La mattina del 16/12/17 raggiungiamo Ventimiglia con altr* tre compagn* portando, grazie al fiorino di una di loro, una certa quantità di vestiti, sacchi a pelo e scarpe, raccolti presso due centri sociali genovesi.

All’arrivo troviamo l’infopoint Eufemia già aperto e pieno di persone. Il piccolo magazzino è occupato perché alcune ragazze eritree stanno cercando di cambiarsi per indossare vestiti più pesanti. Fa molto freddo ed è umido.

Dopo aver sistemato le cose e rimosso dall’infopoint tutti i farmaci per evitare qualsiasi possibile problema per gli attivisti e i volontari che lo gestiscono, andiamo da Delia per mangiare qualcosa.

Parliamo con lei e sua nipote per sapere se qualcuno esprime idee rispetto alla privatizzazione dell’Ospedale di Bordighera. Pare che in città non se ne parli. Ipotizzano anche che la gente possa pensare che migliorerà la situazione se diventerà privato. Sua nipote no, lei dice dovrebbe restare pubblico, ma “la gente pensa solo a prendersela con i ragazzi”.

Come sempre ci sono numerose persone nei paraggi e ci viene chiesto anche di visitare uno dei ragazzi tra i più conosciuti. Si fa chiamare Italia1 perché sembra gli piaccia molto vedere la televisione. Ora Delia, però, a causa del costo ha deciso di non tenerla più nel suo locale.

Nel tentativo di attraversare la frontiera “Italia1” si è ferito al piede con un ferro sporgente dal terreno. Ha una medicazione ma le dita si stanno gonfiando e non gli è stato prescritto o consegnato un antibiotico. Glielo lasciamo noi.

Andiamo verso Mentone poiché c’è una manifestazione organizzata da gruppi francesi tra cui Roya Citoyenne, Nuveau Parti anticapitaliste (NPA), Solidarietà con i migranti 06, coordinamento 75 dei “sans papier”, in occasione della Giornata internazionale dei diritti dei migranti che cade il 18 dicembre.

La manifestazione parte dalla stazione. Si arriva a ponte san Ludovico – la frontiera bassa – che è chiuso da alte reti con dietro camionette blindate e molti poliziotti francesi in assetto antisommossa. Incontriamo alcun* imperiesi e altr* solidal* che ormai conosciamo da anni.

Durante il corteo, chi ha il megafono parla delle frontiere e dei morti che hanno causato, della fortezza Europa e del diritto negato di restare e di partire, della necessità di regolarizzazione per tutti. Un ragazzo che sembra algerino parla dell’invasione delle terre natali e del fatto di voler stare in Francia per riprendersi i diritti di cui è stato espropriato. Gli interventi vengono fatti in francese, arabo e pashtun.

Prima della fine della manifestazione ci allontaniamo per tornare a Ventimiglia a vedere com’è la situazione lungo il fiume. Vogliamo arrivare con un po’ di luce, temiamo infatti che col buio sarà molto più difficile.

A Ventimiglia, appena scesi sotto il ponte di via Tenda, incontriamo un gruppo di Afghani, isolati, in abiti leggeri e infradito. Ci si avvicinano in tanti e hanno tutti dei seri problemi di salute, evidentemente non trattati o non trattati adeguatamente. Un ragazzo ha lunghe e profonde ferite suturate che vanno dalla fronte al mento sul lato sinistro del volto. Ha molto dolore mentre lo medichiamo e poiché non gli è stata prescritta alcuna terapia antibiotica, gliela forniamo. I ragazzi che sono con lui hanno tutti delle forme di scabbia molto vecchie, dicono da mesi, alcuni con evidenti infezioni batteriche. Uno di loro ci dice in italiano che ha avuto un morso di topo all’orecchio mentre dormiva. Ha una medicazione che si toglie da solo nonostante cerchiamo di farlo noi: a causa della rimozione troppo violenta, l’orecchio comincia a sanguinare. È gonfio e c’è del pus. Ha altre lesioni con pus sul corpo. Gli chiediamo di poter fotografare lui e il ragazzo con le lesioni da scabbia più evidenti.

Parla bene italiano poiché è in Italia da 8 anni, ha vissuto a Milano, a Roma e a Napoli e ora va via perché dispera della possibilità di miglioramento delle sue condizioni di vita. Puliamo la ferita e lo medichiamo, gli lasciamo la terapia antibiotica ma facendoci promettere che l’indomani andrà al pronto soccorso. Gli spieghiamo che è una situazione molto a rischio per il numero di infezioni che ha e che non deve avere paura. Risponde “capisco, non ho paura”.

