Dal confine: monitoraggio pushback marzo-aprile 2025

Riceviamo e pubblichiamo il quarto resoconto dal monitoraggio sui pushback alla frontiera tra Ventimiglia e Mentone.
Per leggere i precedenti report sui pushback:
report febbraio-marzo 2025
report novembre-gennaio 2025
report ottobre-novembre 2024

Il testo originale è in inglese.
(English version below)

Questa è una breve cronologia delle molteplici violenze prodotte dai meccanismi di frontiera e dai suoi agenti lungo il confine intraeuropeo tra Francia e Italia sul Mar Mediterraneo. È un resoconto incompleto e circoscritto. Descrive la situazione dal punto di vista di persone osservatrici (spesso bianche) con cittadinanza europea, tralasciando così innumerevoli episodi di violenza vissuti da coloro che lottano per la propria libertà di movimento. Si tratta quindi di un quadro molto parziale e limitato della situazione, che tralascia le prospettive cruciali delle persone in movimento (POM, people on the move) e sans-papiers (persone senza documenti riconosciuti come “validi” dagli agenti di frontiera francesi).
Anche i numeri di pushback e incidenti citati qui sono semplicemente istantanee della situazione al confine: non riportano né i numeri di respingimenti che osserviamo regolarmente durante i monitoraggi al confine (attualmente circa 30 al giorno), né rappresentano adeguatamente tutti gli incidenti violenti che osserviamo a questo confine.

18 marzo
La polizia francese continua a sostenere che le persone respinte al confine franco-italiano verso l’Italia siano persone che presumibilmente vivono in Italia da molto tempo. Questo non è vero. Soprattutto in primavera, le persone in transito appena arrivate in Italia sono state respinte dalla polizia durante il loro viaggio verso la Francia. Contemporaneamente, il ministro dell’Interno italiano ha emesso un’ordinanza per aumentare le espulsioni delle persone in transito.

Al confine tra Mentone e Ventimiglia, le espulsioni dall’area Schengen emesse dalla polizia italiana nei confronti di persone trattenute durante le operazioni di respingimento dalla Francia all’Italia sono state emesse con maggiore frequenza in questi mesi.

24 marzo
Un minore che aveva chiesto asilo in Francia è stato respinto illegalmente dal territorio francese all’Italia insieme ad altre 14 persone.

25 marzo
Un gruppo di 35 persone, arrivate in Italia pochi giorni fa, è stato respinto dalla Francia all’Italia. Nessuna delle 35 persone aveva ricevuto alcuna traduzione durante la detenzione (nessuna di loro parlava francese o italiano). Mentre alcuni membri del gruppo non hanno ricevuto alcun documento attestante la detenzione dalla polizia, ad altri è stato consegnato un documento dalla polizia francese in cui si dichiarava che la persona era stata trattenuta (un arrêt) e che non desiderava contraddire la procedura. Ciò non corrispondeva al vero: alle persone interessate non è stato chiesto dalla polizia di frontiera se desiderassero contraddire la procedura, poiché non erano state informate dei loro diritti durante la detenzione.

Tra le 35 persone c’erano almeno due minori che erano già stati in un centro di accoglienza per minori non accompagnati in Francia. Erano stati arrestati per strada dalla polizia francese e respinti illegalmente in Italia, violando il loro status di protezione speciale.

31 marzo
Tra le persone respinte dalla Francia all’Italia quel giorno, c’è una donna in viaggio verso la Spagna. Dopo essere stata trattenuta per sei ore senza nessuna informazione sui suoi diritti in custodia, viene rilasciata in Italia senza alcuna documentazione della sua detenzione.

5 aprile
A mezzanotte, furgoni della polizia e dell’esercito sono posizionati nel parcheggio di fronte al sottopassaggio dove le persone senza riparo e le persone in transito dormono in tenda. I riflettori della polizia e dei furgoni militari sono puntati direttamente sui luoghi esposti e precari dove dormono queste persone, rendendo impossibile il riposo anche di notte.

7 aprile
La prospettiva di dover tornare a Ventimiglia dopo essere stati respinti in Italia al confine franco-italiano provoca panico e angoscia: non c’è un posto sicuro dove dormire, non c’è modo di vivere una vita dignitosa per le persone in movimento in questa città.

8 aprile
Durante le procedure di respingimento di questo giorno, la polizia italiana ha emesso almeno un provvedimento di espulsione dall’intera area Schengen nei confronti di una persona in movimento senza informarla delle conseguenze legali e del significato di tale provvedimento.

10 aprile
Mentre un drone della polizia di frontiera francese ronza sopra la strada pubblica al confine, quattro persone vengono respinte in Italia. Due di loro sono richiedenti asilo che si trovano in una procedura di asilo accelerata in Francia.

14 aprile
Tre minori vengono respinti in Italia dalla polizia di frontiera francese. Quando sono stati arrestati in territorio francese, hanno immediatamente dichiarato alla polizia (che ancora una volta, non a caso, non si è interessata né dei diritti umani, né delle prescrizioni legali né della tutela dei minori) di essere minori in cerca di protezione in Francia.

17 aprile
Tra le nove persone respinte in Italia in questa giornata piovosa, alcune non hanno ricevuto né cibo né acqua durante la detenzione, né traduzioni o documentazione di quanto appena accaduto.

18 aprile
Lo stesso accade ad altre nove persone respinte il giorno successivo a questo confine.
Inoltre, la polizia italiana ha emesso quattro espulsioni dall’Italia e dall’intera area Schengen.

21 aprile
Oltre alle consuete violenze che si verificano a questo confine, un furgone della polizia civile francese pieno di soldati si sta dirigendo verso Ventimiglia, a dimostrazione del crescente flusso di militarizzazione.

24 aprile
Tra le 13 persone respinte al mattino, due di loro hanno i documenti necessari per entrare in Francia, indipendentemente da quale sia stato il respingimento in un’operazione di polizia razzista.

25 aprile
In occasione dell’80° anniversario della liberazione dell’Italia dal fascismo, la polizia italiana sta emettendo espulsioni dall’Italia e dall’intera area Schengen per persone in transito che sono state appena respinte dalla polizia di frontiera francese, annullando il loro diritto d’asilo.

English version:

This small chronology of the multiple violences produced by the border mechanisms and its agents of the inner-european border between France and Italy at the Mediterannean Sea …

… is an incomplete and situated account. It pictures the situation from the perspective of (often white) observers with european citizenships and thus leaves out innumerable violent incidents experienced by those who are struggling and fighting for their freedom of movement. It is thus a very partial and limited picture of the situation leaving out the crucial perspectives of people on the move (POM) and sans-papiers (people without documents recognised as “valid” by french border agents). Also the numbers of push backs and incidents cited here are simply momentary snapshots of the situation at the border – they do neither represent the numbers of pushbacks that we observe when regularily monitoring at the border (currently about 30 per day), nor do they adequately picture all violent incidents that we observe at this border.

18th of March
The french police continues to narrate that the people pushed back at the french-italian border to Italy are people who supposedly have been living in Italy since a long time. This is not true. Especially in spring people on the move who just arrived in Italy were pushed back by the police on their journey to France. Simultaneously the italian minister of the interior has issued an order to increase deportations of people on the move. At the border between Menton and Ventimiglia, expulsions from the Schengen zone issued by the italian police to people in detention during the pushback operations from France to Italy are issued more frequently in these months.

24th of March
A minor who claimed asylum in France was illegally pushed back from french territory to Italy together with 14 other people.

25th of March
A group of 35 people who arrived in Italy a few days ago was pushed back from France to Italy. None of the 35 people had any translation while being in detention (none of them spoke french or italian). While some of the group did not receive any paper documenting the detention from the police, others were given a paper by the french police stating that the person was detained (an arrêt) and that the person concerned did not wish to contradict the procedure. This was not true – the concerned people did neither get asked by the border police whether they wished to contradict the procedure not informed about their rights in detention. Amongst the 35 people were at least two minors who had been already in a shelter for unaccompanied minors in France. They had been arrested on the street by french police and illegally pushed back to Italy, disregarding their special protection status.

31st of March
Amongst the people pushed back from France to Italy on that day, is a woman on her journey to Spain. After having been detained for six hours without any information about her rights in custody, she gets released in Italy without any documentation of her detention.

5th of April
At midnight police and military vans are positioned on the parking in front of the place under the bridge where people without shelter and people on the move sleep in tents. The spotlights of the police and military vans are directed directly at the exposed and precarious sleeping places of these people making rest even at night impossible.

7th of April
The prospect to have to go back to Ventimiglia after being pushed back to Italy at the french-italian border causes panic and distress – there is no safe sleeping place, no way to have a dignified life for people on the move in this city.

8th of April
During the pushback procedures on this day, the italian police issued at least one expulsion from the entire Schengen zone to a person on the move without informing the concerned person about the legal consequences and meaning of this document.

10th of April
While a drone of the french border police is buzzing above the public steet at the border, four people get pushed back to Italy. Two of them are asylum seekers who are in a fast-track asylum process in France.

14th of April
Three minors get pushed back to Italy by the french border police. When arrested on french territory, they had instantly told the police (who once again not surprisingly didn‘t care – neither about human rights, nor legal prescriptions or child protection) that they are minors seeking protection in France.

17th of April
Amongst the nine people pushed back on this rainy day to Italy, some did not receive any food or water in detention, nor translation or documentation of what has just happened to them.

18th of April
The same happens to nine other people pushed back on the next day at this border. Additionally the italian police issued four expulsions from Italy and from the entire Schengen zone.

21st of April
In addition to the usual violences going on at this border, a french civil police van full of soldiers is driving in the direction of Ventimiglia illustrating the increasing flux of militarisation.

24th of April
Amongst the 13 people pushed back in the morning two people have the right papers to enter France regardless of which they were pushed back in a racist police operation.

25th of April
On the 80th anniversary of Italy‘s liberation from fascism, the italian police is issuing expulsions from Italy and from the entire Schengen zone to people on the move who have just been pushed back by the french border police, annihilating their right of asylum.

Violenza della polizia al confine francese/italiano – seconda parte

Proponiamo la seconda traduzione dell’ultimo aggiornamento dei Kesha Niya sulla violenza della polizia al confine di Ventimiglia del 27 dicembre.

Violenza della polizia al confine italo-francese, tra Ventimiglia e Mentone

Abbiamo ascoltato una quantità impressionante di storie di violenza in questa settimana di Natale. La cronaca verrà riportata alla fine di questo post.

Questo post non aggiunge nulla di nuovo, né di positivo; abbiamo riassunto le violenze che si verificano regolarmente sui treni tra Ventimiglia e Mentone e nella stazione di polizia della polizia di frontiera francese molte volte in passato.

Questo post è, ancora una volta, per aumentare la consapevolezza e la rabbia – è l’unico modo per condividere ciò che le vittime di questa violenza condividono con noi, ciò che, altrimenti, resta invisibile.

Speriamo che questo testo raggiunga le persone della zona e di entrambi i paesi interessati.

Individui appartenenti alla polizia e alle forze dell’ordine hanno deciso in ogni episodio raccontato di violare attivamente i diritti delle persone e di far loro del male fisicamente e mentalmente.

Perché abbiamo sentito parlare di pestaggi e botte alle persone e di lacrime versate quasi ogni giorno tra il 21 e il 27 dicembre?

Non c’è una risposta chiara, ma è sicuramente più facile agire illegalmente nei treni pubblici quando non c’è nessuno in giro a causa delle misure legate al Coronavirus e delle festività natalizie. La maggior parte dei treni sono stati quasi completamente vuoti in questi ultimi giorni.

La mancanza di coordinamento dei migranti non dà a nessuno il diritto alla violenza. Questa è frutto del modo di agire delle forze dell’ordine che operano nella zona, le quali sanno che  queste modalità non hanno avuto conseguenze negli ultimi quattro anni.

Vi invitiamo a condividere e a diffondere il più possibile queste informazioni, così come siete i benvenuti se volete unirvi a noi o sostenerci come volete e potete.

Per una panoramica e maggiori dettagli sul nostro lavoro nell’area, leggete il nostro ultimo rapporto del 17 dicembre. (Tradotto da Parole sul Confine a questo link).

Amore e rabbia in questi giorni – il Colettivo Kesha Niya

Riassumendo, gli incidenti degli ultimi giorni:

22 dicembre

6 uomini nei container della stazione di polizia francese sono stati colpiti con gas lacrimogeni. Lo spazio è piccolo e non c’è posto per fuggire. Gli uomini hanno gridato chiedendo di poter uscire perché non riuscivano a respirare. Nessuno ha risposto. Sono stati lasciati rinchiusi, con difficoltà a respirare, per le seguenti ore.

Un uomo si nasconde nei bagni del treno mentre va in Francia. Poiché non apre durante un controllo della polizia, la polizia francese apre la porta con un piede di porco metallico e picchia l’uomo sulla testa e sul corpo. Gettano anche del gas lacrimogeno all’interno, che gli arriva in faccia e direttamente al naso,  facendogli perdere conoscenza. Più tardi, quando lo incontriamo, ci dice che ha problemi di cuore e che per lui quel trattamento era molto pericoloso. Non ci sono state cure mediche, è stato portato alla stazione di polizia e alla fine è stato respinto in Italia.

Un adolescente è stato arrestato alla stazione di polizia. Prima di essere rimandato in Italia, un agente di polizia francese passa molto tempo (almeno 30 minuti) per insultarlo. Dice cose come “Dégage toi, ici c’est mon pays”. (Vattene, questo è il mio paese).

