Riceviamo e pubblichiamo un contributo scritto da compagne e compagni che hanno seguito, in questi anni, la lotta alle frontiere da Ventimilgia a Calais. Il testo affronta il fenomeno dell’eroizzazione della solidarietà bianca, che nelle ultime settimane ha investito la comandante della Sea Watch Carola Rackete. La costruzione dell’eroe/eroina, in questo come altri casi di sovraesposizione mediatica delle azioni intraprese da persone solidali, si accompagna immediatamente alla produzione di narrative diffamatorie, che distorcono la realtà restituendo un’interpretazione dei fatti piegata agli interessi della propaganda sovranista. Nel caso di Carola Rackete, per alimentare il polverone mediatico, la stampa italiana è riuscita a costruire un forzoso e inappropriato paragone con il caso di un’altra donna che, nel 2016, è finita a processo in Francia per favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Ma Carola e Francesca non sono pupazzi a consumo delle testate giornalistiche, che, senza domandarne il consenso e diffondendo false informazioni, vorrebbero usarle per l’aumento di audience morbosa e click compulsivi. Mentre il circo massmediatico costruisce le sue favole, la nostra attenzione è rapita e portata altrove, lontano dalla scomoda verità di quello che succede alle persone lungo le rotte migratorie.
Carola e Francesca nel mare in tempesta
Donde manda capitán muere,
muere marinero.
Sara Hebe, Asado de Fa
A seguito dei recenti avvenimenti che riguardano la nave Sea Watch 3 e la sua comandante Carola Rackete, su alcuni media italiani e sui social network sono apparsi articoli e riferimenti alla vicenda di Francesca, da alcuni definita «la Carola italiana».
Come compagne e compagni di Francesca, che con lei hanno condiviso alcune esperienze di solidarietà ai/alle migranti che dal 2015 subiscono il regime europeo delle frontiere, ci siamo sentite/i interpellate/i dall’uso strumentale della sua storia e da alcuni meccanismi che essa svela.
Innanzitutto vorremo fare chiarezza sul processo e la condanna che riguardano la nostra amica, dato che sono diversi gli errori che abbiamo dovuto leggere. Francesca è stata condannata dalla Corte di appello di Aix en Provence, in Francia, a sei mesi di carcere con la sospensione condizionale della pena, e cinque anni di interdizione dal dipartimento delle Alpi Marittime, dopo che nel Novembre 2016 era stata fermata dalla gendarmeria lungo il confine italo-francese mentre era alla guida di un furgone con a bordo otto persone senza documenti. La condanna della Corte d’appello è arrivata dopo il ricorso contro la sentenza di primo grado che l’aveva condannata al pagamento di mille euro di multa. Francesca, tramite il suo avvocato, è ricorsa in cassazione.
Come Francesca stessa ha ribadito la sua storia e quella di Carola sono diverse per contesto e scelte fatte dalle due donne. Le ragioni per le quali queste due storie vengono messe l’una accanto all’altra e diffuse a più non posso sono svariate e vanno viste in maniera distinta.
Per la stampa generalista si tratta di «fare notizia». Che il parallelo sia pertinente o meno, la scelta di due donne bianche impegnate nel portare la propria solidarietà a dei/delle migranti neri/e è di per sé «notiziabile». E la notizia di eventi che non sono, per fortuna, unici diventa in questo modo rilevante per l’opinione pubblica, qualcosa rispetto alla quale prendere posizione. Qualcosa di giustamente importante per chi crede nella solidarietà, perché contrasta lo spettacolo della crudeltà che Salvini sta portando avanti. Qualcosa di altrettanto importante per chi odia diversità e solidarietà, perché permette di mischiare in un unico discorso confuso e virulento appartenenza nazionale, giustizialismo, misoginia e razzismo puro e semplice. Detta in altri termini, che si sia pro o contro la solidarietà alle persone in viaggio, si sta centrando tutta l’attenzione sulla figura della solidale cosi da imputare a lei tutto il bene o il male del mondo, facendo scomparire dalla scena i reali protagonisti delle vicende in corso e le drammatiche evoluzioni delle scelte politiche europee.
