La mattina del 16/12/17 raggiungiamo Ventimiglia con altr* tre compagn* portando, grazie al fiorino di una di loro, una certa quantità di vestiti, sacchi a pelo e scarpe, raccolti presso due centri sociali genovesi.
All’arrivo troviamo l’infopoint Eufemia già aperto e pieno di persone. Il piccolo magazzino è occupato perché alcune ragazze eritree stanno cercando di cambiarsi per indossare vestiti più pesanti. Fa molto freddo ed è umido.
Dopo aver sistemato le cose e rimosso dall’infopoint tutti i farmaci per evitare qualsiasi possibile problema per gli attivisti e i volontari che lo gestiscono, andiamo da Delia per mangiare qualcosa.
Parliamo con lei e sua nipote per sapere se qualcuno esprime idee rispetto alla privatizzazione dell’Ospedale di Bordighera. Pare che in città non se ne parli. Ipotizzano anche che la gente possa pensare che migliorerà la situazione se diventerà privato. Sua nipote no, lei dice dovrebbe restare pubblico, ma “la gente pensa solo a prendersela con i ragazzi”.
Come sempre ci sono numerose persone nei paraggi e ci viene chiesto anche di visitare uno dei ragazzi tra i più conosciuti. Si fa chiamare Italia1 perché sembra gli piaccia molto vedere la televisione. Ora Delia, però, a causa del costo ha deciso di non tenerla più nel suo locale.
Nel tentativo di attraversare la frontiera “Italia1” si è ferito al piede con un ferro sporgente dal terreno. Ha una medicazione ma le dita si stanno gonfiando e non gli è stato prescritto o consegnato un antibiotico. Glielo lasciamo noi.
Andiamo verso Mentone poiché c’è una manifestazione organizzata da gruppi francesi tra cui Roya Citoyenne, Nuveau Parti anticapitaliste (NPA), Solidarietà con i migranti 06, coordinamento 75 dei “sans papier”, in occasione della Giornata internazionale dei diritti dei migranti che cade il 18 dicembre.
La manifestazione parte dalla stazione. Si arriva a ponte san Ludovico – la frontiera bassa – che è chiuso da alte reti con dietro camionette blindate e molti poliziotti francesi in assetto antisommossa. Incontriamo alcun* imperiesi e altr* solidal* che ormai conosciamo da anni.
Durante il corteo, chi ha il megafono parla delle frontiere e dei morti che hanno causato, della fortezza Europa e del diritto negato di restare e di partire, della necessità di regolarizzazione per tutti. Un ragazzo che sembra algerino parla dell’invasione delle terre natali e del fatto di voler stare in Francia per riprendersi i diritti di cui è stato espropriato. Gli interventi vengono fatti in francese, arabo e pashtun.
Prima della fine della manifestazione ci allontaniamo per tornare a Ventimiglia a vedere com’è la situazione lungo il fiume. Vogliamo arrivare con un po’ di luce, temiamo infatti che col buio sarà molto più difficile.
A Ventimiglia, appena scesi sotto il ponte di via Tenda, incontriamo un gruppo di Afghani, isolati, in abiti leggeri e infradito. Ci si avvicinano in tanti e hanno tutti dei seri problemi di salute, evidentemente non trattati o non trattati adeguatamente. Un ragazzo ha lunghe e profonde ferite suturate che vanno dalla fronte al mento sul lato sinistro del volto. Ha molto dolore mentre lo medichiamo e poiché non gli è stata prescritta alcuna terapia antibiotica, gliela forniamo. I ragazzi che sono con lui hanno tutti delle forme di scabbia molto vecchie, dicono da mesi, alcuni con evidenti infezioni batteriche. Uno di loro ci dice in italiano che ha avuto un morso di topo all’orecchio mentre dormiva. Ha una medicazione che si toglie da solo nonostante cerchiamo di farlo noi: a causa della rimozione troppo violenta, l’orecchio comincia a sanguinare. È gonfio e c’è del pus. Ha altre lesioni con pus sul corpo. Gli chiediamo di poter fotografare lui e il ragazzo con le lesioni da scabbia più evidenti.
Parla bene italiano poiché è in Italia da 8 anni, ha vissuto a Milano, a Roma e a Napoli e ora va via perché dispera della possibilità di miglioramento delle sue condizioni di vita. Puliamo la ferita e lo medichiamo, gli lasciamo la terapia antibiotica ma facendoci promettere che l’indomani andrà al pronto soccorso. Gli spieghiamo che è una situazione molto a rischio per il numero di infezioni che ha e che non deve avere paura. Risponde “capisco, non ho paura”.
È già buio, sono presenti altri tre solidali, un altro medico e due compagn* che facilmente comunicano con le persone presenti, chiedendo loro di aspettare un attimo. Ci fanno luce mentre parliamo con ognuno e mentre medichiamo; è per noi un grande aiuto poiché diventa sempre più difficile affrontare un tale carico e lavorare in condizioni assurde, per di più in due.
Proseguiamo al buio, tra i fuochi accesi da qualcuno sotto il ponte e i cumuli di coperte, fino al piazzale antistante l’entrata del cimitero. Dopo le forti piogge della scorsa settimana si sono aggiunte anche alcune coperture fatte di teli impermeabili. Mentre visitiamo altre persone, tutte con bronchiti, dolori, ferite, vediamo una ragazza in lontananza e le due donne tra noi vanno a parlare con lei. Dice di non parlare inglese, ma in realtà le parole, dopo averci pensato per alcuni secondi, le vengono sempre. Dice sorridendo: “Sister, help me, take me to Germany”. Sorridiamo tutte amaramente sapendo che è abbastanza improbabile. Riusciamo a capire che è Eritrea, ha 16 anni e sta viaggiando con suo fratello di 20 anni, dorme lì sotto, all’aperto, con lui. Non possiamo fare nulla per loro, ma comunque ci ringraziano.