Quando il giovane si dichiara minorenne e dice di essere nato nel 2003, il poliziotto ride di lui e gli dice che non è l’età che scriverà sul foglio negandogli l’ingresso in Francia. Questo è successo a tutti i minori di 18 anni che incontriamo.

23 dicembre

A un uomo viene chiesto di lasciare le impronte digitali nella stazione di polizia italiana. Spiega che le sue impronte sono già state rilevate a Lampedusa e che dovrebbero controllare il sistema. La polizia lo riconosce dal giorno prima, si arrabbia e lo picchia in testa, allo stomaco e alla gamba.

Due uomini vengono colpiti con il gas lacrimogeno dalla polizia francese.

25 dicembre

Alcune persone si nascondono nel gabinetto del treno. La polizia francese apre la porta con un piede di porco di metallo e getta subito dei lacrimogeni all’interno. Nessuno riesce a respirare e cercano di uscire. Nel frattempo, un uomo cade a terra. Un altro uomo viene spinto in un angolo dalla polizia.

26 dicembre

Due uomini si nascondono nel bagno del treno. La polizia francese apre la porta con un piede di porco di metallo e li picchia.

Sono storie che sentiamo ogni giorno

 

Violenza della polizia al confine francese/italiano – prima parte

Proponiamo la traduzione – in due parti – degli ultimi aggiornamenti dei Kesha Niya che descrivono la situazione al confine tra Italia e Francia.

Il primo è stato scritto il 17 dicembre 

Questa è la situazione al confine tra Italia e Francia, dove centinaia di persone sono ostacolate nell’attraversare il confine e sono lasciate sole senza cure di base, trattenute con la violazione del loro diritto di circolare liberamente, con violenze da parte di agenti di polizia e pregiudizi degli abitanti locali.

Tutto questo accade da 5 anni ormai. Questo report è un aggiornamento sulla situazione e sul nostro lavoro poco prima di Natale 2020, durante una pandemia di Corona che non si ferma davanti alle persone vulnerabili per le strade.

Ti invitiamo a condividere!

Ora è ufficiale: la procedura che la polizia francese ha seguito negli ultimi anni è stata dichiarata illegale.
Da quando i flussi migratori hanno iniziato a passare dall’Italia alla Francia, il modo usuale per respingere le persone tramite la polizia di frontiera francese era impedire loro di entrare in Francia.Le persone dopo essere state bloccate sul lato francese in treno, in montagna o per le strade delle città fino a 30 km dopo il confine (Mentone, Monaco, Nizza, …), vengono rinchiuse in un “container” durante la notte o per diverse ore durante il giorno e infine rimandate in Italia con il “refus d’entrée” (un documento che dice solo che l’ingresso è stato negato a questa persona). Il 27 novembre il Conseil d’Etat, la più alta corte francese, ha deciso che questa procedura non sta seguendo le leggi europee, poiché il confine in questione è un confine interno dei paesi Schengen, non esterno. Ciò significa che impedire alle persone di attraversare questo confine (consegnando un refus d’entrée senza ulteriori comunicazioni o la possibilità di chiedere asilo) non ha alcun fondamento giuridico.
Dopo questo pronunciamento ci aspettavamo che ci fossero cambiamenti nel modo in cui le forze statali lavorano e reagiscono, ma non è successo. Abbiamo iniziato a raccogliere le foto del “refus d’entrée” che le persone hanno ricevuto da quando il tribunale ha deciso sullo status illegale di questi documenti. Non sono diminuiti o cambiati, e nemmeno i controlli delle persone in arrivo. Stiamo monitorando questo trattamento, in modo che in futuro ci siano prove per un’azione legale contro la polizia di frontiera francese.

Se ci saranno conseguenze sulla base della decisione del tribunale, vi faremo sapere.

Inoltre il Conseil d’Etat è intervenuto sulle attività della polizia di frontiera francese in quest’area: è stato, infatti, sanzionata la negazione dei diritti francesi ed europei che le persone dovrebbero avere nei “container” (luoghi per trattenere le persone presso la stazione di polizia francese al confine).

Tutti coloro che vengono al nostro posto di accoglienza al confine sono stati trattenuti per diverse ore durante il giorno o per tutta la notte (tempi che vanno fino a 24 ore, mentre ufficialmente non devono essere più di 4 ore). Viene ignorato l’accesso ai servizi a cui hanno diritto: cibo, bevande, cure mediche, servizi igienici, traduzione, contatto con le loro famiglie e altro ancora. I container sono realizzati in metallo e pietra e hanno quindi la medesima temperatura esterna.

Due organizzazioni francesi, Anafe (supporto legale) e Medecins du Monde (supporto medico), si sono battute per ottenere il permesso di entrare nella stazione (stazione di polizia di frontiera francese, dove le persone vengono detenute nei container ndt). Finora, questo è stato negato. Il 30 novembre, il tribunale amministrativo di Nizza ha sanzionato questo rifiuto da parte della prefettura di Nizza. La prefettura ha ora 30 giorni per rivalutare la richiesta. In passato sono state apportate modifiche per impedire l’ingresso di persone esterne, come dichiarare il container uno “spazio sicuro”. Ci auguriamo che Médécins du Monde e Anafé possano entrare in futuro e monitorare la situazione all’interno.

Vi daremo un aggiornamento all’inizio di gennaio!

Entrambe le decisioni ci hanno dato forza nel nostro lavoro. Adesso esiste un fondamento legale contro le cose contro cui stiamo combattendo e questo crea la possibilità di rendere maggiormente pubbliche l’ingiustizia, le violazioni, la violenza invece che lasciarle soltanto come sofferenza anonima. Naturalmente, quel che abbiamo imparato qui è l’enorme divario tra la teoria e la prassi utilizzata.

In teoria, la decisione del Conseil d’Etat significherebbe che il nostro gruppo non è più necessario e le persone dovrebbero poter attraversare il confine e avere un passaggio più sicuro perché i loro diritti sono rispettati. Ma sul lato pratico questo non avviene.

Ufficialmente, la polizia di frontiera francese – la PAF – non è autorizzata a fare quello che fa.

Non sono autorizzati a trattenere le persone per più di 4 ore e hanno l’effettiva responsabilità per legge di fornire cibo, acqua, e assistenza medica quando le persone (trattenute ndr) lo richiedono, la possibilità di avere una traduzione di ogni comunicazione e qualsiasi documento che ottengano, la possibilità di contattare un avvocato, la possibilità di contattare i propri parenti. Ogni singolo diritto è stato fino ad oggi violato.

Ma soprattutto, il diritto europeo di chiedere asilo in uno dei paesi in cui la persona arriva viene violato per ogni singola persona. Le persone senza documenti (si intende un passaporto valido/permesso di soggiorno più il passaporto del paese di origine) hanno il diritto di essere informate su ciò che sta accadendo loro, sul motivo per cui è in corso un controllo di polizia e di dichiarare che vogliono chiedere asilo in Francia. Quindi, la polizia dovrebbe seguire una procedura per contattare l’ufficio preposto alle richieste d’asilo e fissare per la persona un appuntamento o un colloquio su Skype in modo che possa dichiarare la sua richiesta di asilo.

Hanno quindi tutt’altri diritti che essere lasciati per un periodo di 10-30 ore in un container vuoto con un pavimento di pietra.

“Ci trattano come animali.” Non sappiamo più quante volte abbiamo sentito questa frase.

Chi spiega le leggi europee e francesi alla polizia e alle autorità francesi?

Continuiamo il nostro lavoro con la consapevolezza che lentamente la situazione umanitaria deve cambiare e lo sta già facendo, anche se è solo l’inizio della parte teorica in questo caso.

Quando si tratta di ingiustizia, almeno chiamatela come tale. Nel prossimo periodo saremo all’erta su come supportare l’azione che seguirà quella in corso, come la raccolta dei refus d’entree (rifiuto d’ingresso ndr) che vengono consegnati alle persone e continuare a raccogliere le testimonianze di quanto sta accadendo nei “container” della stazione di polizia francese.

Più in basso nell’articolo si possono trovare resoconti dettagliati sugli incidenti violenti di queste settimane.

In generale, abbiamo visto molti nuovi arrivi da altre località in Italia. La distribuzione serale del cibo a Ventimiglia, che oltre alla nostra giornata è coperta da altri gruppi durante la settimana, ha visto tra le 200 e le 260 persone! I numeri più alti riscontrati quest’anno e, analogamente, sono stati numeri elevati anche presso il luogo dove operiamo al confine.

Molti occhi sono puntati su Ventimiglia in questo momento. Per la prima volta dal 2016 tutti quelli che sono bloccati a Ventimiglia stanno affrontando un inverno senza alloggio, spazio sicuro, cibo disponibile e assistenza medica. Poiché il Campo della Croce Rossa ha chiuso in estate senza essere mai rimpiazzato (da un servizio analogo ndr), e poiché il sindaco non è interessato a creare di nuovo uno spazio del genere, la situazione è precaria.

I posti letto utilizzati nella zona di Ventimiglia sono i lati della strada (nascosti tra i cespugli), la spiaggia, lo spazio sotto i ponti e le case abbandonate. Naturalmente si fanno piccoli fuochi per affrontare la notte in spiaggia, e si utilizzano i resti di legno portati dalla tempesta. I fuochi servono anche per asciugare i vestiti, visto che ci sono stati molti giorni di pioggia.

Per tre giorni nell’ultima settimana, siamo riusciti a fare un giro per Ventimiglia per controllare la situazione di tutti coloro che vivono sul territorio. Abbiamo parlato molto, dato cibo, bevande, caffè, tè, articoli igienici e soprattutto ci siamo presi cura delle famiglie/donne per strada proponendo di trovare un alloggio. Questo tour ci ha fornito una visione più completa di Ventimiglia, abbiamo potuto incontrare non solo persone in movimento, ma anche a raggiungere persone incontrate una volta al confine ed al momento bloccate in città in attesa di riprovare, così come persone appena arrivate in stazione e fornire loro informazioni sui punti di appoggio a Ventimiglia (come la casa della Caritas e la distribuzione del cibo).

Inoltre, abbiamo potuto verificare come la polizia sta lavorando in città. Questo include controlli casuali di persone dall’aspetto esclusivamente non europeo. Abbiamo anche visto (per la prima volta) agenti di polizia francesi alla stazione dei treni di Ventimiglia davanti ai treni. Non ne conosciamo ancora le ragioni. Il governo francese e italiano hanno dichiarato di prevedere in futuro un’unità comune di frontiera per applicare controlli e arresti alle frontiere.

Durante le ultime due settimane, membri di Human Rights Watch, Medecins du Monde, Amnesty International e organizzazioni di base di altre città erano in visita a Ventimiglia per avere un’idea della situazione. Tutti erano d’accordo sull’importanza di migliorare le condizioni di vita qui. Cercheremo di migliorare sul fare rete per garantire le cose necessarie nei luoghi in cui occorrono, quindi in Italia e specialmente a Ventimiglia al momento.

Per tutte le persone presenti non esiste nel prossimo futuro alcuna sistemazione in programma o in prospettiva.

L’unico posto (sempre pieno) è una casa per famiglie e donne organizzata da diverse associazioni della regione, dove possono soggiornare 15 persone ogni notte.
Questo è un enorme aiuto, ma non abbastanza. Anche le possibilità di hosting privato durante la notte sono al limite e sempre utilizzate nel miglior modo possibile.

A seconda delle nostre donazioni, abbiamo iniziato a portare vestiti alla nostra “colazione” al confine che sono andati esauriti molto velocemente perché le persone vestono abiti bagnati dai giorni di pioggia o non sono ben attrezzate per l’inverno.

In fondo all’articolo troverai un elenco di cose che sono sempre necessarie e saremmo felici di ricevere!

Abbiamo continuato come al solito il nostro lavoro principale, la “colazione” dalle 9 alle 20 tutti i giorni, a un chilometro dal confine in direzione Ventimiglia, sul versante italiano. Stiamo lavorando in questo piccolo spazio vuoto dall’estate dopo aver lavorato in un altro spazio (che è stato chiuso a causa dei vicini) dal 2018.

Tutti coloro che vengono rilasciati dalla stazione di polizia francese sul versante italiano devono prendere la strada per Ventimiglia, da dove provengono, prendendo il treno o camminando per le montagne (il pericoloso “passo della morte”). Naturalmente, tornando in Italia, trovano il nostro “punto colazione” sul lato della strada. Creiamo accesso a cibo, bevande, articoli igienici, una piccola scorta di vestiti, pronto soccorso medico, un tetto per proteggersi dalla pioggia. Ancora più importante, è un luogo più tranquillo rispetto al luogo da cui provengono, chiacchieriamo e possiamo condividere la conoscenza generale che abbiamo sulla zona di Ventimiglia e alcune risposte per le difficoltà.

Stiamo fornendo consulenza legale e reindirizziamo a consulenti legali per casi particolare. I minori che hanno una prova della loro età e un refus d’entrée hanno il diritto di non essere rigettati dalla Francia e possiamo seguire una procedura con un avvocato per riportarli alla polizia e permettere loro di attraversare il confine senza essere presi e respinti indietro. Vediamo persone con un processo di asilo in corso in Francia che vengono respinte in quanto controllate sulla base di profili razziali dalla polizia e detenute perché manca un documento o non ce l’hanno con loro. In entrambi i casi, è “normale” che la polizia modifichi i dettagli (come la data di nascita del minore sul refus d’entrée per farlo figurare come più anziano e respingerlo come “adulto”) o prendere documenti dalle persone e distruggerli di fronte a loro, soprattutto quando le persone vogliono comunicare con loro, spiegare la loro situazione e sapere quali diritti hanno.

