono di nuovo molti. Soprattutto, temiamo che diverse persone abbiano ripreso, almeno nei momenti di emergenza, a bere l’acqua del fiume, perché di nuovo ci sono gastroenteriti e problemi addominali vari.

Mentre arrivano sempre più persone per il corteo e questo si inizia a muovere, continuiamo a spostarci verso il centro e poi di nuovo verso il cimitero.

Nel corso del corteo, nella direzione del centro storico di Ventimiglia, degli uomini, si avvicinano urlando ai manifestanti. Una solidale che sta facendo le riprese per un documentario è vicina a loro e ci chiama. Entrambi gli uomini sono evidentemente ubriachi, uno afferma di essere malato e di essere seguito presso la ASL. Ha due bambini con sé. Ci distanziamo un po’ dalla folla dei manifestanti e parliamo con loro. L’uomo che affermava di essere malato piange e grida, dice di aver lavorato per una ditta e di non essere stato pagato, dice che degli uomini incaricati o facenti parte della ditta, il giorno prima avrebbero picchiato lui e i bambini. Si agita molto e i bambini iniziano a piangere. Facciamo bere dell’acqua a tutti e tre e cerchiamo di calmarli, riuscendoci dopo qualche tempo. Poi molto preoccupati, li seguiamo con lo sguardo mentre si allontanano.

Il corteo è lungo e molto partecipato. Ci sono migliaia di persone, italiane, francesi, spagnole. Dopo aver fatto un giro largo intorno alla città arriverà ai giardini pubblici per gli interventi finali.

Noi in serata andiamo via per poter preparare qualcosa da mangiare per Delia. Vorremmo farla riposare, almeno la sera visto la giornata di lavoro intensissimo che ha dovuto affrontare.

Il giorno dopo stranamente ancora non ci sono macchine delle forze dell’ordine al parcheggio di fronte al cimitero. Visitiamo ancora tante persone, tante da finire quasi tutti i farmaci. In particolare i presenti ci dicono che un ragazzo che sta male è rimasto, più isolato, tra la vegetazione. Ci chiedono di aspettarlo. Programmiamo di ricomprare qualche paracetamolo o antibiotico se per lui ne avremo bisogno.

Arriva un ragazzo molto provato. Suda copiosamente. Per fortuna visitandolo sembra solo un’influenza. Come spesso accade ci chiede se siamo italiani e si stupisce della risposta, visto che siamo in grado di parlare inglese. Arriva anche un altro giovane e dice “questo è mio fratello”. Gli chiediamo “E’ proprio un fratello vero o lo conosci soltanto?”. “E’ il figlio del fratello di mio padre”, risponde. Gli chiediamo se hanno viaggiato insieme e come sia andata. Sono partiti dal Darfur, hanno i documenti che dimostrano che vivevano lì come profughi, sono passati per il Chad, poi la Libia.

Quando si parla di Libia, come sempre, i volti delle persone cambiano. “Libya is really bad. Really dangerous. Ci hanno picchiato. Ci hanno bruciato la pelle, abbiamo dovuto lavorare gratuitamente per loro. Le nostre famiglie hanno preso in prestito molto denaro”. Gli chiediamo se sa quanto. Facciamo un rapido calcolo. Si tratta di più di 1500 euro. Spieghiamo loro che oltre a visitare le persone cerchiamo di spiegare agli europei chi sono “i migranti”, che cosa succede alle persone in viaggio. Gli mostriamo il nostro sito spiegando che per ora purtroppo è ancora solo in italiano. Vedendo la foto del ragazzo con la gamba rotta, rimangono visibilmente turbati, hanno un esclamazione di dolore.

Gli chiediamo se possiamo fotografare le loro cicatrici e convintamente ce le mostrano, dicendo: prego.

Il secondo dei due si toglie la maglietta. Ha una grossa cicatrice che dice sia stata causata da un colpo inferto con un grosso bastone.

Chiediamo quando siano arrivati e cosa pensino della manifestazione del giorno prima. Dicono che sono arrivati durante il concentramento, che hanno visto tanta gente e che un uomo che veniva dalla spagna gli avrebbe detto: “we are here to break the frontiers with you”. Ci chiedono: “esiste un italiano che può distruggere la frontiera per noi?”

Cerchiamo di dare qualche spiegazione. Non si tratta di un processo immediato. E’ un processo a cui speriamo di arrivare. Esistono molti gruppi di italiani ed europei che sono contrari al dispositivo della frontiera e che pensano che la terra sia di tutte e tutti.Ci diciamo i nostri nomi, ci auguriamo buona fortuna.

Tornando verso il centro, vediamo che sono rimasti dei fogli vicino al muro della stazione. C’è scritto: “quanto vale la vita di un immigrato”?

PS. La mattina dopo il nostro ritorno a Genova, persone solidali presenti sul territorio ci informano che stanno iniziando i lavori per chiudere l’unico ingresso rimasto per accedere al greto del fiume sotto il cavalcavia di via Tenda . Lì dove prima dello sgombero di marzo sorgeva il campo informale. Ancora ci sono delle persone  accampate, gli operai dicono di essere incaricati dal comune.

Lia Trombetta, Antonio Curotto