Estate 2020 al confine: il campo e le persone. Parte2

Il campo e le persone (Parte 2)

Le persone nella città di frontiera oscillano quindi intorno alle due/trecento teste, considerando chi poi riesce nella notte a varcare il confine e chi arriva il giorno dopo a rimpiazzare il numero di presenze. Ad aprile, il campo gestito dalla Croce Rossa, finanziato e diretto dalla prefettura di Imperia, è stato messo in quarantena a causa della positività di un ospite al Covid. In quel momento, vi erano ospitate circa 120 persone. L’uomo è stato ricoverato all’ospedale di Sanremo, è guarito e non si sono registrati altri casi. Coloro che erano già dentro al campo, per un mese non han potuto uscire, mentre sono stati sospesi i nuovi accessi. Quando la quarantena è terminata e il lockdown è stato revocato, chi era già dentro al campo ha potuto ricominciare ad entrare e uscire dalla struttura, ma il campo ha continuato a non accettare nuove registrazioni. Le persone ancora nei container della CRI sono state riassegnate altrove in Italia, e nel giro di poche settimane ne sono rimaste appena una trentina, in attesa, anche loro, di essere trasferite a breve.

Il campo della Croce Rossa, nell’ex scalo ferroviario ventimigliese del parco Roja, a 4 km dal centro cittadino, era stato approntato d’urgenza nell’estate del 2016. Nel giro di poche settimane, arrivarono al confine oltre seicento persone: il campo venne aperto in fretta e furia, per contrastare gli accampamenti informali che spuntavano ovunque, disturbando il business del turismo dalla Costa Azzurra. Il campo ha una capacità di accoglienza fino a 500/600 persone, e non ha mai avuto uno status giuridico definito, non essendo una struttura d’accoglienza ufficiale, né un cara, né un hotspot, né uno sprar. È stato sempre chiamato “campo di transito”. Vi si fermavano per periodi più lunghi le persone che facevano richiesta d’asilo, da un paio di notti a qualche settimana le persone che volevano proseguire il viaggio, a seconda del tempo necessario per organizzarsi.

Campo Roya

Sebbene fosse (e sia ancora: la chiusura ufficiale della struttura dovrebbe essere ridiscussa in settembre) un luogo isolato tra i raccordi autostradali, attrezzato con una sessantina di container e tensostrutture, fantasmi metallici nel deserto della periferia suburbana, presidiato da forze dell’ordine di ogni tipo, poco accogliente e molto umiliante per chi vi transitava, ha rappresentato per tre anni l’unica forma di “accoglienza” tollerata dalle istituzioni.

Quest’estate qualcosa è cambiato nella volontà delle istituzioni: la quarantena è finita, ma il campo non verrà riaperto. Si attende che escano le ultime persone che ancora vi si appoggiano, per andare verso uno smantellamento definitivo della struttura.

Come ogni stagione estiva ventimigliese che si rispetti, dinnanzi alle trombe dell’emergenzialismo che squillano scoprendo l’uovo di pasqua – la gente migra!- non poteva mancare la passerella di politici “esperti”, a fare il giro di proclami elettorali dichiarando “soluzioni radicali”, e invocando “interventi definitivi” al terribile problema che affligge Ventimiglia da anni: il fatto che esseri umani transitino su questo territorio col desiderio di muoversi liberamente sul globo terrestre. La città “ostaggio dei migranti”, i treni transfrontalieri che accumulano ritardi a causa dei controlli della polizia d’oltralpe, tutti i cittadini arrabbiati, tutte le istituzioni indignate, tutti i politicanti sbalorditi dal fatto che, ancora, la gente si permette di arrivare e pure di dormire, mangiare e camminare in giro per la città, non potendo trovare alcun altro appoggio.

Sono poche le associazioni ancora operative a Ventimiglia: anche le varie ong, dopo il boom del passato, hanno progressivamente chiuso i progetti legati alla frontiera e si sono dileguate. Prima fiaccate e depauperate dalla continua criminalizzazione nei loro confronti, operata dallo scorso governo gialloverde, e infine riassorbite nel processo di normalizzazione che ha finito per spegnere ogni accento di sgomento dinnanzi all’abominio, fino a trasformare Ventimiglia in una macchina scientifica di classificazione e squalificazione umana. Della decina di ong che erano attive, ne sono rimaste appena un paio, oltre alla solidarietà informale, che si arrabatta per sopravvivere tra menefreghismo e crociate repressive.

Le associazioni hanno chiesto più volte che il campo fosse riaperto, pur con tutti i limiti che presentava, segnalando l’incremento di persone in città. Poi, il 2 luglio, lo show della visita di una delegazione del ministero dell’interno, assieme ai vertici della polizia e delle istituzioni provinciali e regionali, ha chiarito bene quali intenzioni si profilano sull’orizzonte frontaliero di Ventimiglia. Il prefetto Di Bari (capo dipartimento delle Libertà Civili e dell’Immigrazione) ha decretato quale sarà il nuovo modello gestionale da applicare a questa frontiera: “L’obiettivo è di individuare non tanto una struttura ma un modulo flessibile di transitorietà per evitare bivacchi a Ventimiglia” un “modulo transitorio, molto provvisorio”!

