Morti al confine: comunicato per Yonas

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il comunicato diffuso a Ventimiglia sull’ultima vittima della lunga lista di morti al confine. Yonas, ventiseienne dall’Eritrea, è stato trovato il 12 gennaio 2025 in mare, a ridosso della frontiera.

Per Yonas, perchè non si dimentichino le morti al confine, le morti da confine. Perchè, come ricordato alla Commemor’action dello scorso febbraio, si devono onorare le persone morte, si deve lottare con le persone vive.

(Article en langue française en-dessous)

** Per Yonas **

Il giorno 8 febbraio 2025, Yonas H. è stato sepolto nel cimitero di Ventimiglia, in presenza di molte persone del territorio, di un parente e di Padre Claudiu che ha celebrato il rituale ortodosso.

Yonas aveva 26 anni, era arrivato dall’Eritrea e il suo viaggio si è fermato a Ventimiglia. È morto il 10 gennaio 2025, nel tentativo di attraversare il confine di Ponte S. Ludovico, tra Ventimiglia e Mentone, diventando l’ennesima vittima della frontiera italo-francese.

Da allora, associazioni e solidali di vari paesi si sono attivati per rintracciarne i parenti e per poter procedere alla sua identificazione.

Grazie al lavoro di rete di associazioni e attivist* tra Italia e Francia, Yonas è stato identificato. Grazie alla solidarietà attivata è stato possibile pagare i 1250 euro di spese previste per il funerale. Ma la generosa risposta è andata oltre, ci ha letteralmente travolti, superando più del doppio la cifra necessaria a copertura delle spese. I contributi pervenuti ci consentono di provvedere ad una lapide perché il tempo non cancelli la memoria di Yonas. Il resto dei soldi verrà donato alla famiglia in Eritrea.

A Yonas, grazie alla grande mobilitazione e ai contributi raccolti, siamo riusciti a garantire il suo diritto al nome e a una dignitosa sepoltura. Questo è stato possibile solo grazie all’impegno della collettività, senza alcun supporto economico da parte delle istituzioni e dei comuni interessati.

Yonas, come tante altre e altri, è morto per le politiche di frontiere in un mondo che contrasta i movimenti delle persone, criminalizza le attività di soccorso, punisce la solidarietà.

Yonas è ora nel cimitero di Ventimiglia in una tomba tra i fiori, è ora memoria attiva contro tutte le morti e le scomparse alle frontiere lungo le rotte.

A tutte e tutti voi, semplicemente grazie.

In memoria di Yonas e di tutte le vittime delle frontiere

Ventimiglia, data

firme

ANPI Ventimiglia

Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI)

Associazione XXV Aprile di Ventimiglia

Baobab experience

Cambio Passo APS-Onlus

Carovane migranti

Cédric Herrou

CSA La Talpa e l’Orologio

Diaconia Valdese

Dima

Emmaüs Roya

Emporio solidale Genova

Enzo Barnabà

Françoise Cotta, avocate

Habitat et Citoyenneté

Imperia solidale

LDH Cannes Grasse

LDH Nice

Les Ami.e.s de la Roya

Lorraine Questiaux, avocate

Pays de Fayence solidaire

Popoli in Arte

MRAP 06

No Name Kitchen

Refugees Welcome Genova

Refuges solidaires

RESF 06

Roya Citoyenne

Sara Tosoni

Scuola di Pace di Ventimiglia

Silvia Costantini

Tous citoyens !

Tous migrants

WeWorld Onlus

_______________________

FRANCAIS

** Pour Yonas **

Le 8 février 2025, Yonas H. a été enterré au cimetière de Vintimille, en présence de nombreuses personnes du territoire, d’un membre de sa famille et du Père Claudiu qui a célébré le rituel orthodoxe.

Yonas avait 26 ans, il venait d’Érythrée et son voyage s’est arrêté à Vintimille. Il est mort le 10 janvier 2025, dans sa tentative de traverser la frontière de Pont Saint Ludovic, entre Vintimille et Menton, devenant la énième victime de la frontière italo-française.

Depuis lors, des associations et des personnes solidaires de divers pays se sont mobilisées pour retrouver ses proches et procéder à son identification.

Grâce au travail en réseau des associations et des activistes entre l’Italie et la France, Yonas a été identifié. Grâce à la solidarité mise en place, il a été possible de payer les 1250 euros de frais prévus pour ses funérailles. La générosité a dépassé les attentes, nous submergeant littéralement, avec plus du double du montant nécessaire pour couvrir les frais. Les dons reçus nous permettent d’installer une stèle afin que la mémoire de Yonas ne soit pas effacée par le temps. Le reste de l’argent sera envoyé à sa famille en Érythrée.

Grâce à la grande mobilisation et aux contributions collectées, nous avons pu garantir à Yonas son droit à un nom et à une sépulture digne. Cela n’a été possible que grâce à l’engagement de la communauté solidaire, sans aucun soutien économique de la part des institutions et des municipalités concernées.

Yonas, comme tant d’autres, est mort à cause des politiques de frontières dans un monde qui s’oppose à la liberté de circulation des personnes, criminalise les activités de secours et punit la solidarité.

Yonas repose désormais dans le cimetière de Ventimiglia, dans une tombe entourée de fleurs. Il fait désormais partie de la mémoire vivante contre toutes les morts et disparitions aux frontières et sur les routes migratoires.

À toutes et à tous, simplement merci.

En mémoire de Yonas et de toutes les victimes des frontières.  

Ventimiglia, [date]  

Signatures

ANPI Ventimiglia

Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI)

Associazione XXV Aprile di Ventimiglia

Baobab experience

Cambio Passo APS-Onlus

Carovane migranti

Cédric Herrou

CSA La Talpa e l’Orologio

Diaconia Valdese

Dima

Emmaüs Roya

Emporio solidale Genova

Enzo Barnabà

Françoise Cotta, avocate

Habitat et Citoyenneté

Imperia solidale

LDH Cannes Grasse

LDH Nice

Les Ami.e.s de la Roya

Lorraine Questiaux, avocate

Pays de Fayence solidaire

Popoli in Arte

MRAP 06

No Name Kitchen

Refugees Welcome Genova

Refuges solidaires

RESF 06

Roya Citoyenne

Sara Tosoni

Scuola di Pace di Ventimiglia

Silvia Costantini

Tous citoyens !

Tous migrants

WeWorld Onlus

Report sull’osservazione della frontiera novembre ’24-gennaio ’25

Riceviamo e pubblichiamo un secondo report di monitoraggio di ciò che accade in frontiera tra Ventimiglia e Mentone. Il periodo di osservazione va da Novembre 2024 a Gennaio 2025. (report originale in inglese)

English Below

REPORT OSSERVAZIONE FRONTIERA NOVEMBRE-GENNAIO

Questa è la seconda parte di una corta cronologia delle molteplici violenze prodotte dai meccanismi di confine e dai agenti della frontiera interna tra Francia e Italia sul mar Mediterraneo. Si tratta di un resoconto incompleto e situato. Fotografa la situazione dal punto di vista di osservatorx bianchx con la cittadinanza europea, tralasciando così gli innumerevoli episodi di violenza vissuti da coloro che stanno lottando e combattendo per la loro libertà di movimento. Si tratta quindi di un quadro molto parziale e limitato della situazione, tralasciando le prospettive cruciali delle persone in movimento (POM_ people on the move, ndr) e delle persone sans-papiers (persone prive di documenti riconosciuti “validi” dagli agenti di frontiera francesi). Anche i numeri dei respingimenti citati sono semplicemente istantanee della situazione alla frontiera.

– non rappresentano il numero di respingimenti che noi osserviamo regolarmente quando monitoriamo il confine, né rappresentano i numeri effettivi dei respingimenti, che stimiamo ancora intorno ai 15-30 al giorno.

18 novembre al confine italo-francese presso Ventimiglia

Un minore viene rilasciato dalla stazione di polizia italiana subito dopo la partenza dell’autobus per Ventimiglia.

Ha con sé i documenti che attestano la sua età ed è stato respinto dalla Francia. Dopo aver trascorso diverse ore in fermo di polizia sia sul versante francese che su quello italiano, decide di tornare a piedi alla stazione di polizia dove aveva appena trascorso ore in cella. 

Ai poliziotti alla frontiera dice di essere minorenne, ha in mano i suoi documenti e dice di essere stato appena respinto dalla Francia e di volerci tornare.  Il poliziotto gli dice: “Va t’en!” (Vai via!) e indica la direzione dell’Italia. 

Giuridicamente i minori hanno il diritto di rimanere nel paese in cui sono entrati.  Questo respingimento è stato illegale per svariati motivi, ma i diritti delle persone in movimento non interessano tanto alla polizia alla frontiera.

Nella stessa notte viene rilasciata dalla stazione di polizia italiana una persona che ha trascorso due giorni in detenzione dal lato francese –  più di dieci volte la durata delle 4 ore consentite dalla legge in Garde A Vue (la “regolare” detenzione francese).

27 novembre

Più i passaggi sicuri attraverso le frontiere per le persone in movimento vengono chiusi e controllati dalla polizia, più i loro tentativi di attraversare i confini diventano pericolosi e rischiosi.

Nella notte apprendiamo da una persona che è stata respinta in Italia che un’altra persona che era stata respinta con lui ha deciso di camminare lungo i binari verso la Francia. Questi binari sono costruiti in aria (cioè scorrono lungo un ponte sospeso sul vuoto, ndr), non c’è quasi spazio per camminare accanto al treno (che passa ogni 30 minuti, un tempo insufficiente per arrivare dall’altra parte).

2 dicembre

Dieci persone vengono rilasciate dalla stazione di polizia italiana dopo essere state respinte dalla Francia alle ore 11:00. Due di loro sono minorenni che sono stati registrati come ventiduenni a Lampedusa. Hanno detto alla alla polizia di avere meno di 18 anni, di voler rimanere in Francia, ma agli agenti non importava.

Nessuno dei dieci rilasciati ha ricevuto documenti che consentano di risalire a ciò che è accaduto o per contestarlo. A nessuno di loro è stata offerta una traduzione nella loro lingua alla stazione di polizia francese (un diritto legale di tutti coloro la cui prima lingua non è il francese). È stato semplicemente chiesto loro il nome e la firma.

5 dicembre

Un poliziotto apre la porta della stazione di polizia di frontiera francese durante la notte per fumare. “Siete voi i più coraggiosi, vero?”, grida a tutti noi, tutto contento e pronto a scherzare.

Più tardi veniamo a sapere che in questa notte a una donna rinchiusa tutta la notte nella cella della polizia è stato negato il diritto di andare in bagno. Aver torturato delle persone nel seminterrato nella stazione di polizia, a quanto pare, ha messo quel poliziotto di buon umore quella notte.

6 dicembre

I respingimenti alla frontiera italo-francese sono sempre violenti e a volte anche assurdi: una persona che accompagnava sua madre all’aeroporto è stata respinta in Italia alla frontiera. A quanto pare in questi giorni il regime di frontiera deve produrre un numero maggiore di respingimenti. Nessuna delle persone “riammesse” in Italia riceve alcuna documentazione di ciò che è successo, quindi questa pratica rimane incontestabile anche a livello legale.