Di seguito, i numeri (abbastanza precisi) di persone che abbiamo contato alla nostra «colazione» tra le 9:00 e le 20:00:

Tra il 27 novembre e il 2 dicembre:
610 persone in totale, di queste 510 respinte dalla Questura e 100 provenienti da Ventimiglia o dal territorio circostante.
Tra loro:
– 41 donne
– 15 bambini accompagnati
– 21 minori non accompagnati

Tra il 3 e il 9 dicembre:
741 persone in totale, di cui 615 respinte e 126 provenienti da altre località.
Tra loro:
– 65 donne
– 27 bambini accompagnati
– 17 minori non accompagnati

Tenete in considerazione nella maggior parte dei casi incontriamo persone che abbiamo visto per diversi giorni di seguito, dal momento che occorrono da 2 a 6 tentativi per attraversare il confine con la Francia. Quindi il numero effettivo di individui è decisamente inferiore.

Questi sono gli incidenti concreti avvenuti con la polizia che le persone hanno deciso di condividere con noi o che abbiamo parzialmente vissuto:

27 novembre:

seguiamo una procedura con il nostro avvocato volontario per portare due minori in Francia (erano stati illegalmente respinti). Pur disponendo dei documenti necessari per dimostrare che i respingimenti erano illegali, la polizia francese afferma che “non è abbastanza”. Gli stessi ragazzi riferiscono che la notte prima stavano prendendo un camion per raggiungere la Francia, ma sono stati arrestati in autostrada dalla polizia italiana. Alla stazione di polizia, viene detto loro di sdraiarsi e, poiché uno di loro si rifiuta, viene trattenuto da 5 agenti di polizia e spinto a terra. Uno lo tira a terra torcendogli il naso.

28 novembre:

Incontriamo un uomo che è stato preso e arrestato alla stazione di polizia francese, nonostante sia un richiedente asilo in Francia e stava solo visitando un amico in Italia. Lo riaccompagniamo al confine e alla fine gli viene permesso di andare in Francia.

30 novembre:

un uomo che è già un richiedente asilo in Francia viene preso e arrestato. Mostra i suoi documenti agli agenti di polizia francesi, che li distruggono tutti.

Il giorno prima, 4 uomini con documenti italiani che lavorano regolarmente in Francia sono stati controllati a Nizza sul bus della loro azienda. Vengono portati alla stazione di polizia di Nizza e trattenuti fino alle 14:00. Ci hanno riferito condizioni pessime, gli hanno portati via i telefoni, fatto fotografie e preso le impronte digitali. Il 30 novembre vengono portati in manette al confine e alla fine vengono respinti. Tre di loro non avevano con sè tutti i documenti necessari, mentre a uno avrebbe dovuto essere consentito (l’accesso in Francia ndr) essendo in possesso dei documenti giusti.

1 dicembre:

di notte, tre donne si perdono in montagna e gridano aiuto. Alcuni uomini cercano di attraversare il confine vengono bloccati dalla polizia francese, informano di aver sentito le richieste d’aiuto delle donne sperdute. Chiedono aiuto per loro. La polizia si rifiuta di intraprendere qualsiasi azione e dice che andrà bene. Il giorno successivo incontriamo le tre donne presso il nostro luogo di accoglienza, fortunatamente hanno trovato la strada giusta con la luce del giorno.

Un uomo sta viaggiando dall’Italia a Marsiglia, in Francia, perché suo padre è malato e si trova lì in un ospedale. Vuole fargli visita. L’uomo ha un passaporto valido, un permesso di soggiorno valido, i documenti necessari per il Covid e documenti che dimostrano che suo padre è in ospedale, quindi può essere sicuro di viaggiare durante il lock down. Ha tutto ciò di cui ha bisogno per attraversare legalmente, ma viene comunque bloccato su un treno sul lato francese e portato alla stazione di polizia francese. La polizia francese distrugge i documenti che dimostrano che suo padre è in ospedale. Alla fine, viene respinto in Italia. Lo abbiamo messo in contatto con il nostro avvocato.

3 dicembre:

Incontriamo circa 7 minori nel pomeriggio. Siamo già stati in contatto con uno di loro. Ha già provato 2 volte e ora la terza volta, nuovamente arrestato dalla polizia, ha chiesto chiaramente di esercitare il suo diritto a fare domanda di asilo come minore di 18 anni, cercando di comunicare con la polizia. Come reazione lo hanno picchiato molto duramente. Nessuno di questo gruppo di minori parla della propria permanenza in questura. Uno dei minori che il giorno prima era allegro, rilassato e cucinava con noi ora è serio e non vuole parlare. Non abbiamo quindi informazioni su cosa sia avvenuto nella permanenza in questura. Un minore ha un nome sbagliato sul suo rifiuto d’entrée, oltre a una data di nascita errata attribuita dalla polizia francese. Per questo motivo non possiamo aiutarlo con la solita procedura per riportarlo in Francia.

4 dicembre:

il giorno prima, 11 uomini viaggiano insieme prendono il sentiero di montagna di notte. Quando vengono fermati dai militari francesi, uno di loro, spaventato, cade lungo il lato ripido del sentiero. I suoi amici sono molto preoccupati e chiedono ai militari di controllare le condizioni dell’amico. I soldati dicono loro che lo controlleranno il giorno successivo. Chiamano la polizia francese per portare gli uomini alla stazione di polizia. I 10 uomini insistono nel voler sapere se il loro amico sta bene. I militari scattano una foto del luogo in cui è successo e di tutti loro e non vogliono intraprendere ulteriori azioni. Quando arriva la macchina della polizia, gli uomini si rifiutano di entrare e di andarsene senza il loro amico. Vengono caricati con la forza nell’auto della polizia, portati in stazione e non hanno alcuna possibilità di informare qualcuno o di parlare con qualcuno alla stazione di polizia. Alla fine vengono respinti in Italia il 4 dicembre e arrivano al nostro posto della «colazione», ancora molto preoccupati. Ci facciamo dare il nome, il contatto e la foto dell’amico scomparso per cercarlo. Qualche tempo dopo ricevono la notizia che il loro amico è al sicuro. Si è fatto male a una gamba ma è riuscito a trovare un modo per tornare indietro e ha ricevuto aiuto dalle persone all’inizio del sentiero.

Solo due mesi fa, un uomo (che era con altri due mentre camminava sul sentiero in montagna) è scomparso. I suoi amici lo hanno visto cadere davvero in profondità e hanno informato la polizia francese dell’accaduto dopo essere stati arrestati. La polizia non ha fatto nulla. Solo il giorno successivo, le forze italiane sono andate in montagna, ma poiché la parte del percorso italiano è breve e per lo più sicura, ci hanno detto dopo due giorni di ricerca «Stiamo facendo del nostro meglio, ma pensiamo di cercare nel posto sbagliato» Prevalentemente, se le persone hanno incidenti, è dalla parte francese. Nei casi che abbiamo visto, nessuno si assumeva la responsabilità della possibile morte di qualcuno, nemmeno cercando di agire in qualche modo: il percorso è stretto, non stabile o solido, e molte persone lo percorrono di notte senza luce. Cosa significa morire qui? Soprattutto che nessuno lo saprà mai. Se viaggi da solo o cammini con persone che ti conoscono a malapena, se quelli che potrebbero proteggerti o salvarti non si presentano; sparisci, muori in modo anonimo. È lo stesso tipo di invisibilità che le persone sperimentano attraverso la violenza alla stazione di polizia e sui treni, dove nessuno sta guardando, e nei luoghi della città dove trovano uno spazio libero per dormire. Non esistono realmente nella vita pubblica. Fino ad oggi, per quanto ne sappiamo, non hanno mai (cercato e) trovato il corpo dell’uomo scomparso due mesi fa.

6 dicembre:

Gli effetti personali di un uomo vengono rubati (abbiamo avuto problemi di comunicazione con lui e non siamo riusciti a saperne di più).

8 dicembre:

Incontriamo una donna incinta e sua zia che hanno lasciato un campo italiano a causa delle cattive condizioni di vita, ad es. mancanza di cibo. Sono state fatte scendere dal treno qui al confine dalla polizia francese usando gas lacrimogeni.

Più tardi, un altro uomo ci racconta di più sull’incidente: era stato sul treno con molte altre persone. La polizia francese è salita sul treno in una città dopo il confine. In un bagno si nascondevano una donna incinta e sua figlia di due anni, un’altra donna, l’uomo che ci ha fatto il resoconto e altre persone. La polizia ha ordinato di aprire la porta, ma secondo l’uomo la porta era bloccata dall’esterno. La polizia ha sfondato la porta e ha usato contro di loro forti gas lacrimogeni. L’uomo ha insistito sul fatto che fosse una specie di acido, non solo gas lacrimogeni “normali” ed estremamente doloroso. Il gas veniva messo nel piccolo bagno senza che nessuno avesse la possibilità di uscire. Questo vale anche per il nascituro, la bambina e la loro madre. L’uomo ha urlato all’agente di polizia: “Non ti è permesso farlo. Sai che non ti è permesso. Puoi essere accusato per questo”. Un poliziotto francese ha risposto dicendo che non parlava inglese. Più tardi, alla stazione di polizia, lo stesso agente nel colloquio con la persona che ha segnalato l’accaduto e che chiedeva informazioni personali, ha parlato fluentemente in inglese su il refus d’entrée. Nella stazione di polizia, l’uomo non poteva vedere a causa dell’effetto dei gas lacrimogeni, tossiva e aveva dolore come tutte le altre persone coinvolte.

Gli fu risposto per le cure mediche di rivolgersi in Italia dopo il suo respingimento. Ha quindi ricevuto alcune gocce di un liquido per gli occhi. Poiché abbiamo trovato una possibilità di una accoglienza privata, abbiamo potuto seguire la situazione dell’uomo. Presentava ancora gli effetti del gas lacrimogeno sul corpo e sui capelli e ha avuto problemi a respirare e tossire fino al giorno successivo.

Se hai continuato a leggere il nostro articolo fino ad ora, ti ringraziamo per aver seguito la situazione qui al confine italo-francese. Sebbene la lotta sia in corso, manteniamo la nostra rabbia e la nostra volontà di non perdere mai di vista le persone che attraversano l’Europa.

Sei sempre il benvenuto se vuoi unirti a noi e vivere con noi se puoi impegnarti per un periodo di almeno due settimane o per dare supporto attraverso donazioni.

Cose di cui avremo costantemente bisogno la nel prossimo periodo:

cappelli, guanti, calzini, sciarpe, altri vestiti (contattateci per maggiori dettagli), spazzolini da denti e pasta, vecchi telefoni, sim card utilizzabili in Europa (Leika per esempio), e donazioni di cibo fresco (direttamente al confine se vivi vicino).

Non esitare a contattarci e a utilizzare questi recapiti, cercheremo di ricontattarti il prima possibile!

Con molto calore: il team Kesha Niya
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Ventimiglia: Uomo in mare

A Ventimiglia, il 21 giugno alcuni bagnanti hanno visto affiorare, poco distante dalla riva, il cadavere di un uomo. Il volto sfigurato dalla lunga permanenza in acqua, il corpo ancora vestito: un migrante quasi sicuramente. Queste le poche informazioni che si possono leggere sull’ansa e sulle  testate locali che hanno diffuso la notizia. [1]

 Quest’uomo senza volto, senza identità, va ad aggiungersi al tremendo numero dei morti per mano della violenza delle frontiere. Per mano del capitalismo che impone che la vita degli esseri umani si riduca a merce, per mano degli Stati che sono gli esecutori politici di questo sistema di morte e di tutti quei poteri che cooperano nel funzionamento di questo sistema.

Un uomo senza volto. Un volto sfigurato dalla violenza che si infiltra in ogni angolo di questo sistema, si insinua dentro ogni recesso. Una violenza che sta dentro di noi. Che di questo sistema siamo attori ma troppo spesso ci figuriamo come spettatori.

Se anche quest’uomo avesse avuto ancora il suo volto, il silenzio a cui la sua morte sarebbe stata condannata, glielo avrebbe sottratto.

L’assenza di un volto che, chi combatte ogni giorno la frontiera, nei tanti modi in cui questo è possibile, non potrà dimenticare.

In un mare estivo, celeste e scintillante, in un mare bello, nel mare nostrum, alcuni bagnanti hanno recuperato un corpo. Da dove arriva? Difficile arrivi dalla Francia: le correnti non spingono quasi mai in direzione Italia… dicono i locali. Potrebbe arrivare dal fiume Roya, magari una fuga dai militari francesi appostati nella valle per catturare i migranti che tentano di passare la frontiera, e fuggendo una caduta e poi il fiume… giù a valle fino al mare. Oppure chissà. Chi è? Qual è la sua storia di uomo?

E’ solo un numero. Uno dei tanti numeri dei desaparecidos contemporanei.[2]

Si insinua il dubbio amaro, se abbia senso scriverne, se esistano delle parole con cui rendere giustizia a tanto dolore e a questo male.

Viene in mente un altro corpo, ritrovato nel porto di Genova circa un anno e mezzo fa. [3] Un ragazzo, entrato nel circuito dell'”accoglienza” e finito in fondo al mare, affogato da un dispositivo disumanizzante. Allora più di un centinaio di persone si era riunito per ricordarlo e per ricordarsi che non si può e non ci si deve abituare alla banalità del male e soprattutto che occorre resistere e reagire.

Genova – manifestazione per John Kenedy

Per quest’uomo, ancora e forse per sempre senza nome e senza volto. Per John e per tutte le altre sorelle e fratelli morti ammazzati dalle frontiere con cui si difende il privilegio di pochi e il diritto allo sfruttamento di troppi: è ora di non farsi più sconti!