L’ultimo modello di protocollo repressivo, rimasto in vigore in tutti questi anni, fu la strategia della decompressione messa a punto dal ministro dell’interno Alfano, assieme al capo di polizia Gabrielli, nella primavera 2016: fare arrivare meno gente in città, serrando i controlli sui treni; aprire il campo nell’ex scalo ferroviario, costringendo le persone a spostarsi dal centro cittadino per renderle invisibili; aumentare i pattugliamenti nelle zone turistiche; porre termine all’accoglienza nella chiesa delle Gianchette, troppo vicina al centro città e agli occhi dell’elettorato ventimigliese. Il colpo da maestri fu l’istituzione delle deportazioni interne da Ventimiglia al sud Italia, con i pullman turistici della locale compagnia di trasporti, la Riviera Trasporti. Uno stratagemma dal costo di decine di migliaia di euro,elaborato col solo scopo di sparpagliare le persone sul territorio nazionale, per contenere il numero di quelle che si accalcano a Ventimiglia. La strategia di “alleggerimento del confine” degli scorsi anni, non sembra perciò molto diversa dalle attuali proposte, che prevedono, in sintesi, di mantenere le persone in un costante moto perpetuo di angoscia e non riconoscimento. Alfano dichiarò: “queste persone devono capire che qui non ci possono stare, più vengono al nord, più noi le rimanderemo al sud, perchè non possono essere i migranti a scegliere dove vogliono vivere”. La pratica delle deportazioni interne a mezzo pullman ha continuato ad essere in vigore ancora nelle ultime settimane pre lockdown.

Adesso le traiettorie dell’intolleranza stanno quindi tracciando nuove “soluzioni radicali”, che sanno già di vecchio e di campagna elettorale: “metteremo in campo soluzioni alternative che devono necessariamente passare attraverso un’attività multipla”, dichiara il prefetto Di Bari, lasciando una scia sinistra di interpretazioni possibili su cosa siano le attività multiple che colpiranno ulteriormente le persone in viaggio.

(qui la prima parte; qui la terza parte)

Che fine hanno fatto i minori sbarcati a Genova il 2 giugno?

Pubblichiamo un contributo, ricevuto ieri mattina, circa il “destino” dei 29 minori arrivati a Genova con la nave militare Fulgosi, il 2 giugno.

Pensiamo sia fondamentale farlo ora, nel mentre che la Sea Watch3 – dopo aver disegnato per 15 gg traiettorie impazzite di fronte a Lampedusa – nella giornata di mercoledì 26, ha deciso di forzare il blocco ed è entrata nel porto di Lampedusa. Ad ora mentre pubblichiamo l’imbarcazione è controllata da un dispositivo di “sicurezza” che ne impedisce lo sbarco di persone ridotte allo stremo delle forze e la capitana Carola Rackete viene accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a nave da guerra. Nel mentre che la Corte Europea per i diritti dell’uomo (CEDU) ha negato il ricorso. Nel mentre che una parte di società attiva ha passato parte della notte davanti alle Prefetture di tutta Italia. Nel mentre che alcuni lavoratori del porto di Genova scrivono un comunicato alla Sea Watch3 per rendersi disponibili ad aiutarla, nel caso in cui volesse puntare dritta verso il porto della nostra città.

Quale strategia si nasconde dietro la scelta del Ministro dell’Interno di far arrivare la Fulgosi a Genova il 2 giugno e negare l’approdo alla Sea Watch 3? Complimentandosi con la CEDU per la decisione di non accettare la richiesta di approdo?

Nei giorni precedenti alla festa della Repubblica, Genova ha mostrato di non avere più paura e la piazza del 23 maggio, contro l’autorizzazione al presidio di Casa Pound, l’ha dimostrato[1]. Il blocco della Bahri Yanbu, che trasportava armi destinate all’Arabia Saudita da usare contro il popolo yemenita, l’ha dimostrato[2]– “CHIUDIAMO I PORTI ALLE ARMI”. Il corteo del 6 aprile in risposta all’arrivo di Salvini – “CHIUDIAMO I PORTI AI RAZZISTI” – l’ha dimostrato.

Risulta così abbastanza chiaro come mai Salvini decide che Genova sarà la citta destinata ad accogliere i naufraghi della Fulgosi, salvati 4 giorni prima davanti alle coste libiche. Genova? Che dista non sappiamo quante miglia dalla Libia – 4 giorni di navigazione -, mentre la Sea Watch3, da 15 gg in mare di fronte all’isola di Lampedusa, ha ricevuto il divieto ad attraccare. Chi decide di lasciar vivere e far morire è abbastanza chiaro ormai. 

Ma torniamo ai 29 minorenni arrivati a Genova – Salvini dichiarerà:

«Sulla nave “la situazione” è positiva. Ci abbiamo lavorato giorno e notte in silenzio e a carico degli italiani non rimarrà neanche un immigrato, perché verranno ripartiti tra Paesi europei. Ringrazio i vescovi italiani per la disponibilità, non a parole ma nei fatti».

Il 28 giugno, cioè domani, il Ministro degli Interni arriverà a Genova per l’esplosione dell’ultimo pilone del Ponte Morandi, e due giorni fa tutti i minorenni sono stati “ridistribuiti” sul territorio nazionale. A noi nulla importa che Salvini non abbia prestato “onore” alla sua parola di ripartirli tra i paesi Europei.

Per noi è fondamentale lasciare il racconto nelle mani di chi ne ha vissuto la deportazione, con il suo coraggio e la sua rabbia che dev’essere il coraggio e la rabbia di tutti e tutte.

 

Che fine hanno fatto i minori sbarcati il 2 giugno?

Politiche nazionali e locali sulla non tutela dei minorenni

 

Il giorno 02.06.2019 sono sbarcati 29 minori stranieri non accompagnati dalla nave della marina militare Cigala Fulgosi e sono stati inseriti presso diverse strutture accreditate nel Comune di Genova, alcune delle quali aderenti al progetto sprar/siproimi, cioè a quel progetto espressamente dedicato all’accoglienza e integrazione dei minori.