Raggiungiamo il piazzale dove le e i ragazz* di Kesha Niya distribuiscono la cena. Ci mettiamo dall’altro lato del piazzale per essere abbastanza lontani dal controllo della polizia e visitare le persone più tranquillamente quando avessero finito di mangiare.
Visitiamo diverse persone, due ci riconoscono e vengono solo a salutarci. Uno di loro lo abbiamo già visitato un mese fa, poi è stato deportato a Taranto.
Le e i nostri compagn* parlano con le persone facendosi anche iniziare a spiegare i loro problemi, ci aiutano a localizzare i farmaci grazie alla luce e ci dicono, nella calca, chi sarà il prossimo. Avere un terzo medico inoltre è per noi un’altra conquista importante.
Andiamo poi a riposare da amic* solidali. Non siamo affatto tranquilli. Ci sono tre gradi a Ventimiglia la sera e non immaginiamo nemmeno come sia possibile stare lì fuori la notte, in un mucchio di coperte e vicino al fiume.
Pensiamo a lungo all’idea di pubblicare o meno le fotografie delle persone medicate o curate. Abbiamo spiegato loro che ci servono perché si sappia cosa succede alle persone che passano sul nostro territorio. Abbiamo ottenuto i loro permessi, purché non siano riconoscibili. Tuttavia, sappiamo ormai come talvolta immagini particolarmente forti possano essere strumentalizzate dalla stampa e utilizzate come scusa per promuovere azioni repressive o sgomberi. Sono ormai due anni che questi fatti si verificano, che tentiamo di raccontarlo, scrivendo report che vengono pubblicati da ulteriori solidali, inviandolo a gruppi che si dovrebbero occupare di migrazione, ad associazioni, eccetera.
Gli sgomberi sono stati molti, invocati per motivi sanitari e hanno portato unicamente a un aggravamento delle condizioni di vita, già molto precarie, di donne, uomini e bambin* che qui sono passati e qui sono stati costretti a fermarsi.
È del 21 novembre l’ultima ordinanza in cui si stabilisce l’ammontare da corrispondere alla solita ditta per le “pulizie straordinarie” del fiume.
A seguito di questi pensieri, sentiamo le persone che ci sono più vicine nel lavoro di informazione che ci siamo trovati a fare in questi anni. Siamo tutt* dell’idea di descrivere chiaramente ciò a cui le persone sono sottoposte, perché bloccate in questo territorio e in queste condizioni, ma al contempo di spiegare quanto ciò sia fatto con la consapevolezza delle nostre idee, della nostra posizione e che le eventuali conseguenze non saranno chiaramente determinate da un nostro scritto, ma dalle cieche politiche che si ripetono sempre uguali e che dovremmo esigere tutti a gran voce vengano interrotte.
Il giorno dopo rifacciamo lo stesso giro, vediamo problemi simili al giorno precedente, presto finiamo i farmaci più utili. Incontrando le stesse persone visitate la sera prima, ripetiamo le stesse raccomandazioni.
Continuiamo poi lungo il corso del fiume per capire se ci sono persone anche più isolate, ma la piena ha modificato il territorio e tutti gli insediamenti che erano qui sono vuoti o semplicemente sono ormai invasi dal corso delle acque.
La Francia accelera le politiche di espulsione dei “Dublinati”. In concomitanza dell’accrescersi delle mobilitazioni dei residenti nei PRAHDA (vedi: Levarsi i sassi dalle scarpe per marciare contro il Regolamento di Dublino, da Parole sul Confine), le prefetture passano sopra alle sentenze e mettono in atto delle espulsioni forzate violente e illegali. Una testimonianza di quel che è successo qualche giorno fa nella regione marsigliese: traduzione della redazione di una nota del collettivo El Manba. Contestualmente, diffondiamo l’appello dei richiedenti asilo in procedura Dublino di Marsiglia che, in un’azione coordinata con altre città francesi (Montpellier, Toulon, Pau e altre), invitano a manifestare davanti alle prefetture, lunedì 18 alle 12,30. Un’azione che segue di una settimana l’accampamento di due giorni davanti alla prefettura di Marsiglia.
Nuove espulsioni arbitrarie dai PRAHDA di Marsiglia : quando la PAF e la Prefettura si fanno giustizia da sole.
Martedi’ 12 dicembre, alle 9 del mattino, Mohamed è il primo ad essere arrestato durante l’ appuntamento settimanale al commissariato di Vitrolles. Ibrahim lo segue poco dopo, verso le 10,30. Alle 11, veniamo a sapere di altri tre arresti, particolarmente violenti, al PRAHDA di Gémenos.
Dal commissariato, gli arrestati sono stati condotti, in manette, fino alle loro camere al PRADHA per recuperare i loro effetti personali. Per i loro compagni, tutto cio’ suona come un avvertimento. Sono impietriti dalla violenza degli arresti: “si direbbe che siamo dei criminali!?”. C’è paura.
A mezzogiorno arriva la conferma: tutti e cinque sono detenuti al Centro di detenzione (CRA) di Nîmes, con un volo di espulsione annunciato per il giorno seguente, a destinazione Venezia. L’orario non è ancora deciso, o non lo si vuole specificare. Neanche i compagni detenuti ne sono al corrente.
Ancora arresti, illegali sotto vari punti di vista, per assicurarsi della riuscita delle espulsioni. Gli amici marsigliesi e gli avvocati si mobilitano e viene depositata una richiesta d’urgenza. Riescono ad ottenere un’udienza eccezionale per il giorno seguente, alle 9 del mattino, davanti al Giudice delle libertà e della detenzione (JLD). Sappiamo che non si riuscirà a sospendere l’espulsione, è una corsa contro il tempo, prima che siano scortati all’aereo.