Le vite delle sorelle e dei fratelli in viaggio contano tanto quanto le nostre.

Dobbiamo cominciare difenderle come difendiamo le nostre e quelle dei nostri car*. Dobbiamo difenderci insieme.

g.b.

[1] http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2018/06/21/migrante-morto-in-mare-a-ventimiglia_a3cc32a4-ecea-49b5-adb7-e719adf5f174.html 

http://genova.repubblica.it/cronaca/2018/06/21/news/migrante_muore_nel_mare_di_ventimiglia-199661940/

http://www.sanremonews.it/2018/06/21/leggi-notizia/argomenti/cronaca/articolo/ventimiglia-migrante-morto-trovato-in-mare-da-alcuni-bagnanti-intervento-della-guardia-costiera.html

http://la-riviera.it/cronaca/migrante-trovato-morto-in-mare-a-ventimiglia/

[2] https://parolesulconfine.com/migranti-riappare-il-fiume-carsico-delle-politiche-eliminazioniste-proprie-del-mondo-occindentale/

[3]http://www.genovatoday.it/cronaca/foce-identificato-cadavere.html

http://effimera.org/john-kenedy-al-presidente-nero-enne-operatori-x-rete-no-borders-genova/

Migranti: il riaffiorare del fiume carsico delle politiche eliminazioniste occidentali

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un testo denso , che mette a tema la politica eliminazionista dei migranti in atto nell’odierna Europa. Un testo che a nostro parere  merita di essere letto con calma e discusso. Contiene infatti una riflessione storica e politica complessiva sulle politiche e sui dispositivi che  governano il fenomeno delle migrazioni verso l’Europa di questi ultimi quindici anni.

L’autore del testo che segue, un uomo con una storia importante e particolare [1], oggi membro del Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos [2], non esita a definire queste ultime come “politiche eliminazioniste”. Non è bello ma è reale: se vogliamo riferirci all’agghiacciante conta delle persone decedute nel tentativo di attraversare il Mediterraneo le stime ci parlano di oltre 30000 morti, una media di 6  morti al giorno, dal 2003 a oggi. A questo numero vanno aggiunti coloro che sono morti nel tentativo di attraversare le frontiere interne dell’Europa: Ventimiglia, per esempio, ha visto tante donne e uomini fulminati sui treni, nascosti nelle cabine elettriche dei convogli, caduti dalle scarpate nel tentativo di passare la frontiera attraverso i sentieri montani, investiti dalle auto in corsa mentre camminavano sul ciglio della strada che congiunge l’Italia alla Francia. E poi i morti lungo la rotta balcanica, e poi tutti gli scomparsi nel nulla lungo le rotte migratorie africane, nei lager in Libia, in Niger… i cui corpi e le cui identità si sono perse nell’oblio di questa violenza inaudita. E’ un testo importante quello che segue, perché arendtianamente prova a “comprendere” senza giustificare, ossia ripercorre l’attualità sulla scorta della riflessione storica e dell’analisi politica, e propone una verità che molto pochi in Europa oggi sono disposti ad ammettere e cioè che ciò a cui stiamo assistendo non è diverso, per quanto riguarda i modi e le finalità delle politiche governamentali, dalla politica di sterminio nazista o da quella della desaparicion applicata in Argentina tra il ’76 e l’ ’83 sotto il regime della giunta militare di Videla.
E’ un testo  che ci chiama in causa tutti, chiama in causa la nostra responsabilità di fronte alla storia di cui siamo attori e non semplici spettatori; ci parla della necessità di ripoliticizzare quella parte di società cui apparteniamo e che oggi è preda dell’alienazione mediatica e politica che le classi dominanti impongono. Molte sono gli stimoli che un testo di questo tipo propone, molte anche le questioni discutibili. Non su tutto ovviamente ci troviamo d’accordo. Ma come lettrici e lettori ci sentiamo chiamat* non solo a riflettervi ma a trovare le vie per una risposta collettiva, la cui mancanza determina che i numeri di questo massacro, quotidiano e irreversibile, continuino ad aumentare. Numeri dietro ai quali ci sono le vite di esseri umani.

Situazione attuale dei flussi migratori sotto il profilo dei Diritti Umani

L’Assemblea del Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos ci offre l’occasione per fare il punto sulla catastrofe umanitaria in corso sotto i nostri occhi, senza che l’opinione pubblica  – vittima di una sindrome da “Lettera rubata “ collettiva – riesca a vederla e tanto meno a tentare di porvi rimedio.

Si tratta di riflessioni dettate da un senso di estrema urgenza, nella speranza di incoraggiare un dibattito  sulle possibili vie da seguire per porre finalmente fine allo stillicidio quotidiano di morti che da troppo ormai ci accompagna e che non possono essere considerate casuali.

Nel tentativo di leggere il problema, occorre premettere che è possibile inquadrare quanto sta accadendo oggi intorno a noi come il riapparire del fiume carsico delle politiche eliminazioniste proprie del mondo occidentale, come la Soluzione finale o quanto accaduto in Argentina sotto la dittatura militare, avvenimenti che ben poco hanno a che vedere, nelle modalità di esecuzione, con quanto portato a termine in Cambogia dai Khmer Rossi, nel Cile di Pinochet, o negli anni ’90 in Ruanda, o con lo stesso genocidio degli armeni, emblematico della capacità di uccidere un gruppo etnico a partire dai primi del ‘900.

Per quanto riguarda la Soluzione finale, appare interessante richiamare l’interrogativo posto dall’indifferenza dell’opinione pubblica nei Paesi occupati dal nazifascismo,  nei confronti della sorte riservata agli ebrei. Possibili spiegazioni hanno a che vedere con il fatto che si trattava di una minoranza transnazionale che mai si era piegata al cristianesimo, vissuta come diversa dalla maggioranza delle popolazioni nell’affermarsi di un sempre più forte nazionalismo identitario, quindi bollabile come Altro in tutti gli Stati europei.

A ciò va aggiunto il segreto con cui era stato custodito tutto quanto riguardava la Soluzione finale, dalla sua ideazione alle decisioni adottate per implementarla, il silenzio stampa che ne conseguiva, l’enormità di quanto programmato che lo rendeva impensabile e quindi negabile, l’inesistenza di un reato che ne prevedesse la fattispecie.

Risultava da tutto ciò nell’opinione pubblica, consapevole di essere tagliata fuori dagli arcana imperii, una diffusa acquiescenza  e, nelle alte sfere, la convinzione dell’impunità che avrebbe accompagnato la vittoria dell’Asse nella II guerra mondiale, su cui tutto si giocava.

Ciò tuttavia non spiega come mai i nuclei rurali che convivevano con i campi di sterminio – e quindi con  i reticolati e il filo spinato, la sorveglianza da parte delle SS con cani inferociti, il fumo dal crematorio con il pungente odore che lo accompagnava –  potessero dirsi e dire di non sapere quello che in quei luoghi veniva portato a termine. Come se, al di fuori dalla logica aristotelica, l’uomo potesse allo stesso tempo sapere e non sapere, o per meglio dire sapere e negare a se stesso di sapere, specie in una situazione di diffuso terrore e nel silenzio dei media che plasmano l’opinione pubblica.

Il ruolo dei media è centrale. Negli anni ’70 del secolo scorso, l’affermarsi della televisione nel mondo occidentale appare mettere in crisi la possibilità stessa del ricorso all’uso della forza da parte dei governi. Due esempi sono emblematici: primo, l’esito finale della guerra in Vietnam, che vede la superpotenza occidentale piegarsi di fronte alla capacità di resistenza di un piccolo stato asiatico, data l’indignata mobilitazione con cui l’opinione pubblica occidentale rispondeva alle atrocità commesse da parte americana, che immagini televisive da giornalisti non embedded rendevano indimenticabili, allora come oggi. Secondo, quanto accade l’11 settembre 1973  a Santiago del Cile, dove i militari decidono di utilizzare la televisione per confrontare la popolazione con la percezione immediata della violenza di cui sono capaci, in modo da soffocare sul nascere qualunque tentativo di opposizione armata. In effetti, il bombardamento del palazzo presidenziale con la tragica morte del Presidente Allende, i carri armati nelle strade della capitale, i combattimenti contro le poche sacche di resistenza ben presto travolte, lo stadio pieno di detenuti torturati e passati per le armi, le ambasciate stesse invase da disperati alla ricerca di una qualunque via di fuga,  spazzano via, a livello interno, qualunque tentativo di lotta armata. Ma, a livello internazionale, provocano un’unanime ondata di indignazione e condanna da parte dell’opinione pubblica occidentale che non accetta né la violenza né la violazione delle più elementari prassi democratiche. In tal modo, Pinochet s’impadronisce del potere, ma a livello internazionale resta condannato all’ostracismo come un vescovo lebbroso.

Si sarebbe detto insomma in quegli anni che la televisione con la sua pervasività e la capacità di scatenare reazioni improntate al senso di etica politica prevalente nelle masse occidentali, avrebbe d’allora in poi vanificato i tentativi degli Stati di fare ricorso alla violenza.

Tre anni dopo, i militari argentini dimostrano che tutto il contrario è analogamente possibile,  purché si riesca a formulare strategie eliminazioniste che, da una parte, tengano buona la popolazione, dall’altra non attirino l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale.

Il ricorso alla desaparición soddisfa entrambe queste esigenze e permette la decimazione , nei suoi elementi migliori, di   una generazione di giovani impegnati e generosi, destinati a diventare la classe dirigente del futuro e decisi a portare avanti un progetto di giustizia sociale e democratica inconciliabile con il neoliberismo  che, dopo il Cile, si voleva a quel punto imporre all’Argentina. La politica ufficiale li bollava come sovversivi che avevano spinto il Paese sull’orlo del caos,  la gerarchia ecclesiastica cattolica non esitava a definirli come cancro da estirpare dal corpo sociale, la maggioranza silenziosa appariva timorosa dell’esito che avrebbe potuto avere una fuga in avanti.

In estrema sintesi, è possibile affermare che in un sistema di informazione ormai prevalentemente televisivo o iconografico, si dà per scontato che tutto quanto accade viene rappresentato e che quanto non è rappresentato non accade. Anche in questo caso, poi, l’enormità della desaparición di massa la rendeva impensabile, come lo era stata la Soluzione finale, non soltanto in quanto ancora non prevista come crimine e quindi non riconosciuta dal sistema giuridico,  ma soprattutto in quanto non rientrante nelle categorie storicamente stratificate nella mente umana o nel cosiddetto inconscio collettivo.

Dalla mancata rappresentazione dei cadaveri conseguiva che non c’erano morti e la speranza di ritrovare in vita il giovane improvvisamente scomparso  smorzava qualunque tentativo di rivolta da parte dei familiari, che d’altronde venivano emarginati dalla maggioranza dei non direttamente colpiti. Qualcosa di analogo appariva a livello internazionale, dove la mancanza di immagini di violenza e di morte impediva all’opinione pubblica, ancora focalizzata sul caso cileno, di intuire e mobilizzarsi contro la ben più vasta caccia all’uomo in corso in Argentina.

I militari argentini avevano capito che nel sistema di informazione mediatica  prevalente, esisteva un cono d’ombra in cui poter agire con le mani libere dai lacci e laccioli dei sistemi democratici, sempre che si potesse fare affidamento sul silenzio dei media e su complicità o almeno acquiescenza a livello internazionale.

Gli Stati non potevano non sapere, ovviamente, attraverso le loro ambasciate a Buenos Aires. Ma, più che la tanto sbandierata tutela dei diritti umani,  a contare era la convinzione che l’opinione pubblica occidentale non si sarebbe potuta mobilitare per qualcosa che ignorava.

Soprattutto, erano i parametri della Realpolitik – vale a dire la politica estera tesa a perseguire gli interessi nazionali in materia economica, geostrategica e di stabilità interna, come interpretati dalla classe dirigente di ogni Paese – a guidare il procedere degli Stati, anche democratici, al di fuori di qualunque considerazione etica.

Prima di arrivare alla contemporaneità, tentiamo di evidenziare adesso i punti in comune tra Shoah e desaparición.

Malgrado la prima sia emblematica del genocidio e la seconda rientri, piuttosto, nella fattispecie del politicidio, entrambe sono manifestazioni delle politiche eliminazioniste, che anche i Governi occidentali ritengono di poter attuare, quando ne ravvisano la convenienza e si sentono ragionevolmente sicuri dell’impunità.

Sia pure maturate  nell’ambito di sistemi totalitari, entrambe le tecniche di eliminazione di massa appaiono far affidamento sull’inerzia dell’opinione pubblica a partire dai seguenti fattori:  il segreto e il silenzio stampa o comunque l’inadeguatezza di quest’ultima a dar conto di quanto sta accadendo;  il carattere di minoranza e/o differenziabilità del gruppo preso di mira che non sembra mettere in pericolo il quieto vivere della maggioranza silenziosa;  quella che abbiamo definito l’impensabilità di entrambi i progetti, che non sono all’epoca neanche previsti come crimine, e l’indimostrabilità della loro attuazione mentre la stessa è in corso; la progressiva diffusione del pregiudizio contro gli integranti del gruppo fino alla loro etichettatura come subumani;  l’adozione di leggi discriminatorie e/o razziali;   la criminalizzazione di coloro che cercano di proteggere il gruppo preso di mira;   la responsabilizzazione del gruppo stesso per una congiuntura particolarmente difficile.

