uomini di origine nigeriana, arte di origine europea

La settimana appena trascorsa a Ventimiglia si è aperta e si è chiusa con due eventi che sembrerebbero non collegati tra loro, ma che ci parlano invece della situazione sociale e politica nella cittadina di frontiera se osservati nell’interezza della cornice in cui si sono verificati.

  1. Lunedì 3 giugno viene trovato il cadavere di un giovane di origine nigeriana.

  2. Da giovedì 6 e fino al sabato si è discusso della notizia della probabile rimozione di un’installazione artistica che è ora collocata alla frontiera.

Due uomini di origine nigeriana…

– pregresso –

Il 29 maggio 2019, durante una rissa scoppiata in spiaggia tra alcune persone di origine non europea, un uomo finisce in mare nei pressi della foce del fiume Roya. In quel tratto di litorale, dove le onde incontrano le acque dolci del fiume, si generano mulinelli e forti correnti: restare a galla è un tentativo disperato. L’uomo è sparito tra i flutti e nonostante le ricerche durate due giorni non è stato ripescato vivo né è stato ritrovato il corpo: si pensava che le correnti lo avessero trascinato in Francia.

Il 31 maggio i giornali riportano la notizia del fermo in zona stazione di un diciannovenne di origine nigeriana: un poliziotto lo riconosce come una delle tre persone avvistate sulla spiaggia durante la rissa che ha causato l’incidente. Non si sa se abbia fornito ulteriori informazioni per dare un nome e un pezzo di storia all’uomo trascinato via dal mare. Veniamo però a sapere che il diciannovenne fermato è un migrante con richiesta d’asilo in Francia e con espulsione dall’Italia, che è stato fermato come uno dei responsabili della rissa, che è stato processato per direttissima per inottemperanza all’ordine di espulsione del questore di Imperia, che è stato trasferito in Francia e che da qui dovrebbe essere infine espulso (cioè rimpatriato? Sulla base della presunta responsabilità per l’incidente? Sulla base di qualcosa che ha commesso in Francia? Sulla base degli accordi di rimpatrio con la Nigeria? Interrogativi senza risposta). Game-over, anche per lui. E game-over anche per l’altro uomo di 24 anni di origine siriana di cui, nello stesso articolo di giornale, apprendiamo di sfuggita che gli tocca la medesima sorte: espulsione.

Il corpo di Osakpolor Morogie, 25 anni, viene ritrovato sulla riva all’altezza della foce del Roya.

 

– Lunedì 3 giugno –

Poi, nella mattinata di lunedì, il cadavere dell’uomo caduto in acqua viene infine restituito dal mare, che lo deposita sulla spiaggia nella stessa zona in cui si era inabissato: il corpo doveva essersi incagliato da qualche parte sul fondale lì intorno. Nelle tasche dei vestiti che ancora coprono il corpo senza vita vengono trovati i suoi documenti, che dicono che lui era Osakpolor Morogie, uomo di 25 anni di origine nigeriana, residente in Italia nella frazione ventimigliese di Bevera assieme al fratello con cui si era ricongiunto.

Quindi a voler essere in regola con la lingua italiana l’uomo non era uno straniero o un migrante, come descritto negli articoli di giornale, ma al massimo un immigrato regolarmente residente in città. Ma le etichette classificatorie, che non restituiscono la completezza della realtà ed anzi la stravolgono e la viziano, restano lo strumento più facile per pensare in modi semplici e riduttivi a un mondo complesso e pieno di sfumature. Per tradurci un mondo che meno capiamo e più ci spaventa; che più ci spaventa e meno lo capiamo.

Dalla chiusura delle frontiere francesi nel giugno 2015 a Ventimiglia si è fatta l’abitudine alla morte di persone non europee arrivate qui per attraversare il confine. Oltre venti le persone decedute a causa delle difficoltà nel passare la frontiera o per i disagi e gli stenti che devono patire nell’attesa dell’impresa: qui è morta così tanta gente in viaggio che, alla quinta persona che ha perso la vita tra il fiume Roya e il mare, l’equazione nero/migrante era già lì pronta all’uso.  (22 novembre 2016; 13 giugno 2017; 22 giugno 2018; 10 settembre 2018)

Uno straniero (con un pezzo di famiglia e residenza italiane) dunque è morto. E un altro straniero, forse coinvolto nell’incidente e forse no (le indagini ancora erano in corso e non sono stati resi noti i risultati dell’autopsia sul cadavere ripescato), è stato deportato in Francia e verrà espulso. Non sappiamo nulla delle vite e dei progetti di queste due persone. Non sappiamo le cause e le esperienze che hanno portato a un epilogo così negativo della loro presenza a Ventimiglia. Tutto quello che interessa sapere: due stranieri fuori dai giochi.

un’opera d’arte di origine europea

12 Aprile 2017, inaugurazione dell’installazione artisticha Terzo Paradiso presso il valico di frontiera di Ponte San Ludovico, Ventimiglia_fonte Sanremonews

 

– pregresso –

Il 12 Aprile 2017 a Ventimiglia fu inaugurata in pompa magna l’opera Terzo Paradiso dell’artista Michelangelo Pistoletto. Il simbolo rappresenta un infinito a tre cerchi: nelle intenzioni di Pistoletto il cerchio centrale costituirebbe il punto di incontro, di armonia e congiunzione tra i poli avversi, i due cerchi opposti che sono il tu e l’io e che trovano al centro la sintesi nella scoperta del noi. Vuole essere un simbolo di pace. L’inizio di una nuova civiltà formulata in 50 pietroni che l’amministrazione dell’ex sindaco Ioculano (PD) decise di far “installare” nell’aiuola che si affaccia sul confine di Ponte San Ludovico.

Nello stesso luogo, due anni prima, centinaia di persone che avevano provato ad entrare in Francia ed erano state respinte (colore sbagliato, pezzo di carta sbagliato) avevano deciso di accamparsi ed iniziare una protesta, durata cento giorni, contro le frontiere e le discriminazioni, chiedendo il rispetto dei propri diritti e la libertà di poter realizzare le proprie aspettative di vita.

Ioculano era sindaco quando sgomberarono a ruspate quello spazio di lotta, resistenza, incontro e sperimentazione collettiva che fu il campo dei Balzi Rossi. Due anni dopo annuiva convinto accanto all’artista Pistoletto, uomo bianco di origine europea, che spiegava con vibranti parole il significato della sua opera e la sua personale interpretazione della Storia recente di quelle aiuole:

A me pare quasi un sogno veder realizzato questo simbolo dell’armonia, della pace e dell’incontro qui, in questo luogo di scontro e divisione. In questo spazio specifico (…) di forte tensione tra i due paesi, momenti di tensione inutile, anche provocata… io credo che non è sulla provocazione che dobbiamo muoverci, non è sulla critica e sull’aggressione, ma sulla proposta. (…) Se veramente si ha qualcosa da proporre, si sa cosa fare dopo la rivoluzione, non c’è nemmeno più bisogno di fare la rivoluzione. (…) Noi dobbiamo dimostrare in questa zona simbolica di essere capaci di fare proposte di unione, di connessione, di condivisione.

I giornali rincararono il condimento di entusiasmo per l’arrivo del Terzo Paradiso : “Un modo per dare un calcio, con l’arte, ai confini geografici e soprattutto sociali, che spesso emergono con più intensità al confine con la Francia”.

 Veduta di Ponte San Ludovico: l’installazione artistica simbolo dell’incontro si affaccia sulla barriera delle dogane francese e italiana.

 

– Giovedì 6 giugno –

Dall’inaugurazione dell’opera sono passati nuovamente due anni: Giovedì 6 giugno i quotidiani on line riportano dell’incontro, voluto dalla destrorsa giunta comunale appena eletta, tra Anas e il neo sindaco Scullino, che si propone si riqualificare la zona stradale innanzi alla frontiera. Sintesi: nella zona del confine si fanno i soldi, non spettacolini per allodole, quindi al posto dei 50 pietroni artistici ci si metteranno 50 parcheggi.

Parafrasando i giornali di allora: un modo per dare un calcio, con gli affari, all’arte e alla retorica sul buonismo sociale e sull’abbattimento dei confini. Proprio qui, di fronte alla barriera con la Francia.

La settimana si chiude nelle polemiche di routine del PD circa lo smantellamento della profetica opera d’arte che tanto fu lodata dall’allora sindaco ruspaiolo dello stesso partito. Eppure guardando le cose con un’onesta prospettiva non è affatto strabiliante che si voglia sostituire un simulacro della retorica europea sull’accoglienza con cinquanta parcheggi per far girare macchine e soldi. (Anche) dalle parti delle frontiere funziona così e chi non lo sa è in malafede: le merci hanno la precedenza e per il denaro tutto fila liscio. L’unico inconveniente lungo il confine erano e restano gli esseri umani ai quali, sulla base di criteri etnici, si deve impedirne l’attraversamento.

A poche centinaia di metri dall’installazione Terzo Paradiso, in linea d’aria sulle alture dell’Aurelia, c’è l’altro valico di confine, ponte san Luigi, dove la frontiera esercita quotidianamente il suo potere sulla vita della gente che ha un documento di poco valore e una pigmentazione troppo scura.

Là sotto, adagiato su un prato abbandonato, riposa coi giorni contati quell’infinito fatto di macigni giganti e muti innanzi ai controlli frontalieri ed al setaccio razziale. Sulla destra dell’installazione artistica, ad altezza mediana tra le due frontiere, corrono le rotaie che portano in Francia: troppe persone sono rimaste gravemente ferite o sono morte sfidando la frontiera ferrata e i suoi treni proibiti.

Sulla sinistra del Terzo Paradiso corrono invece gli scogli che nel 2015 furono casa di una lunga battaglia internazionale contro le chiusure dei confini. Poco oltre le rocce ondeggia il Mediterraneo che unisce e divide le terre. Un po’ come il centro dell’infinito di Pistoletto, che voleva ricongiungere gli opposti e portare la pace, ma che finirà smantellato in nome del profitto.

I tentacoli della frontiera sono potenti e pervasivi: Ventimiglia regala ogni settimana folgoranti accadimenti, bug di un sistema catastrofico che causa cortocircuiti di senso di fronte alla presenza e alle conseguenze del confine.

Vinceranno i 50 parcheggi. Proprio lì dove 50 pietroni si vantavano di aver inaugurato una proposta di unione e armonia: game-over anche per loro. Dalla posa di quei sassi, che sarebbero stati più sinceri se fossero state lapidi, sono morte -almeno- altre undici persone non europee che volevano attraversare la barriera per l’Europa. A Ventimiglia (in tutto lo stivale) le persone non-bianche resteranno comunque straniere, qualsiasi pezzo di carta abbiano in tasca. Qualcuno di origine europea suggeriva che non serve una rivoluzione…

Polifonia estiva dalla Frontiera di Ventimiglia (prima parte)

Tra gli obiettivi che ci hanno spint* alla creazione di questo blog, c’è la volontà di documentare Ventimiglia e la frontiera. Il nostro impegno è farlo a partire dalle nostre stesse esperienze o da quelle di chi, in forme e modalità differenti, vive quel territorio, puntualmente o nel lungo termine. Pensiamo si tratti di un approccio fondamentale, nell’ottica di mettere in discussione e decostruire tutte quelle narrazioni che tengono in conto solamente le voci ”forti” : quelle voci che si alzano esclusivamente nei momenti mediaticamente salienti, che non parlano, ma piuttosto gridano, nell’intento di raccogliere facili (e spaventati) consensi, di trarre un qualche tornaconto dall’esporsi sul palcoscenico dell’emergenza.  Numeri – in calo, in aumento… -, minacce – di chiusure, di sgomberi…– e voyeurismo – il degrado, la disperazione…– : questi gli ingredienti principali, in proporzioni variabili, del discorso a reti unificate.

Tv abbandonata presso gli scogli dei Balzi Rossi, Ventimiglia

Pensiamo che comprendere il materializzarsi di un confine interno all’Unione Europea, nel 2018, e misurare il peso e la portata delle politiche istituzionali in materia migratoria, comporti un esercizio attento di articolazione tra quelle che sono le dinamiche a più larga scala – tra esplosione e perdurare di conflitti o dittature, configurazioni economiche neocoloniali, accordi internazionali e politiche nazionali – e la quotidianità della frontiera. Un’articolazione da interrogare costantemente, per cogliere la misura dei mutamenti e delle costanti, e facendo appello alla pluralità di soggettività che vivono e osservano la frontiera.