La sera, chiamiamo gli amici che sono in cella al CRA, qualche consiglio, incoraggiamenti, informazioni su quel che puo’ succedere, siate forti, faremo tutto il possibile per farvi uscire. Con il JDL non c’è niente di garantito, conosciamo bene il ritornello (gli sbirri faranno il possibile per eludere l’udienza). Ma c’è ancora una possibilità, una minima possibilità. Ma perchè sono qui, ho già detto che non voglio andarci, in Italia…
Mercoledì 13 dicembre, alle 9, la polizia gioca il suo colpo basso e i cinque ragazzi vengono condotti di forza all’aeroporto di Nîmes Garons, qualche minuto prima dell’inizio dell’udienza! Passano varie ore nei locali della PAF (Police aux Frontières), all’aeroporto. Al diavolo l’udienza! L’erba tagliata sotto ai piedi!
10,00: Nuovo colpo di scena, la giudice ha mantenuto l’udienza, nonostante l’assenza dei cinque detenuti. Dei solidali arrivano all’appuntamento, dalle Cévennes, da Nîmes, Montpellier e Avignone. E, è quasi certo, si tratterà di verdetti di liberazione. Non resta che attenderli. E’ solo … una questione di tempo. Si gioca sul filo del rasoio, tratteniamo il respiro.
Ibrahim ci parla al telefono dai locali della PAF. I telefoni dei compagni si spengono uno dopo l’altro, con le batterie scariche. Anche le loro voci, sempre più lontane, tremano nell’eco dell’aeroporto. Cerchiamo di restare in contatto, nonostante i minuti che passano e ci allontanano.
11,00: L’attesa dei verdetti, che ancora non sono passati in cancelleria, si fa insostenibile. Cosa sta facendo la giudice? Finalmente la giudice chiama la PAF, due volte, per comunicare la sua decisione ed esigere l’interruzione dell’espulsione. Ma gli sbirri le fanno una risata in faccia. La Prefettura, che era presente all’udienza, non da alcun contrordine: guadagna tempo, sfregandosi le mani.
11,50 : Una prima decisione è trasmessa! Ma il volo parte a breve. Bisogna facsare la decisione alla PAF centrale il più rapidamente possibile. E gli altri? Sbrigati, merda!
12, 15: Una persona viene liberata in pista. Non possiamo crederci, non sappiamo di chi si tratti, forse non vogliamo neanche saperlo. E gli altri, dai! Non è possibile liberarli tutti e cinque!?
12,40: Ci siamo, abbiamo gli altri quattro verdetti, yallah! I solidali corrono all’aeroporto per consegnare i vedetti agli accompagnatori di mano propria, mentre i fax sono già stati inviati alla Prefettura.
Ma sul posto non ci sono aerei, non ci sono i compagni, non c’è la PAF … all’accoglienza dell’aeroporto: non possiamo dirvi niente, chiamate la sede centrale della PAF. Si, l’aereo è decollato. Alle 12,20.
Cani!
In serata, i telefoni di Ibrahim e Kabir suonano ancora a vuoto: “Welcome to Lyca Mobile…” … la voce gelida di una segreteria e il vuoto nel cuore. Da ripetersi, per tutta la notte: forza, resistiamo … on lâche rien.
E la rabbia, la più cieca, che parla: quando gli sbirri si fanno beffa di una decisione di giustizia … come si dice? Spesso si ha paura delle parole. Di un ribaltamento?
STOP DUBLINO! STOP ALLE ESPULSIONI!
Per domani, lunedì 18 dicembre, sono state organizzate manifestazioni davanti alle prefetture di varie città di Francia. Diffondiamo l’appello dei “Dublinati” marsigliesi e forniamo qualche link per aggiornarsi sul percorso di lotta che stanno intraprendendo.
“Bufera sul diritto d’asilo e gli/le esiliati/e! Presidio davanti a tutte le prefetture per urlare la nostra rabbia con i richiedenti asilo in lotta, prigionieri del regolamento Dublino, perseguitate/i, chiuse/i nei campi, imprigionate/i, ammanettati/e e adesso espulse/i dai Prahda e dai centri di detenzione. Costruiremo un muro davanti alla prefettura, come lo faranno, lo stesso giorno, i richiedenti asilo di Montpellier, Toulon, Pau etc, tutti uniti nella stessa battaglia. SIATE PRESENTI! IMPEDIAMO LE ESPULSIONI! PER UN’ACCOGLIENZA INCONDIZIONATA!”
Per informazioni rispetto al percorso di lotta intrapreso dai richiedenti asilo in procedura Dublino di Marsiglia, rinviamo alla pagina Facebook del collettivo El Manba (Collectif Soutien Migrants 13). Tra domenica e lunedì scorsi, un accampamento ha occupato la piazza antistante la prefettura di Marsiglia, per chiedere al prefetto di applicare la clausola discrezionale che permette di annullare la procedura. Qui il link al loro comunicato:
Tra la Val di Susa e la Valle della Clarée da circa un anno si è aperta un’altra rotta migratoria.
Negli ultimi mesi, il numero delle persone migranti che tentano il passaggio di confine attraversando il Colle della Scala è andato aumentando a causa dell’inasprirsi dei controlli e della violenza nella zona di frontiera di Ventimiglia, una rotta resa sempre più pericolosa e difficile da percorrere.
Pubblichiamo una serie di articoli (tradotti dal francese all’italiano dalla nostra redazione), che aiutano a comprendere la situazione migratoria in questa più recente zona di confine, nonché il comunicato di presentazione di una realtà solidale – Briser les Frontières – nata recentemente in Val di Susa.
Il primo articolo di cui proponiamo la traduzione è uscito il 24/11/2017 su La Depeche.fr, nella sezione Attualità sulla salute pubblica.