Le atrocità attuate dai militari argentini diventano di pubblico dominio alla caduta della dittatura, nel 1983. La relazione finale della commissione nazionale argentina per le persone scomparse (CONADEP) , istituita al ritorno della democrazia, verrà intitolata “Nunca Màs” , a significare che mai più l’umanità dovrà permettere il ripetersi di simili pratiche . Il governo argentino, insieme a quello francese, darà vita in ambito Nazioni Unite alla Convenzione Internazionale Contro la Sparizione Forzata delle Persone, ma la desaparición non sparirà.

Nel dopo guerra fredda, quello che Bush Senior definisce Nuovo Ordine Mondiale sarà caratterizzato dall’asimmetria scientifico/tecnologica, in primo luogo, ma quindi anche militare, economica e culturale, tra un Occidente che si ricompatta e allarga intorno all’iperpotenza sopravvissuta e il resto del mondo. La guerra torna a essere uno strumento praticabile e praticato, anche da parte di Stati la cui costituzione la ripudia. L’ ideologia della non ideologia neoliberista antepone l’economia alla politica e all’etica, valuta le masse come materiale per la produzione, l’individuo in quanto consumatore – che è l’altra faccia della sua attività lavorativa –  e non in quanto titolare di diritti umani. Più che di globalizzazione sarebbe il caso di parlare di neocolonialismo globale.

L’Occidente continua a vivere confortabilmente la sua età del petrolio, peraltro non suo. L’accaparramento delle risorse, specie energetiche, dei paesi che non si dimostrano in grado di difendere la propria sovranità, permette il mantenimento di livelli di vita e di spreco cui si accompagnano nel resto del mondo sfruttamento della mano d’opera e miseria endemica, disastri ecologici, guerre che sono il mercato necessario per le  nostre industrie e tentativi di proliferazione nucleare,  dittature e Stati falliti, Stati canaglia e vaganti transnazionalità  criminal/terroristiche di origine incerto, capaci di conquistarsi milioni di followers  mostrando nel web cruenti rituali da Medio Evo prossimo venturo.  Ma l’arrivo di nuovi giocatori non deve ingannarci: è il ritorno del Great Game su scala globale, in cui l’Occidente tutto insieme prende il posto dell’Impero Britannico e ancora una volta cerca di ridisegnare Medio Oriente ed Africa a proprio vantaggio, prima che la Russia post sovietica ritrovi il ruolo di superpotenza, che a sua volta la Cina si appresta a svolgere.  Ed è un mondo di cui le masse di migranti e richiedenti asilo sono il portato strutturale, ma non per questo ben visti, anzi spesso non visti per niente,  nella valanga d’informazione dal sistema mediatico, che diventa martellante intrattenimento e baluginante cacofonia autoreferenziale, tutto equiparando in un messaggio subliminale di irresponsabilità, apatia e acquiescenza.

E’ un fatto che dai primi anni 2000 Unione europea e NATO hanno incluso tra i pericoli da affrontare gli effetti destabilizzanti che possono derivare da un arrivo in  massa di migranti e richiedenti asilo, anche se provenienti da  scenari di guerra,  alla pari con il terrorismo e l’interruzione dei flussi energetici, la proliferazione nucleare e la cyber war, ecc. Si tratta, sia detto tra parentesi,  di  contraccolpi  destabilizzanti che  possono aver luogo soltanto in un contesto neoliberista di drastica e costante riduzione della spesa pubblica, quale quello che stiamo vivendo. Basterebbe cambiare le politiche di bilancio per smorzare IL contraccolpo e contrastare  sul nascere le guerre tra poveri.

Resta che, quando l’area economica più ricca  e l’alleanza militare più forte al mondo definiscono come destabilizzante un gruppo umano, quest’ultimo non potrà che diventare bersaglio di politiche di deterrenza.

Sia chiaro, gli Stati hanno  il diritto/dovere di difendere frontiere, coste e acque territoriali, specie in congiunture come quella attuale, caratterizzata da venti di guerra in Medio Oriente e ai confini dell’ex Unione Sovietica,  così come hanno  il diritto di dotarsi di  leggi finalizzate al controllo dell’immigrazione e quello di stabilire accordi bilaterali con paesi di dubbia democraticità.

Da un punto di vista formale, senza entrare nel merito dei singoli contenuti, ciascuna di queste attività normative o pattizie è lecita. Il problema sta nelle ricadute che il combinato disposto di tali attività comporta sui non cittadini, che, sia in quanto richiedenti asilo che in quanto migranti, hanno pur sempre titolo al rispetto dei loro diritti fondamentali e, in primis, del diritto alla vita.  Stiamo parlando dell’operato – anche omissivo – degli Stati europei, della stessa Unione Europea e della stessa NATO, da una parte, degli Stati  africani di attraversamento, dall’altra. E più precisamente degli accordi di Malta (novembre 2015), del patto con la Turchia (marzo 2016), dell’accordo ricatto  con l’Afghanistan (ottobre 2016), del memorandum con la Libia (febbraio 2017),  dei Processi di Rabat e  di Khartoum, che altro non sono che alleanze finalizzate a garantire  sostegno finanziario e militare a regimi non democratici, corrotti e dittatoriali, IN cambio dell’intensificarsi da parte loro della persecuzione ai potenziali “clandestini”, che tentano di arrivare al Mediterraneo. Si sta mettendo a punto un sistema concentrazionario,  sparpagliato ma rispondente a un disegno unitario, in tutto l’enorme bacino africano e mediorientale che fa capo al Mediterraneo, nel quale le torture, i massacri, i trattamenti inumani e degradanti sono da tempo all’ordine del giorno e che se non bloccato  potrebbe diventare  il più complesso sistema eliminazionista della storia dell’umanità.

Lo sbarramento di ogni via d’uscita legale riduce  questi disperati a res nullius , non diversamente dagli ebrei nell’Europa occupata dai nazifascisti o dei desaparecidos nelle mani dei militari argentini, mettendoli  alla mercé dei Diavoli a  cavallo che, dopo essersi macchiati di genocidio in Sud Sudan, adesso sono stati arruolati dal governo sudanese per dar loro la caccia, o delle bande che in Libia li sottopongono a tortura, stupri, lavori forzati o esecuzioni extragiudiziali, vendita come schiavi  o  espianto di organi,  e  infine  in mano agli scafisti, se e quando riescono ad arrivare al Mediterraneo.  Anzi è tutto questo a produrre il lavoro sporco degli scafisti, che tra l’altro finisce per finanziare il terrorismo e altro non è che il sintomo di un’immensa tragedia umanitaria scientemente provocata a monte.

Ma non basta. Non possiamo non dirci che è estremamente improbabile che un barcone possa sfuggire ai controlli incrociati continuamente in atto da parte di aerei,  droni, satelliti, elicotteri, sofisticate apparecchiature radar , ecc. e che lo stesso accada per i gruppi che si avventurano nella traversata del deserto nella speranza di raggiungere  il Mediterraneo o vi sono costretti in direzione contraria, dopo il respingimento. Non mancano testimonianze ad avvalorare l’ipotesi  che i medesimi vengano inquadrati, seguiti fin dall’inizio e lasciati a percorrere fino in fondo il loro calvario,  nell’ambito di una strategia di deterrenza finalizzata a minimizzarne il numero, nell’impossibilità di sradicare del tutto il fenomeno. Non mancano testimonianze su gravissime omissioni di soccorso che di certo costituiscono un illecito internazionale.

Ma loro continuano a tentare di arrivare perché privi di alternative, in fuga come sono da crisi  troppo spesso da noi stessi provocate. E allora,  ecco che le frontiere vengono spinte sempre più in là, oltre la Libia stessa, in Niger adesso,  fino a renderli impercettibili nella tragedia del loro respingimento,  invisibili perché dispersi nel nulla mediatico,  quindi impensabili e alla fine inesistenti perché quod non est in actis, non est in mundo. E si tenta di criminalizzare  le ONG che accorrono a soccorrere i barconi in pericolo di naufragio, affinché il massacro possa andare avanti senza ostacoli e senza testimoni scomodi.

Sistematicamente respinti nell’invisibilità, sono i desaparecidos nell’Europa di oggi, perché, dobbiamo ripeterlo,  la desaparición è una modalità di sterminio di massa, gestita nel cono d’ombra reso possibile da  qualunque sistema mediatico, anche l’attuale, in cui l’iconografia televisiva si somma ai lati oscuramente manipolatori di Internet,  come lo scandalo Facebook da ultimo dimostra,  in maniera che  l’opinione pubblica non riesca a prenderne la dovuta consapevolezza, o possa almeno dire di non sapere,  come successo sia nella Germania nazista che nell’Argentina dei militari.  Permettete che lo dica: tutto questo ricorda la normalità apparente e in realtà spietata che vedevo intorno a me nel centro di Buenos Aires, in mezzo alla tragedia umanitaria scatenata dai militari argentini.

Come nel caso della Shoah e dei Desaparecidos, ci troviamo di nuovo confrontati a un crimine senza nome, che il Diritto Internazionale penale fatica a riconoscere e non può al momento perseguire. E’ la cifra stessa dei morti, 30mila circa dai primi anni 2000 ad oggi, a dimostrare, a mio avviso, che siamo ancora una volta di fronte a un crimine di lesa umanità.

Eppure, qualcosa si sta muovendo. Negli ultimi tempi, la Corte europea dei Diritti Umani ha scritto al Ministro italiano dell’Interno a proposito dei respingimenti in Libia, che nell’ottobre 2017 una sentenza della Corte d’Assise di Milano ha dichiarato illegittimi, per via delle atrocità cui i migranti vi vengono sottoposti, il Tribunale Permanente dei Popoli nella sua sentenza del dicembre 2017 a Palermo ha ritenuto di poter affermare l’esistenza di un popolo migrante, cui sono applicabili le norme a tutela dei diritti umani previste dal diritto internazionale. E quanto più dà speranza forse sono i giovani che accorrono a frotte nelle isole greche, riscoprono i sentieri della resistenza contro il nazifascismo ai confini interni all’Ue, si sottopongono a persecuzioni giudiziarie in nome della dignità e della solidarietà, rischiano anche la vita nelle acque internazionali per salvare i disperati sui barconi che affondano. La stessa procura di Roma ha dovuto avviare pur con tutti i limiti possibili immaginabili, un procedimento penale contro i responsabili del ritardo di 5 ore con cui l’11 ottobre 2013 la nave della Marina Militare italiana Libra  è arrivata a soccorrere le vittime di un naufragio nelle acque internazionali delle stretto di Sicilia, causando l’annegamento di 140 persone circa, di cui 60 minori. E’ il cosiddetto naufragio dei bambini, che non sembra peraltro aver suscitato nell’ ondivaga opinione pubblica, oggi sostanzialmente apatica se non ostile,  la contagiosa commozione scatenata dalla foto di un bambino annegato sulla spiaggia turca, fatta rimbalzare, questa sì, per giorni e giorni, sulle televisioni di tutto il mondo.

Le analogie tra quanto sta accadendo oggi – o per meglio dire si sta facendo, perché di un fare si tratta – e quanto accaduto sia nell’Europa occupata dal nazifascismo che nell’Argentina dei militari sono evidenti:
dalle crescenti manifestazioni di intolleranza, xenofobia e razzismo, incoraggiate nell’elettorato e quindi nell’opinione pubblica, da partiti e politici a caccia di consenso, a leggi razziali, come quella che toglie un grado di giudizio nei procedimenti per ottenere lo status di rifugiato, dal segreto sul contenuto degli accordi con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo,  al ricorso alla logica economica a giustificazione dell’asserita impossibilità di salvare e accogliere tutti, da quel siete troppi, mantra continuamente ripetuto e addirittura pubblicamente sfuggito come un lapsus alla stessa Cancelliera Merkel, alla visibilità negata ai morti in mare, ridotti a cifre non dissimili da quelle stampate a fuoco sulle braccia degli internati nei campi di sterminio, in un astratto presente numerico che cancella le migliaia di storie umane travolte, alla già citata criminalizzazione delle ONG che tentano di salvare vite umane nel Mediterraneo, non dissimile da quanto accaduto in Argentina ai pochi avvocati che osarono difendere i diritti umani dei detenuti politici.

Ma più che continuare ad enumerare similitudini,  è il senso di urgenza di fronte alla catastrofe umanitaria oggi in corso intorno a noi a causa delle politiche dell’Unione Europea, della NATO e degli Stati membri che occorre evidenziare, nella speranza di sollecitare un dibattito che possa contribuire a cercare il modo di porre fine al massacro in corso,  portando a giudizio i responsabili individuali e politici di quanto sta accadendo.