Durante i controlli di polizia sui treni dall’Italia alla Francia, anche alle persone bianche sedute accanto a una persona sottoposta a un controllo basato su profilazione razziale viene chiesto di mostrare il documento. In questo senso, anche la palese profilazione razziale diventa più difficile da contestare a causa del costante perfezionamento delle tattiche violente della polizia. Le ONG stimano che ci siano almeno 20 arresti dovuti a controlli razzisti della polizia ogni giorno al confine.

Queste detenzioni superano regolarmente la durata legale di quattro ore. Ad esempio, in questi giorni di inizio dicembre una persona è stata è stata trattenuta per 14 ore senza ricevere alcuna informazione sui suoi diritti fondamentali.

17 dicembre

Nei giorni di metà mese 6 minori non accompagnati (termine legale) sono stati respinti in Italia in violazione del loro diritto di soggiorno in Francia.

Durante la detenzione dalla polizia francese, a una persona sono state poste molte domande private:  se mangiano carne di maiale, quanto spesso pregano, ecc. Le condizioni di detenzione (due celle nel seminterrato) non permettono una separazione di genere.

La polizia francese scaccia dai luoghi di controllo della frontiera anche coloro che osservano le loro pratiche.

18 dicembre

Segnalazioni di violenza all’interno del container della polizia francese: sono stati spruzzati gas lacrimogeni nella cella.

20 dicembre

Diverse persone, trattenute in una stazione autostradale a qualche chilometro dalla Francia, vengono respinte in Italia.

Erano state portate prima in una stazione di polizia di Nizza, dove hanno dovuto dormire per terra, senza riscaldamento e con una finestra aperta. Al mattino sono state portate alla polizia di frontiera di Mentone e sono state respinte in Italia un giorno e mezzo dopo il loro arresto (anche in questo caso senza alcuna documentazione del loro arresto).

30 dicembre

Una persona che viene rilasciata dalla stazione di polizia italiana dopo essere stata respinta, ha trascorso quasi 24 ore nella stazione di polizia francese poco prima.

7 gennaio

L’anno inizia con una violenta esternalizzazione del confine sulla spiaggia di Ventimiglia: polizia e militari camminano lungo la spiaggia e perseguitano le persone che non hanno un altro posto dove riposare, né un tetto o una casa privata, sedute sulla spiaggia. Controllano e perquisiscono gli effetti personali e tasche delle persone costringendole a mostrare i pochi oggetti che hanno davanti a sé.

La parte della spiaggia di Ventimiglia vicino al fiume è uno degli ultimi spazi dove le persone che non hanno un altro posto dove stare, non si nascondono alla vista nell’ambiente urbano quando vogliono riposare. Ma a quanto pare la spiaggia non è per tutti.

12 gennaio

Il corpo di un giovane ragazzo in viaggio viene ritrovato annegato in mare al confine.

17 gennaio

Le statistiche sui respingimenti alla frontiera franco-italiana tra Mentone e Ventimiglia sono state pubblicate dalle autorità per il 2024: 15.000 respingimenti a Mentone. Nel 2023 erano stati 38.000. Purtroppo questi numeri non significano che un maggior numero di persone riesca ad attraversare la frontiera senza esser intercettata dalla polizia, ma che meno persone sono in grado di provarci. La fortezza Europa rafforza le sue mura esterne mentre ogni anno sempre più persone sono costrette a fuggire da dove si trovano per salvarsi la vita.

This second part of a small chronology of the multiple violences produced by the border mechanisms and its agents of the inner-european border between France and Italy at the Mediterannean Sea is an incomplete and situated account. It pictures the situation from the perspective of white observers with european citizenships and thus leaves out innumerable violent incidents experienced by those who are struggling and fighting for their freedom of movement. It is thus a very partial and limited picture of the situation leaving out the crucial perspectives of people on the move (POM) and sans-papiers (people without documents recognised as “valid” by french border agents). Also the numbers of push backs cited here are simply momentary snapshots of the situation at the border. They do neither represent the numbers of pushbacks that we observe when regularily monitoring at the border, nor do they represent factual numbers of pushbacks which we still estimate at round 15-30 per day.

18th November at the french-italian border near Ventimiglia

A minor gets released from the italian police station just after the bus to Ventimiglia has left in the evening. He has papers stating his age with him and has been pushed back from France. After having spend several hours in police detention on the french and on the italian side he decides to walk back to the police station where he had just spent hours in the cell. He tells the policemen at the border that he is a minor, holds his papers and says that he has just been pushed back from France and wants to return there. The policeman tells him: „Va t‘en!“ (Go away!) and points in the direction of Italy. Juridically minors have the right to stay in the country that they have entered. This pushback was illegal in a double sense – but the rights of people are not of interest to the police at the border.

In the same night a person gets released from the italian police station who has spend two days in french police detention – more than ten times the duration of the legally allowed 4 hours in GARDE A VUE (the “regular” french custody).

27th November

The more safe passages across borders for people on the move are closed and controlled by police, the more lifethreatening and desperate their attempts to do so become:

In the night we learn from a person who was pushed back to Italy that another person who was pushed back with him decided to walk along the railtracks towards France. These railtracks are constructed up in the air, there is almost no space to walk next to the train (that passes every 30 minutes, not enough time to have already reached the other side).

2nd December

Ten people get released from the italian police station after having been pushed back from France at 11:00 am. Two of them are minors who have been registered as 22year olds in Lampedusa. They have been telling the police that they are under 18, that they wanted to stay in France, but the officers did not care.

Nobody of the ten people who got released has received any documents to be able to retrace what has just happened to them or to contradict it. None of them had been offered a translation into their language at the french police station (also a legal right of everybody whose first language is not french). They have simply been asked for their names and signatures.

5th December

A policeman opens the door of the french border police station at night to smoke. “You are the very courageous ones, aren‘t you?!” he shouts to us all self-contented and up for a joke. Later we learn that in this very night a women who was locked all night in the police cell was denied the right to go to the toilet. Having tortured people in the basement of his police station apparently had put that policeman in a good mood on that night.

6th December

The pushbacks at the french-italian border are all the time violent and sometime even absurd: a person accompanying his mother to the airport was pushed back to Italy from the border. Apparently in these days the border regime need to produce higher numbers of pushbacks. None of the people “readmitted” to Italy receives any documentation of what has happened to them so this practice remains uncontestable for them at a legal level, too.

In the racist police controls on the trains from Italy to France the white people sitting next to a person racially profiled by the border police are asked to show their documents, too these days. Even the very blatant racial profiling becomes more difficult to contest due to the constant refinement of violent police tactics. NGOs estimate that there are at least 20 arrests due to racist police controls daily at this border.

Regularily these detentions exceed the legal time frame of four hours. For example, in these days in the beginning of December a person has been detained 14 hours without receiving any information about their rights.

17th  December

In the days in the middle of this month 6 unaccompanied minors (a legal term) have been pushed back to Italy in violation of their right to stay in France.

In french police detention a person has been asked many private questions: If they ate pork, how often they pray, etc. The conditions of detention (two cells in the basement) do not allow for a separation along different genders.

The french police also chases those away from the places of border controls who observe their practices.

18th December

Reports of violence inside the police container on the french side: tear gas had been sprayed into the cell.

20th December

Several people get pushed back to Italy who have been detained at a highway station some kilometres into France. They had been brought first to a police station in Nice where they had to sleep on the floor with no heating and an open window. In the morning they were brought to the border police in Menton and were pushed back to Italy one and a half days after their arrest (also without any documentation of their arrest).

30th December

A person who is released from the italian police station after having been pushed back there has spent almost 24 hours in the french police station just before.

7rd January

The year starts with a violent externalisation of the border to the beach of Ventimiglia: police and military walk along the beach and harrass the people who have no other place to rest, no roof or private house, sitting on the beach. They control and search the belongings and pockets of people forcing them to display the few objects they have in front of them. The part of the beach of Ventimiglia next to the river is one of the last spaces where people who have no other place to stay do not hide from view in the urban environment when they want to take a rest. But apparently the beach is not for everyone.

12th January

The body of a drowned young person on the move is found in the sea at the border.

17th January

The statistics of pushbacks on the french-italian border between Menton and Ventimiglia are published by the authorities for 2024: 15.000 pushback in Menton. In 2023 it was 38.000. Sadly these numbers do not mean that more people make it across the border without violent police contact but that less people are capable to try for it. Fortress Europe reinforces its outer walls while every year more and more people have to flee from where they are in order to save their lifes.

Commemor’action: le frontiere uccidono

onoriamo le persone morte, lottiamo con le persone vive

Riceviamo e pubblichiamo il testo del comunicato letto a Ventimiglia il 6 febbrio 2025 in occasione della mobilitazione per la chiamata internazionale Commemor’Action, presso il memoriale per le persone uccise dal confine. A seguire, testo in francese. Per ulteriori informaioni sulla Commemor’Action: pag 51 del report Resistere al Confine e in questo articolo.

Il 6 febbraio 2025, a Ponte San Ludovico, tra la Francia e l’Italia, ci siamo ritrovatə per prenderci cura del memoriale dedicato alle persone vittime della frontiera, delle politiche migratorie europee e del razzismo sul nostro territorio. Abbiamo inserito questo momento nell’ambito del movimento internazionale Commemor’action, nato dall’impegno dei familiari delle persone scomparse o decedute in migrazione, per riunirsi nel lutto ma anche per rivendicare giustizia e libertà di circolazione.

Insieme, abbiamo reso omaggio alle persone che hanno perso la vita a causa della violenza della frontiera che attraversa il nostro territorio.

Da 10 anni, questa frontiera è chiusa alle persone che non hanno i giusti documenti. Da 10 anni, pratiche illegali e razziste si svolgono quotidianamente.

Questo confine ha già ucciso in passato. Tuttavia, i decessi sono aumentati drammaticamente a causa dell’intensificazione dei rischi nel tentativo di attraversarla e del deterioramento delle condizioni di vita delle persone ostacolate dalle politiche migratorie europee.

Infatti, la violenza del confine non risiede solo nei sistemi di controllo lungo il suo tracciato geografico, ma anche nel modo in cui vengono trattate le persone in migrazione su tutto il territorio. Per questo motivo, abbiamo deciso di includere nel nostro lavoro di memoria non solo le persone decedute tentando di attraversare la frontiera, ma anche quelle che hanno perso la vita a causa di incidenti, conflitti o problemi di salute legati alle condizioni di vita indegne a cui sono state costrette.

Non dimentichiamo come questa terribile violenza si incarni nei luoghi di privazione della libertà. Quest’anno, la nostra commemorazione ha avuto l’onore di svolgersi alla presenza delle famiglie di Moussa Balde e Ousmane Sylla, entrambi deceduti nei centri di permanenza per il rimpatrio italiani.

Constatiamo che l’Europa si sta dirigendo verso un orizzonte pericoloso.

Constatiamo l’ingiustizia subita dalle persone in migrazione da decenni.

Constatiamo il disprezzo degli stati europei nei confronti delle famiglie delle vittime.

Ma vediamo anche la forza delle persone sopravvissute, la dignità delle famiglie, l’amore di coloro che le sostengono.

Vediamo la diversità e la molteplicità delle lotte.

Vediamo che siamo qui anche oggi e che non ci arrenderemo.

Il regime delle frontiere schiaccia la speranza. Non lasciamo né la vita né la morte nelle sue mani.

