Proponiamo la testimonianza di un episodio di razzismo recentemente avvenuto nella zona di confine tra il ponente ligure e la Francia del sud. Il fatto, non certo episodico ma purtroppo assai comune, descrive il dispositivo di filtraggio su base razziale messo in opera nella definizione di questa nuova zona di frontiera interna all’Europa [1]. Sempre più spesso veniamo a conoscenza di episodi simili che si consumano sui treni [2]. Non si tratta di coincidenze. Colpire la libertà e l’uguaglianza del diritto alla mobilità ha un significato ben preciso: stabilisce un confine netto tra chi ha diritto di viaggiare – cioè di conoscere, sperimentare, cambiare, sognare, incontrare, cercare il nuovo, scappare, tornare – e chi questo diritto non lo ha. Tra chi è libero e chi si vorrebbe ridurre a schiavo. Tra coloro ai quali sono garantite opportunità e coloro che vanno resi docili allo sfruttamento.

Qualche giorno fa ho lasciato la Provenza, dove sono stata una decina di giorni con amici che, a causa del loro colore della pelle e della loro situazione economica, non possono entrare in Italia. Mi spiego meglio: i miei amici sono africani, sono scappati da un regime violento, hanno fatto richiesta di asilo in Francia. Attendono da ormai un anno la risposta alla loro richiesta e i documenti. Senza di questi non possono viaggiare fuori dalla Francia.
Arrivata a casa esausta dopo il lungo viaggio, decido di chiamare i miei amici per sapere se anche loro sono riusciti a rientrare a casa (abitano in una città francese distante qualche ora dalla Provenza). Quando riesco a mettermi in contatto con loro, scopro che “No”, non sono riusciti a tornare, perché fatti scendere dal treno regionale Nizza – Marsiglia in quanto privi di biglietto. Non faccio fatica a immaginare cosa potrebbero pensare alcuni lettori di questo racconto: “Beh se non paghi il biglietto te lo meriti!”. Seguendo un’ottica strettamente legalitaria, le cose starebbero effettivamente così.

Eppure le motivazioni di certe scelte e comportamenti, spesso, hanno radici più complesse di quanto un giudizio superficiale possa evidenziare. Radici affondate in terreni di profonda ingiustizia: il problema è che i miei amici, come moltissime altre persone nella loro situazione, stanno aspettando da molti mesi il rilascio dei documenti, senza sapere né il motivo di questa attesa né la sua durata. Senza documento non si può lavorare e quindi non si può guadagnare qualche soldo per vivere, se non accettando, quando va bene, di essere sfruttati e sottopagati nel mercato del lavoro in nero. Lo Stato francese effettivamente eroga loro un sussidio, ma con questo ci pagano a malapena l’affitto di una casa e il vitto. Ecco che allora mi metto nei loro panni e mi chiedo: “perchè dovrei anche pagare il biglietto ad uno Stato che mi sta trattando come un oggetto, una cosa dalla quale frutta soldi, mentre mi fa aspettare, aspettare, aspettare fino a rendermi una persona depressa, abbrutita, sottomessa a tutto questo?” Non prendo nemmeno in considerazione l’obiezione di chi pensa: “queste persone sono qui a spese nostre e vogliono pure viaggiare!”. Un’obiezione irricevibile in quanto enormemente razzista e intrisa di un pensiero profondamente colonialista: tutti i benefici, le libertà, i comfort e le opportunità di cui una parte non esigua della popolazione occidentale gode, non sono frutto di una sua presunta superiorità intellettuale e culturale, ma delle rapine compiute per centinaia di anni ai danni delle altre popolazioni…. Non riconoscere questo dato storico significa cullarsi in una visione disonesta della Storia, ideologicamente utile a giustificare i propri privilegi e misconoscere le miserie degli altri esseri umani, su cui gli stessi privilegi sono fondati!