Enrico Calamai

[1] http://www.famigliacristiana.it/articolo/enrico-calamai-lo-schindler-dell-argentina.aspx

http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/enrico-calamai/774/default.aspx

[2] http://nuovidesaparecidos.net/

 

 

Sull’emergere dei comitati cittadini anti-migranti

[immagine in evidenza: repertorio Riverapress.it]

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, un articolo che ripercorre come il fenomeno delle proteste anti-migranti, così frequente negli ultimi tempi, si sia declinato a Ventimiglia.
La Cronaca italiana, da un paio d’anni a questa parte, ci ha fatto conoscere un nuovo tipo di soggetto sociale : il comitato, di cittadini, di quartiere, di abitanti, ecc. ecc. che si mobilita contro l’istallazione, nei dintorni delle proprie abitazioni, di centri e strutture di accoglienza ai/alle migranti. Il più delle volte, si constateranno il supporto (o la sobillazione) da parte di gruppi facenti riferimento ad aree politiche di estrema destra e l’ingigantimento strumentale della problematica, sia che l’accento venga messo sulla ‘piaga’ del degrado, sia che si paventino scenari di violenza e insicurezza.
Alcuni casi, di vere e proprie azioni organizzate o raid, hanno conquistato le prime pagine dei giornali, dando voce ad un’ansia securitaria che lascia impietriti, tanto è irragionevole : minori accusati di aggressioni mai avvenute a Tor Sapienza[1], una quindicina tra donne e bambini a Gorino[2], qualche famiglia in un palazzo di Via XX Settembre a Genova[3] … si potrebbe continuare a lungo ad elencare i ‘nuovi mostri’ che hanno scatenato fobie e isterismo da un estremo all’altro della penisola. A Multedo, quartiere del ponente genovese, si è arrivati a costruire una narrazione falsata, secondo la quale l’asilo di quartiere sarebbe stato chiuso per far spazio ai migranti[4]: il fumo negli occhi storpia la realtà, fino a far dimenticare che quell’asilo privato è stato chiuso per questioni di budget, poichè le rette non bastavano più a mandarlo avanti, secondo quanto dichiarato dalle Suore della Neve che lo gestivano. Per quale bizzarra traiettoria il problema trasla dal taglio indiscriminato allo stato sociale all’accoglienza di qualche decina di richiedenti asilo?
Nonostante la brutalità del confine, della repressione poliziesca, dell’assenza di un supporto istituzionale degno alle persone in viaggio, anche a Ventimiglia la rabbia si scatena nei confronti di chi questo sistema lo subisce e cerca di combatterlo. Quando la rabbia è cieca, diventa odio indiscriminato, quindi di facile strumentalizzazione. Il gioco è pericoloso e chi lo istiga non merita alcuna agibilità politica.

immagine repertorio La Riviera.it

Negli ultimi anni stiamo assistendo in Italia all’emergere con forza di sedicenti gruppi / comitati cittadini spesso accomunati dai seguenti elementi:

– vertenze, presidi e cortei anti-migranti, contro il “degrado” e per la “sicurezza”, in larga parte espressioni di razzismo “di pancia”: quest’ultimo può essere collegato all’incomprensione dei fenomeni sociali in corso e all’incapacità frustrante di non sapere come agire politicamente, e quindi attraverso quale modalità interfacciarsi con le decisioni istituzionali;

– infiltrazione e/o guida di questi gruppi o comitati da parte dei movimenti di estrema destra (Lega Nord, Forza Nuova, CasaPound, oltre a specifiche associazioni ad essi collegate) con conseguente radicalizzazione delle pratiche (emblematici i casi di incendi / danneggiamenti alle strutture adibite all’ospitalità dei richiedenti asilo e delle barricate anti-profughi);diffusione di gruppi facebook intolleranti utilizzati per il coordinamento pratico e ideologico attraverso il tipico modello “Sei di (nome città) se”[5];

– concessione di agibilità politica da parte delle istituzioni locali nell’ottica della funzionale e deresponsabilizzante – per loro – “guerra tra poveri” (emersa in maniera evidente con l’esplosione della crisi del 2008).

[Questa riflessione tuttavia non deve portare a generalizzazioni riguardo al ruolo dei comitati cittadini che in molti casi nascono invece per opporsi a grandi opere inutili e/o alle discriminazioni dilaganti.]

Anche a Ventimiglia, da un anno a questa parte, si è sviluppato lo stesso fenomeno: sul territorio è infatti nato un movimento cittadino autodefinitosi prima “Adesso Basta” e poi “Ventimiglia Libera”, espressione di una rabbia viscerale e in larga parte disorganizzata, che però ha già all’attivo quattro manifestazioni di intolleranza nei confronti dei transitanti. Come già raccontato dal blog Parole sul Confine[6], nel corso di questi cortei sono stati individuati personaggi riconducibili a Forza Nuova e Lega Nord e sono stati urlati slogans palesemente razzisti (“Bruciate i loro bambini!”), oltre che commenti a sostegno di Gaetano Scullino (Forza Italia), sindaco della precedente amministrazione comunale sciolta per infiltrazioni mafiose un paio di anni fa. Come se non bastasse, infatti, a Ventimiglia la presenza della ‘ndrangheta calabrese è ancora molto forte e determinante nelle scelte della vita cittadina[7].

L’11 novembre 2017[8] abbiamo assistito all’ultimo episodio di questa trafila: circa un centinaio di cittadini ventimigliesi, tra cui alcuni esponenti della Lega Nord locale, si sono mossi in corteo per protestare contro la presenza dei migranti in città e per richiederne l’allontanamento dal territorio. Hanno mostrato alcuni striscioni con scritto: “Rivogliamo la nostra città”, “Ventimiglia dice basta”, “Tutti uniti per Ventimiglia” e “Ventimiglia: accoglienza, no delinquenza”. Passando da via Tenda, i manifestanti hanno insultato i/le solidali dell’info-legal point Eufemia, che da quest’estate si occupa di fornire gratuitamente servizi minimi ai ragazzi in viaggio (materiale informativo, ricarica cellulari, connessione internet, sportello legale). I volontari hanno scelto di non rispondere alle provocazioni, optando invece per la tutela collettiva dello spazio e dei ragazzi lì presenti[9]. Al termine della manifestazione, conclusasi di fronte al palazzo comunale, è stato letto il testo della “petizione anti-migranti” da inviare al prefetto di Imperia, con allegate alcune firme dei cittadini.

Risulta sostanzialmente chiaro come il tiro si stia indirizzando verso i soggetti più vulnerabili e attaccabili localmente, ovvero migranti e solidali.

L’illusione di avere un minimo di potere reale su quanto le circonda (purtroppo in senso reazionario), infatti, spinge queste persone a scendere in piazza denunciando l’abbandono “da parte dello Stato” e riuscendo immediatamente ad identificare il “nemico” da combattere: sembra proprio che la xenofobica divisione tra noi (“bianchi”) e loro (“neri”) stia tenendo banco, aprendo la possibilità di pericolose derive razziste.

Il tema del “degrado cittadino” risulta inoltre presente in questa populistica analisi: il problema non è una linea immaginaria chiamata frontiera, il problema non è l’atteggiamento dell’UE, degli Stati italiano e francese e delle istituzioni locali nei confronti delle migrazioni, il problema non è il Comune che lascia delle persone in condizioni igienico-sanitarie precarie e pericolose e che non attrezza la zona del greto del fiume almeno con bagni chimici, fontanelle e cestini dei rifiuti (questo chiaramente nell’ottica di impedire assembramenti informali, che tuttavia, nonostante gli sgomberi estivi avvenuti con le ruspe targate Pd, continuano ad esistere e resistere): il problema, per alcuni cittadini ventimigliesi, sono i ragazzi che sporcano, strumentalizzando i quali possono dunque esprimere il loro legalitarismo, utile per mascherare e giustificare il razzismo di fondo che li anima. E nulla sembra valere il fatto che ogni mercoledì scout Agesci, volontari e migranti si impegnino nel ripulire la zona del Roja cercando di renderla meno invivibile. È anche vero che la questione sta a monte: «Cos’è davvero il degrado? E’ nei resti di un accampamento di fortuna, nei pochi averi abbandonati sul ciglio della strada mentre si tenta la salvezza oltre confine, in questa miseria che spinge migliaia di esseri umani a rischiare (e spesso perdere) la vita… Oppure nelle politiche di accoglienza e negli interessi senza scrupoli di pochi, che di umano non hanno nulla? Il degrado non è forse nei cuori e nelle teste di chi tratta una parte di umanità come un rifiuto gettato ai bordi della strada?»[10].

Le politiche di espulsione, marginalizzazione e invisibilizzazione del “diverso”, già palesemente in atto per esempio con la presenza del centro della Croce Rossa situato all’estrema periferia di Ventimiglia[11] e con la pratica criminale delle deportazioni, vengono dunque incoraggiate da questa parte della popolazione locale, che addirittura ne vorrebbe un’ulteriore implementazione.

Ricette preconfezionate e pronte all’uso non esistono, ma risulta chiaro che occorre pensare a come opporsi, con fermezza e nella pratica concreta, a questa parte di popolazione intollerante. In primo luogo è necessario sottolinearne l’esistenza, evitando banalizzazioni del fenomeno e sottovalutazioni del potenziale che questo può avere: insomma, inutile far finta che le persone in questione non esistano. Utile, invece, smontarne le deliranti narrazioni con criterio, cioè tramite una controinformazione mirata e costante, e quindi denunciarne politicamente le opinioni e le azioni xenofobe. Nonostante l’apparente paradosso, infatti, dimostrarsi intolleranti verso gli intolleranti risulta essere il mattone fondamentale per costruire una vera società della tolleranza.

Alcuni solidali di Ventimiglia

immagine repertorio Sanremonews.it

Note:

[1] http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/14_novembre_13/tumulti-tor-sapienza-stranieri-redistribuiti-6fba45f0-6b08-11e4-8c60-d3608edf065a.shtml

[2] http://www.corriere.it/cronache/16_ottobre_26/dicono-undici-donne-2d911842-9af0-11e6-97ec-60bd8f16d4a5.shtml

[3] http://genova.repubblica.it/cronaca/2016/11/12/news/migranti_in_via_xx_settembre_a_genova_la_prefettura_cita_i_condomini_che_negarono_l_acqua-151845973/

[4] http://genova.repubblica.it/cronaca/2017/10/09/foto/multedo_l_arrivo_dei_migranti_fa_riscoprire_la_voglia_di_asilo_-177793356/1/; http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2017/10/26/ASKX9iIK-multedo_difesa_martino.shtml

[5] https://news.vice.com/it/article/gruppi-cittadini-facebook-estrema-destra

[6] https://parolesulconfine.com/marea-razzista-ventimiglia-no-borders/

[7] http://www.ilsecoloxix.it/p/imperia/2017/06/25/ASPDJt4H-ndrangheta_spuntano_business.shtml

[8] https://parolesulconfine.com/ventimiglia-libera/

[9] Comunicato sui fatti dell’11/11/17: https://www.facebook.com/progetto20k/posts/535242253502360

[10] https://parolesulconfine.com/immigrazione-e-degrado/

[11] https://parolesulconfine.com/parco-roja-minaccia-la-sicurezza/

Levarsi i sassi dalle scarpe per marciare contro il Regolamento Dublino

Notizie dalla Francia : attorno ai PRAHDA (centri di smistamento dei richiedenti asilo, funzionali ai respingimenti dei cosiddetti “dublinati” verso il primo paese europeo nel quale sono stati identificati), si organizza un movimento di protesta e solidarietà, contro le espulsioni, contro la trasformazione dei dispositivi di accoglienza in strutture semi carcerarie e l’impoverimento dell’istituto del diritto d’asilo, determinati dalle politiche europee e dal regolamento detto “Dublino”.

Un articolo scritto grazie all’aiuto dei partecipanti alla marcia, alla disponibilità dei solidali del Manba e al lavoro delle fotografe Peggy e Delphine e del collettivo Primitivi .

Partenza dal F1 di Vitrolles, Peggy

Domenica 29 ottobre.

Una chiamata delle/gli esiliati/e raggruppate/i nei PRAHDA di Vitrolles e Gémenos.

Da alcuni mesi, lo Stato ha bloccato l’accettazione di domande d’asilo!

Da alcuni mesi, le prefetture francesi attuano in maniera sempre più sistematica le procedure dette “Dublino”, nei confronti dei nuovi arrivati : poichè avrebbero attraversato altri paesi europei prima di arrivare in Francia, le prefetture rifiutano la registrazione delle loro domande d’asilo e programmano la loro espulsione verso i paesi di entrata in Europa (Italia, Grecia, Bulgaria …), ai quali delegano l’esame delle domande d’asilo. Ora, non soltanto le procedure d’asilo non sono più garantite in Italia, in Grecia o in Bulgaria, ma tali Stati hanno effettuato delle espulsioni verso i paesi d’origine, in Sudan, in Tchad, Niger, Guinea … Si tratta di una politica che ha come scopo quello di impedire l’accesso all’asilo per la stragrande maggioranza delle popolazioni migranti in Francia e costituisce un segnale negativo nei confronti delle/i nuovi/e rifugiate/i, provenienti dall’Africa e dall’Asia e intenzionati a raggiungere l’Europa.

Dietro le porte dei “centri d’accoglienza” dello Stato: smistamento degli/lle stranieri/e, isolamento e accelerazione delle espulsioni!

Come altrove in Europa, si moltiplicano le sperimentazioni di nuove formule e non si tratta più soltanto per lo Stato di rispondere ai propri obblighi di accoglienza d’urgenza. Quest’estate, 62 nuovi centri sono spuntati in giro per la Francia sotto l’acronimo di PRAHDA (programma d’accoglienza e ospitalità d’emergenza dei richiedenti asilo), all’interno di hotel Formule 1 dati in gestione all’associazione ADOMA (precedentemente Sonacotra).

Sgomberati da Parigi e Calais, ma accolti da mesi dagli abitanti delle città e dei paesi della nostra regione, centinaia di esiliati/e in procedura “Dublino” sono stati/e brutalmente trasferiti/e in centri situati a Gémenos, Vitrolles et Villeneuve les Maguelone… in attesa dell’espulsione! Lontano da ogni possibilità di contatto con la popolazione, in zone “idealmente” situate in prossimità delle piste degli aeroporti o della prigione (come a Montpelier): le prime espulsioni non hanno tardato a venire.

Con queste 62 anticamere della politica del respingimento di Stato, viene accelerato in Francia l’insieme del meccanismo di espulsione dei/lle “dublinati/e”.