Appropriamoci della morte e mettiamoci dentro tutta la potenza della nostra tenerezza, per trovare insieme il coraggio di continuare a lottare con le persone vive.

Uniamo le nostre forze insieme a tutte le persone che lottano affinché le frontiere smettano di uccidere, mutilare, traumatizzare e far sparire esseri umani che esercitano la loro libertà di circolazione.

Uniamo i nostri pensieri insieme a tutte le persone che sostengono le famiglie delle vittime nella loro lotta per la verità, la giustizia e la riparazione.

Uniamo i nostri cuori insieme a tutte le persone che desiderano che le persone morte e disperse non cadano nell’oblio. Che siano riconosciute e onorate.

Abbiamo compilato un elenco dei decessi legati a questa frontiera tra Ventimiglia e Mentone. Ci sono 49 persone, tra le quali 28 hanno perso la vita nel tentative di passare il confine e 21 in altre circonstanze legate alle condizioni di vità sur territorio.

Questo elenco presenta lo stato attuale delle nostre conoscenze riguardo ai decessi legati alle conseguenze fisiche e psicologiche della chiusura del confine, delle politiche migratorie europee e del razzismo su questo territorio.

È stata realizzata incrociando informazioni provenienti da diverse fonti: abitanti, abitante, attivist’, persone in migrazione, lavoratori sociali, ricercatrici, stampa, municipalità, banche dati ufficiali…

Non avendo accesso alle fonti poliziesche e giudiziarie, non abbiamo sempre la certezza dei mezzi che hanno portato a stabilire i nomi. Supponiamo che provengano da dati che le persone hanno dovuto dichiarare alle autorità nel contesto del sistema di controllo delle frontiere, lo stesso che ha portato alla loro morte. Pertanto, nei casi in cui non ci sia una conferma da parte dei familiari, non consideriamo l’identificazione di queste persone con assoluta certezza. Tuttavia, pubblichiamo queste informazioni che possono essere un punto di partenza per ritrovare le famiglie.

D’altra parte, in questo memoriale non sono menzionate le numerose persone gravemente ferite, ma non dimentichiamo che le frontiere traumatizzano i corpi e le menti, oltre a uccidere.

Dobbiamo anche considerare che con molta probabilità non siamo a conoscenza di tutte le morti legate alla violenza di questo confine. Ma insieme, continueremo a lavorarci per iscrivere la loro esistenza nella nostra memoria.

Se desiderate maggiori informazioni o se ne avete, non esitate a contattare l’indirizzo email borderkills@riseup.net. Grazie.

Onoriamo le persone morte, lottiamo con le persone vive.


Article en langue française

Le 6 février 2025, à Pont Saint Ludovic entre la France et l’Italie, nous nous sommes retrouvé.es pour prendre soin du mémorial dédié aux personnes victimes de la frontière, des politiques migratoires européennes et du racisme sur notre territoire. Nous avons inscrit ce moment dans le cadre du mouvement international de Commemor’action né de l’engagement des proches de personnes disparues ou décédées en migration afin de se réunir dans le deuil mais aussi dans une revendication de justice et de liberté de circulation.

Ensemble, nous avons rendu hommage aux personnes qui ont perdu la vie à cause de la violence de la frontière qui traverse notre territoire.

Depuis 10 ans, cette frontière est fermée aux personnes qui n’ont pas les bons papiers. Depuis 10 ans, des pratiques illégales et racistes s’y jouent quotidiennement.

Cette frontière a tué avant. Mais les décès ont dramatiquement augmenté à cause de l’intensification des risques pour la traverser ainsi que de la dégradation des conditions de vie des personnes entravées par les politiques migratoires européennes.

En effet, la violence de la frontière ne tient pas seulement aux dispositifs de contrôles placés sur son tracé géographique mais aussi à la manière dont sont traitées les personnes en migration sur tout le territoire. C’est pourquoi nous avons décidé d’inclure dans notre travail de mémoire non seulement les personnes décédées en tentant de traverser mais aussi celles ayant perdu la vie à cause d’accidents, de conflits ou de problèmes de santé liés aux conditions de vie indignes auxquelles elles ont été contraintes.

N’oublions pas l’incarnation terrible de cette violence dans les lieux de privation de liberté. Cette année, notre commémoration a eu l’honneur de se tenir en présence des familles de Moussa Balde et d’Ousmane Sylla, qui ont tous les deux perdu la vie dans des centres de rétention en Italie.

Nous constatons que l’Europe se dirige vers un horizon dangereux.

Nous constatons l’injustice faite aux personnes migrantes depuis des décennies.

Nous constatons le mépris des états européens envers les familles des victimes.

Mais nous voyons également la force des personnes survivantes, la dignité des familles, l’amour de celles et ceux qui les soutiennent.

Nous voyons la diversité et la multiplicité des luttes.

Nous voyons que nous sommes là aujourd’hui et que nous ne nous rendrons pas.

Le régime des frontières écrase l’espoir. Ne laissons ni la vie ni la mort entre ses mains.

Saisissons nous de la mort et mettons-y toute la puissance de notre tendresse pour trouver ensemble le courage de continuer à lutter avec les personnes vivantes.

Unissons nos forces à toutes les personnes qui se battent pour que les frontières cessent de tuer, de mutiler, de traumatiser et de faire disparaître des êtres humains exerçant leur liberté de circulation.

Unissons nos pensées à toutes les personnes qui soutiennent les familles des victimes dans leur combat pour la vérité, la justice et la réparation.

Unissons nos cœurs à toutes les personnes qui désirent que les mort.es et les disparu.es ne tombent pas dans l’oubli. Qu’ils et elles soient reconnu.es et honoré.es.

Nous avons établi une liste des décès liés à cette frontière entre Vintimille et Menton. S’y trouvent 49 personnes, parmi lesquelles 28 ont perdu la vie en tentant de passer la frontière e 21 à cause des conditions de vie sur le territoire.

Cette liste présente l’état actuel de nos connaissances concernant les décès liés aux conséquences physiques et psychiques de la fermeture de la frontière, des politiques migratoires européennes et du racisme sur ce territoire.

Elle a été réalisée par le recoupement d’informations provenant de diverses sources : des habitant.es, des activistes, des personnes en migration, des travailleurs et travailleuses sociales, des chercheureuses, des journaux locaux, des municipalités, des bases de données officielles…

N’ayant pas accès aux sources policières et judiciaires, nous ne savons pas toujours par quels moyens certains noms ont été établis. Nous supposons qu’ils viennent de données que les personnes ont dû déclarer aux autorités dans le cadre du dispositif de contrôle des frontières, celui-là même qui a mené à leur décès. Ainsi, tant qu’il n’y a pas eu de confirmation par des proches, nous ne considérons pas que les personnes sont identifiées avec certitude. Cependant, nous publions ces informations qui peuvent être un point de départ pour retrouver les familles.

D’autre part, n’y sont pas mentionnées les nombreuses personnes gravement blessées mais nous n’oublions pas que les frontières traumatisent les corps et les esprits, en plus de tuer.

Il faut également considérer que nous ne sommes certainement pas au courant de toutes les morts liées à la violence de cette frontière. Mais ensemble, nous continuerons d’y travailler pour inscrire leur existence dans nos mémoires.

Honorons les mort.es, luttons avec les vivant.es

Per Moussa e Ousmane, contro tutti i CPR

Moussa Balde, 22 anni, nasce nel 1998 in Guinea. Nel maggio 2021 muore in isolamento nel centro per rimpatri di Torino. Due settimane prima aveva subito un linciaggio ad opera di tre uomini italiani nelle strade di Ventimiglia, ricevendo in cambio un decreto di espulsione dall’Italia.

Ousmane Sylla, 21 anni, nasce nel 2002 in Guinea, nel 2024 muore rinchiuso nel centro per rimpatri di Roma. Due mesi prima aveva denunciato maltrattamenti e violenze nella casa famiglia presso cui era in accoglienza a Cassino, ricevendo in risposta un decreto di espulsione dall’Italia.

Ormai in tantx conoscono la storia dei due ragazzi guineani. Ma ripercorrere i loro ultimi mesi di vita in Italia ci aiuta a capire meglio dove siano collocate le colpe di queste due morti e dove indirizzare una lotta che chieda non solo verità e Giustizia per loro (non la giustizia dello stato che ha buttato Moussa in isolamento anzichè proteggerlo come testimone del suo stesso pestaggio. O quella che ha portato Ousmane dritto in un cpr anziché offrirgli sostegno per aver denunciato abusi e corruzione nel sistema dell’accoglienza) ma soprattutto che promuova lo smantellamento e la distruzione di tutti i CPR con ogni mezzo possibile e necessario. Da dentro, da fuori, da ovunque si riescano ad attaccare questi lagher.

La riapertura delle frontiere, la fine delle politiche criminali con cui la “fortezza europa” gestisce i confini e porta la gente a morire continuamente, non devono essere considerate utopie. Ma battaglie concrete che portino passo dopo passo a rimettere la solidarietà prima dello sfruttamento e le vite delle persone sopra al denaro. Chiedere il conto di queste morti, indicarne i responsabili e attaccare i dispositivi di annientamento di altri esseri umani è un percorso reale che possiamo e dobbiamo portare avanti.

Per queste ragioni le famiglie Sylla e Balde sono arrivate a Roma a inizio febbraio. La sorella e il fratello di Ousmane e la madre, il fratello e la sorella di Moussa sono qui per ripetere che non si arrenderanno ai soprusi che gli hanno ammazzato i figli. Con grande forza e determinazione hanno deciso non solo di venire a seguire nei tribunali i percorsi giuridici legati alla morte dei loro parenti, ma anche di assumersi un intenso viaggio che toccherà più città attraverso l’Italia per incontrare chiunque voglia ascoltare la loro testimonianza e proseguire una lotta contro confini e cpr.

Quando Moussa perse la vita a Torino, Thierno Balde, già in Italia per il processo contro i tre miserabili che hanno massacrato suo fratello in mezzo alla strada a Ventimiglia, disse: sono qui perchè non debba mai più succedere a nessuno quello che è successo a Moussa.

E invece è successo di nuovo.

Dobbiamo unire ancora più voci e ancora più mani per sostenere le voci e le mani di chi paga questo sistema sulla propria pelle.

Mettere in gioco i nostri privilegi e sfidare il progressivo aumento di leggi e decreti che colpiscono chiunque combatta le ingiustizie, le frontiere, le carceri, i centri di espulsione per migranti è una scelta che non può essere rimandata.

Ousmane e Moussa non sono dati virtuali nella narrazione mediatica. Sono corpi reali finiti in una bara e sogni annichiliti a vent’anni che lasciano affetti straziati e vite interrotte. Sono cappi alle sbarre per uscire da una prigionia di cui non vedevano la fine che interrogano le nostre coscienze.

Abbiamo già fatto tanto, tutte e tutti assieme, unendo gli sforzi e le energie per permettere alle famiglie di affrontare le spese dei visti, del viaggio tra Guinea e Senegal dove si trova l’ambasciata italiana, della permanenza a Dakar in attesa della partenza, dei voli per arrivare in Italia e tornare a Conakry, i costi di vitto e alloggio per l’intero mese di permanenza in Italia e tutte le spese di spostamento tra le tante città e realtà pronte ad accoglierle.