Gli articoli che seguono raccontano del replicarsi, anche lungo il confine delle Hautes-Alpes, della stessa politica fatta di violenza, respingimenti e militarizzazione, messa in atto ormai da quasi tre anni alla frontiera di Ventimiglia. Di fronte all’aprirsi dell’ennesima rotta migratoria – che dimostra come le politiche repressive non solo siano inumane ma anche sostanzialmente inutili – il Governo francese, in palese difficoltà, arriva a negare la libertà di stampa.
Concludiamo con la presentazione di Briser les Frontières e con l’invito alla loro prima iniziativa, domani 15/12, a San Didero, Val Susa.
La frontiera, la montagna e la caccia al migrante: l’appello delle guide alpine.
Dopo aver attraversato il Mediterraneo, un numero crescente di migranti originari dell’Africa dell’ovest cerca di oltrepassare le Alpi per raggiungere la Francia. Mettendo in pericolo la loro vita. Senza equipaggiamento e nel timore delle forze dell’ordine appostate in montagna, presto si confronteranno con la rigidità dell’inverno ad alta quota. Numerose associazioni di ‘montanari’ fanno appello alle autorità perchè salvino questi richiedenti asilo. Facciamo il punto con Yannick Vallençant, presidente del sindacato professionale della montagna e vice-presidente fondatore di Guide senza frontiere.
Durante lo scorso agosto, due migranti sono precipitati al col de l’Echelle (Hautes Alpes), nel tentativo di evitare la polizia, che perlustra la montagna lungo le rotte di migrazione dei rifugiati africani. Altri migranti hanno subito amputazioni alle dita di mani e piedi a causa dei congelamenti. La mancanza di equipaggiamento, la persecuzione poliziesca, le condizioni meteorologiche particolarmente dure in montagna mettono in pericolo la salute e la vita di questi richiedenti asilo.
Alla vigilia dell’entrata nel periodo invernale e di fronte a questa inquietante situazione di carattere umanitario, un gruppo di professionisti della montagna ha deciso di scrivere al presidente della Repubblica, Emmanuel Macron. Nella lettera, denunciano “ la situazione drammatica vissuta dai gruppi di migranti durante il passaggio delle frontiere alpine nel settore del Mercantour, di Brainçon e di Modane”. Il freddo, l’altitudine … “alle difficoltà e ai rischi propri alla montagna si aggiungono la paura di incrociare le forze di polizia e la volontà di sfuggirgli in ogni modo”, continuano i firmatari.
Congelamenti, ipotermie, incidenti, la montagna è pericolosa tutto l’anno: “ anche quando si è dotati di 4 strati di abbigliamento, di calzature tecniche, e si è allenati, resta pericolosa. E in inverno tutto si complica”, sottolinea Yannick Vallençant. Oltre al mal di montagna, che puo’ colpire alcune persone, il freddo aumenta a quelle altitudini. Il col de l’Echelle si trova a 1.700 m d’altitudine. In montagna, “si cala facilmente di 1° C ogni 100 m”, precisa.
“Ultimamante abbiamo registrato attorno ai -7°C, ma si puo’ tranquillamente scendere a -15°C e a volte -20° C durante l’inverno”. Il rischio di congelamenti, che puo’ condurre all’amputazione degli arti coinvolti, è reale. Per non parlare dell’ipotermia che puo’ provocare la morte. I migranti, assolutamente non equipaggiati (alcuni attraversano il passo in espadrillas) soffrono di un affaticamento ulteriore, dovuto allo stato di salute già deteriorato durante il loro percorso e a causa delle condizioni nelle quali lo hanno affrontato. Inoltre, la maggior parte di loro viene da paesi caldi …
Lo spirito di cordata
Animati dallo ‘spirito di cordata’, sinonimo di missioni di sicurezza, di soccorso e solidarietà, i firmatari della lettera giudicano “impensabile lasciare i migranti al loro destino”. E’ “il senso piu’ profondo del nostro mestiere di guide quello di assicurare la sicurezza di tutti in montagna, senza discriminazioni”. “Ci auguriamo che i responsabili politici prendano coscienza della realtà”, prosegue. A questo scopo, “proponiamo loro di venire personalmente, per rendersi conto sul posto dei rischi concreti”.
Il 17 dicembre prossimo, un camper di soccorso sarà installato nella valle della Clarée. Aperto a tutte e tutti, “permetterà di avere una visione chiara delle realtà di uno di questi percorsi ad alto rischio”.
Liberté Fraternité Egalité: ulteriori passaggi verso il nuovo fascismo di Stato, anche in Francia.
“Presso il Colle della Scala, alcuni giovani migranti piegati dal freddo e respinti dalla Francia. La valle della Clarée, situata nel dipartimento delle Hautes-Alpes, è teatro della crisi migratoria. I migranti che attraversano il Colle della Scala sono in maggioranza minorenni – una condizione che, secondo le associazioni, non è presa in considerazione dalle autorità.” – questa la traduzione italiana del titolo del suddetto articolo.
Immagine ripresa da: https://www.letemps.ch/monde/2017/11/17/col-lechelle-jeunes-migrants-pieges-froid-renvoyes-france?utm_source=amp
L’articolo racconta in presa diretta il tentativo di attraversamento del confine da parte di giovanissimi migranti, quasi tutti minorenni, con il sostegno di un solidale francese incontrato lungo la strada:
“Le prime nevi erano cadute all’inizio della settimana. Sabato sera scorso, sulla strada del Colle della Scala, a 1762 metri di altitudine, non lontano dalla frontiere franco-italiana, Alain è inquieto. Fa freddo e il vento soffia attraverso i larici. La luna non è ancora spuntata ma malgrado l’oscurità, lui riesce a vedere.