Ma torniamo all’episodio in questione: sul treno sul quale viaggiavano i miei amici i passeggeri senza biglietto erano molti. Bianchi e neri. Ma solo loro, i neri, sono stati fatti scendere dal treno. Perché? Perché erano neri. Altre spiegazioni plausibili non si riescono ad evincere. I bianchi sono stati lasciati comodamente seduti sul treno con in mano una multa; i neri fatti scendere e minacciati dal controllore di far intervenire la polizia se avessero provato a ribellarsi. Ecco: questo si chiama razzismo. Nessuno sul treno, hanno detto i miei amici, ha battuto ciglio. Questa è la cosa per me più sconvolgente: che la gente europea permetta tutto questo, permetta che un controllore razzista faccia scendere delle persone solo per il loro colore della pelle, permetta ad altre persone di comportarsi violentemente e senza alcun rispetto nei confronti degli immigrati, come nel caso del controllore di Brescia che ha sequestrato la carta di credito ad un uomo di colore e alla sua domanda “Perchè l’hai fatto?”, ha risposto urlando “Perchè sei un negro di merda!”. [3]

In mezzo all’indifferenza generale o proprio per questa indifferenza, a quei pochi che provano ad intervenire facendo notare come atti del genere siano atti razzisti e fascisti, spesso succede di essere presi di mira dalla polizia e di essere identificati, senza nessun motivo se non quello di rappresentare un elemento scomodo perché si denuncia il razzismo ormai dilagante in Europa. La gente europea permette tutto questo. Alcuni perché condividono, altri forse per paura o per ignoranza, molti perché “non sono affari miei”. Ma succede, quotidianamente. E la gente tace. Hannah Arendt la chiamerebbe “La banalità del male”. Questo silenzio è estremamente pericoloso. Quest’Europa non mi appartiene, mi fa paura e rabbia che la gente abbia dimenticato il passato, mi disgusta che ogni anno il 27 Gennaio le istituzioni (nelle quali per questo non ripongo nessuna fiducia) e buona parte della società civile europea ricordino l’Olocausto e le violenze naziste senza vedere, o facendo finta di non vedere, quanto quelle pratiche siano ancora attuali… come ad esempio pagare la Libia per rinchiudere i migranti in campi di detenzione nei quali vengono torturati, fatti lavorare, venduti come schiavi, stuprati ed uccisi donne, uomini, bambini perché migranti e quindi senza diritti; mi spaventa che solo pochi si accorgano di questa deriva fascista dell’Europa; mi preoccupa che le persone non reagiscano davanti ad un atto razzista, anche solo facendo notare che quello è proprio razzismo e portando così solidarietà a chi ogni giorno subisce aggressioni e ingiustizie da parte tanto delle istituzioni quanto della società.

Che cosa vogliamo fare? Reagire o continuare a fare finta che tutto questo non esista?

[1] Non è possibile indicare una linea che demarchi un confine ben definito. Infatti questo è piuttosto una zona territoriale in perenne espansione rispetto al mero tracciato geografico. Il confine oggi si presenta come un dispositivo mobile, elastico e dinamico, i cui contorni sono soggetti a continue ridefinizioni a seconda delle convenienze politiche ed economiche e delle sue applicazioni strategiche.

[2] http://www.radiondadurto.org/2017/09/27/ho-buttato-la-tua-carta-di-credito-perche-sei-un-negro-di-merda-la-verita-sul-video-migrante-controllore/

[3] http://www.bresciatoday.it/cronaca/aggressione-rapina-capotreno-bagnolo.html

Cati

 

E un lager, cos’è un lager?
Il fenomeno ci fu. E’ finito! Li commemoriamo, il resto è un mito!
l’hanno confermato ieri giù al partito, chi lo afferma è un qualunquista cane!
Cos’è un lager?
E’ una cosa sporca, cosa dei padroni, cosa vergognosa di certe nazioni,
noi ammazziamo solo per motivi buoni… quando sono buoni? Sta a noi giudicare!
Cos’è un lager?
E’ una fede certa e salverà la gente, l’ utopia che un giorno si farà presente
millenaria idea, gran purga d’ occidente, chi si oppone è un giuda e lo dovrai schiacciare!
Cos’è un lager?

E un lager…
E’ una cosa stata, cosa che sarà, può essere in un ghetto, fabbrica, città,
contro queste cose o chi non lo vorrà, contro chi va contro o le difenderà,
prima per chi perde e poi chi vincerà, uno ne finisce ed uno sorgerà
sempre per il bene dell’umanità, chi fra voi kapò, chi vittima sarà
in un lager?
da Lager – Francesco Guccini