Ma la sfida non finisce sostenendo questo importante viaggio e ascoltando le parole dei familiari di Ousmane e Moussa.

Piuttosto, da qui si deve ricominciare. Dalla minaccia del nuovo decreto “sicurezza” in attesa di approvazione, dalla promessa di aprire un cpr in ogni regione (nella regione da cui scriviamo, a un’ora di distanza da Ventimiglia sono iniziati lavori di ristrutturazione nell’ex caserma Camandone di Diano Castello, dove si minaccia da un anno l’apertura di un cpr), dall’ostinazione di portare avanti centri di reclusione e tortura in territori extraeuroopei, dall’ennesimo ragazzo trovato morto a gennaio alla frontiera di Ventimiglia, caduto in mare mentre cercava di passare il confine dagli scogli dei Balzi Rossi.

Allungate voi che leggete la lista di ciò che non si può ulteriormente sopportare:

c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Ci vediamo al tribunale di Torino il 12 Febbraio ore 9 per l’inizio del processo per omicidio colposo contro ex medico ed ex direttrice del cpr torinese, dipendenti privati dell’azienda multinazionale francese Gepsa.

Non confondiamoci: i colpevoli sono tanti, tanti di più.

Ma quelli che rappresentano lo stato sono abili a non rendere mai conto del sangue sulle loro mani.

Una seconda indagine parallela a quella per l’omicidio colposo di Moussa Balde, scaturite entrambe in seguito alla sua morte, ha infatti portato a un’accusa per sequestro di persona contro il personale del cpr ma soprattutto contro poliziotti e dirigenti dell’ufficio immigrazione di Torino, responsabili della vigilanza nel centro di espulsione. Il reato contestato era l’uso continuativo della sezione di isolamento denominata “ospedaletto”, in cui è morto Moussa e altri prima di lui, per aver segregato in quelle gabbie 14 persone per la durata di settimane e mesi nel biennio 2020/2021.

A Novembre 2024, la giudice ha deciso per l’archiviazione di tutte le accuse.

Non perchè effettivamente questi personaggi non abbiano commesso illeciti e abusi, infierendo sui corpi e sulla salute mentale di persone che già si trovavano recluse solo per non avere i giusti documenti. Ma perchè

uno: siccome nel cpr di Torino si era sempre fatto così anche negli anni precedenti, gli imputati in questione non potevano sapere, secondo il tribunale, che stavano compiendo un sequestro di persona.

due: siccome un cpr è terra di nessuno senza leggi o regolamenti (a differenza del carcere), a livello giuridico non si può neanche dire che lì dentro si stessero effettivamente violando delle norme, visto che la detenzione amministrativa è un non luogo dove palesemente tutto è permesso.

Non importa cosa dicono i tribunali: sappiamo benissimo che le morti di Moussa e Ousmane sono due omicidi di stato, visto che prima di morire sono passati tra accoglienze e ospedali, prefetture e questure, polizie e vigilanti, magistrati che hanno firmato decreti di espulsione e medici che ne hanno firmato l’idoneità alla reclusione.

L’appuntamento al tribunale di Torino il 12 è solo uno dei tanti passi che ci aspettano nel cammino di questa lotta: teniamoci aggiornatx. Teniamoci prontx.

Dal confine: aggiornamento da Ventimiglia ottobre-novembre 2024

Riceviamo e pubblichiamo. (eng below)


Questa breve cronologia delle molteplici violenze prodotte dai meccanismi e dagli agenti del confine intraeuropeo tra Francia e Italia sul Mar Mediterraneo è un resoconto incompleto e circoscritto.

Rappresenta la situazione dal punto di vista di persone osservatrici bianche con cittadinanza europea e quindi esclude innumerevoli altri incidenti violenti vissuti da coloro che lottano e combattono per la propria libertà di movimento. È perciò un quadro molto parziale e limitato, che tralascia le cruciali prospettive delle persone in movimento (POM) (in inglese: pople on the move, n.d.r.) e dei sans-papiers (persone senza documenti riconosciuti come “validi” dagli agenti di frontiera francesi).

Inoltre, i numeri di respingimenti qui registrati sono semplicemente istantanee momentanee della situazione al confine: non rappresentano né i numeri di respingimenti che osserviamo quando monitoriamo regolarmente al confine, né rappresentano numeri effettivi di respingimenti che stimiamo ancora essere intorno ai 15-30 al giorno.

Settembre 2024 al confine franco-italiano vicino a Ventimiglia

In questo mese sono state soprattutto le famiglie in fuga dalla guerra a tentare di attraversare questo confine

10 ottobre

Il campo informale sotto il ponte, rimasto l’ultimo spazio visibile di incontro delle POM e persone senza documenti regolari a Ventimiglia, viene sgomberato dalla polizia, dai militari e dalla DIGOS (divisione investigazioni generali e operazioni speciali della polizia). Nella stampa locale l’operazione è raffigurata come accompagnata da “mediatori culturali” della polizia, ma non è stato così.

11-15 ottobre

La polizia e i militari italiani, che sono ancora presenti nel punto sgomberato sotto al ponte per impedire alle persone di tornare nell’unico luogo di rifugio che avevano a Ventimiglia, non autorizzano i volontari della ONG NoNameKitchen a offrire docce alle persone che vivevano sotto il ponte

18 ottobre

Il primo ministro francese Michel Barnier e il ministro dell’Interno francese Bruno Retailleau incontrano i ministri Piantedosi e Tajani del governo Meloni al confine tra Ventimiglia e Mentone. Il loro obiettivo è quello di sostenere pubblicamente un rafforzamento dei controlli alle frontiere (come con una nuova legge sull’immigrazione) incontrando la polizia di frontiera per garantire il supporto del Rassemblement National (l’estrema destra francese). L’evento viene dichiarato come un “incontro di lavoro” per la cooperazione franco-italiana contro l’immigrazione “irregolare”. Circa 30 persone stanno protestando alla frontiera contro questa narrazione. Tre di loro vengono fermate in seguito dalla polizia italiana a Latte. Durante l’evento vengono messi in uso sei nuovi droni appena acquisiti dal governo francese per il controllo delle frontiere.

22 ottobre

La polizia e l’esercito francesi stanno lavorando a stretto contatto: a Sospel i poliziotti scendono dalla jeep militare, uno dei veicoli color sabbia usati per dare la caccia alle persone in montagna.

23 ottobre

A Ventimiglia tra la strada e il ponte (via Tenda) c’è uno spazio vuoto dal soffitto basso sotto alla prima parte del cavalcavia, dove le persone che non hanno altre possibilità si nascondono da anni per dormire. Ora anche quest’ultimo rifugio asciutto è stato sgomberato dalla polizia. Annunciano che il loro piano è quello di costruire un altro inutile muro per impedire alle persone di avere un posto coperto per dormire.

24 ottobre

Alla stazione ferroviaria di Breil sur Roya (città di confine francese) polizia e militari si dispongono in cerchio per accogliere l’arrivo dell’autobus che attraversa il confine con l’Italia, che controllano regolarmente.

25 ottobre

Sette persone sono state respinte oggi dalla Francia all’Italia tra le 15:00 e le 17:00. Tre di loro erano su un autobus che era stato fermato al confine, una persona lavora in Francia da diversi anni, un’altra persona è stata fatta scendere dal treno proveniente da Ventimiglia a Menton-Garavan (la prima stazione ferroviaria sul lato francese). La persona sul treno aveva un permesso di soggiorno e un passaporto valido, ma è stata comunque detenuta nella stazione di polizia francese per più di quattro ore. Ha detto alla polizia francese di essere diabetica e di aver bisogno di mangiare, ma non ha ricevuto cibo.

6 novembre

Sei persone sono state respinte dalla Francia all’Italia nel pomeriggio. Nessuna di loro ha ricevuto una traduzione che le informasse sulla loro situazione e sui motivi della detenzione presso la stazione di polizia francese. Non hanno ricevuto alcun documento che indicasse i motivi del loro arresto né una documentazione sulla procedura. Le uniche domande che sono state poste loro dalla polizia francese sono state: “Nome? Cognome? Firma!” (rispetto ad un documento che dichiarava che non avevano obiezioni da fare alla procedura a cui erano state sottoposte). Tre delle persone erano già a Nizza, le altre tre sono state fermate nella città di Mentone.

8 novembre

Sette persone vengono respinte in Italia dalla Francia nel pomeriggio. Quattro di loro vengono rilasciate dalla polizia italiana alle 11:00. Erano state arrestate dalla polizia francese nel tardo pomeriggio del giorno prima. Una persona ci racconta che la polizia francese ha minacciato di picchiarla se avesse continuato a fare domande sulla procedura di detenzione.

12 novembre

Le famiglie con bambini piccoli vengono ancora respinte dalla Francia all’Italia.

Inoltre, il foglio esposto nell’area esterna della stazione di polizia italiana al confine che mostrava il conteggio delle persone respinte dal lato francese è scomparso dopo la visita dei ministri francesi. Inoltre, è stata osservata una procedura di profilazione razziale (da parte della polizia italiana, n.d.r) sul treno a Bordighera (direzione Ventimiglia).

13 novembre

Nel pomeriggio sul lato italiano del territorio è stata rilasciata una persona che aveva ottenuto un OQTF (obbligo di lasciare il territorio francese) ed era stata deportata in Turchia. Quando stava cercando di tornare in Francia è stata arrestata al casello autostradale con due amici in macchina e hanno trascorso tutti la notte in prigione. La polizia francese ha preso il permesso di soggiorno scaduto della persona precedentemente respinta e l’ha respinta in Italia senza alcun documento. Quando è stata arrestata dalla polizia francese, la persona ha dichiarato di avere con sé la dichiarazione dei redditi francese e il numero di assicurazione in Francia e voleva mostrarli alla polizia francese, ma gli ufficiali le hanno detto che “non gli importava”. La persona è stata imprigionata per una notte e mezza giornata nella stazione di polizia di frontiera francese e solo allora è stata respinta in Italia.

16 novembre

La gendarmeria francese controlla l’ultimo autobus proveniente da Mentone via Ventimiglia diretto a Breil sur Roya e arresta almeno due persone.


This small chronology of the multiple violences produced by the border mechanisms and its agents of the inner-european border between France and Italy at the Mediterannean Sea is an incomplete and situated account. It pictures the situation from the perspective of white observers with european citizenships and thus leaves out innumerable violent incidents experienced by those who are struggling and fighting for their freedom of movement. It is thus a very partial and limited picture of the situation leaving out the crucial perspectives of people on the move (POM) and sans-papiers (people without documents recognised as “valid” by french border agents). Also the numbers of push backs cited here are simply momentary snapshots of the situation at the border – they do neither represent the numbers of pushbacks that we observe when regularily monitoring at the border, nor do they represent factual numbers of pushbacks which we still estimate at round 15-30 per day.

September 2024 on the french-italian border near Ventimiglia

this month it was mostly families fleeing from war who attempt to cross the border here

10th October

The camp under the bridge, the last visible meeting point of POM and people without regularised papers in Ventimiglia is evicted by police, military and DIGOS (special operation division of the police). In the local press the operation is pictured as accompanied by “cultural mediators” of the police – this was not the case.