Nel testo che segue, cerchiamo di raccontare i mesi estivi a Ventimiglia, incrociando i punti di vista e le opinioni di alcune persone che li hanno vissuti da vicino, convint* che capire meglio la frontiera, questa frontiera, sia anche un modo per capire configurazioni socio-politiche di vasta portata, per rendersi conto di quel che, come società, più o meno tacitamente decidiamo di ritenere accettabile.

I punti di vista di cui cerchiamo di rendere conto, infine, esprimono talvolta giudizi e analisi diversificate: ci auguriamo che questa polifonia, oltre a problematizzare i racconti superficiali che invadono lo spazio del dibattito pubblico, possa stimolare l’incrociarsi di prospettive ma anche la voglia di comprendere e agire per l’abbattimento di un sistema fondato sul razzismo e lo sfruttamento.

Abbiamo intervistato persone a noi vicine che durante questa scorsa estate sono state in forme, modalità e tempi diversi nella zona di confine di Ventimiglia. Nonostante le differenze, evidenti nelle risposte che seguiranno,  tutt* gli e le  intervistat* hanno scelto di stare in questa zona di confine in quanto solidal* con le persone migranti e convint* che la libertà di movimento debba essere garantita a tutti e tutte, così come il diritto a una vita libera e felice. Tutt* color* che parleranno, seppur in maniera diversa conducono una lotta contro il regime confinario europeo e le sue conseguenze sulla vita delle persone migranti.

 In sede di redazione dei testi delle interviste, ci è sembrato opportuno  dividere il lungo testo in due post differenti, sia per renderne più scorrevole la lettura, sia perché la mole di informazioni e di analisi è considerevole e merita di avere il giusto spazio per essere eleborata. Pubblicheremo, alla fine, anche il testo integrale in un unico dossier.  Ringraziamo caldamente le e i solidal*, che hanno voluto rispondere alle nostre domande, mettendo a disposizione cuore, testa e tempo:

Gabriele Proglio  – storico culturale orale, lavora presso il Centre for Social Studies dell’università di Coimbra con un progetto che nei prossimi cinque anni intende studiare i confini del Mediterraneo.

Lia Trombetta – medico e ricercatrice presso l’Università di Lisbona

Antonio Curotto – medico ospedaliero

Giulia Iuvarafemminista del movimento Non una di meno, attivista del progetto 20k ed educatrice

Lucio Maccarone attivista dell’AutAut357 di Genova, partecipa al progetto 20k dal 2017, nella vita vorrebbe insegnare a scuola

La redazione

La prima domanda che abbiamo posto ai nostri interlocutori riguarda la loro presenza, a Ventimiglia, durante questa estate 2018.

Lia e Antonio spiegano che, rispetto ai mesi passati, per loro si è trattato di continuare il lavoro di monitoraggio e visite mediche ai migranti bloccati alla frontiera: «Siamo stati a Ventimiglia almeno due volte al mese per la durata dell’intero fine settimana. Abbiamo fatto il solito lavoro, sia di sostegno al transito che di raccolta di notizie dal territorio per cercare di capire come evolvesse la situazione » (Lia).

Per altri, l’estate ha invece coinciso con l’occasione per impegnarsi  maggiormente, e in loco, in progetti ai quali si erano già interessate e interessati nei mesi invernali e primaverili. Così Giulia: « Ho iniziato a lavorare un po’ più seriamente su Ventimiglia solo da qualche mese. Ho iniziato, come Non Una di Meno, a seguire un po’ il sister group, che è partito da dicembre scorso, però non ho avuto la possibilità scendere molto, quindi in realtà l’ho seguito tanto in remoto e meno sul campo. Quest’estate sono stata una settimana con il progetto 20 k e ho fatto la volontaria con loro, stando sia ad Eufemia che fuori, e ho seguito più strutturalmente il sister group, attraverso NUDM » ; e Lucio :  « è un anno che seguo più attivamente il progetto 20 k svolgendo un lavoro più ”dalle retrovie”, quindi da qui, da Genova : cercare di raccogliere i beni di prima necessità che a seconda delle stagioni sono stati necessari da portare giù. Abbiamo fatto vari eventi, raccolte fondi e beni di prima necessità e medicine. Dalla primavera mi sono concentrato molto sulla creazione del campeggio di 20k. Il campeggio sta chiudendo in queste settimane ed era necessario per poter garantire una maggior presenza di volontari a Ventimiglia durante tutto l’arco estivo. Per cui è partito durante la settimana del corteo e ha ospitato stabilmente almeno 15 – 20 persone, se non più, garantendo un buon livello di disposizione sul territorio per i monitoraggi e le aperture dell’infopoint, più altre attività di indagine e rapporti sul territorio. Oltre a questo, fino al corteo sono stato qui a Genova assieme ad altri ed altre per organizzare la manifestazione e il 14 ero lì per partecipare alla gestione della manifestazione. Dopodiché sono tornato nella stessa settimana di Giulia ».

Un ragazzo arrivato nella zona di confine per passare la frontiera guarda la costa francese seduto sul litorale italiano a Ventimiglia. Ventimiglia, 2018

La quarta persona con cui abbiamo discusso, Gabriele, ha svolto un lavoro di ricerca sul campo, nell’intento di comprendere il confine, in quanto dispositivo, in una prospettiva calata nella realtà locale e nelle vicende storiche e politiche di lungo corso : «Il mio lavoro quest’estate a Ventimiglia è stato caratterizzato da due tipi di azioni: la raccolta delle memorie non solo dei migranti ma anche degli italiani sulla questione del confine e degli sconfinamenti a Ventimiglia, dalle lotte del 2011, con la cosiddetta emergenza tunisini, fino al 2015, con la lotta dei Balzi rossi, fino alle recenti mobilitazioni; e poi un lavoro più classico, di archivio, basato sull’indagine negli archivi di stato di Ventimiglia e di Imperia, rispetto ai processi penali per immigrazione clandestina durante il fascismo. Il dispositivo di confine ha delle ricadute nel definire e selezionare i corpi secondo un meccanismo di esclusione ed inclusione differenziale. Anche questo meccanismo è legato a uno statuto epistemologico, da una sorta di “archivio”, che si configura nel passato attraverso specifiche strategie del controllo, fondate sul corpo, in particolare sul genere e sulla razza. Durante il fascismo questo controllo è stato esteso ad altre categorie, per esempio quelle politiche che identificavano chi andava in Francia per la fare la Resistenza, ma anche a chi scappava dall’Italia perché non trovava una risposta nel fascismo, persone di ceti molto bassi, che con la loro fuoriuscita esercitavano una critica dal basso al regime, come si evince dalla loro storia. Una critica non solo a quella che era l’organizzazione fascista del lavoro ma anche alle sue politiche patriarcali, autoritarie, gerarchiche». Le due linee di ricerca, quella sul campo e quella d’archivio, acquisiscono spessore e potenziale analitico, accostate l’una all’altra : «Queste due ricerche tessono un rapporto e una connessione tra quello che è stato il passato del fascismo e il presente. Connessioni che sono importanti sia rispetto al meccanismo di inclusione differenziale, sia per l’utilizzo di alcuni metodi repressivi, come nel caso del foglio di via, già utilizzato in epoca fascista. Emerge il ruolo del confine non solo come frontiera, ma anche come strumento per rinegoziare le forme, le strutture e l’organizzazione della società, come dispositivo di controllo biopolitico della società».

Quindi, assieme ai nostri interlocutori, abbiamo cercato di definire il paesaggio sociale ventimigliese degli ultimi mesi : Quali presenze permeano lo spazio pubblico cittadino ? Quali attori sociali sembrano avere un ruolo nel definire le dinamiche socio-economiche a cavallo del confine ?

Per Lia, la risposta non può che iniziare da una costatazione durissima : « l’attore rimasto più importante e che tutto permea sono le mafie. Non è una situazione evidente che si può riconoscere andando a Ventimiglia qualche fine settimana, ma nel corso degli anni la consapevolezza è aumentata e appare evidente che i principali attori sociali siano influenzati da accordi che coinvolgono più forme di associazione a delinquere ».

Antonio aggiunge profondità a questa lettura: « Con il rarefarsi delle persone solidali, la percezione della presenza delle mafie, che ci sono sempre state, si è amplificata attraverso la conoscenza diretta ma anche in maniera indiretta, anche nei racconti di chi e più presente sul territorio. Un altro attore sociale rimasto e da sempre costante sul territorio di Ventimiglia, è costituito dalle forze dell’ordine. L’attività repressiva si esplica in maniere differenti ma prevalentemente tramite il trasferimento coatto, con frequenza settimanale, e la deportazione verso il Sud ».

Una lettura condivisa anche da Giulia, che sottolinea come anche la minor presenza di migranti contribuisca a rendere evidenti certi meccanismi : « forse anche perché c’è meno flusso, si vede più chiaramente quale sia il traffico : davanti alla stazione c’è sempre il gruppo che sta lì e chi scende dal treno sa già dove andare oppure loro lo vanno a prendere… poi, probabilmente tanti di loro sono anche poracci che cercano di svoltarsi la vita come possibile … è anche difficile dare un giudizio univoco : cioè, c’è chi è ‘ndraghetista o al soldo dell’ndraghetista e fa la tratta degli esseri umani ; altri, che magari sono lì da qualche mese e hanno visto lo spiraglio di possibilità per vivere ».

Lucio completa l’analisi, dando spazio a preoccupazioni che hanno a che fare con la complessità del fenomeno e la necessità di non cadere in giudizi univoci : « diciamo che, come diceva Giulia, vengono più allo scoperto e poi si nota di più la presenza di chi resta per qualche mese. Il problema è quanto questo faccia parte di un sistema. E’ una cosa che andrebbe analizzata e di cui bisognerebbe parlare cautamente, perché non si è certi di tutto, ma quel che immagino è che la ‘ndrangheta ventimigliese abbia trovato questo metodo per sfruttare gli ultimi, come al solito, come sullo spaccio e sul mettere in strada a vendere gli ultimi arrivati e più sacrificabili : la stessa cosa vale qui per i passaggi, per cui ci metto l’ultimo che è arrivato, che non ha un soldo per passare e gli dico « se tu mi garantisci dieci passaggi, poi quando ti trovi di là ti ritrovi pure qualche soldo in tasca ». Soldi che non sappiamo assolutamente quantificare. Vuol dire che criminalizzare un passeur oggi è più difficile rispetto al passato, perché è probabile che sia proprio quello con minor mezzi a finire a fare il passeur per racimolare qualcosa ».

La polizia porta al confine le persone catturate nelle retate in città, destinate ad essere deportate coi pullman RT verso Taranto. Ventimiglia, 2018

Lucio conclude dicendo che sicuramente la quotidianità della frontiera è in parte determinata da queste presenze, ma che tutto ciò si definisce all’interno di fenomeni più vasti. Fenomeni il cui impatto sulle vite delle persone sembra assolutamente differenziale, come osserva Giulia: « questo tipo di presenze e dinamiche per alcuni sono determinanti, per altri quasi invisibili ».

Il tema dell’invisibilizzazione apre il discorso alla presenza migrante, sempre più marginalizzata : « per il turista o il frontaliero che viene a comprare alcol e sigarette, in questo momento, la presenza migrante credo non incida in nulla nel suo passaggio a Ventimiglia » (Lucio). Per Giulia, l’ambiente sembrava molto diverso rispetto alle altre volte che era passata da Ventimiglia, « nel senso che, con la chiusura del campo informale, lo spazio pubblico era molto poco attraversato dai migranti, che stavano per lo più nel campo o comunque sempre nella zona di via Tenda ». Antonio, facendo riferimento a fasi attraversate negli ultimi anni, afferma : « Sono ritornati a rendersi meno visibili. L’invisibilità, probabilmente indotta dall’aumento dalla repressione, è aumentata. Pochi giorni fa, abbiamo visto i segni della presenza anche recente delle persone lungo il fiume, ma ne abbiamo incontrate poche. Dai racconti e dalle informazioni sembrerebbe che il passaggio attraverso la città sia molto più rapido. Non c’è più un luogo stanziale, a parte la Croce Rossa, dove le persone in viaggio possano fermarsi e organizzarsi. Ci sono dei gruppi di persone che sono in Italia già da tempo e si spostano da un confine all’altro alla ricerca di “lavoro”, per esempio legato al transito. In una situazione come questa i branchi di lupi che attaccano il gregge sono molto più evidenti ».

Ci chiediamo, quindi, cosa abbia contribuito a questa mutazione.