Ad un primo esame i minori sbarcati (degli adulti non saprei dire, tanto velocemente sono stati trasferiti in Lazio) erano piuttosto lontani dall’immagine dei migranti ben tenuti e telefonomuniti della propaganda usuale. Molti di loro non avevano idea di dove fossero e, una volta giunti alle strutture di destinazione, chiedevano l’ora, avendo evidentemente perso la cognizione del tempo. Alcuni di loro, almeno quelli che ricordavano un numero di telefono, hanno potuto contattare la famiglia dagli uffici delle comunità: Maman! C’est moi, je suis en vie. Je suis en Italie!

Le immediate prese di posizione da parte dell’amministrazione comunale sono state quantomeno ambigue: dapprima il consigliere Gambino e la speranza da lui espressa che dei migranti sbarcati non ne rimanesse in città nemmeno uno; le proteste dei rappresentati del Partito Democratico cittadino; le dichiarazioni del sindaco Bucci a Telenord che almeno i minori sarebbero rimasti nelle strutture genovesi[3]. Sopra tutte le parole e le opinioni sempre presente la promessa del ministro dell’Interno: nessuno dei migranti (quindi nemmeno i minori?) avrebbe gravato sui contribuenti genovesi (e in che modo, del resto, visto che le rette per i minori stranieri non accompagnati inseriti presso una struttura sprar provengono per l’85,71% dai fondi messi a disposizione dal Servizio Centrale di Roma?).

Gli operatori delle strutture che hanno accolto i minori sbarcati dalla nave Cigala Fulgosi si sono accorti ben presto che qualcosa non andava nel meccanismo, per altro già da anni collaudato, dell’accoglienza. Le strutture sprar non hanno potuto segnalare al Servizio Centrale la presenza dei minori al loro interno; il servizio sociale del Comune non ha potuto operare alcuna presa in carico; le tutele decretate dal Tribunale dei Minorenni di Genova erano in carico alla Direzione Politiche Sociali e all’Assessora Francesca Fassio; le deleghe necessarie ai responsabili delle strutture per avviare le necessarie pratiche amministrative in favore dei minorenni non sono state concesse.

Proprio i decreti di tutela emessi dal tribunale a una settimana dallo sbarco dei minori recano traccia di una esplicita “comunicazione del Ministero dell’Interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, dalla quale risulta che a breve il minore verrà trasferito in struttura sita in diverso distretto del territorio nazionale”. Di questa comunicazione, tuttavia, non è dato prenderne visione diretta.

Il giorno 24 giugno le strutture coinvolte hanno ricevuto comunicazione dell’imminente trasferimento di tutti i minori sbarcati il 2 giugno, previsto per il giorno 25. Solo due minori molto piccoli e due ragazze in stato interessante non sono stati coinvolti dal trasferimento.

E così il 25 giugno i minori della nave Cigala Fulgosi, dopo essere stati raccolti al largo di Lampedusa, aver visto l’Italia via mare da sud a nord nella sua interezza, aver iniziato un timido approccio al territorio, aver condiviso un mese di vita in compagnia di altri ragazzi, sono stati fatti salire con minimo preavviso (ma tanto che cambia loro?) su pulmini e trasferiti in altre città italiane, potendo godere dell’indubbio privilegio di conoscere l’Italia anche lungo le sue autostrade.Diversamente da quanto dichiarato a caldo dal Sindaco Bucci, cioè che i minorenni sarebbero stati accolti nelle strutture genovesi preposte, il loro mese di permanenza nella nostra città è stato più simile ad un parcheggio che ad un’accoglienza strutturata.

Ma a questo punto, che la storia è finita, qualche domanda resta: perché se il Comune di Genova aveva 14 posti sprar (e quindi non direttamente a carico del contribuente genovese) liberi almeno 14 dei minori sbarcati il 2 giugno non sono rimasti in città? C’è qualcosa che non va nel modo di lavorare di professionisti che da anni si dedicano all’integrazione dei minori stranieri a Genova? Oppure la posta in gioco era soltanto politica, appesa alle parole del ministro dell’Interno che, per qualche motivo sicuramente slegato dal principio del maggior benessere del minore, prometteva di dare alla città soltanto il disturbo delle operazioni in calata Bettolo e niente più? Nel qual caso vorrei dichiarare che mi disturba assai più essere un professionista dell’educazione e dell’integrazione e rispondere supinamente alla richiesta di spostare minorenni come fossero cose. Ancora un volta abbiamo perso in Italia l’occasione di trattare gli esseri umani come fini e non come mezzi.

Buon viaggio, allora, ragazzi. Una nave vi ha fatto vedere in lungo in largo le coste di questo Bel Paese abitato da gente discutibile. Ora rifarete più o meno a ritroso lo stesso viaggio lungo le autostrade dell’estate.

[1]https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/23/genova-antifascisti-contro-il-presidio-di-casapound-tre-feriti-e-due-fermati-negli-scontri-con-la-polizia/5202761/

[2]https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/20/genova-lo-sciopero-dei-portuali-blocca-la-nave-saudita-carica-di-armi-da-qui-non-ripartono-fumogeni-contro-il-cargo/5192421/

[3]https://telenord.it/nave-migranti-a-genova-accolti-32-minori-non-accompagnati-bucci-polemiche-strumentali/

 

 

 

Mappe del confine: #2 Riviera Trasporti e trasferimenti forzati

(Foto in evidenza: pullman di Riviera Trasporti a Ponte san Luigi: manovre tra confine italiano e francese per prendere posizione per le operazioni di trasferimenti forzati.)

Pubblichiamo il secondo degli articoli per il ciclo di post, qui inaugurato, dedicato a fornire alcune coordinate specifiche e una sintesi delle informazioni su luoghi e dispositivi che caratterizzano la geografia fisica, sociale e politica del territorio di confine di Ventimiglia.