Sono le 23 e lui non è solo. Grandi fari accesi, numerosi veicoli della gendarmerie risalgono la sua stessa strada. Alain, guida di montagna in pensione, sa che queste cime, per quanto belle siano, nascondono delle trappole. Ma loro lo ignorano.
Un rumore. Il Briançonese accende la sua torcia. Dietro un tronco, un sacco rosso, poi un viso. La figura non si muove. “Non abbiate paura”, apostrofa Alain. Loro si erano seduti con la schiena alla strada, dietro un tronco. Uno dopo l’altro escono dall’oscurità. Sono quattro. Tacciono. Uno di loro porta un piumino, gli altri si accontentano di una giacca che hanno abbottonato fino al collo. Ai loro piedi degli zainetti. “Avete freddo?” “Sì”. “Sete? Fame?” “Sì”. “Quanti anni avete?” Il ragazzo col piumino risponde: “16 anni, signore. Sono nato il 10 ottobre 2001”. I suoi tra compagni dicono lo stesso. Affermano tutti di avere meno di 18 anni e accettano il tè caldo e delle galettes al cioccolato che gli offre il pensionato.”
L’articolo continua descrivendo come, da circa un anno, la Valle della Clarée sia interessata da questo fenomeno che aumenta di mese in mese. Nel 2017, secondo le stime ufficiali, circa 1600 migranti sono riusciti ad attraversare il confine passando per questa zona e di questi 900 erano minorenni. All’aprirsi della nuova rotta migratoria è seguita la militarizzazione del confine, con l’aumento dei controlli, dei posti di blocco e ovviamente degli arresti, delle multe e delle denunce per tutti coloro che hanno cominciato a offrire solidarietà concreta alle persone in viaggio. Nonostante questo, una parte non esigua di abitanti delle valli ha deciso di non abbassare la testa e di non girare lo sguardo di fronte a quanto accade lungo i sentieri delle proprie montagne.
“L’ultima tappa di una lunga peripezia”
“Fa molto fresco qui”, sottolinea a suo modo uno dei quattro giovani migranti. Si chiama Lansana e viene dalla Guinea- Conakry. Prima di arrivare su questa strada che serve da pista di sci di fondo in inverno, ha attraversato un continente, un mare e una penisola. Le carceri libiche, le torture, così come il Mediterraneo e le imbarcazioni a motore precarie, sono alcune delle prove che lui ha affrontato.
I suoi tre compagni, ugualmente. Se desiderano arrivare in Francia è per scappare alla strada in Italia. In Francia abbiamo delle conoscenze e parliamo il francese, spiegano mentre sorvegliano la strada. In qualsiasi momento una volante della gendarmerie li può intercettare. “Sistematicamente vengono rinviati in Italia” spiega Alain.
L’uomo è cosciente di trovarsi in una situazione delicata poiché la sfumatura tra lo statuto di trafficante e di solidale è poco chiara per dei semplici cittadini. Questa incertezza giuridica ricade sulle azioni intraprese dagli abitanti della regione.
(…)
Già nel 2015 avevano avuto un assaggio del contesto migratorio. A causa dello smantellamento del campo di Calais, il Comune di Briançon si era proposto volontario per accogliere una parte dei migranti provenienti dal Nord della Francia. Ma molto velocemente, la città del dipartimento delle Hautes-Alpes si era sentita invasa. Ad oggi il CRS (Cordinamento rifugio solidale) , uno spazio messo a disposizione dalla comunità cittadina, oltre a Chez Marcel, una casa occupata da un collettivo, fanno parte di quei luoghi che offrono rifugio ai migranti.
“ Al momento dei controlli, il rifiuto di ingresso è sistematico. Non se ne considera né l’età, né la domanda d’asilo. E’ totalmente illegale e criminale”, denuncia Michel Rousseau, tesoriere dell’associazione Tous Migrants. Nel 2015, la foto del piccolo Aylan trovato morto annegato su una spiaggia turca aveva creato un movimento di indignazione a Briançon. “Noi non ci riconosciamo nella politica europea in materia di immigrazione. Che il Mediterraneo si trasformi in un cimitero ci è insopportabile”, dichiara ancora. “Noi non vogliamo che le nostre montagne divengano un secondo Mediterraneo. La reazione del prefetto che vuole respingere queste persone ci lascia scioccati. Noi abbiamo deciso di organizzare quello che lo Stato non fa: l’accoglienza.”
“Questa situazione è insostenibile”
“Ritorniamo sul Colle della Scala. Alain ha chiamato un amico in aiuto. Tutti e due vogliono portare i quattro minori al centro di accoglienza di Briançon. Prendono la situazione in mano e scendono lungo la valle. Non c’è tempo per l’esitazione. Cosa rischiano? Al volante, l’amico si sfoga: “Non ci importano i nostri rischi, questa situazione è insostenibile. Noi viviamo in un equilibrio instabile. Se noi non gli offriamo un aiuto, questi ragazzi restano in mezzo alla strada”.
All’entrata del paese di Val-des- Prés, la strada si insinua tra le abitazioni. La gendarmerie blocca la strada. “Documenti di identità”, esclama il rappresentante delle forze dell’ordine. L’operazione è interrotta. I giovani migranti devono salire sulla macchina della polizia. Quanto ad Alain e al suo compagno, ritornano a casa loro con una convocazione, per il giorno dopo, in commissariato. Prima di separarsi, i due francesi domandano i nomi ai quattro ragazzi incontrati sul Colle. Si chiamano: Rosé, Thierno, Mamadou e Lansana.
Sulla montagna, lungo la strada che passa tra il Colle della Scala e la stazione sciistica di Bardonecchia, un cippo di pietra marca la frontiera. E’ qui che la polizia francese li ha lasciati dopo l’interrogatorio, a l’una del mattino di domenica, indicando l’Italia e invitandoli a tornarci.”