Sia chiaro, noi siamo dalla parte della solidarietà e contro le frontiere, e non stiamo dicendo che sostenitori di Carola e razzisti, nel pubblicare e ripubblicare sui social le proprie posizioni, sono la stessa cosa. Se deve essere tutto ridotto alla presa di posizione rispetto alle due donne non abbiamo dubbi, siamo con Carola e Francesca. Cio’ che non ci piace in tutta questa faccenda, al netto delle vere e proprie fake news che sono circolate, è la costruzione di una narrazione che ha i/le suoi eroi/ne, le sue vittime e i suoi carnefici, e che in fondo questa narrazione non solo non spiega fino in fondo la violenza delle frontiere, ma contribuisce a occultare responsabili, protagonisti/e e questioni centrali della cosiddetta «crisi migratoria» e del regime di frontiera che ne scaturisce.
Dal 2015 ad oggi sono stati/e i/le migranti a sfidare le frontiere, interne ed esterne, dell’Europa, ed è stata l’intera governance europea, e non solo Salvini o il suo predecessore Minniti, a determinare la violenza di queste frontiere e la loro natura troppo spesso letale. La mediatizzazione di gesti che riteniamo di semplice umanità, per quanto coraggio questa umanità possa oggi necessitare, non puo far dimenticare il fatto che non sono i/le solidali europei/ee il soggetto principale di questa storia. Come a Ventimiglia le persone in viaggio non hanno certo aspettato i/le solidali per tentare e riuscire migliaia di volte ad attraversare la frontiera, allo stesso modo non sono state le ONG a determinare la scelta coraggiosa di centinaia di migliaia di persone di salire su una barca in direzione dell’europa.
Come antirazzisti/e europei/ee è giusto rispondere alla barbarie e alla crudeltà salviniana col massimo della determinazione, ma per fare questo è necessario rinunciare a qualunque narrazione che trasforma in eroine ed eroi le/i solidali. Crediamo sia importante essere coscienti di come la personalizzazione della solidarietà e la spettacolarizzazione della frontiera fisica esterna siano strumenti utili tanto a Salvini quanto all’UE per invisibilizzare le vere questioni alla base del dramma delle morti in mare. In concomitanza con la sua spettacolarizzazione infatti questa frontiera esterna perde, secondo noi, la sua centralità a fronte di un’espansione su entrambe le sponde del Mediterraneo. Da una lato i campi di prigionia libici, voluti da Minniti e finanziati dall’UE, si ritrovano oggi in prima linea nella guerra per procura che vede i diversi stati europei giocarsi risorse e controllo strategico di una regione in cui sono intrappolate migliaia di persone. Dall’altro un complesso controllo dei flussi fatto di hotspot, accoglienza più o meno coatta e centri di detenzione, il cui nodo centrale è il c.d. sistema di Dublino, un dispositivo reticolare che fa dell’europa una vasta zona di frontiera dove chi non resta là dove gli è stato imposto di rimanere si ritrova criminalizzato/a, invisibilizzato/a senza diritti né status, e non ha altra alternativa che continuare a fuggire senza tregua all’interno dell’europa stessa. Infine la personalizzazione della solidarietà oltre a fare il gioco delle destre razziste, che trovano qualcuno su cui sfogare le proprie basse tensioni, impedisce una reale moltiplicazione di gesti di solidarietà in favore di una delega che cerca nell’eccezionalità del gesto il proprio riferimento.
Le frontiere sono ovunque, ed ovunque e quotidianamente vengono messe in discussione da chi le subisce. E’ quindi necessaria un’attivazione della solidarietà che sia consapevole dei propri limiti e non definisca sempre e comunque le persone in viaggio come delle vittime che vanno aiutate. A noi il compito di affinare lo sguardo e cercare pratiche discrete di solidarietà e complicità con i/le migranti e di sabotaggio dell’attuale regime di frontiera. Potremo cosi vedere più chiaramente nell’europa delle frontiere, e nei suoi retaggi fascisti, la macchina di morte che dobbiamo combattere, nelle persone in viaggio le vere eroine ed eroi di questa storia, ed infine in Carola e Francesca due donne tra le tante che partecipano di quella bella umanità che lotta contro la distopia concreta che ci circonda.
Non ci servono né capitani, né capitane, ma marinai e marinaie pronti/e ad attraversare questo mare in tempesta per approdare alla tanto agognata libertà per tutte e tutti.
alcune/i amiche/i e compagne/i di Francesca