Adesivi di protesta alla compagnia di trasporto pubblico Riviera Trasporti (fonte: Riviera24)

#2 Riviera Trasporti: trasferimenti forzati da Ventimiglia agli Hotspot

Dal 2016 va avanti la procedura dei trasferimenti forzati in pullman dal confine di Ventimiglia agli hotspot del sud Italia. Riviera Trasporti S.P.A. (RT) è l’azienda assegnataria del bando per il “servizio di trasporto dei migranti” voluto dall’ex ministro Alfano e dal capo di polizia Gabrielli.

A seguito della visita di Alfano a Ventimiglia (7 maggio 2016) istituzioni e forze di polizia elaborano una tecnica di allontanamento dei migranti dalla zona di confine. È chiamata “strategia della decompressione” o “alleggerimento del confine” e viene sperimentata per la prima volta il 12 maggio 2016. Nell’estate diventa prassi regolare.

In quasi tre anni di decompressione sono state affinate tecniche, tempi, modi e anche i costi messi in campo. La motivazione ufficiale sarebbe la volontà di scoraggiare il cosiddetto “flusso secondario”: le persone che, raggiunta l’Italia, cercano di spostarsi in un altro paese europeo; prevenire turbative di ordine pubblico; scongiurare crisi igienico sanitarie.
Sequestrando le persone e obbligandole a essere identificate ulteriormente, sebbene la quasi totalità di loro abbia già lasciato impronte e dati all’arrivo in Italia o durante precedenti controlli.

Avvocati e associazioni di Diritto affermano che la procedura sia giuridicamente illegale. Migliaia di persone sono state tenute in stato di fermo non convalidato da nessuno. Sottoponendole alla limitazione della libertà personale in violazione dell’articolo 13 della costituzione. Numerose persone hanno dichiarato di aver ricevuto percosse, minacce e tortura durante le varie fasi di cattura nella zona del confine (con le retate di polizia francese e italiana), durante la detenzione, nel trasferimento al sud e in fase di re-identificazione negli hotspot. Altrettante le persone che dichiarano di non essere state informate di quello che stava loro accadendo: nè della destinazione del trasferimento forzato, né delle motivazioni della detenzione. Chi ha cognizione di cosa gli stiano facendo, è perchè sta affrontando il secondo (o terzo, o …) giro di trasferimenti forzati.

Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, personale medico che opera anche al campo CRI, personale di Riviera Trasporti, cooperano nell’espletazione delle procedure di deportazione.

Pullman di Riviera Trasporti in marcia sull’autostrada ligure, scortato da due blindati e una volante in borghese
EVOLUZIONE DELLA PROCEDURA:

– maggio/settembre 2016: Partono contemporaneamente due pullman da 50 posti. Arrivati a Genova avviene l’imbarco su voli di Mistral Air (Poste Italiane). In un paio di occasioni sono utilizzati traghetti di Sardinia Ferris per portare le persone in Sardegna.

Il noleggio dei voli costa 6.000 euro l’ora. La scorta di polizia all’interno dei pullman RT è nella proporzione di uno a uno coi migranti. Inoltre i convogli sono scortati da diversi blindati e volanti.

– autunno 2016/anno 2017: il trasferimento forzato passa su gomma: parte un pullman alla volta e copre tutto il viaggio. La scorta si riduce a un paio di blindati più auto civetta in borghese. In una prima fase i viaggi sono quotidiani, poi si diradano a cadenza circa bisettimanale. Vengono introdotti i teli di plastica bianca cerata per coprire i sedili sui pullman.

– anno 2018: in concomitanza con la riduzione del numero di persone che arrivano a Ventimiglia, i trasferimenti forzati si assestano a cadenza settimanale. Il pullman utilizzato è sempre da 50 posti. Il numero dei deportati oscilla tra 12 – 25 persone a carico. Attualmente tutti i viaggi sono diretti, salvo emergenze o lavori alla struttura, all’hotspot di Taranto.

Persone caricate sul pullman RT e sottoposte a trasferimento forzato.
I COSTI:

Riviera Trasporti s.p.a (trasporto pubblico per la provincia di Imperia) vince ripetutamente la gara di assegnazione del bando per i trasferimenti (bando 2016-2017: qui e qui. Bando 2017-2018: qui). Il bilancio della compagnia, che segna un debito di circa 25 milioni di euro, è letteralmente stato salvato negli ultimi anni dai finanziamenti per il trasporto delle persone migranti.

Con la proposta di 2,00 euro a km, iva esclusa, per un totale di costi di viaggio che oscilla tra 5.500 e 5.900 euro a settimana, Riviera Trasporti percepisce infatti dalla Prefettura di Imperia:

Per l’anno 2016: incasso 800.000 euro

Per l’anno 2017: incasso 800.000 euro

Per l’anno 2018: incasso 500.000 euro

Bisognerebbe poi aggiungere i costi per uomini e mezzi di scorta al convoglio. Gli straordinari del personale, le spese di manutenzione dei veicoli, i costi autostradali: pertanto non è possibile conoscere l’effettivo ammontare delle centinaia di migliaia di euro spese per mantenere a regime le deportazioni.

In rosso il percorso autostradale attualmente seguito per deportare le persone migranti da Ventimiglia all’hotspot di Taranto

 

LA LOGISTICA:

Il pullman di Riviera Trasporti arriva al confine italiano di Ponte san Luigi intorno alle 8 – 9 del mattino. Parcheggia innanzi all’edificio di polizia e resta lì per tutta la durata delle procedure, fino alla partenza intorno alle 13 – 14.

Le persone caricate sui pullman vengono sottoposte a una serie di procedure definite “Trattamento dei soggetti . Sono i migranti presi nel tentativo di passare il confine, per lo più dalla polizia francese; più quelli catturati a Ventimiglia nelle apposite retate organizzate il mattino del trasferimento.