L’articolo che abbiamo parzialmente tradotto e commentato è stato il frutto di un reportage che ha determinato il fermo e la denuncia da parte della polizia francese dei due giornalisti che lo stavano realizzando. Una pagina buia di negazione della libertà di stampa che segnala, se ce ne fosse ulteriore bisogno, come lo stato di diritto, considerato la base delle società democratiche occidentali, sia da tempo soggetto a un radicale smantellamento in direzione di una pratica di esercizio del potere palesemente improntata alla discriminazione e alla violenza.
“Due giornalisti fermati dalla polizia francese durante la realizzazione di un reportage sui migranti In seguito al fermo di due giornalisti che stavano realizzando un reportage sui migranti che, dall’Italia, entrano clandestinamente in Francia, Reporters sans frontières (RSF) ricorda che la pratica del giornalismo non è un crimine e che la protezione delle fonti è un diritto.
La giornalista svizzera Caroline Christinaz, che lavora per Le Temps, e il giornalista francese Raphaël Krafft, in missione per il Magazine della redazione di France Culture, sono stati fermati, nella notte tra sabato e domenica, mentre realizzavano un reportage sui migranti che entrano clandestinamente in Francia, attraverso il passo dell’Echelle, nelle Hautes-Alpes, in provenienza dall’Italia. Sono stati fermati ad un posto di blocco, mentre erano a bordo di automobili guidate da alcuni abitanti della zona di Briançon, che avevano soccorso quatro migranti minori non accompagnati. I due giornalisti sono stati convocati, il giorno seguente, alla gendarmerie di Briançon.
Nel corso dell’ interrogatorio, Caroline Christinaz ha scoperto di essere convolta in una denuncia per “aiuto all’entrata, alla circolazione o al soggiorno irregolare di stranieri sul territorio francese”. Fatti che possono generare pene pecuniarie pesanti e detenzioni fino a cinque anni di prigione. La giornalista svizzera ha presentato il proprio tesserino da giornalista, ha spiegato che stava realizzando un reportage. «Per due ore, la maggior parte delle domande che mi sono state rivolte miravano all’ottenimento di informazioni sulle mie fonti e sulle persone con le quali mi trovavo », spiega Caroline Christinaz, che specifica di non aver smesso di ripetere ai gendarmi che, in quanto giornalista, desiderava far valere il proprio diritto a proteggere le fonti. I gendarmi hanno inoltre reclamato l’acquisizione del suo telefono portatile e dei codici d’accesso relativi. La giornalista ha dichiarato di essere stata interrogata a proposito della propria vita privata, per poter valutare le sue capacità finanziarie e stabilire l’ammontare della multa, prima di essere fotografata e obbligata a depositare le proprie impronte.
« Realizzare un reportage sui migranti o su coloro che vanno in loro soccorso non puo’ essere considerato un crimine», ricorda Catherine Monnet, redattrice capo di RSF. «Trattare un giornalista come un sospetto, quando non fa che esercitare la propria professione è un ostacolo al libero esercizio del giornalismo. Reporters sans frontières ricorda inoltre che un giornalista non puo’ essere costretto a rivelare l’identità delle proprie fonti, stando al fatto che la protezione delle fonti giornalistiche è un diritto previsto dalla legge del 1881 » .
Convocato qualche ora piu’ tardi, nel pomerigio, Raphaël Krafft è stato ascoltato in qualità di testimone. Per il momento i due giornalisti non hanno alcuna idea delle possibili conseguenze della faccenda.
La Francia risulta al 39° posto nel Classement de la liberté de la presse (classifica della libertà di stampa) stabilito da Reporters sans frontières (RSF).”
Briser les Frontières – iniziativa
Pubblichiamo infine il comunicato di presentazione del gruppo solidale nato in Val di Susa, Briser les Frontières, che domani sera terrà la sua prima iniziativa di presentazione.
Nell’ ambito dell’ ultimo anno la frontiera di Ventimiglia è stata completamente militarizzata, costringendo di fatto i migranti a cercare più a nord dei valichi per la Francia. Storicamente la Valsusa è stata sempre territorio di passaggio per chi aveva necessità di oltrepassare le Alpi, la scorsa estate però i numeri di coloro che hanno tentato la traversata sono di gran lunga aumentati rispetto agli anni precedenti.
Negli ultimi mesi, la stazione dei treni di Bardonecchia, ha visto tra i 15 e i 50 passaggi giornalieri.
La voce di una possibilità è corsa di bocca in bocca ed oggi, nonostante il gelo che è sceso sul Colle della Scala e sul Monginevro, ci sono all’ incirca una decina di persone che scarsamente equipaggiate tentano la traversata ogni giorno, molte delle quali non hanno mai visto la neve.
Il comune di Bardonecchia, estremamente preoccupato di fare una brutta figura con chi ha la fortuna di essere chiamato turista, ha deciso di chiudere la stazione dei treni alle 21 buttando letteralmente in mezzo alla strada coloro che cercano un riparo per la notte.
Si getta la polvere sotto al tappeto, aspettando la tragedia nell’ indifferenza.
Ancora è ben chiaro in noi, il ricordo di Mamadou, il ragazzo di 27 anni trovato in stato di ipotermia sul Colle della Scala l’ inverno passato, cui hanno dovuto amputare entrambe i piedi e quest’ anno i passaggi sono aumentati di molto.
Tra la Valsusa ed il Brianzonese è nata una rete di persone che hanno scelto la solidarietà all’ indifferenza, una rete che abbiamo deciso di chiamare Briser les Frontières.
Abbattere le frontiere, un obiettivo comune per chi lotta contro coloro che devastano la natura per movimentare merce e turisti su treni ad alta velocità, chiudendo al contempo tutti gli spazi a coloro che non gli rendono il giusto profitto e preparando il terreno per quello che rischia di diventare l’ ennesimo cimitero a cielo aperto.