Il parere di Lia è che  « in merito al cambiamento degli attori sociali è stata determinante la repressione sui solidali, il fatto che siano stati allontanati e la carenza di partecipazione, non solo politica ma affettiva, elementare. Dalle persone che volevano l’abbattimento delle frontiera, alla Caritas, sono state tutte eliminate. Questo ha fatto sì che i vari tipi di sfruttamento, il traffico di esseri umani in genere, dal piccolo trafficante a quello che usa le donne per guadagnare, ad altri tipi di commercio di cui noi possiamo solo intuire le dimensioni, agiscano a nostro parere incontrastati, perché il territorio fondamentalmente non viene vissuto anche da altre persone. Se l’interesse umano è venuto meno, se anche l’interesse politico è venuto a mancare, l’interesse economico è quello che resta, o se ne va per ultimo. Per i piccoli trafficanti il passaggio di persone può costituire l’unica fonte di sopravvivenza. Ciò che spesso si sente ripetere è che noi abbiamo perso. Con “Noi” si intende le persone che hanno partecipato ai balzi rossi, che hanno partecipato ai campi informali del 2016 e che hanno continuato a rimanere sempre in minor numero anche nel 2017, fino a trovarsi oggi inermi di fronte a questa situazione pericolosa. E’ chiaramente pericoloso il fatto di non avere persone ben intenzionate per la strada, di non avere gruppi che possano aiutarsi, una presenza di compagni, di individui che vivano il territorio allo scopo di comprendere questo fenomeno, accompagnarlo, tentare di sviluppare delle strategie contro una situazione assurda e violenta, che non avrei immaginato di vedere sviluppata a questo livello. Questo è l’apice dell’iceberg di una situazione agghiacciante e ovviamente ci si chiede come ciò possa continuare a verificarsi sotto gli occhi di chiunque ». La repressione attuata sugli spazi di stanziamento autonomi è continuata anche dopo la manifestazione, con la chiusura con delle grate di quello che rimaneva del campo informale, facendo sì che il campo della Croce Rossa resti l’unica opzione praticabile per chi transita da Ventimiglia. Praticabile ma certamente non sicura: per Antonio si tratta di « un campo sperimentale, con  alcune delle caratteristiche tipiche dei campi di concentramento, lontano dalla città, difficile da raggiungere, permettendo, almeno teoricamente, un controllo dall’esterno. Ci è stato raccontato da più persone che i rastrellamenti vengono effettuati anche nella zona immediatamente antistante alla Croce Rossa ». Le condizioni del viaggio fino all’Italia, e poi della permanenza nei luoghi in cui questo viaggio trova le sue strozzature, si sono fatte, se possibile, ancor più complicate e dure negli ultimi tempi. Una costatazione, questa, che genera interrogativi importanti in chi, da anni, è a contatto con persone che decidono di partire: «Non sono attori sociali immediatamente comprensibili, perché, per quanto si cerchi di entrare in contatto con loro, non si capisce bene come questo fenomeno continui, nonostante la violenza e la repressione, quale sia esattamente la loro ricerca. Certamente c’è la sfida ad un ordine precostituito che impedisce di viaggiare liberamente, che non permette di chiedere un visto e andare dove si vuole. A parte chi ha avuto la famiglia sterminata dai Janjaweed in Sud Sudan e coloro che raccontano di un immediato rischio di vita, a volte cerchiamo di comprendere questo attore sociale, cercare di capire chiaramente come nasce l’idea del viaggio. Per esempio quando una ragazzina eritrea che va a scuola a un certo punto si mette d’accordo con le sue compagne. Si domandano e decidono «prima che ci mettano a fare il servizio militare a vita, perché non andiamo in Europa?». Le singolarità sono determinanti, abbiamo visto persone che lavoravano in Libia e non volevano andare via, ma per i casini successi lì sono dovuti scappare e partire verso l’Italia, perché era il primo paese disponibile, per poi andare ovunque, al di fuori di esso. Le situazioni sono singole, le ricerche sono varie e molto spesso la ricerca non è sovradeterminata dalla provenienza da un paese, è tutto molto complesso e la comprensione di questo fenomeno è qualcosa di importante, anche per noi» (Lia).

Ingresso a campo CRI nel Parco Roja: al container di polizia vengono controllate impronte e generalità delle persone che chiedono ospitalità. Ventimiglia, 2018

Il quadro ha decisamente delle tinte fosche, ma, nonostante le difficoltà, i solidali non sono scomparsi. Alcune presenze sono individuate unanimemente come particolarmente importanti, perché individuate come punti di riferimento, avendo, negli anni, assicurato la continuità di alcuni percorsi e azioni politiche. Delia in primis.  Si parla anche di quei solidali che sono sopraggiunti in loco proprio per motivi politici e la cui presenza si consolida nel corso del tempo. Tra questi, il Progetto 20k, che, con l’apertura dell’Infopont Eufemia, garantisce un luogo d’incontro e anche di avvicinamento per persone, o gruppi di persone, che arrivano a Ventimiglia con l’intenzione di attivarsi : un esempio, i vari gruppi scout che hanno iniziato a frequentare la zona.

Tutti d’accordo anche sul ruolo importantissimo di Kesha Niya, il collettivo internazionale che si occupa di distribuire pasti e viveri.

Antonio riassume le loro traiettorie : «un ruolo essenziale dal punto di vista del supporto al transito e dell’assistenza l’ha svolto Kesha Niya. Finché hanno potuto sono stati nei pressi dei campi informali sotto il ponte. Poi a causa del peggioramento della repressione e dell’arrivo del nuovo prete (che ha mostrato un’immediata avversione per il loro gruppo), si sono dovuti spostare. Al momento, dalle notizie che ci arrivano, sembra che siano al confine, dove alle persone che vengono respinte non vengono forniti cibo e acqua anche per molto tempo ».

Da oltre frontiera, vengono citati gli abitanti della Val Roya, riuniti nell’associazione Roya Citoyenne, e altri cittadini francesi, riuniti intorno a gruppi islamici che effettuano sostegno al transito tramite fornitura di beni di prima necessità ormai da anni. Proprio nel riannodarsi di un confronto con Roya Citoyenne, Lucio vede un segnale positivo: «anche se vessati e costretti a vivere in un territorio militarizzato tutto l’anno, partecipano a degli incontri per discutere di un’azione solidale congiunta. Anche perché poi si è visto che dopo il corteo del 14 luglio uno spiraglio politico, una considerazione in più anche da parte di questi attori sociali c’è: diciamo che l’impressione è che oltre ad essere per la prima volta considerati come un soggetto politico dagli attori istituzionali, anche con gli altri solidali c’è stato una nuova spinta al confronto e per fare progetti assieme». Infine, vengono nominate quelle persone che, singolarmente o in piccoli gruppi, si impegnano per sostenere il transito delle donne e gli avvocati che, senza riuscire a garantire una grande continuità, cercano di contribuire con le loro competenze professionali.

Gabriele, attento alle relazioni tra i diversi attori sociali per finalità di ricerca, ha un’opinione leggermente differente e osserva che le numerose realtà ancora presenti restano piuttosto «divise, lontane una dall’altra, senza coordinamento. In realtà so che c’è un tavolo di coordinamento, ma la dispersione rimane comunque grande su questo territorio di confine, un confine che è il limes tra gli stati ma anche un dispositivo potentissimo che rimette in discussione tutti i significati».

Chi sembra uscito di scena, o comunque molto meno presente che in passato, sono le ONG. Per Lia: «Il tempo delle ONG è un po’ passato. Non ci sono più i medici che avevano tentato di fare l’ambulatorio anche all’esterno, nel campo informale del fiume Roya. Credo ora facciano alcune ore di ambulatorio al giorno nella sede della Caritas. Tutto quello che girava intorno alla Chiesa delle Gianchette. come l’alimentazione e l’assistenza medica, ora credo si svolga presso la Caritas». Una presenza, quindi, valutata come discontinua e poco incisiva:

«Poi le ONG hanno dei pezzetti che si pigliano, con alcuni di noi hanno collaborato, ci sono delle individualità positive, ma anche le ONG non è che facciano un lavoro strutturale e strutturante, fanno raccolta dati quando va bene e quando ci sono, però non è cambiata rispetto agli anni scorsi : continuano a non esserci i medici …»(Giulia) . «Poi è chiaro, se non ci investono dei fondi….loro sono persone che lavorano e se sono in uno due… non possono fare molto altro che monitorare…» (Lucio). Vengono menzionate altre associazioni, che non hanno mai smesso di partecipare al sostegno alle persone in viaggio, come Popoli in Arte, che collabora all’esistenza dello spazio Info point gestito dai 20k.

Un’osservazione di Antonio obbliga a considerare il ruolo degli attori economici ufficiali e delle istituzioni: «secondo me uno degli attori sociali è anche il servizio di trasporto locale (la Riviera Trasporti) che ha appianato il proprio debito tramite questo tipo di attività che noi paghiamo e che ha un costo molto alto per persona. Questo rientra nel discorso dell’industria legata allo sfruttamento. Diventano oggetti di un trasporto forzato pagato da noi».

Pullman della Riviera Trasporti, dedicati alle deportazioni delle persone migranti. Ponte S.Luigi, Ventimiglia, 2018

Quindi, «lo Stato sembra assente o presente solo a livello repressivo, ma probabilmente partecipa anche nel regolare i commerci che derivano dal transito e dalle deportazioni. Il campo della Croce Rossa ha costituito, dall’estate scorsa, l’unico luogo di permanenza esistente. Per l’accordo con lo Stato, la Croce Rossa incamera soldi per l’acquisto del cibo, la gestione e la costruzione delle strutture» (Lia).

Questa ambiguità della presenza istituzionale, tra militarizzazione e repressione, da una parte, e assenza di politiche strutturali e tangibili, viene sottolineata anche da Lucio: « a me è sembrato che ci sia un grosso vuoto : nonostante la presenza militare costate. Ad esempio, il sindaco sembra già in campagna elettorale, per maggio/giugno o quando saranno le amministrative. Tant’è vero che durante la preparazione del corteo, lui che cercava di ostacolarne lo svolgimento, ha detto apertamente « noi su questo tema ci giochiamo la rielezione ». Allora i continui proclami che sta facendo, la presenza a Milano la scorsa settimana (al corteo contro l’incontro Salvini-Orban, n.d.r.) dicono questo: di base non fa nulla, quando c’è la notizia, il gossip, il tema, allora prende parola, ma il tutto è sempre teso a cercare di farsi credito, mentre non pratica nessuna politica istituzionale». Giulia aggiunge: «sembra proprio che stia funzionando la marginalizzazione totale, nel senso che, anche in negativo, non ho visto grande accanimento, se non da parte della polizia soprattutto francese (perché comunque, tramite i monitoraggi, si è visto che ogni giorno succede il peggio del peggio su quei treni). A livello politico istituzionale c’è un vuoto perché l’obiettivo è quello di invisibilizzare : tu non esisti, io di te non parlo neanche.

Baracche bruciate dalle persone migranti lungo il fiume Roja per protestare contro lo sgombero dell’ultimo campo informale. Aprile 2018

E ora che non c’è il campo informale ecc., sono talmente lontani dalla città che il turista potrebbe anche non accorgersi di niente, potrebbe anche sembrare una cittadina qualunque, borghese ecc». La lettura data da Antonio ci permette di valutare le attuali posizioni dell’amministrazione locale in quanto conseguenza di una linea politica scelta, e perseguita, dal 2015: «A livello di amministrazione locale a Ventimiglia c’è un sindaco del PD che è rimasto tale sin dall’inizio, quindi non è cambiato niente. Alle prossime elezioni vincerà probabilmente la Lega, in continuità naturale con le politiche portate avanti fino ad oggi. Ciò rappresenta la fine di questo percorso di imbarbarimento. Dall’inizio c’è stata una sinergia completa tra l’attività repressiva poliziesca e l’amministrazione locale. Per non peggiorare i contrasti con la popolazione locale e le situazioni di disagio evidente delle persone che dormono in strada bastava veramente poco. Bastava un accesso diretto all’acqua potabile, che adesso di nuovo non c’è più, i servizi igienici e una raccolta dei rifiuti. Se avesse fornito queste tre condizioni sarebbe stato differente e avrebbe avuto costi sicuramente inferiori a quelli delle deportazioni e delle periodiche “pulizie” del greto del fiume. Si lasciano vivere le persone nelle condizioni peggiori poi, quando la situazione è arrivata a un limite non più valicabile, arrivano le ruspe a distruggere e togliere tutto. Questa è una politica a mio avviso folle, anche dal punto di vista economico».