PRAHDA = PRIGIONE

Le tecniche di sorveglianza e repressione nei confronti degli occupanti confermano il carattere repressivo dei PRAHDA. La polizia è sistematicamente presente. Coloro che vi risiedono hanno l’obbligo di dimora. I lavoratori sociali assumono il ruolo di secondini, agitano la minaccia di un regolamento interno particolarmente repressivo e segnalano alla prefettura ogni sgarro. Per quelli che resistono, le sanzioni consistono in una segnalazione come “persona in fuga”, che permette alla prefettura di espellere dal diritto d’asilo e di rendere irregolare nel lungo termine la situazione di chiunque venga segnalato.

Concepito come un’alternativa alla detenzione, questo dispositivo perverso non ha niente da invidiarle: ha come scopo l’efficacia delle espulsioni “volontarie”, agitando la minaccia della clandestinità e della privazione dei diritti che questa significa. I/le“dublinati/e”, d’altra parte, sono invitati a recarsi all’aeroporto autonomamente!

Rifiuto di accesso alle cure e ai diritti di interpretariato, apertura sistematica della corrispondenza amministrativa dei residenti da parte della direttrice locale: tutte pratiche ricorrenti che ricordano la prigione!

Nei PRAHDA e non solo, gli/le esiliati/e si mobilitano contro questi nuovi

dispositivi di repressione:

– contro DUBLINO e lo smantellamento del diritto d’asilo

– contro i centri d’isolamento e detenzione

– contro le espulsioni e i trasferimenti forzati

– contro le frontiere che ci vengono chiuse davanti alla faccia

– contro il razzismo di Stato e il suo mondo

UNITEVI ALLA MARCIA!

MASSIMA SOLIDARIETA!”

Questo il testo dell’appello che invitava ad una grande marcia regionale, domenica 29 ottobre. Una marcia di 27 chilometri all’incirca: quelli che separano il PRAHDA di Vitrolles dalla prefettura di Marsiglia.

I PRAHDA: novità e continuità nella “gestione degli stranieri” in Francia

Se ritrovare Marsiglia su una mappa non darà problemi a nessuno, puntare il dito su Vitrolles, e per la precisione sul luogo dell’appuntamento scelto dagli organizzatori, potrebbe rivelarsi un’impresa piuttosto ardua: l’hôtel Formule 1, all’indirizzo 2, Draille des Tribales, è una struttura ricettiva low cost, costruita in una zona industriale, tra capannoni semi-abbandonati e cantieri, affianco ad una super strada … e a pochi minuti dall’aeroporto Marseille-Provence.

PRAHDA, invece, sta per “programme d’accueil et d’hebergement d’urgence pour demandeurs d’asile”: programma di accoglienza e ospitalità d’emergenza dei richiedenti asilo. Assonanze e significato edulcorano cinicamente quel che rappresenta questa nuova tipologia di centri d’accoglienza francesi, entrati in funzione a partire dal mese di agosto 2017, ma dei quali si sentiva parlare da quasi un anno[1]. Si tratta di dispositivi dedicati ad una tipologia particolare di migrante: colui o colei che è stato identificato, tramite registrazione delle impronte, in un paese che non corrisponde alla Francia. Cioè coloro sui quali ricade la procedura regolamentati dagli accordi europei di Dublino, che stabiliscono che le domande d’asilo possano essere inoltrate esclusivamente nel primo paese di entrata in Europa. Un regolamento i cui effetti perversi sono ormai noti, primo tra tutti la “consuetudine” delle forze dell’ordine di obbligare i migranti, anche con la violenza, a depositare le proprie impronte. Impronte che restano valide per un numero variabile di mesi (al massimo 18), passati i quali si può depositare domanda d’asilo altrove: lo Stato francese si organizza per non sprecare neanche un minuto di questo conto alla rovescia!

A chi entra nel programma PRAHDA viene chiesto di firmare un contratto nel quale è scritto nero su bianco che la permanenza nel centro ha fine al momento del trasferimento verso un altro Stato. Il regolamento interno prevede l’obbligo di residenza nella struttura, ciò che equivale ad un obbligo di firma in commissariato una volta a settimana. Ogni assenza di 24 ore deve essere segnalata, mentre ogni allontanamento di una settimana deve essere sottoposto all’approvazione della direzione. Il firmatario si impegna a presenziare a tutti gli appuntamenti relativi alla prosecuzione della procedura d’asilo e concede alla direzione il diritto di diffondere alle autorità che ne richiedessero visione tutte le informazioni a suo riguardo. Il rispetto dei locali è l’oggetto di un ulteriore punto del regolamento. Si specifica che ogni infrazione darà adito alla rottura del contratto e all’allontanamento senza preavviso.

Nella gara d’appalto per l’assegnazione dei PRAHDA si legge che, oltre alle obbligazioni comuni ai dispositivi di accoglienza – come garantire un alloggio e seguire le procedure giuridiche degli ospiti-, chi si aggiudicherà la gestione dei PRAHDA dovrà anche preparare il trasferimento dei “dublinati” e comunicare a OFII[2] e prefetti ogni defezione al regolamento.

A guadagnarsi l’onore di gestire strutture per più di 5000 posti, dislocati su 12 lotti territoriali corrispondenti alle regioni francesi – Corsica esclusa -, è stata Adoma, una società “di economia mista” pubblica e privata nell’ambito del “logément social”, vecchia conoscenza dei lavoratori stranieri in Francia. Prima di ritracciarne i nobili natali, va notato che la formulazione stessa dell’appalto ha di fato escluso qualunque attore del settore che non fosse un gigante (data la ripartizione in grossi lotti regionali). E di giganti, su una stessa piazza, pare evidente non ce ne possano stare molti: Adoma ha ottenuto la totalità dei lotti!

Adoma nasce nel 1956 come SONACOTRAL: società nazionale di costruzione per i lavoratori algerini. Lo scopo, all’epoca, era quello di far uscire dalle bidonvilles le masse di lavoratori algerini giunti in Francia a seguito di accordi bilaterali tra i due paesi. I campi informali erano di fatto incontrollabili per le autorità e si imponeva la necessità di costruire degli alloggi funzionali. A partire dagli anni ’60, oltre a costruire e manutenere, SONACOTRAL inizia anche a gestire gli alloggi per lavoratori, imponendo regolamenti durissimi e repressivi. Proprio a causa di un suo cavallo di battaglia, il non concedere la residenza a chi viveva nelle proprie strutture, negli anni ’70 SONACOTRA, che nel frattempo ha perso una L guadagnando pero’ il diritto di alloggiare lavoratori di tutte le nazionalità, fu bersaglio di importanti proteste e contestazioni.

Nel 2007 cambia nome, diventa Adoma ed estende le proprie competenze a vari settori dell’alloggio sociale, diventando una filiale della SNI (società nazionale immobiliare, controllata dalla Caisse de Dépots et consignations) ed entrando, quindi, in un’era di gestione orientata al profitto finanziario[3].

Una volta vinto l’appalto, Adoma ha proceduto all’acquisto di 62 hotel, di proprietà del mega gruppo Accor, della tipologia detta “Formule 1”: un’invenzione dei ruggenti anni ’80: strutture prefabbricate situate in zone di transito, nelle vicinanze di aeroporti e autostrade. Stanze minuscole, bagni in comune, assenza di qualsiasi servizio, prezzi assolutamente low cost. Ma negli ultimi anni il mercato della ricettività si è rivoluzionato e i F1 hanno subito un crollo disastroso … e allora perché non collettivizzare le perdite con un bell’acquisto da parte di una società semi-pubblica?[4]

Chi si ritrova a risiedere in questi luoghi lunari, parliamo di un minimo di 40 persone[5], non ha a disposizione alcuno spazio comune e nessuna connessione ad internet. Le cucine sono inesistenti, al massimo delle stanzette con un microonde. A Gémenos e Vitrolles molti dei bagni sono inutilizzabili : sono stati promessi dei lavori, ma non si è ancora visto nulla. La diaria è di circa 200 euro al mese, ma l’erogazione non è regolare. In più, in alcuni centri le spese di trasporto sono a carico del richiedente asilo e non sempre è garantito l’accesso alle cure sanitarie.

La polizia passa costantemente, per far firmare le notifiche di residenza o per effettuare controlli. Ci sono stati casi di fuga, che si sono conclusi con arresti e detenzione nei CRA[6].

I lavoratori sono pochissimi e, nei PRAHDA di provenienza degli organizzatori della marcia, ci sono già stati due licenziamenti per motivi disciplinari (pare che la motivazione avesse a che fare con l’aver dimostrato troppa vicinanza con i migranti). Rimangono uno o due lavoratori per centro, più la direttrice: viene da sé che l’assistenza giuridica sia pressoché inesistente[7].

Gli inizi della mobilitazione contro il regolamento di Dublino.

Quando, agli inizi di agosto, i primi PRAHDA hanno aperto i battenti, a Marsiglia i membri del collettivo El Mamba hanno iniziato a ricevere telefonate dai solidali organizzati attorno ai CAO[8] della regione. Erano telefonate di allarme: vedendo sparire le persone da un giorno all’altro, ci si chiedeva che cosa ne fosse di loro.

La macchina solidale ha, quindi, iniziato il proprio percorso di mobilitazione. Innanzitutto fornendo supporto legale ai molti che iniziavano a ricevere delle convocazioni in prefettura, durante le quali veniva consegnato un biglietto d’aereo, quasi sempre a destinazione Italia.

Una prima azione collettiva ha avuto luogo il 12 settembre, quando un folto gruppo di richiedenti asilo e solidali è andato in prefettura, per depositare domanda d’asilo per i molti per i quali si avvicinava la scadenza dei 18 mesi. Un’azione pensata anche in vista del fatto che, essendo stati trasferiti improvvisamente da altre città, l’avanzamento dei dossier era in panne. Il risultato non è stato quello sperato: qualche domanda d’asilo è stata accettata, ma la maggior parte ha visto allungarsi i tempi della conclusione della procedura Dublino (motivazione addotta: avrebbero fatto registrare 2 assenze ad appuntamenti con la prefettura durante i primi 6 mesi della procedura). Addirittura, una persona è stata incarcerata nel CRA di Marsiglia, con la scusante di un mancato ritiro di corrispondenza a suo nome e la scarcerazione è avvenuta grazie all’azione di alcuni avvocati.

A questo punto la necessità di mobilitarsi si faceva sempre più pressante, anche perché in tantissimi si ritrovavano nella stessa situazione.

L’occasione per concretizzare si è data ad un coordinamento dei collettivi del sud est francese, durante il quale si sono incontrati in molti, persone residenti nei vari PRAHDA e collettivi solidali. Si inizia a concordare e sincronizzare le azioni, a partire dal pranzo davanti al PRAHDA di Montpellier in contemporanea ad un’azione a Briançon, e si inizia anche a parlare di una marcia regionale.

L’intento comune era, ed è, quello di dar vita ad un’azione e, possibilmente, ad un percorso di lotta nei confronti delle direttive europee, sintetizzate negli accordi di Dublino, che impediscono qualsiasi possibilità di autodeterminazione nelle scelte che riguardano il proprio percorso migratorio e i propri iter giuridici. Imponendo logiche burocratiche e coercitive, spesso contraddittorie, l’Europa e gli stati che ne fanno parte, di fatto, impediscono, o comunque compromettono irrimediabilmente, il pieno esercizio del diritto alla protezione internazionale. Giustamente, in molti decidono di non voler sottostare a questo regime, ritrovandosi, costretti in clandestinità, a percorrere e ripercorrere le medesime rotte. Le traiettorie si fanno sempre più contorte e aumentano i casi di persone che hanno subito espulsioni plurime o che, rientrati in Italia, non possono riaprire le procedure d’asilo, a causa delle assenze durante il periodo passato in Francia[9].

Dall’Italia, inoltre, si registrano numerosi casi di persone che si ritrovano con una richiesta d’asilo depositata contro il loro volere : le impronte vengono prese con la forza e, contestualmente, si procede con la redazione di una domanda d’asilo, della quale, però, il diretto interessato non è a conoscenza: spesso non compare la sua firma e non è riportata nessuna testimonianza.

Ulteriore problematica: poiché l’Italia, durante l’estate 2016, ha espulso verso il loro paese d’origine 48 sudanesi[10], come può la Francia, che considera il Sudan “paese non sicuro”, operare in direzione dell’espulsione dei sudanesi verso l’Italia? Un esempio, che però funziona anche rispetto ad altre triangolazioni tra Stati.

La marcia del 29 ottobre

La testa del corteo, Peggy

Avendo come obiettivo l’organizzazione di un appuntamento il più vasto possibile, si era pensato a scadenze più dilatate. Dai residenti nei PRAHDA, però, è stata avanzata la richiesta di non rimandare oltre la fine di ottobre: in molti avevano ricevuto convocazioni in prefettura per i primi di novembre e il timore era che si potesse trattare di consegne di biglietti aerei o anche di deportazioni tout court. Si trattava di timori pienamente giustificati dai fatti: il 24 ottobre, 3 richiedenti asilo residenti nel PRAHDA di Vitrolles, ai quali se ne è poi aggiunto un quarto, sono stati trasportati e trattenuti in una cella del commissariato di Avignone, per essere poi espulsi in Italia il giorno seguente. Il tutto senza alcun preavviso, nessuna notifica e nessun colloquio con un legale, quindi in violazione della normativa. La direzione del PRAHDA è assolutamente collusa con la prefettura : la direttrice dei due centri ha addirittura accompagnato personalmente in commissariato, con il furgone della comunità, le persone che sono poi state espulse[11].

