Partiamo da Genova con il treno delle 7.20. Nonostante il tempo piuttosto autunnale ci sono ancora donne e uomini che portano con borse e sacchi merce da vendere lungo la riviera di ponente. Noi abbiamo una busta con i farmaci che, con varie iniziative, sono stati recuperati da compagni genovesi.

Giunti alla stazione di XX miglia, notiamo l’assenza di forze dell’ordine e pochi migranti in attesa davanti al piazzale. Raggiungiamo il bar Hobbit di Delia, dove permane inalterata l’accoglienza. Anche il numero di persone presenti qui è stabile e, come sempre, ci sono numerosi cellulari in carica. Mentre prendiamo un caffè, si avvicina un ragazzo sudanese che abbiamo più volte incontrato nei mesi scorsi, parla bene la nostra lingua. Dapprima ha vissuto lungo il fiume, poi ha fatto diversi altri lavori adesso ci dice, a nostra domanda, che lavora per una non precisata organizzazione (il tono si fa meno sicuro) che si occupa di persone senza documenti. Chiediamo a lui com’è la situazione lungo il fiume, ci dice che le persone sono circa 200, che presso il campo della croce rossa i numeri sono analoghi e che le famiglie costrette in ambienti limitati dove i bambini non hanno spazio sufficiente stanno male, che preferiscono stare fuori.

Ci dirigiamo verso via tenda, il via vai dei migranti non sembra cambiato, incontriamo un piccolo stand di testimoni di geova che cercano di fare proseliti tra loro. L’info-point Eufemia originato dalla collaborazione tra diversi gruppi solidali, dove dovevamo prendere altri farmaci, è ancora chiuso.

Proseguiamo, sotto il ponte della ferrovia le arcate sono state chiuse con cartoni, per rendere più stabili e protette queste abitazioni di fortuna. Giovani migranti scendono lungo il fiume. La chiesa di San Antonio appare vuota e silenziosa. Proseguiamo per via tenda fino all’altezza del piazzale di fronte all’entrata del cimitero e raggiungiamo il fiume. Sotto il cavalcavia persiste apparentemente senza cambiamenti di numeri e di disagio l’accampamento con gruppi di persone sdraiate su giacigli di fortuna, cartoni o materassi. Chiediamo se hanno problemi di salute, informando loro che siamo medici e con l’aiuto di mediatori e traduttori improvvisati ma efficaci, prestiamo la nostra opera. Medichiamo alcuni traumi, piedi, ginocchia, gomiti. Ci sono persone con dermatiti, infestazioni da scabbia (purtroppo siamo ancora privi del farmaco), gastroenteriti con il tipico corredo di sintomi: nausea vomito, diarrea. Dopo brevi domande ci rendiamo conto che sono costretti ad utilizzare l’acqua del fiume oltre che per lavarsi anche per dissetarsi.

Passando sotto il cavalcavia verso il piazzale della chiesa incontriamo, informiamo dei pericoli e visitiamo numerose persone. Ci colpiscono in particolare un ragazzo sudanese che ci parla della durezza della vita in queste condizioni e ci ringrazia del nostro operato. Ogni tanto, mentre racconta del viaggio in mare, ripete che era finito il carburante con lo sguardo perso, parla anche delle difficoltà in Sudan, sembra a tratti delirare. Incontriamo poi una famiglia allargata di etiopi, 4 donne e 4 uomini, che preferiscono stare sul fiume invece che nel campo della croce rossa, per via della distanza dal centro della città, temono per le donne. Per comunicare con loro ci aiuta un ragazzo eritreo che parla inglese molto bene.

Raggiungiamo il piazzale di fronte alla chiesa dove incontriamo una piccola delegazione di persone di Genova. Anche con loro ci chiediamo che fare per il problema dell’accesso all’acqua potabile. Torniamo al punto di origine dei rubinetti sulla strada, che un solidale aveva messo in funzione dopo l’identificazione delle tubature. Purtroppo la ferocia acefala razzista non ha fine. Dopo aver chiuso la valvola principale la manopola è stata rotta per non permetterne più l’apertura.

In questo territorio, l’accesso all’acqua potabile, come ogni altro fattore che anche lievemente potrebbe renderlo più vivibile, viene ancora negato, contravvenendo alle leggi internazionali e nazionali sulla tutela della salute.

Raggiungiamo di nuovo l’info-point Eufemia e parliamo di nuovo della necessità di trovare insieme una soluzione. Raccogliamo alcuni farmaci e, dopo un breve pranzo da Delia, torniamo verso il fiume. Passiamo davanti alla chiesa e, quasi a sottolineare l’incongruenza della situazione, troviamo un contenitore in latta già vuoto di circa 30 litri di capienza assicurato ad 1 catena, come risposta alla mancanza di acqua potabile.

Nel piazzale davanti all’entrata del cimitero erano giunti per l’ora di pranzo alcuni abitanti della Val Roya, per portare cibo e abiti. Hanno portato dei tavoli e delle sedie di plastica per permettere a tutti di non mangiare seduti sull’asfalto. Intorno ai tavoli le persone discutono, giocano a domino, a carte e a dama. Chiediamo loro se hanno bisogno di medici, visitiamo e medichiamo alcune persone.

In altre zone più distanti ci sono insediamenti più strutturati, taluni abbandonati, o dove le persone non desiderano evidentemente il nostro aiuto.

Tornati al piazzale, vediamo che la polizia in divisa e in borghese ferma e identifica le persone francesi che escono con le auto.

Amelia Chiara Trombetta, Antonio Curotto