Una strategia che, comunque, sembra aver quantomeno rabbonito il dissenso di alcuni abitanti: «In passato ci sono state manifestazioni contro la presenza dei migranti e spesso delle grandi discussioni con gli abitanti del quartiere delle Gianchette, che mostravano evidentemente il loro essere contrari o molto critici, anche piuttosto aggressivamente, alla presenza delle persone in viaggio o almeno alla modalità con cui questa cosa veniva gestita. Dal momento che ora le persone migranti non sono più raggruppate di fronte alle loro abitazioni, questo fenomeno mi sembra sia venuto meno. Non ci sono più manifestazioni, né rimostranze così frequenti. Ogni tanto prima si vedevano dei manifesti lungo la strada con scritte come “Basta degrado” “Ventimiglia libera”, ora non più» (Lia).

Ovviamente, anche la cittadinanza, a ben guardare, esprime posizionamenti differenziati e, secondo Giulia, qualche individualità tra gli abitanti manifesta interesse, «soprattutto portando cibo e vestiti … di certo non si tratta di masse…».

… To be continued …

Ioculano, Rosella e il processo: una storia di repressione e solidarietà

Rosella Dominici è una volontaria e attivista imperiese, impegnata in azioni di solidarietà coi migranti che rimangono intrappolati a Ventimiglia, da quando, nel 2015,  la Francia sospese gli accordi di Schengen e chiuse la frontiera con l’Italia.

Il prossimo Venerdì 9 Febbraio 2018, al Tribunale di Imperia, Rosella sarà processata per diffamazione aggravata: una denuncia che arriva dal Sindaco della cittadina di frontiera, Enrico Ioculano, al quale la solidale diede del “bastardo” in un post su Facebook. L’episodio risale al 30 Settembre 2015, a poche ore dalla conclusione di sgombero del presidio nella pineta dei Balzi Rossi, iniziato pochi mesi prima dai migranti in protesta contro il blocco di confine.

Alla sera, Rosella aprì un post su Facebook e scrisse di getto, con rabbia e amarezza, contro chi aveva messo la propria firma sugli eventi di quella giornata.

Il processo per diffamazione si è aperto il primo dicembre 2017, presieduto dalla giudice Daniela Gamba, con la testimonianza della diretta interessata, difesa dagli Avv. Gianluca Vitale del Foro di Torino e  Avv. Francesco Fazio del Foro di Savona. Poichè il sindaco Ioculano era quel giorno impegnato a Roma, una seconda data del processo è stata quindi fissata per il 9 Febbraio 2018, per ascoltare le parole dell’accusa.

Abbiamo incontrato Rosella, chiedendole di raccontarci la genesi e la storia di questo processo: si è finiti per parlare dell’oggi, con un occhio al passato e uno al presente della cittadina frontaliera. Un occhio sensibile e attento alle ingiustizie e alla grave situazione in cui versano le persone in viaggio. Uno sguardo lucido e vigile e che non può fare a meno di notare come, nello scorrere dei mesi, le cose siano solo peggiorate. Per tutti.

Rosella, ci puoi raccontare a grandi linee che cosa accadde il 30 settembre del 2015: quali fatti e quali emozioni ti portarono a scrivere che il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano fosse stato un “bastardo”?

Certamente: iniziamo dal post e dal perchè scrissi quell’affermazione contro il sindaco.

Era la sera del 30 settembre 2015, dopo un’intera giornata di sgombero dei Balzi Rossi, e su quel post, a parte la scritta, misi la foto della ruspa che aveva distrutto e buttato nei bidoni centinaia di tende, medicinali, un magazzino di cibo, vestiti, documenti dei ragazzi.

Per tutto il giorno i blindati e centinaia di poliziotti hanno circondato i ragazzi sugli scogli, trattandoli come criminali e impedendo a chiunque, cittadini, associazioni, di portargli acqua e cibo.

Questo è stato il senso del post, il contesto: la rabbia e la frustrazione per ciò a cui avevamo dovuto assistere.

Dopodichè bisogna per forza parlare dei Balzi Rossi, per capire: spiegare come è nato quel campo e che cosa ha significato per centinaia di persone. Il presidio sugli scogli di fronte al confine era iniziato a metà giugno: i migranti che erano arrivati lì x passare la frontiera hanno trovato chiuso. Per protesta scesero sugli scogli e da lì si sono rifiutati di spostarsi. Mi ricordo che in quelle giornate faceva un caldo pazzesco, quindi assieme ad altri solidali siamo andati subito a prendere cestelli d’acqua e qualche ombrellone. Nei giorni seguenti abbiamo messo delle vele sugli scogli per l’ombra… e insomma, da lì è iniziata questa solidarietà pazzesca durata oltre tre mesi.

Non è che al campo ci fossero i no borders, al campo c’erano persone: i volontari, le associazioni, gli attivisti, gli avvocati, i medici… c’era proprio una realtà… c’era un pezzo di umanità! Per tutta la durata dei Balzi Rossi c’è stato un flusso ininterrotto di gente che portava qualsiasi cosa di cui ci fosse bisogno: per mesi si è realizzata una solidarietà che, quel giorno, venne distrutta nell’arco di 12 ore di assedio.

Il senso di quella distruzione e di quelle ruspe?

Non c’è: non ci fu senso allora e non vedo nessun senso ancora oggi.

Attraverso il post incriminato hai voluto esprimere un’opinione: ritieni che il sindaco Ioculano sia in qualche modo responsabile di quello che accadde nell’estate del 2015 e degli eventi che seguirono?

Da mesi Ioculano era uno di quelli in prima fila per chiedere lo sgombero del campo.

Tirava ripetutamente fuori questa storia che lì c’erano i no borders… come se questo volesse dire qualcosa di particolarmente grave in sè. Una fissa che questi del PD hanno rispolverato ancora il primo di dicembre in televisione: mentre ero a processo a Imperia, Ioculano era infatti in onda sul La7 a “L’aria che tira”, occasione nella quale Vauro ha ricordato al sindaco le sue responsabilità per aver firmato il divieto di dare acqua e cibo ai migranti. Vauro ha parlato di ordinanze analoghe che vennero promulgate durante il nazismo contro gli ebrei, e Ioculano, per tutta risposta, ha fatto spostare il discorso dicendo che quella era una situazione particolare e che ai Balzi Rossi, comunque, vi erano più ragazzi bianchi no borders, che migranti (Cosa peraltro non vera). Come dire che era quindi automaticamente un posto di gentaglia, tralasciando tutto l’immenso lavoro di solidarietà che invece si stava portando avanti.

E comunque l’ordinanza in questione è perdurata negli anni ben oltre l’esperienza dei Balzi Rossi, ed è rimasta in vigore in situazioni terribilmente peggiori. Questa è la sua idea di quella che è la solidarietà.

Ed è proprio il motivo per cui ho scelto di andare a processo invece che chiedergli scusa. Non solo ha continuato a difendere un’ordinanza che affama la gente, ma, nei mesi, ha fatto sgomberare un nuovo campo solidale sorto nel 2016 sotto al ponte di Via Tenda; e poi ha lasciato che venisse chiusa anche l’esperienza di accoglienza all’interno della chiesa delle Gianchette; e ha proseguito su quella strada lì, mi pare, viste anche le affermazioni del signor sindaco nel consiglio comunale del Novembre scorso.

Avrei potuto chiedergli scusa come ha fatto un’altra ventina di persone: c’erano altre denunce in ballo, che lui ha però ritirato in cambio di qualche centinaio di euro, di scuse scritte… non lo so nemmeno e non mi interessa: non ho nulla di cui scusarmi con Ioculano. Secondo me è il sindaco che dovrebbe piuttosto chiedere scusa ai migranti per quello che sta succedendo.

Altro che Balzi Rossi: basterebbe andare a vedere che cosa c’è adesso lungo il Roja!

Per il sindaco la soluzione di tutto sarebbe il campo di Croce Rossa (che comunque andranno a smantellare per una serie di accordi commerciali sull’area del ex parco ferroviario), a chilometri dalla stazione, in un posto isolato e lontano da qualsiasi servizio della città, su una strada così pericolosa che c’è da aver paura a percorrerla persino di giorno. Bisogna prendere atto di questa situazione e chiedersi come mai le persone lì non vogliano andare: avranno dei motivi se preferiscono restare sotto al ponte?

Perdipiù, con la chiusura dell’accoglienza alle Gianchette, si è perso anche l’unico posto un minimo tutelato per le donne e i minori. Oggi le ragazze, le giovani madri e i bambini vivono esposte ad abusi e sfruttamento di ogni tipo, senza nessuna tutela.

Come ti vivi questo processo? È un episodio che ti colpisce a livello personale ed individuale, ma è vero che il contesto in cui si inserisce ci racconta di molti pezzi, moltissime persone… Come ti fa sentire l’accusa di diffamazione aggravata? Se potessi tornare indietro, scriveresti di nuovo quel post?

Sinceramente? Me la vivo senza farmi troppi problemi. Nel senso che io ho scelto quella strada lì. L’ho scelta già nel 2015 e l’ho scelta coscientemente. E sì, assolutamente: visti gli eventi di quella giornata, ripeterei tutto nella stessa maniera.

Non ci sono santi su questa cosa: non sono i solidali il problema, non sono i migranti il problema.

Il problema è la frontiera.

Il problema è sempre stato il confine: lo era allora, lo è oggi e lo sarà finchè decideranno di sbarrare la strada alle persone.

Non si può scordare che Ventimiglia sia un posto di frontiera: se tu ne sei il sindaco, hai un paio di modi per provare a governare. Puoi organizzare un’accoglienza come si deve, o puoi far diventare un problema le persone stesse. Ma la seconda è una scelta priva di senso e strategia. Non fermi le persone, così come pure la solidarietà: la puoi stroncare ma solo fino a un certo punto.

Puoi mettere barriere e inventare mille leggi, ma l’essere umano mica si ferma!

Anzi guarda, secondo me Ioculano, denunciandomi, si è creato comunque un ulteriore boomerang: perchè il primo dicembre grazie al processo, mentre lui stava in televisione, a Imperia c’è stata comunque una dimostrazione di solidarietà nei confronti dei migranti. I giornali hanno parlato di nuovo della situazione delle persone bloccate a Ventimiglia, delle ordinanze del sindaco. Non so quanto a lui sia convenuto tutto ciò (scappa una risata).

Nelle tue intenzioni, il processo è quindi un’occasione per riaccendere una luce sulle dinamiche e sugli eventi che si stanno verificando in frontiera e a causa di questa: pensi che sia valido utilizzare lo spazio dei processi e le conseguenze della repressione a questo scopo?

Certamente: secondo me i processi ai solidali dovrebbero essere utilizzati proprio per questo.

La mia volontà è stata proprio quella di far parlare di nuovo di Ventimiglia, della situazione che c’è e della frontiera. Poi non è che io abbia fatto chissà che cosa in tutta questa vicenda: ho solo scritto un post di rabbia e di getto, dopo una giornata terribile. Perchè è stato davvero feroce veder distruggere tutto quello che centinaia di solidali hanno portato al campo per mesi.

Mi ricordo bene quel periodo: andavo tutte le volte che potevo, ai Balzi Rossi, assieme a tantissimi altri, per portare solidarietà. E noi quella roba la sistemavamo, la mettevamo in ordine… hanno distrutto l’impegno e la cura di mesi ! Nemmeno hanno salvato le tende per darle ad esempio ai terremotati. Voglio dire: erano risorse, soldi, fatica, generosità. Le hanno prese con la ruspa e le hanno tirate nei cassoni dell’immondizia, buttando via tonnellate di materiale arrivato dai solidali di tutta Europa. Come ho già detto, ai Balzi Rossi c’era tutto il necessario per una vita dignitosa, inoltre si facevano corsi di lingue, corsi di nuoto, di geografia… Un’accoglienza e una condivisione vere, totali. Tanti migranti lì hanno trovato una sorta di famiglia, incontrando ragazzi come loro, persone come loro, amici che a costo zero per il comune facevano un lavoro immenso.

Un lavoro che comunque l’amministrazione non è evidentemente in grado di sopperire e gestire, considerando come si sono poi evolute le cose sul territorio. Uno sgombero crudele e persino dannoso, che non ha affatto migliorato la situazione.

Ma infondo, basta pensare che Ioculano è un sindaco del PD, lo stesso PD di Minniti e degli accordi con la Libia: detto questo è detto tutto!

Si sente tanto parlare di questo fantomatico decoro: ma il decoro come lo crei? Lo crei facendo accoglienza vera. Costruendo dignità e attenzione. In questo modo invece che migliorare le cose, stai creando davvero un’emergenza! Con oltre duecento persone sotto al ponte, come fai a non ammettere che si stia sbagliando qualcosa?