All’interno della struttura della polizia di frontiera:

  • Identificazione e rilevazione generalità.
  • Screening medico: i malati contagiosi, per esempio di tubercolosi o scabbia, vengono rimandati a Ventimiglia. Circa 8 km di strada a piedi.
  • Perquisizione personale e sequestro di lacci delle scarpe, cinture, braccialetti, collanine e altri oggetti coi quali le persone potrebbero tentare gesti di autolesionismo
  • assegnazione a ciascuno di un numero di deportazione

Sul marciapiede tra la struttura di polizia e il pullman:

  • una alla volta le persone caricano zaino/valigia nella pancia del pullman
  • Un poliziotto esegue una ripresa busto-volto di ciascun migrante, costretto a tenere all’altezza del petto un pezzo di carta con il numero assegnato
  • Carico. Prima della partenza vengono consegnati panini e acqua. Sono rimossi i tappi delle bottiglie, sempre per evitare tentativi di soffocamento per disperazione o protesta.

 

Cartina della zona frontaliera tra Ventimiglia e Ponte San Luigi

 

Zona di Ponte San Luigi (confine di Satao) nel dettaglio: aree di detenzione dei migranti sul versante francese e zona di parcheggio del pullman per i trasferimenti forzati
IL TRASFERIMENTO:

Attualmente i pullman portano le persone a Taranto: 1.188 km in circa 16 – 18 ore (ma le persone restano bloccate sul pullman per 22/23 ore: dal carico del mattino precedente, al mattino successivo quando vengono infine fatte scendere all’hotspot)

Negli anni, sono state utilizzate anche altre strutture come meta per i trasferimenti forzati (sempre verso Hotspot, talvolta Cara): Taranto; Bari; Crotone; Trapani; Cagliari

Procedure per il trattamento: poliziotti scaricano in frontiera, presso gli uffici per espletare la trafila di imbarco su pullman, i migranti catturati nelle retate in città

 

Procedure per il trattamento: mascherine, guanti, inquisizioni e perquisizioni: il soggetto viene preparato al viaggio.

 

Procedure per il trattamento: a ciascuna persona viene assegnato un numero di deportazione, e con esso viene filmata da un operatore di polizia prima dell’imbarco

 

procedure per il trattamento: alcune persone in possesso del giusto documento vengono rilasciate a un certo step della trafila: gli uomini che escono dagli uffici di polizia devono rimettere lacci e cinture che gli sono stati requisiti durante i controlli                                 

 

 

 

Pullman parcheggiato di fronte alla polizia di frontiera, si avvia a partire con la scorta
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Ulteriori link esterni di approfondimento

Migranti, odissea Ventimiglia-Taranto: l’inutile e costosa deportazione (Repubblica)

Il “giro dell’oca” dei trasferimenti coatti dal Nord Italia a Taranto (Open Migration)

Migranti come (costosi) pacchi postali (Osservatorio Diritti)

Ventimiglia – pulizie etniche di primavera (Hurriya)

Ventimiglia: la città esperimento (Dinamo Press)

Mentone – Taranto: il folle viaggio ( di Stato) dei migranti (Panorama)

Ventimiglia, 7 migranti si ribellano alla deportazione e sfasciano il commissariato (Secolo XIX)

Profughi a Ventimiglia (Effimera)

 Aggiornamenti da Ventimiglia: migranti torturati per le impronte (Effimera)

Guerra al desiderio migrante. Deportazioni da Ventimiglia e Como verso gli hotspot (melting pot)

I confini della mobilità forzata lungo l’asse Ventimiglia Taranto. Trasferimenti coatti ed esercizi di libertà (euronomade)

 

Il “gioco dell’oca” è stato spesso definito il giro infinito di deportazioni e respingimenti delle persone migranti, varato da Alfano nel 2016 e tutt’ora in vigore come procedura di repressione al confine

Nuovi fogli di via da Ventimiglia

Volano fogli di via, a Ventimiglia. Soffia un vento caldo, in questo autunno che sembra estate, e al confine tutto cambia ancora, in una calma sempre più spettrale.
Riceviamo e con grande solidarietà pubblichiamo una testimonianza  di quanto successo la  settimana scorsa a Ventimiglia.
Gli effetti della violenta politica razzista dell’attuale governo si sentono, si vedono e si toccano…sempre che si abbiano orecchie, mani e occhi attenti.
Il Decreto Sicurezza non è solo un pezzo di carta o un manifesto di propaganda. E’ un dispositivo giuridico che impone regole ancora piu’ repressive rispetto al precedente decreto Minniti-Orlando, particolarmente effettivo su alcune categorie di popolazione e alcuni comportamenti.
Contestualmente all’entrata in vigore del Decreto, a Ventimiglia la polizia ha spostato la barra dell’azione repressiva ancora più in alto. Le retate in città hanno assunto un carattere, se possibile, più violento e plateale. La “caccia al negro” e il coprifuoco vengono applicati in maniera sempre più sistematica. Per chi prova a denunciare, testimoniare, opporre resistenza, sono pronte misure repressive spropositate, come previsto dal Decreto.
Se Ventimiglia, come collettivamente si è detto tante volte, è un laboratorio e uno specchio potente delle politiche nazionali ed europee, il clima autunnale deve essere considerato con attenzione. La brutalità del razzismo di Stato si fa cieca e più pericolosa, ma su cosa si regge? Un consenso ottenuto con la violenza istituzionale è un consenso fragilissimo. Leggere il Decreto Sicurezza e i suoi effetti impone un esercizio di analisi estremamente realistica, ma anche una capacità critica, per comprendere il groviglio di contraddizioni che vi sta dietro. E’ tutto un modello di società, di economia, di configurazione politica a rigurgitare violenza, nell’impossibilità -o non volontà- di mediare. La durezza di quello che ci circonda è indiscutibile, tocca a noi chidersi se, in questa “crisi” sempre più’vertiginosa, con uno sguardo più ampio e dialettico e con uno sforzo collettivo più determinato sia possibile cogliere, e far crescere, la nostra forza e le nostre possibilità’.