È già buio, sono presenti altri tre solidali, un altro medico e due compagn* che facilmente comunicano con le persone presenti, chiedendo loro di aspettare un attimo. Ci fanno luce mentre parliamo con ognuno e mentre medichiamo; è per noi un grande aiuto poiché diventa sempre più difficile affrontare un tale carico e lavorare in condizioni assurde, per di più in due.

Proseguiamo al buio, tra i fuochi accesi da qualcuno sotto il ponte e i cumuli di coperte, fino al piazzale antistante l’entrata del cimitero. Dopo le forti piogge della scorsa settimana si sono aggiunte anche alcune coperture fatte di teli impermeabili. Mentre visitiamo altre persone, tutte con bronchiti, dolori, ferite, vediamo una ragazza in lontananza e le due donne tra noi vanno a parlare con lei. Dice di non parlare inglese, ma in realtà le parole, dopo averci pensato per alcuni secondi, le vengono sempre. Dice sorridendo: “Sister, help me, take me to Germany”. Sorridiamo tutte amaramente sapendo che è abbastanza improbabile. Riusciamo a capire che è Eritrea, ha 16 anni e sta viaggiando con suo fratello di 20 anni, dorme lì sotto, all’aperto, con lui. Non possiamo fare nulla per loro, ma comunque ci ringraziano.

Raggiungiamo il piazzale dove le e i ragazz* di Kesha Niya distribuiscono la cena. Ci mettiamo dall’altro lato del piazzale per essere abbastanza lontani dal controllo della polizia e visitare le persone più tranquillamente quando avessero finito di mangiare.

Visitiamo diverse persone, due ci riconoscono e vengono solo a salutarci. Uno di loro lo abbiamo già visitato un mese fa, poi è stato deportato a Taranto.

Le e i nostri compagn* parlano con le persone facendosi anche iniziare a spiegare i loro problemi, ci aiutano a localizzare i farmaci grazie alla luce e ci dicono, nella calca, chi sarà il prossimo. Avere un terzo medico inoltre è per noi un’altra conquista importante.

Andiamo poi a riposare da amic* solidali. Non siamo affatto tranquilli. Ci sono tre gradi a Ventimiglia la sera e non immaginiamo nemmeno come sia possibile stare lì fuori la notte, in un mucchio di coperte e vicino al fiume.

Pensiamo a lungo all’idea di pubblicare o meno le fotografie delle persone medicate o curate. Abbiamo spiegato loro che ci servono perché si sappia cosa succede alle persone che passano sul nostro territorio. Abbiamo ottenuto i loro permessi, purché non siano riconoscibili. Tuttavia, sappiamo ormai come talvolta immagini particolarmente forti possano essere strumentalizzate dalla stampa e utilizzate come scusa per promuovere azioni repressive o sgomberi. Sono ormai due anni che questi fatti si verificano, che tentiamo di raccontarlo, scrivendo report che vengono pubblicati da ulteriori solidali, inviandolo a gruppi che si dovrebbero occupare di migrazione, ad associazioni, eccetera.
Gli sgomberi sono stati molti, invocati per motivi sanitari e hanno portato unicamente a un aggravamento delle condizioni di vita, già molto precarie, di donne, uomini e bambin* che qui sono passati e qui sono stati costretti a fermarsi.

È del 21 novembre l’ultima ordinanza in cui si stabilisce l’ammontare da corrispondere alla solita ditta per le “pulizie straordinarie” del fiume.

A seguito di questi pensieri, sentiamo le persone che ci sono più vicine nel lavoro di informazione che ci siamo trovati a fare in questi anni. Siamo tutt* dell’idea di descrivere chiaramente ciò a cui le persone sono sottoposte, perché bloccate in questo territorio e in queste condizioni, ma al contempo di spiegare quanto ciò sia fatto con la consapevolezza delle nostre idee, della nostra posizione e che le eventuali conseguenze non saranno chiaramente determinate da un nostro scritto, ma dalle cieche politiche che si ripetono sempre uguali e che dovremmo esigere tutti a gran voce vengano interrotte.

Il giorno dopo rifacciamo lo stesso giro, vediamo problemi simili al giorno precedente, presto finiamo i farmaci più utili. Incontrando le stesse persone visitate la sera prima, ripetiamo le stesse raccomandazioni.

Continuiamo poi lungo il corso del fiume per capire se ci sono persone anche più isolate, ma la piena ha modificato il territorio e tutti gli insediamenti che erano qui sono vuoti o semplicemente sono ormai invasi dal corso delle acque.

Amelia Chiara Trombetta
Antonio Gerardo Curotto