La Grande Marcia Regionale contro il Regolamento Dublino parte dal cortile del PRAHDA di Vitrolles.

Una trentina di persone arrivano da Marsiglia, in treno, altri in macchina, alla spicciolata.

E’ ancora presto : manca all’incirca un’ora all’orario di partenza, previsto per le 9, 30. Il Mistral ha iniziato a farsi sentire e nei dintorni non c’è traccia di vita : qualche casa circondata da muri e inferriate, qualche capannone abbandonato, presidiato da cani alla catena. La strada che porta al PRAHDA, dalla piccola stazione di Vitrolles, è interrotta da cantieri stradali, ai quali si è costretti a passare nel mezzo. Gli ospiti del PRAHDA ci invitano ad entrare e preparano te e caffè. Comunque restiamo nel cortile : gli unici due grandi tavoli del centro sono all’aperto, mentre l’interno della struttura si sviluppa attorno a corridoi contorti e angusti, sui quali affacciano le piccole stanzette, marchio di fabbrica degli Hotel F1, e i gabinetti.

Quando arrivano i furgoni sui quali viaggiano i “dublinati” del PRAHDA di Gémenos – altro centro di questo tipo nella regione Provence-Alpes-Côte d’Azur- ci si mette in strada. Molti nascondo il volto dietro una maschera che riproduce le linee di un’impronta digitale, materializzazione della violenza che, nella freddezza della visione burocratica, cancella le storie che le stanno dietro, i chilometri di strada percorsi.

La strada nazionale, Peggy

Siamo 120 e, una volta imboccata la super strada, iniziamo a camminare a buon ritmo, seguiti da alcuni giornalisti e scortati da qualche macchina della polizia. Cammineremo a questo ritmo per più di 5 ore, decisi ad arrivare in orario, o comunque con un ritardo ragionevole, a Bougainville, nella periferia nord di Marsiglia, dove ci aspettano le compagne e i compagni che si uniranno agli ultimi chilometri del percorso.

Lungo la strada e nei centri abitati che attraversiamo, vengono distribuiti volantini per spiegare le ragioni di questa insolita e ingombrante presenza domenicale: in molti rallentano e abbassano i finestrini, o si affacciano dalle case, per raccoglierli.

A ritmare e sostenere la marcia, slogan e interventi. Si grida, per innumerevoli volte, « Stop Dublin » e « Non aux expulsions ». E poi : « La France à tout le monde, La place à tout le monde ».

Chi parla al microfono si interroga sul perché del rifiuto netto e senza appello che ricevono dalle autorità francesi. Ci si chiede come sia possibile essere rifiutati da un paese che per molti non è affatto sconosciuto : « siamo tutti francesi , in tanti hanno parenti che hanno vissuto qui a lungo, un nonno che ha fatto il soldato per la Francia ». Ed è vero anche il discorso inverso : « per quanto tempo i francesi sono stati nei nostri paesi ? … e ci sono ancora ! Ma noi non li scacciamo ! ». Un rifiuto che non si può comprendere ed accettare, « pensando alla Francia, un paese di diritti, il paese dell’uguaglianza … ma questa uguaglianza non esiste ! Per noi non esiste ! ».

Ingresso a Marsiglia, Peggy

Gli ultimi chilometri prima della tappa intermedia, quelli fatti attraverso le periferie marsigliesi, li trascorriamo in una strana dimensione, tra entusiasmo e stanchezza. Adesso si inizia a gridare « Nous sommes pas fatigués, noi non siamo stanchi ! ». Chiedo ad un ragazzo che mi cammina affianco : « come va ? Sei stanco ? », la risposta : « Dubliné, pas fatigué ! » … e la risata è impossibile da trattenere per entrambi.

Ingresso a Marsiglia, Peggy

Alla stazione della metro di Bougainville ci aspettano in 200. Arriviamo cantando e gridando e l’accoglienza è altrettanto calorosa. Dopo aver mangiato qualcosa, si riparte, rinfoltiti. Siamo circa 400 all’arrivo, davanti allo sfarzoso palazzo della prefettura di Marsiglia[12].

Arrivo a Bougainville, Peggy

Il corteo in città, Delphine

Tramonto al Vieux Port, Peggy

 

«I sassi nelle scarpe»

Ritratti, Primitivi

Sono le 19 circa. Nella piazza della prefettura fa freddo, il Mistral è ancora con noi. Mentre si “imbandisce” la cena, il microfono resta aperto per chi ha voglia di dire qualcosa. Contenti, infreddoliti, stanchi e soddisfatti. C’è un po’ di tempo per parlare con alcune delle persone al fianco delle quali si è camminato per l’intera giornata.

M.[13] è in Francia da un anno. E’ rimasto 9 mesi nel CAO di Barcellonete e poi, quest’estate, il trasferimento al PRAHDA di Gémenos, che definisce un « ghetto per i dublinati ». Racconta di come, attraverso i contatti del collettivo El Manba, hanno incontrato i residenti dell’altro centro, quello di Vitrolles : entrambi sono lontani da tutto, il collegamento con Marsiglia è stato fondamentale per entrare in contatto. Per adesso è riuscito ad evitare di salire sull’aereo, ma un fatto lo preoccupa : circa un mese fa è stato intervistato da un giornalista del giornale locale La Provence : nell’articolo si parla dei PRAHDA e il titolo recita « Nuova prigione per gli esiliati ». Il problema è che il giornalista ha ritenuto opportuno riportare nome e età di M., il quale ora teme ritorsioni e conseguenze, dato che, a seguito dell’uscita dell’articolo, durante un colloquio in prefettura, è stato sequestrato l’originale del documento che attesta la sua condizione di richiedente asilo. Ma le ostilità nei loro confronti vengono anche dal personale e dalla direzione dei PRAHDA : « in teoria dovrebbero lavorare con noi, invece le strutture sono fatiscenti, i bagni non funzionano … e soprattutto il capo è meschino … cioè, è tranquillo, possiamo uscire, rientrare senza troppi problemi di orari … tranquillo, tranquillo e poi : biglietto d’aereo ! Delle persone sono già state espulse ! » M. si dice soddisfatto della marcia, della partecipazione e soprattutto della disponibilità ad ascoltare e leggere i motivi della protesta da parte di tutte le persone incontrate lungo il percorso e che hanno accettato i volantini. Arrivare fino a qui, nel centro di Marsiglia, era importante per rompere l’isolamento nel quale sono costretti e per far sì che si sappia dell’esistenza di questi nuovi centri. Da Gémenos sono venuti tutti quanti.

B. parla delle problematicità del servizio di assistenza giuridica, che dovrebbe essere garantito dalla direzione dei centri : « i PRAHDA sono pensati contro gli interessi dei migranti. Come sempre, cercano continuamente nuove soluzioni per bloccare e appesantire i dossier e le situazioni delle persone ». Come esempio, spiega cosa gli è successo qualche tempo fa : « Avevo fatto domanda di ricorso contro una notifica del prefetto. Adoma la ha consegnata in ritardo e così non è stata presa in conto ! Succede spesso che tengano nascosto quel che potrebbe esserci utile … il loro ruolo è metterci “il sassolino nella scarpa” ».

L’arrivo in prefettura, Peggy

 

Venerdì 10 novembre: a pranzo in prefettura

Pranzo in prefettura, Primitivi

A conferma del fatto che la volontà è quella di dar vita ad un percorso di lotta che non si esaurisca con la data del 29 ottobre, venerdì 10 novembre ci ritroviamo nella piazza della prefettura di Marsiglia per un pranzo collettivo contro le espulsioni[14]. Il morale è alto e le idee per futuri appuntamenti non mancano. Dal microfono F. dice : « Parlo francese, eppure fino a qualche tempo fa non lo parlavo. Se, dopo essere stati espulsi, ritorniamo 2, 3 volte, è perché abbiamo deciso di stare qui ! Stiamo bene qui e non capiamo perché ci respingano in questa maniera ! ». Domenica 29, all’arrivo della marcia, la prefettura era vuota. Adesso sappiamo che, dietro la facciata decorata da decine di bandiere tricolore per l’anniversario della fine della prima guerra mondiale, qualcuno c’è. Prima di andare via, una delegazione porta al prefetto una lettera. Di seguito il testo tradotto in italiano :

« Popoli di Francia, signor prefetto,

Abbiamo scelto la Francia per la sua reputazione mondiale in quanto a diritti dell’essere umano e accoglienza dei rifugiati.

Per raggiungere la Francia, abbiamo attraversato dei paesi dell’Unione Europea dove stiamo stati obbligati a lasciare le impronte digitali. Abbiamo deciso di depositare domanda d’asilo presso la Repubblica francese ma le nostre procedure sono state bloccate a causa del regolamento « Dublino ». Non possiamo tornare nel paese dove siamo stati obbligati a lasciare le impronte per differenti motivi ; tra noi :

– Alcuni hanno ricevuto dei rifiuti, e sono quindi esclusi dal diritto d’asilo nel primo paese coinvolto.

– Alcuni vi hanno subito atti razzisti e indegni.

– Alcuni sono stati lasciati per strada, a causa dell’insufficienza dei dispositivi d’accoglienza.

Contrariamente al motto della Repubblica, il governo ha messo in atto dei metodi per mettere dei sassi nelle scarpe (dei bastoni nelle ruote) alle persone in procedura « Dublino » e facilitare le espulsioni. Prendiamo come esempio il dispositivo detto PRAHDA, gestito da Adoma, che opera contro gli interessi dei richiedenti asilo in procedura « Dublino » :

– Deposizioni di domande di ricorso oltre scadenza.

– Complicità di Adoma e prefettura nell’attuazione di espulsioni forzate, senza preavviso e in violazione dei diritti.

– Privazione delle condizioni di vita degne di un essere umano.

Per questi motivi, signor prefetto, sollecitiamo la vostra attenzione, al fine di :
– Annullare le nostre procedure « Dublino ».

– Fermare le espulsioni.

– Accettare le nostre domande d’asilo.

– Farla finita con il mostro Adoma-Prahda.

– Permettere l’accesso all’educazione, agli studi e alla formazione professionale.

Sollecitiamo la Repubblica francese e il suo popolo ad avere uno sguardo misericordioso sulle nostre situazioni di rifugiati, che hanno lasciato dietro di loro delle nazioni, delle famiglie.

Dei rifugiati stanchi per un viaggio pieno di pericoli.

Dei/Delle « Dublinati/e »

Marsiglia, 10 novembre 2017 »

Al momento dei saluti, M. mi dice : « ho un biglietto per lunedì (13/11, n.d.a.), ma non partirò ! ».

… nella speranza di camminare ancora affianco a M., a tutti gli altri e a tutte le altre.

C.P.

[1] L’apertura dei PRAHDA era prevista per la primavera 2017, quando le strutture ospitanti i CAO (centri d’accoglienza e orientamento), aperti in moltissime località francesi a seguito dello sgombero della Jungle di Calais, avrebbero dovuto ritrovare le loro funzioni abituali, principalmente quelle di colonie estive per ragazzi. https://passeursdhospitalites.wordpress.com/2016/11/26/des-cao-au-prahda/.

[2] Office Français de l’immigration et de l’intégration.

[3] Lo stesso finanziamento dei PRAHDA fa riferimento alla messa in opera di un fondo d’investimento. Per approfondire la storia di ADOMA, anche attraverso filmati d’epoca: http://iaata.info/Adoma-remporte-le-marche-PRAHDA-et-prepare-l-apres-CAO-2034.html.

[4] La possibilità di colmare le perdite, entrando nel mondo dorato dell’allogio sociale, era già stata intuita dai proprietari di questo tipo di strutture, ben prima dell’acquisto da parte di Adoma : http://abonnes.lemonde.fr/m-perso/article/2017/10/02/les-hotels-formule-1-dans-une-voie-de-garage_5195109_4497916.html?xtmc=formule1&xtcr=8.

[5] Per i PRAHDA nelle Bouches du Rhône : 40 persone a Gémenos e una sessantina a Vitrolles.

[6] Centre de rétention administrative.

[7] Un articolo che spiega lo scopo e il funzionamento dei PRAHDA, riportando testimonianze di donne e uomini costretti in dispositivi di questo tipo in varie parti di Francia. Le problematiche sono simili a quel che abbiamo sentito raccontare e visto a Vitrolles e Gémenos. La sostanza è sempre la stessa : isolare, invisibilizzare, espellere. https://blogs.mediapart.fr/agathe-senna/blog/091117/les-prahda-isoler-invisibiliser-expulser?utm_source=facebook&utm_medium=social&utm_campaign=Sharing&xtor=CS3-66.

[8] Centre d’accueil et orientation.

[9] Una nota del colletivo solidale di Marsiglia El Manba, per riportare le vicende di un richiedente asilo « rimbalzato » tra Italia e Francia.

[10] https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/24/migranti-prima-espulsione-di-gruppo-48-presi-a-ventimiglia-e-rispediti-in-sudan-ma-khartoum-viola-diritti-umani/2993664/.

[11] https://mars-infos.org/prahda-de-vitrolles-expulsion-2682.

[12] Un articolo sulla marcia di domenica 29, nel quale si ritrovano anche stralci di interviste audio ad alcuni residenti dei PRAHDA : https://reporterre.net/Un-an-apres-Calais-la-France-traite-toujours-plus-mal-les-migrants.

[13] Le iniziali si riferiscono a nomi d’invenzione.

[14] Una restituzione video del pranzo, da parte del collettivo marsigliese Primitivi, che si occupa di produzioni video “di strada” per documentare lotte e iniziative dal basso: https://player.vimeo.com/video/243157295.