Segnaliamo volentieri il documento di denuncia della situazione e di appello alla cittadinanza solidale, inviatoci dal gruppo Solidali del Ponente e già pubblicato dalle testate locali di Sanremo News e Riviera24, sulle quali è possibile leggerne la versione integrale.
In un primo momento la testata online Sanremo News aveva erroneamente attribuito l’appello dei Solidali del Ponente alla redazione di Parole sul confine. Risolto tale fraintendimento, cogliamo l’occasione per specificare che il presente blog nasce come strumento di inchiesta e di informazione indipendente, e non appartiene ad alcuno specifico gruppo o movimento politico presente sul territorio frontaliero. Ciononostante, dare risalto a contributi come questo dei Solidali del Ponente è esattamente l’obiettivo editoriale di questo progetto, che ambisce a raccogliere e diffondere tutte le testimonianze, le notizie e le informazioni “di parte” che vengono taciute dai mass media e nascoste dalle istituzioni.
Di quale parte parliamo? Di quella ostacolata e delegittimata da un sistema di potere che impedisce di trovare spazio e prendere la parola nel dibattito pubblico alle molteplici realtà, collettivi, gruppi ed individui che vogliano esprimere un punto di vista critico e di denuncia dell’attuale operato dei governi europei e, nel dettaglio, di quello italiano e delle istituzioni preposte alla gestione della frontiera franco-italiana.
Il comunicato dei Solidali del Ponente si conclude con un appello che chiede alla cittadinanza solidale di non rimanere indifferente spettatrice di fronte alle violenze e al dramma umano vissuto quotidianamente dalle persone migranti che arrivano a Ventimiglia:
A Ventimiglia il Centro CRI è praticamente full, sono ospitate circa 500 persone di cui alcune nelle tende. Altre , circa 250 cercano di sopravvivere tra accampamenti improvvisati sotto il ponte, ripari di fortuna, fuochi, anfratti vari; tra loro molti minori e famiglie con bimbi e tutti, chi più, chi meno con problemi sanitari determinati dalle durissime condizioni di vita all’addiaccio e da malnutrizione.
Le condizioni meteorologiche stanno precipitando in queste ore, sono previste gelate anche sulla costa con minime attorno allo 0°.
Non è una situazione di emergenza questa? Non dovrebbe attivarsi l’Amministrazione, la Protezione Civile , la Prefettura, la Diocesi stessa per far fronte a questa Emergenza Umanitaria.
Non si venga a proporre , come da qualcuno già suggerito, uno sgombero umanitario…. Li abbiamo già visti, gli sgomberi, aggiungono solamente nuova violenza su soggetti già provati da innumerevoli sofferenze.
Riapriamo Gianchette, riapriamo almeno temporaneamente spazi protetti alla stazione, facciamo qualcosa prima che succeda l’ennesimo, irreparabile “Omicidio di Frontiera” perché come ci insegna Ioculano “Non sono i centri d’accoglienza che attirano le persone, ma le frontiere.”
Non si tratta di una presa di posizione ideologica o utopica, bensì, come si evince leggendo l’articolo, è il frutto di un’analisi precisa delle dinamiche politiche messe in atto dalle Istituzioni negli ultimi mesi. Come correttamente ricostruito, a metà agosto l’amministrazione cittadina ventimigliese, supportata dalla Prefettura di Imperia, faceva chiudere il centro di accoglienza volontario e non istituzionale della Chiesa delle Gianchette, sulla base dell’allargamento del Campo della Croce Rossa sito nel Parco Roya. [1]
L’effetto di queste operazioni è stato quello di far aumentare il numero delle persone accampate sulle sponde del fiume Roya, sotto al cavalcavia di Via Tenda. Inoltre, nonostante la riduzione dei flussi migratori dall’Africa, dovuta agli accordi del governo Italiano con il “governo” libico di Serraj e alla conseguenze istituzione di campi di detenzione per migranti in Libia, durante l’autunno il numero dei migranti presenti a Ventimiglia è costantemente aumentato. Come riportato nell’articolo, è stata la stessa Prefettura di Imperia a svelare l’arcano: a Ventimiglia arrivano persone che hanno fatto richiesta d’asilo in Italia e che fuggono dal circuito dell’accoglienza italiana, quando non ne vengono comunque dimesse o rifiutate (ma soprattutto, aggiungiamo noi sulla base di molte testimonianze raccolte nell’ultimo periodo, a causa della progressiva trasformazione del sistema d’accoglienza in un allarmante sistema di sfruttamento e segregazione).
Di fronte al complicarsi della situazione e all’aumento dei respingimenti dalla Francia, l’amministrazione comunale di Ventimiglia, in palese difficoltà, ha cominciato a parlare di una chiusura dello stesso campo della Croce Rossa che solo pochi mesi fa era stato presentato come fiore all’occhiello della politica comunale ed addirittura come auspicato esempio per le altre regioni frontaliere che vivono una simile pressione migratoria, dovuta alla chiusura dei confini da parte dei paesi del nord Europa.
Così sintetizzano la situazione i Solidali del Ponente nel loro comunicato:
E allora è interessante chiederci dove si vuole andare, quale sia la strategia e l’obiettivo delle esternazioni e dell’agire dell’Amministrazione Comunale di Ventimiglia, ma più in generale delle Istituzioni, in particolare della Prefettura di Imperia. Piacerebbe sapere insomma che cosa dovrebbe succedere a quelle 700/750 persone migranti presenti a Ventimiglia se vogliamo andare ad “una progressiva chiusura del parco Roja”?….stiamo forse pensando ad una “soluzione finale”?