11th – 15th October

Volunteers of the NGO NoNameKitchen are not allowed to offer showers to the people who used to live under the bridge by police and military who are still present at the evicted spot under the bridge in order to detain people from returning to the only place of retreat that they had in Ventimiglia.

18th October

The french Prime Minister Michel Barnier and the Minister of the Interior Bruno Retailleau meet the ministers of the Meloni government at the border between Ventimiglia and Menton. Their aim is to publicly argue for a strengthening of border controls (a.i. a new immigration law) in meeting with the border police to ensure the support of the RN (french extrem right wing). The event is declared to be a “work meeting” on french-italian cooperation against “irregular” migration. About 30 people are protesting against this narrative at the border. Three of them get detained by police in Latte afterwards. During the event six new drones freshly acquired by the french government for border control are in use.

22nd October

French police and military are closely working together: in Sospel policemen get out of the military jeep – it is one of those sand coloured vehicles used to hunt people in the mountains.

23rd October

In Ventimiglia (Via Tenda) there is a low empty space between the street and the beginning bridge where people who have no other possibility hide since years for sleeping. Now even this last dry hiding place is evicted by police. They announce that their plan is to build another useless wall to prevent people from having a covered sleeping spot.

24th October

At the train station in Breil sur Roya (a french border town) police and military form a circle before the arrival of the bus that crosses the border to Italy that they regularly control.

25th October

Seven people have been pushed back today from France to Italy between 15:00 and 17:00. Three of them have been in a bus that was stopped at the border, one person has been working in France since several years, one other person has been taken out of the train coming from Ventimiglia in Menton-Garavan (the first train station on the french side). The person on the train had a permesso di soggiorno and a valid Passport, still he had been under arrest in the french police station for more than four hours. He told the french police that he is diabetic and needed to eat but did not receive any food.

6th November

Six people are pushed back from France to Italy in the afternoon. None of them received a translation informing them about their situation and the reasons for the detainment at the french police station. Neither did they receive any document stating the reasons for their arrest nor a documentation of the process. The only questions they were asked by french police were: “Nom? Prenom? Signature!” (of a document stating that they had no objections to make to the process they were subjected to). Three of the people were already in Nice, the other three were arrested in the city of Menton.

8th November

Seven people are pushed back to Italy from France in the afternoon. Four of them are released by the italian police at 11:00 am. They had been arrested by french police in the early evening of the day before. One person is telling us that the french police threatened to beat him if he continued to ask questions about the procedure of detainment.

12th November

Families with small children are still being pushed back from France to Italy.

Also: the paper in the outside area of the italian police station at the border displaying the count of pushed back people from the french side disappeared after the visit of the french ministers.

Also: racial profiling on the train in Bordighera (direction to Ventimiglia) was observed.

13th November

In the afternoon a person is released on the italian side of the territory who got an OQTF (obligation to leave the french territory) and had been deported to Turkey. When he was trying to come back to France he was arrested at the toll station on the motorway with two friends in a car and they all spend the night in jail. The french police took the expired residence permit of the previously pushed back person and pushed him back to Italy with no documents at all. When being in arrest by the french police the person declared to have his french tax declaration and insurance number with him and wanted to show it to the french police but the officers told him that they “do not care”. They person was imprisoned for one night and half a day in the french border police station and only then pushed back to Italy.

16th November

Gendarmerie control the last bus coming from Menton via Ventimilia to Breil sur Roya and detain at least two people.

Aggiornamenti sul processo per la morte di Moussa Balde

Condividiamo tre contributi rispetto alla situazione processuale per la morte di Moussa Balde, avvenuta nel cpr di Torino nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2021, in cui l’ex direttrice e l’ex medico del cpr risultano imputati per omicidio colposo.

Il primo contributo è un documento audio, andato in onda alcuni mesi fa su alcune radio indipendenti, in cui si riassume la storia di Moussa e delle ingiustizie che ha subito fino a restarne ucciso. Il secondo si tratta di una chiamata per raccogliere i fondi necessari per le spese di viaggio per permettere alla famiglia Balde di essere presente alla prima udienza del processo a Torino, il 12 febbraio 2025. Il terzo testo è una lettera della sorella di Moussa, Aissatou Balde.

Per un quadro più completo delle vicende che hanno portato il giovane guineano a togliersi la vita, prima picchiato a Ventimiglia e poi rinchiuso nel cpr torinese, rimandiamo ai precedenti articoli pubblicati su questo sito:

https://parolesulconfine.com/nessun-perdono-perche-sanno-quello-che-fanno_-per-moussa-balde-contro-i-cpr/

https://parolesulconfine.com/contro-il-razzismo-e-i-cpr-per-moussa-balde/

https://parolesulconfine.com/moussa-balde-e-morto-di-razzismo/

https://parolesulconfine.com/moussa-balde-e-la-sua-famiglia-non-sono-soli/

Contributo audio sulla vicenda di Moussa:

Podcast sull’affare Moussa Balde

Testo pubblicato sulla piattaforma Papayoux_solidaritè per una campagna di crowdfunding a sostegno della famiglia Balde:

AIUTIAMO LA FAMIGLIA BALDE A PARTECIPARE AL PROCESSO DEL 12.02 E AD UNIRSI ALLA LOTTA CONTRO I CPR

Stiamo raccogliendo fondi per permettere alla sorella, al fratello e alla madre di Moussa Balde di essere presenti alla prima udienza del processo per omicidio colposo contro due dipendenti del centro per rimpatri di Torino in cui Moussa ha trovato la morte. L’udienza si terrà a Torino il 12 febbraio. 
I familiari sono rappresentati dai legali Gianluca Vitale e Laura Martinelli. 
I fondi servono per pagare le spese di viaggio dalla Guinea e i costosissimi visti per l’Italia, oltre alle spese di soggiorno.
Durante il loro periodo in Italia i familiari vorrebbero intervenire attivamente in diversi eventi di contestazione ai CPR in Pemonte e in Liguria.

CHI ERA MOUSSA BALDE?

Lui è stato un amico e un compagno, morto nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2021 dopo di 10 giorni passati in una cella dell’area d’isolamento, denominata Ospedaletto, del CPR di Torino. Il 9 maggio era stato picchiato a Ventimiglia da tre italiani e dopo un breve ricovero  in ospedale è stato subito richiuso nel centro di detenzione, ignorando le sue gravi condizioni fisiche e psicologiche in conseguenza del pestaggio. Moussa, originario della Guinea, è stato detenuto in quanto persona non-europea e irregolare sul territorio, e per questo è morto rinchiuso in una cella. La morte di Moussa non è stata nè “fatalità” nè il frutto di una catena di inadempienze, ma la conseguenza del razzismo strutturale del sistema in cui viviamo.

Per leggere di piu sui processi e la sua storia, si puo visitare questo blog (in Italiano) alla categoria “Moussa Balde” https://parolesulconfine.com/ > Moussa Balde

ORA

Il 12 Febbraio a Torino, si terrà l’udienza preliminare del procedimento per omicidio colposo a carico della ex direttrice del CPR e del medico direttore sanitario della struttura all’epoca della morte di Moussa Balde. 
Nel febbraio 2023, la CPR in corso Brunelleschi è andato a fuoco ed è rimasto chiuso fino ad ora. Eppure sta per riaprire.

Tra giugno 2019 e dicembre 2022, dieci persone hanno perso la vita mentre erano tenute in detenzione amministrativa. All’inizio di febbraio 2024, il giovane Ousmane Sylla, che si rivela essere un vicino e amico della famiglia Balde, si è suicidato nel CPR di Roma.

La presenza della famiglia è essenziale non solo per questa procedura legale contro questa particolare struttura, è anche importante per dare forza a un movimento largo contro l’apertura di una di queste prigioni in Liguria (come a Diano Marina) e in ogni regione italiana.

CONTRO LA RIAPERTURA DEL CPR DI TORINO, DOVE MOUSSA BALDE E’ MORTO

CONTRO I CPR

PER LA LIBERTA DI MOVIMENTO

GIUSTIZIA PER MOUSSA

Lettera della sorella di Moussa:

Ciao a tutti. Mi chiamo Balde Aissatou, sorella maggiore di Moussa Balde. Oggi sono qui per parlarvi di mio fratello minore Moussa Balde.

Quando era molto giovane, Moussa aveva una sola ambizione: lavorare sodo per mantenere la sua famiglia fuori dalla povertà, soprattutto nostra madre. Quando era un giovane studente, ogni volta che sua madre si alzava alle 5 del mattino per andare al mercato, lui si alzava per accompagnarla al mercato e aiutarla nel lavoro al ristorante. Da lì partiva per andare a scuola. Così un giorno, mentre discutevamo in famiglia, ci ha detto: “dopo le elezioni del 2015 ho intenzione di lasciare questo paese e andare in Europa, anche se dovrò attraversare il mare. Forse lì riuscirò a guadagnarmi da vivere meglio che qui”. Ma data la sua giovane età, gli abbiamo detto di non rischiare la vita per l’Europa.

Ma lui non ci ha ascoltato e nel 2016 ha deciso di lasciare il paese, senza mai dire a nessuno del suo viaggio. Eravamo molto preoccupati e ci chiedevamo dove potesse essere. Quando abbiamo contattato i suoi amici, ci hanno detto che Moussa si trovava a Bamako, in Mali, e da lì aveva attraversato il deserto per raggiungere l’Algeria. Da aprile 2016 a settembre 2016 è riuscito a cavarsela lavorando come manovale in aziende edili, gtrazie al sostegno del fratello maggiore, Thierno Hamidou, che studiava lì.

Durante questo periodo la sua famiglia ha fatto di tutto per convincerlo a tornare in Guinea, perchè noi, la sua famiglia, non avevamo mai appoggiato il suo progetto di attraversare la Libia per raggiungere l’Italia, ma lui era determinato a farlo. Quando ho cercato di convincerlo a tornare, mi ha detto: “Diadia (sorella maggiore), prega per me. So cosa sto facendo, è l’unico modo per aiutare la mia famiglia, soprattutto mia madre. Non faccio nulla senza rifletterci, quando arriverò a destinazione, visto che ho memorizzato il tuo numero, ti contatterò. Auguratemi buona fortuna e soprattutto non parlarne con mia madre, in modo che non si preoccupi, perchè il suo stato di salute non permette troppo stress”.

Quando è arrivato in Italia mi ha contattato. All’inizio tutto andava bene, comunicava bene con noi nonostante avesse qualche difficoltà in quanto immigrato senza documenti. Infine, con l’avvicinarsi della sua aggressione a Ventimiglia, abbiamo avuto difficoltà a tenerci in contatto con lui e quindi abbiamo cercato di aumentare i contatti con i suoi amici in Italia e in Francia per avere sue notizie. Il 23 maggio 2021 uno dei suoi amici ci ha contattato per informarci che nostro fratello Moussa Balde era morto in un centro di detenzione a Torino nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2021.

Grazie a voi per aver dedicato tempo ad ascoltare una parte della sotria di Moussa.

Che la sua anima riposi in pace.

La ferocia della società: un aggiornamento da Ventimiglia

Riceviamo e pubblichiamo un contributo scritto a seguito dell’ultimo sgombero della zona ventimigliese di via Tenda, lungo il fiume Roya, dove da molti anni si rifugiano in accampamenti di fortuna le persone in attesa di passare il confine, o coloro che, pur avendo ormai ottenuto un documento in Italia, non riescono comunque a trovare una casa.