Io capisco i ventimigliesi, davvero: capisco che ritengano questa situazione un problema, anzitutto per loro stessi. Ma chi ha creato tutto questo? Chi ha fatto saltare tutti i tentativi di dare uno spazio decente alle persone in attesa di passare la frontiera?

Credo che il sindaco abbia perso più di un’occasione in questi tre anni: avrebbe potuto scegliere di coordinarsi con i solidali per gestire spazi di accoglienza al transito, invece che sopprimere tutte le forme di solidarietà.

Il 9 Febbraio Ioculano dovrebbe essere in aula…

Sì esatto. Presumo che venerdì ci sarà anche il sindaco in tribunale. Il primo dicembre 2017 , quando il suo avvocato ha detto: “il sindaco non c’è, è a Roma” pensavamo fosse impegnato in qualche faccenda politica. Invece era a L’Aria che tira su La7, contro Vauro tra l’altro, per cui non gli è nemmeno andata tanto bene: gli è girata male l’aria un po’ dappertutto insomma, da Ventimiglia a Roma! (sorriso divertito)

Venerdì a Imperia farà un po’ la parte della vittima, immagino, ne approfitterà per fare campagna elettorale. Non lo so che cosa dirà, ma lui è un politico e io no: metterà le cose dialetticamente molto bene, penso. Anche se alla fine sono anni che si lamenta ma trova tempo da perdere con la sottoscritta.

Hai ricevuto, da parte degli altri attivisti, dei volontari e dei solidali, un appoggio in questo percorso processuale?

Sì assolutamente! C’è stata molta solidarietà, l’ho sentita forte. Mi fermano persino per strada e nei negozi mentre faccio la spesa e mi dicono: “Brava! Resisti!”. E parlo di gente qualunque, conoscenti, persone lontane dalla realtà di Ventimiglia. Anche la mia famiglia è stata assolutamente comprensiva: sanno quello che faccio e quello in cui credo, sanno del mio impegno nella solidarietà. Anche se all’inizio ho fatto fatica a spiegare a mia figlia che andavo a processo per un post di quel tipo lì, lei l’ha capito in un secondo. Nessuno mi ha detto: “hai sbagliato”, perchè tutti sanno l’impegno e la fatica che metto nel dare una mano a queste persone.

Non ho avuto problemi nemmeno rispetto ai media, devo dire. La questione del mio post ha avuto una risonanza notevole, ed i giornali hanno pubblicato il comunicato scritto in mio supporto. Si è piuttosto parlato molto del contesto, della situazione che c’è Ventimiglia, e questo mi rincuora.

Come pensi di organizzarti rispetto alla richiesta del sindaco di ricevere delle scuse e una forma di risarcimento economico per il famigerato insulto?

Ahahah!!! bella sta domanda, mi piace guarda!!! Non gli ho chiesto scusa in tre anni, gliela chiedo ora dopo aver fatto venire gli avvocati da Torino? Mi vedo già la faccia degli avvocati se facessi una cosa del genere… ahahaha! No ragazzi, eh no, io non devo chiedere scusa a nessuno.

Anche in questo passaggio Ioculano ha dimostrato di avere veramente poco buongusto: fai il sindaco, sgomberi un presidio di solidarietà che era pure efficace nell’accogliere in modo dignitoso queste persone, lasci distruggere tutto quello che c’è… e poi la sera ti metti a leggere i post su Facebook ?! che cosa ti aspettavi di trovare, in risposta, da chi in quel campo c’era dentro da mesi e ci investiva tempo, energie, cura? Cosa ti aspettavi da chi conosceva quelle persone, quei ragazzi sugli scogli che hanno resistito un’intera giornata senza poter bere né mangiare? Hanno buttato via cose che nemmeno gli appartenevano, perchè quelle tonnellate di materiale raccolto erano cose dei migranti e dei solidali che le avevano portate.

Quindi, voglio dire: io vado a processo tranquilla e risoluta. Come ci sono andata l’uno: con mia figlia e con i solidali.

Ma chiedere scusa… andiamo…

Facciamo un passo avanti rispetto ai Balzi Rossi: durante quello sgombero ci fu una risposta mediatica di livello internazionale; due anni dopo quell’evento, veniva posta fine anche all’esperienza di accoglienza delle Gianchette, con la chiusura della chiesa dove sei stata volontaria. Come hai vissuto, rispetto al 2015, questo ulteriore passaggio?

La chiusura delle Gianchette rientra nel “cambiamento climatico” che c’è stato a Ventimiglia. L’esperienza della chiesa si è conclusa nella quasi assoluta indifferenza: una mattina sono arrivati dei pullman, hanno detto alla gente di prendere le loro cose e hanno portato via le persone. C’erano le volontarie che per mesi hanno aiutato in chiesa in lacrime, davanti a quella scena. Credo che questa repressione della solidarietà -le multe, i processi, i fogli di via, gli avvisi di pericolosità- stia effettivamente funzionando, ma al contrario rispetto al buonsenso: perchè funziona facendo dei danni enormi!

Per il resto non si sono ottenuti risultati su niente con questo accanimento. Ed è paradossale che la politica che hanno deciso di portare avanti non abbia giovato nemmeno all’immagine pubblica del sindaco.

Ma è ovvio: la repressione non risolve mai nulla. Lo dimostrano i fatti: dalla Val Susa a tutte le realtà sociali che resistono contro forme di repressione sempre più accanita . Alla fine, come dicono i No Tav: “non si può fermare il vento. Si può solo farlo rallentare.”

Hanno creato tanti problemi a me e a molti altri solidali, anche a livello economico, perchè comunque queste cose costano in termini di tempo, di energie, di risorse. Hanno dato 60 fogli di via da Ventimiglia e non solo….SESSANTA! per che cosa?

Perchè ci sono persone solidali con altre persone che vivono per strada, non certo per scelta ma perchè costrette dalla situazione? E poi? Che cosa vorrebbero concludere così?Quante energie usate nel modo sbagliato!

Insomma, Ioculano ha scelto di gestire la situazione con sgomberi, ordinanze, polizie, repressione: può anche cercare di fare il sindaco buono che ha lavorato al meglio per la situazione migranti a Ventimiglia. Però questa favola può raccontarla altrove: forse a Roma, forse in televisione appunto. Non può raccontarla a chi c’è in quel posto, a chi conosce Ventimiglia e la sua storia dal 2015.

Perchè poi, alla fine, che cosa ha ottenuto? Chi è contento dell’operato del sindaco? Cosa saranno le prossime elezioni? A chi daremo in mano Ventimiglia, grazie a questa politica di intolleranza e a quello che ha creato? Ioculano avrebbe potuto scrivere un’altra storia, trovare il coraggio di fare la differenza rispetto all’abbrutimento generale che si respira in tutta Italia.

 C’è una traccia di sconforto in queste riflessioni.. Come vedi la situazione rispetto al perdurare della chiusura della frontiera?

C’è tanta tristezza, certo. Per come le cose sarebbero potute andare, per come stanno andando…e soprattutto per come andranno in futuro. È per questo che mi sta a cuore che si approfitti del processo per parlare di quello che sta succedendo ora: è un disastro la situazione a Ventimiglia. Quando ho detto ai giornalisti: “andate a parlare coi ragazzi sotto al ponte”, mi è venuto spontaneo dal cuore, non mi ero preparata quella frase.

Di questo bisogna parlare: non della mezza giornata che io passo là sotto cercando di rendermi utile; non del processo; non di quanto si sia offeso Ioculano per un post su Facebook; ma di quelle donne, di quegli uomini, di quei bambini intrappolati a Ventimiglia, delle conseguenze della chiusura dei confini e delle discriminazioni basate sul colore della pelle.

È solo questo quello che voglio: che si parli di loro.

E spero sinceramente che, insistendo tutti assieme, associazioni, Chiesa, chi ti pare insomma, si riesca a far riaprire uno spazio di prima accoglienza per la gente in viaggio, un posto idoneo specialmente per le donne i minorenni, alternativo alla Croce Rossa e che ne superi gli evidenti limiti. Solo un cambiamento in questo senso sarebbe un alleggerimento anche della mia situazione: poter tirare un respiro di sollievo, dopo tutte queste vicende inquietanti.

Diversamente, questo processo non mi cambierà proprio nulla: finito in tribunale tornerò a casa mia… e quelle persone resteranno lungo la strada…

Grazie Rosella, c’è altro che vorresti aggiungere?

Vorrei raccontare tre episodi che ritengo significativi rispetto al clima che si respira in frontiera.

Il primo risale all’estate scorsa: a Ventimiglia si stava lavorando per aprire un centro di accoglienza per venti minori non accompagnati e richiedenti asilo. Quando la notizia si è diffusa, c’è stata una manifestazione di protesta, autorizzata e partecipata da una cinquantina scarsa di persone. Un corteo brutto e davvero preoccupante, in cui hanno messo in testa proprio dei bambini a tenere uno striscione contro altri bambini. È bastato questo perchè l’amministrazione ritirasse tutto in fretta e furia: il centro che sarebbe dovuto sorgere nei pressi del Borgo (ai piedi della zona storica di Ventimiglia, ndr) non è più stato aperto.

Il secondo episodio, sempre sulla stessa scia, riguarda l’ultima manifestazione ventimigliese dei comitati di quartiere. La gente è partita dalla piazza davanti al cimitero ed ha sfilato per tutta via Tenda proprio davanti ai migranti: gli hanno urlato di tutto. Digos davanti, digos dietro, digos nel mezzo, digos di lato, percarità! E questi dei comitati che intanto gridavano qualsiasi improperio.

Quando sono arrivati davanti al legal ponit (l’info e legal point Eufemia, aperto in Via Tenda nella primavera 2017, dall’associazione volontaria Iris, ndr), i manifestanti si sono fermati lì e ci sono stati quanto hanno voluto, mentre noi eravamo dentro con le persone di colore che stavano ricaricando i loro cellulari. Questi fuori hanno detto qualunque cosa, e li hanno lasciati stare lì a provocare per tutto il tempo, ci sono anche i filmati. Dopodichè il corteo è arrivato alla rotonda e hanno bloccato mezza Ventimiglia. E le autorità hanno dato il permesso per una manifestazione del genere, sfilata apposta davanti a tutte le persone che vivono dal ponte, con slogan pieni di intolleranza e pregiudizi. Mi chiedo: quando mai avrebbero dato il permesso di manifestare davanti a uno dei tanti punti delle ultradestre che stanno aprendo? Vedi un po’ che è successo quando c’è stato il chiosco di Casa Pound a Ventimiglia. Contro di noi, invece, hanno potuto tirare insulti come meglio credevano e nessuno è intervenuto nonostante il dispiegamento di polizia.

Vorrei raccontare un’ultima cosa per completare il quadro sul clima che si sta diffondendo in Italia, non solo a Ventimiglia. Su un sito di informazione era riportato l’episodio del poliziotto che, nella stazione di Ventimiglia, se la prende con un ragazzo di colore e gli urla di tornarsene in Burundi. Nei commenti ho espresso la mia preoccupazione rispetto a certi atteggiamenti tenuti dalle forze dell’ordine, e mi sono augurata che il poliziotto in questione fosse stato quantomeno sospeso. Le risposte che mi sono arrivate… di tutto! Di tutto!

Un tipo mi ha scritto: “Rosella Dominici sei una troia, muori presto!”, riferendosi al mio impegno su Ventimiglia. E più sotto ancora: “è per colpa delle buoniste come te che questo paese va a puttane”! Con il mio nome e cognome… questo è stato il peggiore, ma è arrivata una valanga di insulti solo per aver commentato un video in modo assolutamente civile.

Questa è Ventimiglia oggi.

Questo è quello che hanno costruito l’amministrazione cittadina, le autorità e le istituzioni tutte.

Owl

Tra sgomberi, pulizia e ruspe: l’abitudine è la notizia

La notizia: Giovedì 18 e Venerdì 19 Gennaio, è stato eseguito un intervento straordinario di pulizia del lungofiume Roja e dei buchi sotto al ponte ferroviario (le feritoie che servono a far defluire le acque in caso di piena del fiume, così che non crollino i pilastri che reggono la ferrovia).