Nuovi fogli di via da Ventimiglia

 

“Se fai foto ti rompo la macchina fotografica”: questo il buongiorno ricevuto da due compagne che, mercoledì 17 mattina, stavano monitorando lo svolgimento delle operazioni di rastrellamento nelle strade della città di Ventimiglia.
La cornice degli eventi che sono seguiti parla di una routine fatta di razzismo e repressione crescenti verso tutte le persone non bianche che vivono o attraversano questo territorio di frontiera.
Da oltre due anni, una o più volte alla settimana scatta la “caccia al nero”, con controlli e retate nelle strade della città, nella stazione, lungo i valichi di frontiera, sulle spiagge, nei giardini pubblici, dentro ai bar e attorno al centro della Croce Rossa ormai diventato l’unico punto di contenimento e gestione delle centinaia di persone in viaggio.

Lo scopo è deportare settimanalmente decine di persone tramite pullman turistici della Riviera Trasporti, che raccolgono il carico di indesiderati braccati dalla polizia italiana come da quella francese, per spedirli nei centri di controllo e identificazione a Taranto o Crotone, da dove spesso avvengono trasferimenti nei CPR del sud Italia.

Da oltre due anni c’è chi non accetta che le prassi brutali e umilianti del regime del confine scivolino nella normalizzazione e nel silenzio. Fanno schifo i rastrellamenti focalizzati sulla sfumatura del colore di pelle. Fanno schifo i fermi di massa eseguiti nella sala d’attesa della stazione di Ventimiglia, dove le persone sono bloccate e controllate a vista dai militari, mentre sciami di turisti transitano indifferenti a pochi metri di distanza. Fa schifo la processione di procedure e violenze con cui, una alla volta, le persone vengono caricate in frontiera sui bus delle deportazioni: chi non ha il pezzo di carta giusto viene perquisito, sottoposto a controllo medico obbligatorio, spogliato di cinture e stringhe delle scarpe, etichettato con un numero di matricola per la deportazione in atto, infine registrato con un primo piano su busto e volto da un poliziotto munito di fotocamera, e poi via, caricato per l’esilio.

Fa schifo la frontiera.

L’obiettivo è ripulire il territorio da chi non è conforme alle norme e alle regole dell’attuale programma di eugenetica sociale di una società razzista e farlo nel silenzio assenso di una città che sprofonda nell’indifferenza.
E allora ci spieghiamo così gli eventi di mercoledì 17 mattina: nessuna può permettersi di ostacolare la burocratizzazione di questa collaudata macchina di repressione. Davanti all’ennesima retata in spiaggia due compagne si fermano a documentare le scorribande del braccio armato dello stato. Ad uno di questi signori non sta bene: “se fai una foto ti spacco la macchina fotografica” è il preludio all’aggressione che sta per scattare. Tre minuti e le compagne si ritrovano assaltate fisicamente e verbalmente, strattonate e bloccate alle spalle, uno zaino rotto, le macchine fotografiche – una risulterà danneggiata dall’aggressione – ed un telefono cellulare sottratti con prepotenza. Sequestrati gli strumenti con cui si prova a raccontare la verità del confine. Le compagne sono condotte in commissariato e dopo cinque ore in stato di fermo le fastidiose testimoni sono rilasciate con le accuse di resistenza, interruzione di pubblico servizio, oltraggio aggravato e foglio di via obbligatorio da Ventimiglia per tre anni, perché considerate una minaccia all’ordine e alla sicurezza pubblici: non deve esserci clamore, né testimoni critici, né dissenso.

Altri due allontanamenti coatti che si vanno a sommare agli oltre sessanta fogli di via rifilati dal 2015 a coloro che, sostenendo le resistenze e le ribellioni delle persone migranti, hanno lottato contro la frontiera.
Il sistema repressivo costruito in tre anni di regime di confine, aboliti gli spazi di solidarietà e rabbia, vuole che le persone in viaggio siano isolate, bandite e ricattabili.
In un luogo presidiato e pattugliato da militari e polizia, dove il ricatto umanitario è complice del sistema di gestione, controllo e carcerazione e gli unici riferimenti sociali da difendere sono il turismo e il decoro urbano, pericolosa è diventata chi guarda e documenta l’orrore della normalizzazione di tutto questo.

Non ci troverete sottomesse, né cieche, né mute, ma sempre cocciute nemiche delle frontiere.

 

Complici e solidali con le compagne scacciate,
Alcune ribelli del ponente ligure

La frontiera non va in vacanza

Aria di vacanza. Venerdì 26 luglio, mentre per le strade, sui social, nelle case del Bel Paese è un gran parlare dell’eclissi totale di Luna più lunga e visibile del XXI secolo, tra i solidali presenti e attivi nella zona di confine di Ventimiglia gira la voce che domenica 29 la polizia italiana abbia intenzione di far partire un pullman di deportazione dei migranti verso gli hotspot del Sud Italia.

“Strano, molto, un pullman di domenica…perché?” Si chiedono alcune solidali. Non è quasi mai successo, le deportazioni di solito vengono fatte in settimana prima del weekend, quando la cittadina di frontiera si riempie di turisti per il mercato e per la vacanza.