È il 10 ottobre. Il parcheggio di via Tenda, fradicio dalla notte di pioggia, rimane offuscato nella penombra dell’alba, nonostante il cielo sereno. Il sole non è ancora sorto quando una ruspa, targata Città di Ventimiglia, è già parcheggiata sul parcheggio. È ferma davanti all’unico cancello semiaperto nella recizione di ferro che separa il parcheggio dal fiume Roya, l’ennesimo confine di questa città a 10 chilometri dalla Francia.

È il giorno dopo la tempesta Kirk che ha tenuto l’intera regione in allerta gialla per diversi giorni. La notte precedente forti piogge e raffiche di vento fino a 120 km/h hanno colpito la città. Tutto ciò che rimane è un fiume in piena e un cielo terso, in attesa dei primi raggi del sole. All’alba due addetti dei servizi tecnici comunali arrivano nel parcheggio e confermano l’annunciato sgombero dell’area sotto il ponte, sulle rive del fiume Roya. Il prefetto, in carne ed ossa, arriva sul posto alle 8 del mattino per supervisionare l’operazione. Prima di lui erano già arrivati diversi camion con grossi cassoni a rimorchio: la capacità di stoccaggio è mostruosa.

Il prefetto e il suo cappellino bianco. Il balletto delle jeep dei carabinieri e delle Alfa Romeo della polizia. Alcuni abitanti del quartiere portano a spasso i cani per la cacca mattutina. L’arrivo spettacolare dei giornalisti che brandiscono macchine fotografiche e flash. Il sindaco di Ventimiglia in posa davanti ad una ruspa comunale: un incubo. Proprio per mettere in guardia da questo incubo, sotto al ponte si inizia a far circolare la voce che le persone devono svegliarsi e allontanarsi. Infatti, il ponte del cavalcavia che svetta su via Tenda e collega il centro di Ventimiglia con l’autostrada dei Fiori più a monte, funge da tetto per i molti che dormono qui nelle tende o direttamente per terra. È proprio questo tetto che le autorità sono venute a confiscare questa mattina.

I netturbini della ditta privata, seduti sul loro miniescavatore, guardano le tende sotto il ponte e si dicono: “Ok, faremo come l’altra volta: voi ammucchiate tutto verso il centro e poi noi lo buttiamo nel cassonetto”.

Non appena la voce si è sparsa tra le tende, due file di poliziotti in tenuta antisommossa accerchiano l’accampamento. Alcune persone erano già in piedi, altre si sono svegliate al suono degli stivali. Sotto minacce e ordini gridati brutalmente, tutti hanno dovuto alzarsi, raccogliere le poche cose che riuscivano portare con sé e spostarsi nell’angolo più buio sotto al ponte, verso il parcheggio della “distrib” – il parcheggio di fronte al cimitero comunale (che ora è diventato una fortezza sorvegliata da vigilantes armati) dove, la sera, le associazioni distribuiscono a turno un pasto gratuito, da consumare a terra. Questa mattina il sole inonda lo spiazzo di una luminosità sorprendente, dopo giorni di maltempo. Le persone trattenute sono relegate all’ombra del ponte, dietro la recinzione di ferro. Vengono rilasciate a poco a poco, dopo un controllo d’identità. La goccia che fa traboccare il vaso è quando un poliziotto ci dice: “Non vi preoccupate non ci saranno problemi, li conosciamo”. Il controllo dell’identità diventa un’iniqua procedura priva di senso, intrisa di violenza.

Per di più, per schedare fotograficamente la gente fermata, i poliziotti ordinano a ciascuna persona di posizionarsi esattamente nell’ unico spiraglio di luce che passa tra l’ombra del ponte e la recinzione. Foto del profilo, del viso e del corpo intero. Trasferimento della foto a Lampedusa. I giornalisti filmano sotto il ponte la distruzione delle tende, il discorso vomitevole del sindaco, mentre si cancella qualunque traccia delle persone che mezz’ora prima dormivano lì.

In un gioco di luci e ombre, si mescola lo spettacolo dell’invisibilizzazione delle persone escluse, respinte e rifiutate, con l’ipervisibilità delle truppe di Stato, la propaganda razzista e i sorrisi meschini di queste marionette politiche.

Il messaggio è quello di un bulldozer: la distruzione materiale delle tende, degli angoli di vita in cui le persone si sentono semi-autorizzate a stare. Ma è solo una parte del messaggio. La ruspa schiaccia anche le speranze, la rete di relazioni e di sostegno reciproco, la resilienza delle persone che vivono sotto al ponte e lavorano in questa città, la premurosa comunità di mutuo aiuto che rifiuta di accettare che il confine si intrometta violentemente nella vita quotidiana di tutt*.

Come fanno ad indossare al mattino i loro stivali, con quella sete selvaggia di svegliare le persone dal loro sonno per sottoporle a interrogatori umilianti, mentre vandalizzano quell’unico fazzoletto di terra che è stato loro concesso come casa?

Il capo della polizia attraversa il parcheggio con un piccione zoppo in mano, tenendolo con cautela e ostentazione davanti a sé. Presta deliberata attenzione ad attraversare il gruppo di persone solidali, le varie file di colleghi della polizia e dei carabinieri, prima di spostarsi verso il gruppo di persone ancora trattenute sotto il ponte e posare il piccione nel canneto sul greto del Roya. Il suo unico gesto di tenerezza della giornata.  I solidali sono impegnati a organizzare i sacchetti di cibo che hanno appena comprato al supermercato locale per distribuirli alle persone ancora trattenute sotto il ponte. È mezzogiorno. Il capo della polizia ha fatto irruzione nelle vite di queste persone più di 4 ore fa. A ciascuno il suo gesto di tenerezza.

Nel pomeriggio l’inferno continua. Per le strade di Ventimiglia è scoppiato un alterco tra due gruppi di persone che fino al momento prima riuscivano tranquillamente a ignorarsi per le strade di Ventimiglia: dopo aver visto calpestati i loro spazi abitativi e la propria dignità, la vita e gli equilibri di chi vive per strada vengono stravolti. C’è sempre un epilogo sanguinoso che segue ad uno sgombero. Il sole non ha fatto ancora in tempo a tramontare. Il ciclo di violenza accelera.

Il giorno dopo, il titolo di un giornale riporta a caratteri cubitali: “Dopo lo sgombero tornano le tende”. Alla recinzione di via Tenda sono stati appesi due teli con i messaggi: “STOP SGOMBERI, LIBERTA’ PER TUTTI” e “NESSUNO E’ ILLEGALE”.

Nonostante la violenza, l’invisibilizzazione, le grida mortifere dei politici, il confine sarà sempre attraversato, il cancello sarà forzato ed aperto, le persone racconteranno le loro storie da oltre il muro, gli striscioni nasconderanno gradualmente la barriera per mantenere viva la speranza di libertà per tutt*. 

Nessun perdono, perché sanno quello che fanno_ per Moussa Balde, contro i CPR

Riceviamo e pubblichiamo il seguente contributo, un aggiornamento circa l’inizio dei processi penali per reati commessi nella gestione del CPR di Torino. Le indagini furono avviate nel 2021 in seguito alla morte per suicidio del giovane Mamadou Moussa Balde. Nel marzo 2023 il centro per rimpatri di Torino è stato chiuso per inagibilità delle strutture in seguito alle rivolte dei reclusi. Da mesi se ne annuncia l’imminente riapertura. (per info sui passaggi precedenti qui e qui)

Esprimiamo totale solidarietà alle persone colpite dall’orrore dei CPR e a tutte le persone che ne hanno permesso la chiusura, così come a tutte coloro che lotteranno per impedire che questo ed altri CPR vengano aperti.

Nessun perdono, perché sanno quello che fanno_ per Moussa Balde, contro i CPR

Ci siamo: a quasi tre anni dagli eventi stanno per iniziare al tribunale di Torino i processi nati dalle indagini per la morte di Moussa Balde, il ventiduenne originario della Guinea che si era impiccato nella sezione di isolamento “ospedaletto” nel CPR di Torino nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2021, dove era stato rinchiuso dopo aver subito un brutale pestaggio nelle strade di Ventimiglia pochi giorni prima. Per quella violenta aggressione a Gennaio 2023 sono stati condannati a due anni per lesioni aggravate i tre ventimigliesi che avevano preso a sprangate Moussa davanti a un supermercato in centro città.

Il secondo capitolo di questa storia di insopportabile razzismo italiano si era scritto con la peggiore delle conclusioni nel cpr di Torino, dove Moussa era stato trascinato a poche ore dal pestaggio, le ferite ancora fresche sul volto, negato il diritto di farsi testimone della sua stessa aggressione, inabissato in una sezione di isolamento abusiva persino per un posto già extra legale quale è il CPR, la sua presenza nel centro negata ripetutamente dal personale di servizio agli avvocati che lo stavano cercando. Poi il suicidio nella notte, in quelle celle definite “gabbie dello zoo” anche dalle autorità che dovrebbero esserne responsabili.

A seguito di questi eventi si è ritenuto opportuno dimostrare che qualcosa veniva pur fatto per porre rimedio. Così si sono aperte le indagini su due livelli: il primo strettamente legato al suicidio, che si profila essere, con una più corretta descrizione degli eventi, un omicidio colposo; il secondo rappresenta invece un’indagine più allargata sull’uso illecito della sezione di isolamento “ospedaletto” nel CPR di Torino, che ha portato a formulare l’accusa di sequestro di persona nei confronti di più attori legati alla gestione del centro, a danno di 14 persone recluse nella struttura tra gennaio 2020 e luglio 2021 e tenute in isolamento per giorni, settimane e in alcuni casi mesi.

Nel dettaglio: Venerdì 1 marzo 2024 alle 9:15, al tribunale di Torino, verrà discussa la richiesta di archiviazione presentata dalla procura per le accuse di sequestro di persona – con corollario variamente distribuito di abuso di potere, falso in atto pubblico, lesioni personali colpose, violazione dei doveri medici, abbandono di incapaci, falso ideologico- a carico della ex direttrice del CPR di Torino, di due medici del centro e di 4 operatori di polizia, tra i quali il dirigente dell’ufficio immigrazione di Torino e l’ispettore superiore di PS in servizio presso il CPR di corso Brunelleschi.

Mercoledì 13 marzo 2024 alle 9:30, sempre a Torino, si terrà l’udienza preliminare del procedimento per omicidio colposo a carico della ex direttrice del CPR e del medico direttore sanitario della struttura all’epoca della morte di Moussa Balde. Nello stesso procedimento è accusato anche l’ispettore capo di polizia assegnato al servizio di vigilanza presso il CPR, che deve rispondere di falso in atto pubblico per aver manomesso le relazioni di servizio richieste come prove nell’indagine per omicidio colposo.