Questo è il quadro di insieme della situazione Ventimigliese caratterizzato da incongruenze e schizofrenie che vengono probabilmente dilatate oltremisura dalla complessità del fenomeno ma soprattutto da opportunismi politici e da “opportunità” di sviluppo commerciale: la “Zona Franca Urbana” e la sua pioggia di milioni, la sdemanializzazione dell’area FS, la ricerca del consenso in funzione elettorale….
Ecco, quindi, che appare chiaro come la situazione attuale che vede la barbarie diventare legge non sia il frutto di casi fortuiti o di fenomeni andati fuori controllo, bensì il prodotto delle politiche attuate consapevolmente dalle istituzioni in questi mesi.
Di conseguenza, a partire dalla lettura degli eventi e dalla consapevolezza delle cause, appare sempre più urgente un ritorno di presa di parola e di iniziativa da parte di tutte le persone (e si auspica possano essere sempre di più) che negli ultimi due anni hanno dimostrato che è possibile contrastare l’ingiustizia e il dilagare di politiche disumane.
Partiamo a ora di pranzo. Non c’è molto tempo questa volta ma abbiamo appena ricevuto una donazione di farmaci.
Soprattutto vogliamo andare a verificare se, con l’arrivo delle temperature invernali, ci sono persone abbandonate al gelo e quante sono
Purtroppo, la realtà supera ampiamente le nostre previsioni. Giunti in prossimità della ferrovia in via Tenda, osserviamo dall’alto un gran numero di persone in piccoli gruppi, alcuni vicini ad un fuoco, altri che entrano negli anfratti del ponte. Accanto a noi passa un ragazzo in maglietta e pantaloni corti. Sono le 16.30, il sole sta per tramontare e la temperatura si sta abbassando rapidamente.
Ci avviciniamo al primo gruppo di persone a livello della chiesa di Sant’ Antonio ormai silenziosa e spenta. Chiediamo se hanno bisogno di aiuto e informiamo che siamo medici: sono un gruppo di persone sudanesi, presentano malattie evidenti dell’apparato respiratorio, scabbia e traumi da percorsi accidentati in montagna.
Visitiamo circa una trentina di persone, in prevalenza assoluta, come già detto, affette da problemi respiratori, che nelle condizioni attuali non possono che complicarsi nonostante.
Il problema è evidente, a chi abbia occhi e cuore, circa 300 persone sono abbandonate all’addiaccio con temperature che al momento della nostra partenza sono di circa 5 gradi e nella notte saranno ulteriormente più rigide.
Le persone, in prevalenza sudanesi, eritrei spesso minorenni, ma con la presenza anche di pakistani e di persone provenienti dall’Africa Sub Sahariana, si aggirano con vestiti inadatti, avvolti in coperte e intorno a bracieri di fortuna.Incontriamo, anch’essa sdraiata ed avvolta da coperte una ragazza eritrea al quinto mese di gravidanza che si rifiuta assolutamente di recarsi nel campo della Croce Rossa. La ragazza Eritrea non parla inglese, persone che ha conosciuto a Ventimiglia ci dicono che ha 17 anni, ha finito i soldi ed è sola.
Peraltro, un ragazzo eritreo “ospite” del campo della Croce Rossa, con una ferita al piede, ci dice che, anche lì, nel campo Roia, dorme in una tenda e quindi ha ugualmente molto freddo.
Parliamo con molti minorenni. Un ragazzino di 15 anni eritreo e un altro di 17. Gli diciamo di cercare di parlare con l’avvocatessa spesso presente presso l’infopoint Eufemia. Per il più piccolo, cerchiamo di capire se abbia qualche parente che vuole raggiungere in Europa, ma ci risponde che non ha nessuno: no family. Vuole andare in Inghilterra.Un altro ragazzo eritreo ci chiede se parliamo inglese. Non vuole assistenza sanitaria. Vuole dirci soltanto che quel posto è terribile e che lui ha soltanto bisogno di andare a scuola, di lavorare, di mandare soldi alla sua famiglia, ha 22 anni.
Dopo aver chiesto a varie persone se hanno bisogno di noi e visitato dapprima un gruppo di pakistani e quindi un numeroso gruppo di persone sudanesi, aiutati nella traduzione da un ragazzo sudanese che parla inglese molto bene, ci accorgiamo della presenza di una famiglia con 2 bambini.La madre vestita con una giacca leggera, i bambini saltellanti ci salutano stringendoci le mani con le loro manine gelate. Vengono raggiunti da un volontario dell’organizzazione francese e si allontanano per andare a cercare nel loro furgone qualche vestito più pesante.
Incontriamo sulla via del ritorno un amico solidale sudanese. Ci conferma che da quando la chiesa di S Antonio ha chiuso, le donne e le famiglie ormai dormono lungo il fiume. Afferma di aver più volte tentato di indurre queste persone con bambini a trovare rifugio nel campo della Croce Rossa. Almeno per coloro già identificati tramite le impronte digitali nel luogo di sbarco. Il campo Roia, come più volte denunciato è inadeguato ed illegale nella gestione ed accoglienza soprattutto dei minori e delle donne, ma se non altro in questa situazione di urgenza può fornire almeno un luogo coperto. Comunque la diffidenza è troppa, il diniego è assoluto.
Ritornando in via Tenda troviamo aperta la saracinesca dell’infopoint Eufemia. Ci sono due giovani solidali spagnoli. Li informiamo che abbiamo indicato a diverse persone di recarsi domani da loro per il cambio di abiti e per il freddo intenso. Ci informano di avere un po’ di abiti, non molti.
Durante il viaggio di ritorno l’angoscia è grande.
Poco riusciamo a fare e ci chiediamo se sia possibile una presa di coscienza della società civile, almeno ora. In questa situazione di vera urgenza, le istituzioni latitano completamente, anzi la nuova ordinanza del sindaco che vieta la somministrazione del cibo ai migranti, emessa per la terza volta, cristallizza l’indecente espressione del potere.