Sabato. Qualcun* viene a sapere da compagni francesi che l’indomani a Mentone si terrà un’iniziativa congiunta del Movimento Giovani Padani (i giovani della Lega) e di Génération Nation Provence-Alpes- Cotes d’Azur (i giovani del Front National). Programma fitto per la mattinata di domenica: conferenza stampa, volantinaggio e striscione in frontiera bassa contro l’immigrazione. Iniziativa non molto pubblicizzata, all’apparenza più una questione di diplomazia tra i due partiti politici che un’iniziativa con qualche impatto concreto. Ad un certo punto, c’è chi si interroga sull’ipotesi di un collegamento tra l’iniziativa dei razzisti in colletto bianco e il pullman di deportazione…

Sabato 28 sera nel piazzale davanti al cimitero di Ventimiglia, accanto al fiume Roya, dove nascosti tra gli sterpi e i canneti ora dormono le persone migranti che non vogliono andare al campo della Croce Rossa, c’è la quotidiana distribuzione di cibo ad opera del gruppo Kesha Niya. Camminando verso il piazzale incontriamo diversi ragazzi, zaino in spalla, scarpe ben allacciate, sguardo determinato. Sono in partenza, vogliono superare quel confine che vale solo per chi ha la pelle nera ed è nato in un posto dove il diritto a viaggiare, ad andare a vivere in un altro paese, all’aspirazione a condizioni di vita dignitose è negato. Molti di loro, probabilmente, finiranno nel computo dei deportati dell’indomani. Dopo giorni passati al caldo e nel disprezzo di una città inospitale, dopo il cammino notturno, il pericolo, la speranza carica d’ansia di farcela: troveranno poliziotti che parlano in lingue sconosciute,  insultano, urlano, frugano il tuo corpo, senza diritto a una doccia, senza un bicchiere d’acqua o qualcosa da mangiare, sbattuti su un pullman che li porterà, dopo 13 ore di viaggio, ancora una volta al punto di partenza: un hotspot del sud Italia.

Domenica ore 8.30. Frontiera Alta, Ponte San Luigi. Si intravede un blindato, parecchia polizia davanti agli uffici di frontiera italiani, l’ipotesi di un pullman si fa sempre più concreta. Eccolo apparire dopo poco: Riviera Trasporti non si smentisce. Due autisti impassibili di fronte alla mansione lavorativa che li attende appaiono di buon umore, perfettamente a loro agio tra i poliziotti. Parcheggiano il mezzo e cominciano a lavare i finestrini. Nel mentre un gruppo di una quindicina di ragazzi migranti viene consegnato dalla polizia francese alla polizia italiana. Dalla finestra aperta dell’ufficio di frontiera si vedono i guanti bianchi indossati da un poliziotto.  Serviranno per l’ennesima perquisizione a cui i ragazzi migranti verranno sottoposti. L’aria è ferma, il cielo terso e il mare luccica. La frontiera alta guarda a picco sulla spiaggia dei Balzi Rossi, sulla frontiera bassa e sul primo tratto della spiaggia di Menton Garavan. Il panorama è di una bellezza incredibile. Qualcuno disse: “La bellezza salverà il mondo”. Decisamente non è così, la bellezza non salva il mondo.

Passano macchine costose alla frontiera, arrivano dalla Francia, vanno verso l’Italia. Le solidali che  osservano quanto avviene alla frontiera vengono identificate. Solito tentativo da parte dei poliziotti di impedire la documentazione. Di fronte alla dimostrata conoscenza dei propri diritti, il poliziotto cambia strategia: “ Tanto pour parler… ma voi che fate qui… siete parte di qualche gruppo?” “ Del pour parler con lei sinceramente non ne abbiamo nessuna voglia” gli viene risposto. Offeso, il poliziotto replica: “ allora godetevi lo spettacolo” e si allontana di qualche passo, guardando i suoi colleghi e sottoposti.

Nel frattempo sopraggiunge un secondo pullman della Riviera Trasporti. “Due pullman, quanta gente hanno intenzione di fermare e deportare?” Vengono avvertiti i solidali presenti in città, si divideranno in coppie per avvisare le persone migranti del pericolo di essere fermate e deportate.

Un ragazzino sale le scalette dell’ufficio di frontiera, fa pochi passi e appoggia i gomiti al parapetto della  frontiera alta. Maglietta attillata bianca. Sopracciglia molto scure, occhi stanchi. Dalle scarpe si capisce che ha camminato molto, in luoghi polverosi. E’ Amer, 19 anni, curdo irakeno, non parla lingue europee e nemmeno l’arabo. Prende dell’acqua da bere, accetta un passaggio fino a Ventimiglia e qualche albicocca. E’ stato graziato dalla deportazione perché ha un foglio di respingimento datato 26 luglio. Quel foglio dice che Amer ha una settimana per lasciare Ventimiglia, quel foglio per ora lo salva dalla deportazione. Al telefono, in inglese, il cugino spiega che Amer deve raggiungerlo in Inghilterra . Appare molto sorpreso della situazione che gli viene descritta sulla  frontiera franco italiana. Chiede se è possibile aiutare il cugino, piccolo e spaesato (uno shibli – leoncino – lo chiamerebbero i sudanesi che così chiamano tutti i ragazzini ancora inesperti della durezza della vita) a comprare una scheda telefonica con internet e indicargli un posto dove cambiare dei soldi. Si cerca di dare qualche riferimento utile ad Amer, lui ringrazia, sorride e con lo sguardo giovane e stanco riprende la sua strada. E’ possibile che nei prossimi giorni ci si vedrà per le strade calde e tese di questa cittadina italiana così carica di violenza.