Questi i fatti. Le conclusioni che si possono trarre fanno, se possibile, ancora più rabbia dei fatti stessi. È evidente come lo stato, tramite la procura di Torino, voglia far pagare il conto di una montagna di abusi e violenze esclusivamente ai dipendenti della Gepsa, l’ente privato che aveva in gestione il CPR, mandando loro a giudizio per omicidio colposo e tentando invece di salvare operatori, dirigenti e ispettori di polizia dall’accusa di sequestro di persona. Il procedimento penale sul caso singolo di Moussa troverà effettivamente un seguito nelle aule del tribunale di Torino, ma si cerca di insabbiare con una richiesta di archiviazione il procedimento generale sulla mala gestione del CPR, che renderebbe pubblicamente conto della portata di iniquità che rappresentano i centri per il rimpatrio.

Nel procedimento per sequestro di persona, infatti, emergono una lunga serie di abusi e illeciti operati anche dall’ente gestore ma soprattutto delle forze dell’ordine, sia sottoposti che alti dirigenti. Il ricorso illegale e continuativo all’uso dell’isolamento, in un luogo dove non è prevista per legge la possibilità di ulteriore restrizione della libertà personale -e a seguire la sfilza di falsificazioni, giustificazioni e tentativi dei vari soggetti coinvolti di salvarsi a vicenda dalle accuse- finirà con probabilità in una bolla di niente.

La richiesta di archiviazione viene motivata con una spregiudicata logica d’azzeccagarbugli: non viene affatto negato dalla procura che le persone imputate abbiano commesso il sequestro di persona e tutte le altre sotto accuse. Ma si afferma che tutto questo non può costituire reato perché, semplicemente, così han sempre fatto anche poliziotti, dirigenti, prefetture, questure e agenzie private che hanno avuto in gestione questo come gli altri CPR d’Italia. E se così fan tutti, queste specifiche soggettività finite sotto accusa per i reati commessi tra il 2020 e il 2021 non possono essere davvero colpevoli, perché non sapevano che quello che stavano facendo era illegale.

Sia chiaro: non è nostra convinzione che la giustizia possa passare dai tribunali, né è nostro interesse che un numero maggiore di persone venga portato alla sbarra o condannato per questo o quell’altro reato. Le galere sono luoghi che vanno distrutti e definitivamente aboliti, tutti, che siano le carceri penali o le gabbie della detenzione amministrativa. Allo stesso modo non è nostra intenzione affermare che operatori e operatrici della Gepsa, multinazionale della detenzione per migranti, siano sfortunate persone che meritano solidarietà in quanto destinate a diventare il capro espiatorio di un sistema profondamente marcio quale è il mondo dei centri di espulsione, avendo queste scelto di aderirvi per lucrare sulla pelle di chi è senza i giusti documenti.

Ma le leggi le scrivono loro ed è illuminante vedere l’uso creativo che ne fanno, perfettamente allineato all’ipocrisia di tutto il sistema, cercando di lavarsi dal sangue quelle mani che continuano a causare morti. Non tanto per gridare di indignazione per le capriole logiche che compiono le istituzioni e chi le rappresenta nelle aule di tribunale, atterrando comunque sempre illese e in piedi. Ma perché quegli stessi spergiuri sulla gravità di aver arrecato danno e dolore a così tante persone e sulla necessità di correggere questi soprusi dilaganti, raccontano alla fine l’unica vera storia che a questo stato interessa scrivere:

i CPR sono sbagliati ma ne costruiranno ancora di più.

I CPR sono luoghi di tortura, ma se fin qui si è sempre torturato non è poi tanto un reato continuare a farlo.

I CPR hanno violato l’integrità, la dignità e i diritti di quelle 14 persone (ma sono molte di più) tenute in isolamento per punizione, per discriminazione di credo o orientamento sessuale, per problematiche sanitarie fisiche e mentali, talvolta gravi e reali, tal’altra pure presunte. Come la psoriasi diagnosticata a Moussa, malattia non contagiosa per la quale si è comunque stabilito che dovesse finire all’ospedaletto.

Ma lo stato decide di alzare i tempi di reclusione nei CPR da 3 a 18 mesi.

I CPR hanno ucciso Moussa Balde, prima di lui troppi altri e ancora altri dopo di lui, ma lo stato non se ne ritiene responsabile.

Ultimo di una lista che non vi è alcuna intenzione di fermare è Ousmane Sylla, morto suicida nel CPR di Ponte Galeria nella notte tra il 3 e il 4 febbraio, un altro ventiduenne della Guinea, anche lui distrutto da un sistema che, senza alcuna vergogna, nei tribunali riconosce le proprie colpe e nei tribunali decide anche la propria auto assoluzione. Ousmane Sylla voleva tornare a casa ed era rinchiuso in un centro di espulsione da cui non sarebbe mai tornato a casa, proprio come Moussa, perché l’Italia non ha accordi di rimpatrio con la Guinea: un altro paradosso che racconta la vera identità criminale dello stato e del governo italiano, al di là delle sentenze e dei giochi togati nei tribunali.

Abbiamo saputo della morte di Ousmane Sylla. È davvero triste e deplorevole, possiamo vedere che le stesse cause producono gli stessi effetti. Le autorità italiane devono esaminare a fondo ciò che sta accadendo all’interno di questa prigione, alle condizioni di detenzione e tutto ciò che ne consegue, non sono buone. Altrimenti non ti alzeresti così un mattino decidendo di mettere fine a tutto questo, è difficile da credere, le ragioni devono essere cercate altrove” Thierno Balde, fratello di Moussa.

Per la memoria di Moussa Balde, di Ousmane Sylla e delle altre decine di persone che hanno subito morte e violenza nei centri per i rimpatri

Per portare solidarietà alle loro famiglie, colpite dal dolore causato dall’ingiustizia delle leggi italiane ed europee

Per la libertà di circolazione di tutte e di ciascuno

Per impedire la riapertura del CPR di Torino

Per la distruzione degli altri CPR ancora operativi in Italia

Per l’apertura di tutte le frontiere europee e l’abolizione delle politiche migratore neo-colonialiste

Gli orari degli appuntamenti al tribunale di Torino l’1 e il 13 marzo 2024 sono scritti in questo testo, così come le posizioni e i ruoli dei vari soggetti: ciascuna persona reagisca dove e come ritiene più opportuno.

Solidali di Ventimiglia

Solidarietà alle compagne e ai compagni per il processo al Brennero

Solidarietà alle persone sotto processo per il Corteo del 7 maggio 2016 al Brennero contro la costruzione di un muro di confine tra Austria e Italia

Con questo contributo vogliamo portare la nostra solidarietà alle compagne e ai compagni che hanno lottato contro la costruzione del muro di confine al Brennero, tra Italia e Austria

Il 5 marzo prossimo la Cassazione deciderà se confermare o meno oltre 125 anni di carcere. In vista di questa scadenza, hanno fatto un appello alla solidarietà presente in un opuscolo in cui sono raccolti una parte dei testi scritti durante quegli anni e che sviluppa in maniera più approfondita quanto accaduto. In questo appello ricordano che il 2 marzo a Trento e il 3 marzo a Bolzano ci saranno due cortei in solidarietà con gli imputati e le imputate del Brennero e con la popolazione di Gaza.

Le compagne e i compagni hanno creato una cassa di solidarietà. Non solo un numero di conto a cui far arrivare contributi economici, ma anche un contatto per avere materiale informativo (anche in francese, inglese e tedesco), organizzare interventi a concerti o altre iniziative di solidarietà, uno spazio in cui confrontarsi.

 “La questione non sono tanto gli anni di carcere che dovremo scontare, ma il rischio che questa condanna porta in sé per la libertà di tutti e tutte”.

Se volete ulteriori informazioni o aggiornamenti, potete consultare il blog all’indirizzo abbatterelefrontiere.blogspot.com 

Qui il link a una panoramica che le compagne e i compagni hanno scritto sulla situazione alle frontiere in quel periodo, la scelta di fare il corteo e degli accenni alla situazione attuale in Italia.

Qui gli opuscoli in italiano, inglese, tedesco e francese 

L’opuscolo costa 2 euro che verranno versati nella Cassa di solidarietà Brennero.

Qui gli opuscoli impaginati per la stampa in italiano (sono pagine in A4, quindi da stampare su A3), inglese, tedesco e francese (sono pagine in A5, quindi da stampare su A4).

Per ricevere gli opuscoli in carta e inchiostro, scrivere a cassasolidarietabrennero@riseup.net

Diamo forza alla solidarietà!

Le ragioni per cui tutte e tutti eravamo il 7 maggio al Brennero non hanno fatto che moltiplicarsi

Ceuta: in marcia per la dignità

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente contributo, resoconto della Marcha por la Dignidad, risposta alla chiamata annuale di mobilitazioni e proteste per la commemorazione della strage avvenuta per mano della Guardia Civil il 6 febbraio 2014 sulla spiaggia del Tarajal, Marocco, al confine con Ceuta.

Ringraziamo lx compagnx che hanno condiviso questa importante testimonianza.

Ceuta: in marcia per la dignità

Come ogni anno dal 2014 a Ceuta si è svolta la Marcha por la Dignidad, in commemorazione delle vittime della strage del Tarajal. Il 6 febbraio di dieci anni fa la Guardia Civil attaccò violentemente un gruppo di circa quattrocento persone che tentavano di attraversare la frontiera a nuoto. Mentre le motovedette della polizia marocchina le inseguivano, la Guardia Civil dalle imbarcazioni aprì il fuoco con proiettili di gomma, colpi a salve, candelotti fumogeni e granate stordenti. Ne uccise almeno quindici e molte delle sopravvissute riportarono gravi ferite. Nonostante la causa civile aperta dalle associazioni per i diritti umani, che ha portato sedici agenti alla convocazione davanti al tribunale di Ceuta, il caso è stato archiviato tre volte dal giudice istruttore. I più alti organi dello Stato spagnolo e i vertici delle forze di polizia hanno respinto ogni responsabilità e mistificato la realtà, negando l’utilizzo di attrezzatura antisommossa e il coinvolgimento di feriti.

L’iniziativa commemorativa si è aperta la mattina con una conferenza che ha ospitato l’intervento della ricercatrice Viviane Ogou, l’attivista Mouctar Bah, l’artista Abubakar e l’avvocatessa Patuca Fernandez. Gli interventi hanno riguardato il tema del diritto alla migrazione, il razzismo strutturale dell’economia globale e l’esternalizzazione della frontiera. In particolare ci si è soffermatə sull’importanza politica della visibilizzazione e della memoria. Dopo la strage del Tarajal i corpi non sono stati recuperati, è stato il mare a restituirli nei giorni seguenti dopo averli resi irriconoscibili. Il processo di identificazione è durato anni e non si è mai del tutto concluso. La frontiera oltre ad aver ucciso fisicamente le vittime le ha private della loro individualità, cancellandone la dignità in morte oltre che in vita. Come ha affermato l’avvocatessa Fernandez l’atto più violento fu quello di non poter riscattare i corpi, negandone quindi la possibilità di identificazione, memoria e commemorazione. Venne rifiutato inoltre alle famiglie ogni permesso di raggiungere la Spagna per rendere omaggio alle salme e intervenire in tribunale.