La storia è sempre la stessa, ormai, dall’inverno 2015/2016: le persone in viaggio si sono costruite nel tempo prima dei giacigli, poi delle piccole baracche isolate, ed attualmente una sorta di accampamento per la sopravvivenza. Con uno spazio per la lettura, uno per la preghiera, passeggini, giochi di società e un “punto barbiere”.
Lungo il fiume non ci sono soltanto le persone che tentano il primo giro di attraversamento della frontiera: molti uomini e molte donne sono al secondo, terzo, decimo tentativo. Altre ed altri, invece, avevano raggiunto da mesi il nord Europa, e adesso sono di nuovo qui perchè dublinati dagli altri paesi, sono stati rimandati al punto di partenza.1

Ci sono persone che hanno perso il posto in accoglienza, o che sono in attesa del ricorso per la richiesta d’asilo, o che hanno già ricevuto un diniego ma aspettano l’appello, o che non riescono a rinnovare il permesso. Ci sono anche quelle persone che hanno ricevuto il documento ma, non potendo trovare una casa e un lavoro in Italia, tentano fortuna altrove. Ci sono persone che, semplicemente, ormai stanno qui.2

A centinaia, nei mesi, si sono riparate tra i cartoni e i pilastri del cemento, riorganizzando le proprie vite lungo le sponde di un fiume inquinato, in una cittadina di frontiera divenuta ostile e pericolosa, a ridosso di un confine sempre più violento e blindato.

Ma passare, comunque, si passa. Si paga in molti modi diversi, con convinzioni e paure diverse, con vantaggi e privilegi diversi, con conseguenze diverse. A volte si muore. A volte si scappa.
Il più delle volte si torna indietro, e si ricomincia.3 4 5  6 7

Molte sono le vite che hanno abitato ed abitano tutt’ora l’alveo del fiume Roja, l’ultimo corso d’acqua del ponente ligure che scorre anche in Francia, che è divenuto così un protagonista mediatico delle vicende frontaliere legate all’”emergenza migranti”.
Vicende che però hanno origini precedenti rispetto alle “pulizie straordinarie” lungo al fiume.

All’inizio dell’inverno 2016, ritenutasi conclusa l’”emergenza” estiva, venne decisa la chiusura del centro di Croce Rossa Italiana che si trovava allora in Piazza Cesare Battisti, accanto alla stazione e quindi in pieno centro. L’allora ministro dell’Interno Alfano, in visita alla città di frontiera, il 7 maggio 2016, dichiarò che i migranti non sarebbero più arrivati e che il centro era ormai quasi vuoto.9 10 11 12 13 14 15

Solamente pochi mesi dopo si ordinava un’apertura d’urgenza del nuovo campo CRI, preparato in fretta e furia nella desolata periferia ventimigliese per dirottare fuori città l’arrivo ininterrotto di gente che cercava ristoro alla chiesa di Sant’Antonio delle Gianchette. Questa, dal giugno 2016, era divenuto infatti l’unico punto d’accoglienza disponibile.
Nel passaggio che intercorre tra la chiusura del piccolo centro CRI in stazione e il nuovo campo CRI in periferia, quindi nell’arco dell’inverno/primavera 2016, le persone in viaggio hanno subìto una progressiva messa al bando dagli spazi del centro cittadino.
Alfano aveva promesso che non ci sarebbero più stati migranti, e quindi si iniziarono a mandare le prime ruspe per fare repulisti dei ripari di fortuna che stavano sorgendo in stazione e alla foce del Roja, nelle fasce di sabbia dove il fiume raggiunge il mare.

Nella mattinata dell’11 maggio 2016, quando le ruspe arrivarono assieme ai vigili urbani, la maggior parte delle persone, preavvisate dall’affissione delle ordinanze e dal passaparola dei solidali, decisero di spostarsi più a monte lungo l’argine sinistro del fiume, andando ad occupare con coperte e bagagli lo spazio che risulta protetto dalle piogge sotto al ponte del cavalcavia.16 17

Per quasi tre mesi la gente in viaggio, supportata dalla solidarietà di attivisti, volontari, commercianti della via adiacente al fiume (Via Tenda), era riuscita qui a trovare un posto relativamente sicuro in cui prendersi il tempo per capire il passo successivo nel proprio percorso.
Tutt’intorno infuriavano le operazioni di rastrellamento delle forze dell’ordine, che pattugliavano la città dragando le strade e organizzando retate e inseguimenti nell’area della stazione, per catturare i clandestini. 18 19 20 21 22 23
Il governo del PD, il sindaco Ioculano, il ministo Alfano ed il capo della polizia Gabrielli, avevano promesso che i migranti sarebbero spariti dalle strade della città. Perciò per non perdere voti e faccia, nello stesso periodo delle ruspe lungo il mare e dello smantellamento del campo CRI in stazione, scattò quindi la pratica cittadina della caccia all’uomo nero.
L’obiettivo di questi interventi, che nei mesi hanno implicato anche l’uso di violenza e tortura (24 25 26 27), era catturare il numero giusto di migranti rispetto ai quotidiani posti disponibili per mandarli altrove, preferibilmente nel sud Italia, spostandoli con pullman della rete locale dei trasporti (e per tutto il 2016 anche con aerei e traghetti). Da allora non si è più smesso di farlo.28 29 30

La situazione di intolleranza rispetto alla presenza delle persone migranti in città portò al braccio di ferro tra sindaco e prefettura conclusosi, il 27 maggio 2016, dopo saltimbanchi politici e riti di convenienza, con la firma della prima ordinanza di pulizia e sgombero del lungo fiume Roja. 31 32 33 34 35

Le risposte che da allora si sono susseguite, dall’accoglienza momentanea in Caritas per un paio di giorni, ai mesi di ospitalità nelle sale parrocchiali della chiesa di Sant’Antonio, fino all’apertura del campo CRI nell’ex parco ferroviario di Trenitalia, non hanno mai convinto le persone a rinunciare alla propria volontà di decidere dove e come dormire, a che ora mangiare, a che ora andare a letto.36 37

La gente ha sempre preferito le sponde del fiume: un luogo difficile e malsano, in cui tuttavia è possibile costruirsi un microcosmo di autonomia, fatto di relazioni e di suggerimenti, di prassi da campo, condivisione e strategie della sopravvivenza, di servizi utili, anche se a pagamento. La gente ha preferito restare sul ciglio della strada perchè non è arrivata fino a qui per stare nei container recintati da inferriate e polizie.
Ma per organizzarsi e tentare, di notte e di giorno, di superare il confine.
Se la vita tra topi e scabbia non è confortevole, per moltissimi restano preferibili queste piaghe al  farsi toccare da mani coperte con i guanti di lattice di operatori CRI e forze dell’ordine. E al farsi identificare ancora e ancora e ancora. I giornalisti, da anni e fino agli ultimi servizi circa la pulizia del fiume in questione, continuano a scrivere che la gente non vuole lasciare le impronte.38

Ma la verità è che la quasi totalità delle persone che transitano in Italia sono già state identificate. Una due, mille volte. E che si sono semplicemente stancate di essere spostate e trattate e comandate come massa di corpi da gestire.
Non solo il campo istituzionale della CRI è sempre stato inadatto e comunque insufficiente a garantire minimi standard di dignità. Senza bisogno di ricordare la promiscuità tra gli spazi per le donne, le bambine e i bambini e quelli per gli uomini. Senza bisogno di ripetere che per raggiungere il campo si devono fare chilometri dove sfrecciano automobili.39 40

Con uno sguardo diverso dall’ottusità della retorica emergenziale e assistenzialista, appare davvero bizzarra la reazione continua di stupore e fastidio delle istituzioni nei confronti delle persone che decidono di vivere nella plastica lungo un fiume: queste persone, scegliendo il ponte del cavalcavia, scelgono di auto determinare i propri percorsi e le proprie esistenze in maniera indipendente.
Perchè devono andare avanti. Perchè creano reti di informazioni e di comunità, reincontrando gli amici e i parenti che hanno provato prima di loro a passare il confine. Perchè lì incontrano i lavoranti che ti fanno arrivare in Francia. Perchè lì possono vivere senza coprifuoco e senza l’umiliazione di sfilare continuamente sotto agli occhi di blindati e scanner per impronte digitali, che gli ricordano quotidianamente come qui siano considerati: criminali.

Nello scorrere dei mesi e  con il crescere di un’intolleranza razziale che mette radici sempre più profonde, sono arrivate altre ruspe, altre ordinanze d’urgenza, altri divieti di portare cibo alla gente. Le polizie hanno proceduto nell’identificazione dei solidali ma anche degli operatori delle associazioni, che, di volta in volta, portavano assistenza medica, compagnia, supporto legale, giacconi, sostegno, sacchi a pelo, un saluto.41 42 43 44 45 46

Dove all’inizio scattavano orrore e allarme, è subentrata l’assuefazione.


È diventato consueto vedere baracche ruspate e ascoltare ciclici proclami comunali a proposito di gran repulisti. Non molti mesi addietro le istituzioni avevano proposto persino di murare i buchi del ponte  per far sloggiare la gente, ma la verità è che le feritoie non possono essere chiuse (anche se negli ultimi giorni si vocifera circa una possibile installazione di grate mobili, removibili in caso di piena ) o il ponte rischia di crollare se il fiume si ingrossa. Così come la verità è che la gente, per quanto la si colpisca e la si umili, non rinuncia facilmente a decidere da sola cosa sia meglio per sé.

Le persone sono tornate e ritornate sotto al ponte. In una situazione certamente sconfortante dal punto di vista sanitario, che però è inevitabile vista la precarietà in cui sono obbligati a vivere quelli che da lì passano, e visto che ogni soluzione differente è stata annientata nel tempo.
Ci sono stati ripetuti passaggi tra le istituzioni e le varie ONG (arrivate sul territorio della frontiera ventimigliese a partire dall’estate 2016).
Le associazioni hanno proposto molte strutture alternative al campo ipermilitarizzato della Croce Rossa: hanno chiesto centri per minorenni e donne, hanno avanzato suggerimenti che la prefettura ha fatto cadere nel vuoto. Volontari e operatori, dalla chiesa agli scout, da medici a psicologi, hanno chiesto che la chiesa di Sant’Antonio delle Gianchette, una risposta informale e organizzata dalla spontaneità dei volontari per la tutela delle cosiddette categorie vulnerabili, venisse risparmiata dalla chiusura. 47 48 49 50 51 52

L’avanzamento della falce repressiva, che mette la gente in viaggio in situazioni di volta in volta sempre più estreme, provanti, mortificanti, sta spingendo migliaia di donne e uomini, migliaia di storie e possibilità, nell’angolo della ghettizzazione.
Un processo concreto (lo spostamento di tutta l’”emergenza migranti” verso aree sempre più esterne della città) e simbolico (il linguaggio ed i toni con i quali si parla di uomini e donne che arrivano dall’Africa e dal Medio Oriente: clandestini, profughi, gli invisibili 53), che rende molto più facile dimenticarsi di avere a che fare con esseri umani.
E rende facile metabolizzare la sospensione dell’apertura a Ventimiglia di venti posti in accoglienza per bambini, a seguito di un corteo di pancia della parte intollerante della cittadinanza, quella convinta dalla campagna della paura e dall’odio razziale.

Gli umori della città si sono fatti via via sempre più ostili e sembra ormai lontano il tempo in cui Ioculano si faceva scrupoli nel dover mettere in atto provvedimenti di sgombero, perchè “viviamo difficoltà che non riguardano la mia pelle: tra uno o due giorni non mandano via me, mandiamo via questa gente”. 54 Nel maggio del 2016 il sindaco ci tenne a ricordare che l’ordinanza di sgombero era dovuta e che era una questione che riguardava la questura ma che era dispiaciuto per la grave situazione umanitaria in cui versavano le persone. Oggi, questo stesso sindaco, vorrebbe istituire dei presidi militari fissi lungo il fiume Roja, mentre si invoca un aumento delle risorse armate dell’operazione “strade sicure”.

Mentre i mesi passano e il confine si fa sempre più potente e opprimente, tutto diventa ordinario e ci si abitua a “soluzioni” mano a mano più odiose.
Che soluzioni non saranno mai, finché restano presidiati i valichi di frontiera e negata la libertà di circolazione delle persone. Finché si vuole decidere per loro, e non assieme.
Si ordina senza tregua a volontari e operatori delle associazioni di andare a dire alla gente di levarsi dalle sponde del Roja per mille motivi: perchè ci sono gli attivisti, perchè ci sono le piogge, perchè c’è troppo caldo, perchè ci sono le malattie, perchè fa troppo freddo…e così via a seconda delle stagioni. Un tentativo ininterrotto di escludere queste persone dalla visuale dell’elettorato, per spostarle nella periferia della città e delle coscienze.
Nessuno si preoccupa di domandare alle persone che scelgono quegli spazi perchè stiano lì, perchè preferiscano l’acqua gelata del Roja all’acqua gelata delle docce al campo.