Qualche solidale è rimasto in frontiera alta a monitorare la situazione. Alla fine viene riempito per metà uno solo dei due pullman presenti. La polizia italiana e francese appaiono collaborative. Rimane il dubbio sul senso di questa operazione. In questo momento gli arrivi in città sono dimezzati rispetto alla scorsa estate, per non parlare rispetto alle estati del 2016 e 2015. I campi di detenzione in Libia, le operazioni assassine della guardia costiera libica (che ora opera usando le motovedette italiane) , la chiusura dei porti alle navi delle ONG voluta dal Ministro dell’Interno italiano danno i propri frutti. Meno gente in questo maledetto Paese, sempre più morti nel Mediterraneo, sempre più detenuti nei lager libici.

Mentone. Marché des Halles. Sole, caldo, la cittadina francese è tirata a lucido. Bianchi, ricchi, sfoggiano un certo stile di vita dimostrato dai prezzi degli articoli esposti nelle vetrine dei negozi. La piazza  del mercato è piena di gente, al suo interno produits gourmands, tutto molto francese, tutto molto di gusto. A stonare rispetto all’eleganza, un manipolo di sette/otto giovani leghisti, camicie bianche, fazzoletti verdi al collo. In maniera non troppo convinta danno qualche volantino riprendendosi in un video. Molte persone passano dritte, qualcuno lo prende distrattamente. I giovani leghisti d’altronde non  sembrano interessati a comunicare. I colleghi dell’organizzazione giovanile del Front National sono poco distanti sul lungo mare.

L’impressione è quella di chi deve timbrare il cartellino, in attesa che una serie di timbri produca una raccomandazione, una poltroncina in provincia, un qualche ruolo di micro potere. Di fatto però la Lega stringe i rapporti con il partito amico del Front National e stavolta può farlo dalla posizione di forza, essendo al governo del Paese. D’altra parte i suoi “giovani” militanti sono lo specchio della sostanza politica ed  etica del partito: forti con i deboli, deboli con i forti. Urlano, urlano ma di fronte ai  poteri forti europei chinano la testa e aspettano a bocca aperta, sotto il tavolo, di divorare gli avanzi sostanziosi del banchetto. Nel frattempo mettono mano al lavoro sporco, costruendo lungo i confini, con la violenza, le condizioni per una nuova fase di schiavitù razziale.

Sulla strada che da Ventimiglia porta alla frontiera alta, camminano sudati – fa davvero molto caldo-  due ragazzi probabilmente afghani. Sollevano lo sguardo quando la macchina si ferma, sorridono gentili. Li si avverte che sopra c’è tanta polizia e un pullman pronto per la deportazione. “Noi proviamo lo stesso, su per la montagna”. “ No ragazzi non ora, più tardi”. “Va bene, riposeremo all’ombra tra i cespugli finché la situazione non sarà più tranquilla. Grazie, grazie.” Sorridono, ripartono.

 

A cura di g.b

Deportazione dei migranti da Ventimiglia: come “alleggerire il confine”

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Deportazione dei migranti da Ventimiglia: come “alleggerire il confine”

 Retate, pullman e trasferimenti di massa: la strategia di controllo nel territorio di frontiera

 

deportare: v. tr. [dal lat. Deportare (…). – Condannare alla pena della deportazione; più com., trasportare, accompagnare il condannato nel luogo stabilito per la deportazione (…) trasferire coattivamente in campi di lavoro o di concentramento (talora anche di sterminio) lontani dalla madrepatria gruppi o masse di cittadini, perché invisi o sospetti, o come misura di carattere politico o militare, in periodo bellico o d’occupazione”. 1

 

12 Maggio 2016 – giornata di rastrellamenti per le strade di Ventimiglia: per la prima volta cinquanta persone migranti vengono catturate e, senza alcuna accusa formale, sono costrette a salire su un pullman della locale Riviera Trasporti, verso ignota destinazione (solo il giorno seguente si scoprirà che il pullman era diretto a Trapani ). 2

L’obiettivo è “alleggerire” la città dalla presenza indesiderata delle persone che tentano di varcare il confine, attraverso quotidiani trasferimenti di massa diretti prevalentemente al sud Italia. 3

Settembre 2017: dal 12 maggio 2016 non si è più arrestata la pratica degradante dei trasferimenti di massa, con la sua portata di violenza e umiliazioni inflitte alle persone migranti. Oggi, dopo 16 mesi di pullman e identificazioni coatte, nemmeno le principali testate giornalistiche si fanno più scrupolo a sollevare il tabù, chiamando queste procedure così come attivisti e solidali le chiamano da oltre un anno: “deportazioni”. 4

Le persone destinate alla deportazione devono essere “sottoposte al trattamento” (così definito dalle forze dell’ordine): identificazione, anche imposta con l’uso di violenza in caso di resistenza; screening medico; perquisizione; video-ripresa integrale del corpo del condannato; imbarco coatto; trasferimento. 5

Nei mesi, la pratica si è raffinata: l’hotspot di Taranto è diventato la principale meta dei trasferimenti forzati; è stato raddoppiato su ogni convoglio il numero di deportati, dimezzandone la scorta; i sedili dei pullman vengono adesso fasciati con sacchi di plastica, mentre le FF.OO. sono state munite di guanti e mascherine anti-contagio. Le operazioni di rastrellamento in città vengono ormai effettuate principalmente nelle ore serali, notturne e all’alba, così da renderle meno evidenti allo sguardo di cittadini e turisti. Sono stati ampliati gli uffici di frontiera a Ponte san Luigi, per poter meglio gestire l’aumento di persone migranti catturate in Italia o respinte dalla Francia e in attesa del “trattamento”.

Sono passati sedici mesi dal primo pullman e ancora c’è chi si preoccupa di redarguire i toni, sventolando il famoso dito che indica la luna: caccia al nero e deportazione di massa? Assolutamente no: solo questione di obbedire agli ordini; solo ordinaria amministrazione.

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