All’ultimo consiglio dell’amministrazione comunale, il 21 novembre 2017, si è stabilito di far diventare regolamento di polizia urbana il divieto di dare il cibo in strada, che fin’ora era stato in vigore solo come ordinanza sindacale: una misura per sua natura emergenziale e quindi transitoria (letteralmente: “contingibile ed urgente”).
Come risposta al consesso comunale la macchina si mette in moto: Martedì 16 Gennaio viene firmata l’ennesima ordinanza di pulizia del fiume. ordinanza sgombero16-01-2018 Controversa nei contenuti perchè preannunciava le pulizie dei fornici del ponte (i tunnel nei pilastri ferroviari), ma parlava anche degli accampamenti lungo il fiume.55 56 57 58

Il clima è teso nelle ultime settimane: anche se il natale e la fine dell’anno appena passata hanno distratto i manifestanti più xenofobi dai proclami “alla Salvini” (59 60 61), Ioculano e il PD non si scordano che le elezioni del 4 marzo si stanno avvicinando.
Il sindaco passeggia lungo via Tenda, visita il centro della Croce Rossa, sentenzia contro attivisti e volontari, invoca presidi militari nel mezzo della città. E manda le ruspe.

Giovedì 18 mattina, la giornata prevista per l’inizio delle pulizie, un numero importante di giornalisti è arrivato sotto al ponte, aspettandosi uno sgombero mediaticamente succulento sul quale costruire uno scoop che “tirasse” l’audience. Tra reporter, associazioni, polizia, volontari, solidali e operatori ecologici, lo spettacolo ha avuto inizio circondato da ruspe, autovetture con lampeggianti, container per i rifiuti: alle otto del mattino, non mancava nessuno. Soprattutto, erano ben vigili tutte le donne e gli uomini che vivono nella tendopoli, tesi nell’ansia di capire se le fantomatiche “pulizie” sarebbero rimaste tali o se invece era in arrivo uno smantellamento di tutti i rifugi.

Nonostante la folta schiera dei media si aspettasse probabilmente di rimediare lo scoop di un altro tentativo di attraversamento di massa della frontiera (62 63 64 65), la verità che hanno potuto raccogliere è quella dello squallore e della violenza del confine, inferta ogni giorno a questo territorio e a chi lo attraversa senza il documento giusto.
Non è successo nulla, insomma. Nulla che non stia succedendo da mesi.
I giornalisti erano quasi delusi e dopo un paio d’ore di riprese di ruspate se ne sono andati. L’unica cosa effettivamente sgomberata sono stati i buchi in cui vivevano alcune persone che al mattino sono state fatte allontanare: hanno recuperato zaini e fagotti e se ne sono scese inveendo contro chi stava arrivando a demolire i ripari e a gettare via oggetti e materassi. Ruspare beni di conforto e ristoro insomma. Per favorire la sicurezza e il decoro.

Per il resto, lo schieramento di operatori e mezzi della Docks Lanterna ha recuperato spazzature e rimasugli di bagagli delle persone che son transitate lungo l’argine sinistro del fiume.
L’obiettivo nell’indurre un peggioramento del disagio e dell’incertezza è scoraggiare le persone dal continuare ad accamparsi lungo il cavalcavia.
Venerdì mattina, con i tunnel del ponte ormai evacuati, la pulizia è proseguita nell’indifferenza, ormai spento l’interesse mediatico e passato l’ennesimo al lupo al lupo della “questione migranti”.
Di tutto il calderone che si era sollevato nei giorni precedenti alle pulizie/sgombero, sono usciti un paio di servizi nemmeno del tutto precisi, giovedì dopo pranzo, e tutto è rientrato nella routine frontaliera.

Forse arriveranno operazioni più mirate e invasive di smantellamento della tendopoli. Sicuramente ci saranno altre ruspe, per queste persone, altri balletti di giornalisti e polizia, altre ordinanze urgenti… che stavolta si sono pure dimenticati di affiggere, nonostante sia obbligatorio: la faccenda della ruspa quadrimestrale è ormai diventata ordinaria amministrazione.
Sono state spese un mucchio di parole e di pubblici gesti per quella che alla fine è una non notizia: la notizia che la città sta scivolando nell’assuefazione alle proprie inadempienze ad alla propria intolleranza. La notizia che la gente che vive per strada si arrangia tra scatoloni e lattine vuote.
Le coscienze si rilassano e l’indignazione si spegne.
Niente che valga la pena di essere scritto e raccontato insomma: un trafiletto sui locali circa le “pulizie”, e si volta la pagina.

I giornalisti si sono dimenticati di raccontare che, nel frattempo, mentre l’attenzione era chiamata dal protagonista ponte, in frontiera l’ennesimo pullman per le deportazioni verso Taranto veniva caricato con i soliti respingimenti di persone dalla Francia.
Un cinquantenne bengalese con richiesta d’asilo a Parigi era stato catturato il giorno prima sul treno nel nord della Francia e spedito agli uffici di frontiera italiani dopo una notte nelle celle francesi.
I militari in italiano intimavano ai ragazzi rimandati indietro dalla polizia francese di mostrare un documento: “documento…. documento!!!… IL DOCUEMENTOOOO!”.
Ma loro non lo capiscono l’italiano. Nemmeno se si urla o si parla facendo smorfie esplicative.
Il bengalese poteva tornare legalmente in Francia, ma non sapeva in che direzione doveva dirigersi e a chi e con che lingua domandarlo, perchè i carabinieri che lo stavano guardando non capivano l’inglese. Poco dopo, un ragazzo ha avuto una crisi epilettica ed è andato lungo disteso mentre lo caricavano sul pullman. La stanchezza…la paura… chissà…

Quindi: la troupe RAI stava sotto al ponte sperando nel pezzaccio sullo sgombero straziante; le deportazioni sono proseguite; la Caritas si è organizzata per far arrivare il cibo alle persone sotto al ponte troppo preoccupate per allontanarsi dalle loro cose e dai loro bagagli; i ventimigliesi del quartiere hanno regolarmente portato i propri cagnetti a defecare in mezzo alle tende delle persone, passeggiando come ogni giorno con indifferenza tra ruspe, volanti, telecamere, rifiuti.
Una realtà quotidiana che sta diventando banale.

La notizia, per una volta, potrebbe essere un campanaccio d’allarme per il fatto che tra allarmismi, emergenze umanitarie, appelli contro le violazioni dei diritti, richiami alla morale ed alla “legge”, conte e statistiche sul numero dei “migranti” (i passati, i morti, i respinti, i ritornati, i deportati), stia diventando banale persino il dover ricorrere continuamente al concetto di Banalità del Male per provare a spiegare la situazione (66).
La notizia potrebbe essere che non c’è niente che faccia più notizia.
Che materassi caricati sulle ruspe passino indenni sulla coscienza collettiva e che, meno di tre giorni prima dello sgombero sbandierato come notiziona, un’altra persona era stata trovata carbonizzata sul tetto di un treno, e la cosa, due giorni dopo, era già diventata stantia.
La notizia potrebbe essere che nessuno sa più nemmeno dire con precisione quanti siano gli uomini e le donne morte a causa del confine.
Non solo perchè si dimenticano le conte, le statistiche e i numeri, ma anche perchè non si sa con certezza quanta gente sia davvero caduta nei monti. Sono stati tutti trovati e soccorsi? Le autorità ci raccontano quanti corpi raccolgono nei dirupi? I giornali ci informano sulle sorti di coloro che cadendo e scappando dalla polizia e dai cani riportano gambe e braccia spezzate, che rimangono disabili o menomati? La notizia è quanto questo NON sia considerato interessante.

La notizia è che di giornalisti e associazioni, il giorno seguente, non ci fosse più nemmeno l’ombra: lo spazio terroso tra la strada e il fiume era deserto. Solo le tende e le ruspe, le persone in viaggio e le pattuglie. Non un volontario, non un giornalista.
Non un testimone della Storia che diventa routine di apartheid.
Forse nemmeno perchè in malafede, ma perchè, ancora più grave, gli strilloni dell’emergenza e della straordinarietà stanno diventando il ronzio dell’abitudine.

Owl

“Aspettiamo altre vittime di Frontiera per parlarne?”

Segnaliamo volentieri il documento di denuncia della situazione e di appello alla cittadinanza solidale, inviatoci dal gruppo Solidali del Ponente e già pubblicato dalle testate locali di Sanremo News e Riviera24, sulle quali è possibile leggerne la versione integrale.

https://www.riviera24.it/2017/12/i-solidali-del-ponente-a-ventimiglia-tra-opportunismi-e-reticenze-arriva-il-gelo-aspettiamo-altre-vittime-di-frontiera-per-parlarne-272755/

In un primo momento la testata online Sanremo News aveva erroneamente attribuito l’appello dei Solidali del Ponente alla redazione di Parole sul confine. Risolto tale fraintendimento, cogliamo l’occasione per specificare che il presente blog nasce come strumento di inchiesta e di informazione indipendente, e non appartiene ad alcuno specifico gruppo o movimento politico presente sul territorio frontaliero. Ciononostante, dare risalto a contributi come questo dei Solidali del Ponente è esattamente l’obiettivo editoriale di questo progetto, che ambisce a raccogliere e diffondere tutte le testimonianze, le notizie e le informazioni “di parte” che vengono taciute dai mass media e nascoste dalle istituzioni.
Di quale parte parliamo? Di quella ostacolata e delegittimata da un sistema di potere che impedisce di trovare spazio e prendere la parola nel dibattito pubblico alle molteplici realtà, collettivi, gruppi ed individui che vogliano esprimere un punto di vista critico e di denuncia dell’attuale operato dei governi europei e, nel dettaglio, di quello italiano e delle istituzioni preposte alla gestione della frontiera franco-italiana. 

Il comunicato dei Solidali del Ponente si conclude con un appello che chiede alla cittadinanza solidale di non rimanere indifferente spettatrice di fronte alle violenze e al dramma umano vissuto quotidianamente dalle persone migranti che arrivano a Ventimiglia:

A Ventimiglia il Centro CRI è praticamente full, sono ospitate circa 500 persone di cui alcune nelle tende. Altre , circa 250 cercano di sopravvivere tra accampamenti improvvisati sotto il ponte, ripari di fortuna, fuochi, anfratti vari; tra loro molti minori e famiglie con bimbi e tutti, chi più, chi meno con problemi sanitari determinati dalle durissime condizioni di vita all’addiaccio e da malnutrizione.

Le condizioni meteorologiche stanno precipitando in queste ore, sono previste gelate anche sulla costa con minime attorno allo 0°.

Non è una situazione di emergenza questa?
Non dovrebbe attivarsi l’Amministrazione, la Protezione Civile , la Prefettura, la Diocesi stessa per far fronte a questa Emergenza Umanitaria.

Non si venga a proporre , come da qualcuno già suggerito, uno sgombero umanitario…. Li abbiamo già visti, gli sgomberi, aggiungono solamente nuova violenza su soggetti già provati da innumerevoli sofferenze.

Riapriamo Gianchette, riapriamo almeno temporaneamente spazi protetti alla stazione, facciamo qualcosa prima che succeda l’ennesimo, irreparabile “Omicidio di Frontiera” perché come ci insegna Ioculano “Non sono i centri d’accoglienza che attirano le persone, ma le frontiere.”

Non si tratta di una presa di posizione ideologica o utopica, bensì, come si evince leggendo l’articolo, è il frutto di un’analisi precisa delle dinamiche politiche messe in atto dalle Istituzioni negli ultimi mesi. Come correttamente ricostruito, a metà agosto l’amministrazione cittadina ventimigliese, supportata dalla Prefettura di Imperia, faceva chiudere il centro di accoglienza volontario e non istituzionale della Chiesa  delle Gianchette, sulla base dell’allargamento del Campo della Croce Rossa sito nel Parco Roya. [1]

L’effetto di queste operazioni è stato quello di far aumentare il numero delle persone accampate sulle sponde del fiume Roya, sotto al cavalcavia di Via Tenda. Inoltre, nonostante la riduzione dei flussi migratori dall’Africa, dovuta agli accordi del governo Italiano con il  “governo” libico di Serraj e alla conseguenze istituzione di campi di detenzione per migranti in Libia, durante l’autunno il numero dei migranti presenti a Ventimiglia è costantemente aumentato. Come riportato nell’articolo, è stata la stessa Prefettura di Imperia a svelare l’arcano: a Ventimiglia arrivano persone che hanno fatto richiesta d’asilo in Italia e che fuggono dal circuito dell’accoglienza italiana, quando non ne vengono comunque dimesse o rifiutate (ma soprattutto, aggiungiamo noi sulla base di molte testimonianze raccolte nell’ultimo periodo, a causa della progressiva  trasformazione del sistema d’accoglienza in un allarmante sistema di sfruttamento e segregazione).

Di fronte al complicarsi della situazione e all’aumento dei respingimenti dalla Francia, l’amministrazione comunale di Ventimiglia, in palese difficoltà, ha cominciato a parlare di una chiusura dello stesso campo della Croce Rossa che solo pochi mesi fa era stato presentato come fiore all’occhiello della politica comunale ed addirittura come auspicato esempio per le altre regioni frontaliere che vivono una simile pressione migratoria, dovuta alla chiusura dei confini da parte dei paesi del nord Europa.

 Così sintetizzano la situazione i Solidali del Ponente nel loro comunicato:

E allora è interessante chiederci dove si vuole andare, quale sia la strategia e l’obiettivo delle esternazioni e dell’agire dell’Amministrazione Comunale di Ventimiglia, ma più in generale delle Istituzioni, in particolare della Prefettura di Imperia. Piacerebbe sapere insomma che cosa dovrebbe succedere a quelle 700/750 persone migranti presenti a Ventimiglia se vogliamo andare ad “una progressiva chiusura del parco Roja”?….stiamo forse pensando ad una “soluzione finale”?

Questo è il quadro di insieme della situazione Ventimigliese caratterizzato da incongruenze e schizofrenie che vengono probabilmente dilatate oltremisura dalla complessità del fenomeno ma soprattutto da opportunismi politici e da “opportunità” di sviluppo commerciale: la “Zona Franca Urbana” e la sua pioggia di milioni, la sdemanializzazione dell’area FS, la ricerca del consenso in funzione elettorale….

Ecco, quindi, che appare chiaro come la situazione attuale  che vede la barbarie diventare legge non sia il frutto di casi fortuiti o di fenomeni andati fuori controllo, bensì il prodotto delle politiche attuate consapevolmente dalle istituzioni in questi mesi.

Di conseguenza, a partire dalla lettura degli eventi e dalla consapevolezza delle cause, appare sempre più urgente un ritorno di presa di parola e di iniziativa da parte di tutte le persone  (e si auspica possano essere sempre di più) che negli ultimi due anni hanno dimostrato che è possibile contrastare l’ingiustizia e il dilagare di politiche disumane.

g.b.

 

[1]  Sulle numerose criticità del Campo della Croce Rossa rimandiamo ad alcuni articoli già pubblicati su questo blog : https://parolesulconfine.com/parco-roja-minaccia-la-sicurezza/ ; https://parolesulconfine.com/migranti-al-gelo-a-ventimiglia/ ; https://parolesulconfine.com/trafficking-al-confine-di-ventimiglia/

La marea razzista monta anche a Ventimiglia

Ventimiglia, la città dice “stop” a nuovi centri di accoglienza per migranti – da Riviera24

 Il 9/8/2017, il 12/8/2017 e  infine il 19/8/2017, a Ventimiglia, si sono svolte tre manifestazioni contro la presenza dei migranti.

 

Ecco una cronaca ragionata dei fatti.

9/8/2017 – Si è tenuta a Ventimiglia una manifestazione con circa 200 partecipanti contro l’apertura di un centro d’accoglienza per minori stranieri non accompagnati. I manifestanti marciavano per le vie della città di confine rivendicando il diritto di decidere in merito alla non apertura del centro perchè “esiste già il Parco Roja (centro gestito dalla Croce Rossa) come centro di accoglienza”.

Il Parco Roja è solo un nome per i molti cittadini che non l’hanno mai visto, essendo situato in un luogo isolato e lontano da ogni insediamento abitativo. Per chiarezza informativa, va detto che il centro della CRI è stato spostato più di un anno fa dal centro cittadino all’estrema periferia della città, seguendo un’ottica meramente securitaria e di controllo sociale. All’ingresso del campo del Parco Roja sono presenti camionette della Polizia; al suo interno, dentro container e tende forniti di brande, vengono alloggiati centinaia di migranti, uomini donne e bambini, che vi sostano con la speranza di riuscire ad oltrepassare il confine.

Riprendendo dalla manifestazione: in apertura vi era uno striscione con su scritto “L’accoglienza sia sostenibile! NO ad altri centri migranti in città”, con dietro un gruppetto di consapevoli manifestanti: otto bambini con un’età che andava dai 9 ai 13 anni. Una scena che mostra lo sdoganamento di un modello educativo razzista volto ad insegnare fin da bambini a non accogliere nemmeno i propri coetanei, giustificandosi dietro alla logora litania: “non sono razzista ma….”. La manifestazione è arrivata fin sotto al Comune dove i partecipanti al corteo hanno urlato slogan quali “Vergogna! Vergogna!” e “Fuori! Fuori”:  cori indirizzati al Sindaco Ioculano.

Continuava così la rappresentazione di piazza: con gli adulti a dare il la, i bambini in prima fila che li seguivano, accennando un sorriso divertito ma anche perplesso, guardandosi tra loro e intorno per cercare di capire la situazione. Passati pochi minuti, usciva il Sindaco del PD, Enrico Ioculano, scortato dalla digos ed applaudito dalla folla, affrettandosi ad affermare di essere contro l’apertura di nuovi centri d’accoglienza, precisando più volte come la sua posizione fosse già stata espressa ai giornali. Concludeva il comizio consigliando ai partecipanti di recarsi tutti insieme a parlare con la prefetta di Imperia, Silvana Tizzano, per ribadire la  posizione della “cittadinanza” intemelia. All’affermazione del sindaco di non aver nessun potere sulla decisione, la folla iniziava a scalpitare, rivendicando il fatto che il popolo debba decidere sull’accoglienza o sul rifiuto di persone che arrivano da altri continenti. Una posizione che esprime chiaramente come una certa accezione di popolo – e dunque di populismo – oggi, in un mondo dove le geografie politiche e sociali sono totalmente trasformate, non contengano più una carica di trasformazione sociale, bensì vengano usate in chiave reazionaria.

Il sindaco, con gesto che suggeriva autocommiserazione, concludeva allargando le braccia dichiarando che la gestione del problema dei migranti “è un casino”. La manifestazione finiva con esternazioni tipiche del razzismo di pancia,  inquietanti per chi rifiuta la discriminazione, l’intolleranza, la guerra tra poveri e la violenza sui più deboli.

 

12/8/2017 – Nuova protesta a Ventimiglia contro i migranti; circa 100 persone hanno manifestato davanti al Comune per richiedere l’allontanamento dei migranti dal centro città ed anche dal Parco Roja dove sorge il Centro della CRI. All’interno della manifestazione c’erano anche esponenti della Lega Nord e di Forza Nuova. Lo striscione di inizio del corteo recitava: “ I candelotti sul Roja non sono esplosi ma i ventimigliesi sì”, riferendosi all’ordigno inesploso trovato lungo il fiume di Ventimiglia qualche giorno prima della manifestazione. In questo corteo i partecipanti hanno minacciato nuove azioni contro i migranti nel caso non  venissero ascoltati dalle istituzioni.

19/8/2017 – Si svolge ancora un corteo a Ventimiglia, stavolta contro il degrado. Ma anche stavolta vengono chiamati in causa i migranti: il loro stazionare per medio e lungo tempo lungo le strade della città causerebbe una “pessima situazione igienico-sanitaria”. Il corteo arriva fin sotto al Comune chiedendo al Sindaco nuove ordinanze contro chi bivacca e consuma alcolici. Alcuni manifestanti urlano al Sindaco Ioculano di dimettersi ed inneggiano al ritorno del vecchio Sindaco appartenente a Forza Italia, Gaetano Scullino (curioso perchè durante il suo mandato il Ministro degli Interni aveva commissariato il comune di Ventimiglia per infiltrazioni mafiose, ma evidentemente questo elemento, per quei cittadini, non rientra nella categoria del “degrado”).

Dopo queste tre manifestazioni è stato girato un video dagli abitanti di Grimaldi Superiore, ultima frazione italiana prima del confine, per mostrare la spazzatura che i migranti lascerebbero quando passando dal paese per poter raggiungere la Francia.

“Tanto per chiarire subito questo video NON è contro gli immigrati” spiega un abitante di Grimaldi Superiore e continua dicendo che ci sono organizzazioni internazionali che contattano i migranti e, facendosi pagare, portano i migranti in Francia, la quale però spesso poi li rimanda in Italia; le persone che fanno parte di queste organizzazioni intimerebbero di lasciare tutti gli effetti personali e i vestiti per strada prima di raggiungere la frontiera. Per gli abitanti di Grimaldi la colpa non è quindi dei migranti in transito ma delle istituzioni che non ripuliscono l’aerea di transito. Colpisce però l’elaborazione di un discorso pubblico in cui manca qualsiasi riferimento alla dimensione politica della migrazione, introiettata e considerata come mero problema di ordine pubblico.

In questo panorama i presagi di linciaggi e il clima da caccia alle streghe si fanno sempre più palpabili: le vittime sacrificali sono i migranti e i solidali. I fatti di Ventimiglia confermano quanto si sta verificando sempre più spesso e sempre più diffusamente in giro per l’Italia. L’alleanza istituzionale tra le forze governative, trainate dal PD, e i movimenti di estrema destra, segnano l’affermazione e lo sdoganamento di pratiche, discorsi e ordini normativi di stampo fascista.

Stiamo assistendo al crescere del numero dei cittadini italiani che accettano, senza porsi domande né muovere dito, di far parte di un sistema sempre più razzista ed esclusivo. Una parte di cittadinanza scende in piazza reclamando l’esclusività dei propri diritti di cittadinanza contro chi migra nel tentativo di trovare e costruire spazi di libertà in questa Europa. I solidali e gli attivisti politici sono sempre più presi di mira da parte delle autorità con l’avallo dei cittadini catturati dalle retoriche  xenofobe e fasciste: su questo Ventimiglia è emblematica.  Una delle ultime uscite mediatiche del sindaco Ioculano è stata quella per cui nella città di frontiera “la vera sciagura non sono i migranti ma i No Borders”.

Ora che il movimento politico, identificato con il nome No borders, è stato disgregato, principalmente a causa delle misure repressive, e che in città restano gruppi di attivisti che praticano la solidarietà diretta ma non riescono ad organizzarsi  politicamente insieme ai migranti, le istituzioni hanno buon gioco a mettere definitivamente all’indice l’idea del conflitto e della rivendicazione politica  dell’uguaglianza, dei diritti di cittadinanza per tutti, della libertà di circolazione, della dignità di tutti e dei privilegi per nessuno. Il movimento No Borders, per oltre un anno, è stato capace di aprire, insieme alla frontiera, nuovi immaginari e  creare nuovi linguaggi, riuscendo anche a mobilitare e coinvolgere quella parte di cittadinanza che oggi, impaurita, resta in silenzio. Si è trattato di una parte di cittadinanza non esigua, che ha dato il suo contributo nell’accoglienza ai migranti durante questi due anni, con tanti progetti e tentativi di accoglienza dal basso. Tra tutti, va ricordato per importanza l’accoglienza offerta dai volontari nella Chiesa delle Gianchette. Per più di un anno donne, bambini, uomini sono stati accolti, curati, sfamati in un campo informale, dove la cittadinanza locale ha dato vita ad una forma di accoglienza popolare e inclusiva. Le istituzioni hanno ritenuto che tale forma di accoglienza non fosse adeguata probabilmente, pensiamo, perché sfuggiva alle maglie del controllo poliziesco, che con le sue quotidiane violenze viene esercitato sui migranti. Così, dopo mesi di trattative, il centro di accoglienza della Chiesa è stato chiuso, e tutte le persone migranti sono state inviate nel campo della Croce Rossa, lontano e isolato dalle zone abitate.

Parallelamente a questi fatti, è cominciata a montare la marea razzista di una Ventimiglia chiusa, impaurita e intollerante…

 

Manifestazione 9/8/2017

http://www.ilsecoloxix.it/p/imperia/2017/08/09/ASMMvlmI-ventimiglia_minorenni_migranti.shtml

Manifestazione 12/8/2017

http://www.ilsecoloxix.it/p/imperia/2017/08/12/ASAhQGqI-ventimiglia_candelotti_protesta.shtml

Manifestazione 19/8/2017

http://www.ilsecoloxix.it/p/imperia/2017/08/19/ASzOv5xI-migranti_ventimiglia_centinaio.shtml

Ioculano e No borders

https://www.rivierapress.it/2017/08/29/ventimiglia-il-sindaco-ioculano-la-vera-sciagura-non-sono-i-migranti-ma-i-no-borders/

 

 

 

Cati; g.b