Giungendo nell’enclave spagnola dal Marocco, attraverso le alture del Rif, salta agli occhi nella sua interezza il muro che racchiude questa minuscola parte della fortezza Europa. Da qui si arriva alla zona del Tarajal, frontiera sud, unico punto di accesso attualmente percorribile per entrare legalmente nel territorio. E’ su questa spiaggia che si è conclusa la marcia, con un momento di raccoglimento sugli scogli. La frontiera nord è invece blindata dal 2004, sia per quanto riguarda il transito di persone che di merci. L’attraversamento da parte di persone in movimento era frequente fino al 2018, quando un accordo bilaterale ha portato l’inasprimento dei controlli, rendendola inaccessibile. La valla, recinzione in spagnolo, che racchiude completamente Ceuta tagliandola da costa a costa, fu innalzata da tre a sei metri nel 2006. In seguito ad un finanziamento europeo fu portata all’altezza di dieci metri. I nove km del perimetro frontaliero sono costantemente sorvegliati su entrambi i lati. L’esercito marocchino è stanziato in diversi punti con piccole caserme, su terreni che furono espropriati ai precedenti abitanti. Oltre a torrette per l’avvistamento e telecamere, c’è il filo spinato concertina. In seguito a pressioni di associazioni per i diritti umani queste recinzioni provviste di lame furono tolte dal lato spagnolo nel 2018, spostandole però su lato marocchino, finanziate con soldi europei. Questo processo di esternalizzazione delle frontiere comporta anche una presenza capillare di polizia nell’area che precede la frontiera, con funzione di filtro e rastrellamento delle persone in movimento. Dall’altro lato la Guardia Civil pattuglia Ceuta dall’interno, attraverso strade riservate al solo utilizzo militare e tramite appostamenti con sensori termici notturni.

Alcune associazioni attive in loco supportano le persone in transito, la lotta per il diritto a migrare e per l’abbattimento delle profonde disuguaglianze sociali della città. Tra le altre Elin si occupa principalmente dei corsi di spagnolo per le persone presenti al CETI (Centros de Estancia Temporal de Inmigrantes); No Name Kitchen presta sostegno alle persone in strada, per la maggior parte marocchine; Luna Blanca distribuisce gratuitamente i pasti quotidianamente. Sta inoltre nascendo un nuovo centro: ASCS (Agenzia Scalabriniana Cooperazione e Sviluppo) ha avviato un progetto sulle frontiere e investito su Ceuta. Nel centro dove già è attivo uno spazio diurno ricreativo, in cui si svolgono lezioni di spagnolo, sarà aperta una zona abitativa in cui poter offrire ospitalità.

A Ceuta vige un regime normativo speciale, la città ha uno statuto autonomo che prevede la sospensione di Schengen, maggiori restrizioni nell’accesso a servizi pubblici, difficoltà ad ottenere un domicilio e contratto di lavoro. Sono visibili enormi disuguaglianze tra i diversi quartieri, nei quali vige una netta separazione su base razziale, religiosa e disponibilità di risorse economiche. Percorrendone le vie è forte la sensazione di essere chiusə dentro una recinzione. Oltre lo Stretto è intravisibile il continente, apparentemente vicino, ma ancora fuori portata. Attualmente la maggior parte delle persone prova a superare la frontiera a nuoto attraverso la zona costiera del Tarajal. Per quanto il tratto marittimo possa sembrare breve, è estremamente pericoloso a causa delle forti correnti dello Stretto, oltre ad essere costantemente presidiato. L’1 febbraio più di venti minori e una decina di maggiorenni sono riusciti a raggiungere la spiaggia su territorio spagnolo approfittando del maltempo, quando pare esserci meno sorveglianza. I giornali locali affermano che il Governo di Ceuta ha domandato un ulteriore piano di contingenza per poter trasferire i minori, che per ora sono accolti dal centro La Esperanza. Mentre i maggiorenni sono stati rimpatriati in Marocco.

In quanto territorio europeo, su suolo africano, Ceuta rappresenta una rotta migratoria di interesse. Una volta raggiunta è possibile presentare domanda per regolarizzare la propria posizione e avviare la procedura per ottenere documenti europei.  Queste procedure vengono avviate in seguito all’inserimento al CETI. Per coloro che provengono da paesi considerati a rischio è prevista la possibilità di fare richiesta di protezione internazionale, si tratta principalmente di persone originarie dell’area subsahariana, che vengono prese in carico dal CETI. Sono invece escluse da questo servizio le persone del Maghreb, che rimangono quindi tagliate fuori dalla possibilità di presentare domanda e relegate ad un’ulteriore marginalizzazione, in virtù di criteri arbitrari poichè non dettati da alcuna legge. Per queste persone è stato istituito un apposito sportello informatizzato dove poter presentare domanda. Per ragioni tecniche legate alle modalità di prenotazione digitale la maggior parte delle persone non riesce ad accedervi, e si è sviluppato un sistema di compra-vendita delle prenotazioni, a partire da mille euro. Questa esclusione costringe alla vita di strada, e le lunghe attese ne aggravano le condizioni. A Melilla dove la situazione era simile, in seguito ad azioni legali si è riuscito a far accedere al CETI anche persone provenienti dall’area del Maghreb.

Le minorenni e i minorenni secondo la legge europea hanno diritto all’accoglienza a prescindere dalla provenienza. In città sono situati due centri, distinti per genere, nei quali sono costrettə a rimanere fino al raggiungimento della maggiore età. Solo dopo aver compiuto diciotto anni, infatti, potranno spostarsi nel continente con un permesso temporaneo della durata di sei mesi. Durante questo periodo devono regolarizzarsi sul territorio, attraverso contratti lavorativi e abitativi, per poter rinnovare i documenti. A causa di queste rigide condizioni la maggior parte preferisce quindi tentare la traversata. Le persone minorenni hanno come zona di riferimento la scogliera accanto al porto, qui trovano riparo tra gli spazi concavi delle rocce. Di notte chi prova la partenza cerca un nascondiglio per imbarcarsi, questo in gergo viene chiamato risky, data la nota pericolosità del tentativo. Il livello di violenza e mortalità della frontiera è altissimo: il monitoraggio di Caminando fronteras riporta 6.618 vittime nella rotta di accesso alla Spagna nel 2023. Sono 147 le persone uccise nell’ultimo anno nella zona dello stretto, la maggior parte nel tentativo di raggiungere Ceuta a nuoto.

Anche a Melilla nel 2022 si è verificato un terribile massacro. Oltre quaranta persone morirono nel tentativo di superare l’enorme recinzione. L’associazione marocchina per i diritti umani AMDH dichiara che il bilancio delle vittime è destinato a salire poiché sessantaquattro persone risultano disperse da quel giorno. Ong marocchine e spagnole denunciano un accanimento giudiziario contro le persone in movimento arrestate, che hanno ricevuto condanne detentive e sanzioni pecuniarie. A giugno, in occasione dell’anniversario, si terrà la prima manifestazione per chiedere giustizia, verità e riparazione.

Chiara e Timo

Estate a Ventimiglia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Estate a Ventimiglia: ci sarà mai limite al peggio?

Le contraddizioni della città-confine Ventimiglia si percepiscono quotidianamente. Una dinamica che può portare in qualche caso a normalizzare un contesto surreale, anche a causa della narrazione capovolta che viene fatta. Colpevolizzando i soggetti più fragili, piuttosto che i responsabili dell’esasperarsi di condizioni di marginalità. Ma nonostante questo luogo possa sembrare già saturo di ingiustizie, arriva sempre qualche novità pronta a sorprenderti, a ricordarti che non c’è limite al peggio, che il concetto di umanità che ti eri figurato è relativo e continuamente sotto attacco. Mi sento di aprire con questa immagine il racconto su quest’estate a Ventimiglia. Quel momento in cui tutti e tutte ci siamo guardate e chiesti: avrà mai fine il peggio?

Proprio a causa dell’esasperarsi della situazione era stata convocata una manifestazione il 21 maggio, contro il Decreto Cutro, i suoi nuovi CPR e le modalità criminali di respingimento continuamente messe in atto dalla paf (police aux frontières) in accordo con la polizia italiana. In quell’occasione è stato anche espresso lo sdegno verso il candidato della Lega alle elezioni cittadine, Flavio Di Muro, noto per l’approccio ultra-securitario sbandierato in campagna elettorale e dato favorito nei sondaggi. Non si è fatta mancare la patetica solidarietà dello sfidante del PD che, compartecipe nel teatrino elettorale, ha manifestato supporto a Di Muro in riferimento a delle scritte contro di lui. Altrettanto celere è stata la risposta della questura che il giorno dopo ha identificato in stazione uno dei partecipanti alla protesta, denunciandolo per imbrattamento e dimostrando così la propria efficienza nell’acciuffar colpevoli e ripagare il leso onore dell’onorevole.

Così come preventivato, il 19 giugno si insedia il nuovo sindaco della coalizione di destra Di Muro. Il primo consiglio comunale si apre con un minuto di silenzio in memoria di tre vittime di un incidente d’auto dell’anno precedente: un mezzo militare si era capovolto nei pressi del confine. In quella stessa area dove altre decine di persone sono morte negli ultimi anni, il più recente da quel momento risaliva a 4 mesi prima. A loro non sarà dedicato alcun pensiero, anzi. I primi provvedimenti della nuova giunta porteranno ad una terribile escalation. Il giorno seguente infatti ha avuto luogo lo sgombero dell’accampamento all’addiaccio sotto il ponte di via Tenda, dove decine di persone in transito trovano riparo dalla pioggia e tentano di raccogliersi per stabilire qualche legame comunitario. Lo sgombero era già in programma ma era necessario l’insediarsi di un nuovo sindaco per autorizzarlo, dato che nei mesi precedenti la giunta dell’uscente sindaco Scullino era stata sfiduciata.

Non è la prima volta che l’accampamento informale è stato attaccato da irruzioni e sgomberi, la novità sta nel nuovo provvedimento “anti-bivacco” che, in riferimento al decreto Minniti, ha introdotto sanzioni per i senza tetto che stanziano in luoghi cittadini, prevedendo fino al daspo urbano. Nei giorni seguenti si è palesato un presidio di polizia fisso nei pressi dell’area, in aggiunta ad una cancellata che ne impediva l’accesso. Il risultato è stato un ovvio sparpagliarsi delle persone che vivevano in strada, divise in piccoli gruppi nei vari punti più nascosti della periferia e nella spiaggia più isolata, laddove il fiume Roja confluisce in mare generando una pericolosa corrente. A pochi giorni dallo sgombero riceviamo la notizia che un giovane era stato trovato deceduto sulla spiaggia. In breve capiamo che il ragazzo era una conoscenza nota a buona parte dei solidali e dei migranti stabili sul territorio da più tempo. Non ci sono parole sufficienti per descrivere l’orrore e la rabbia conseguenti alla notizia. La settimana seguente si verifica un episodio simile. Un altro corpo trovato in spiaggia, un altro ragazzo che nel tentativo di lavare i propri indumenti nel fiume ne viene travolto. Un bagnino della zona dice di aver denunciato alle autorità la mancanza di guardia spiagge in quel lato della riviera. Ma tutte le risorse del comune sono concentrate a coprire la parte più turistica. La risposta dell’amministrazione a questo secondo morto è l’istallazione di un cartello che segnala il divieto di balneazione, in una misera operazione di auto-assolvimento da ogni responsabilità. “Il razzismo uccide” era stato denunciato con lo spray sulla sede della Lega durante la manifestazione, sfregiando il sorridente volto del sindaco entrante, che in tutta risposta aveva presentato denuncia per diffamazione contro ignoti.

A inizio luglio mentre in Francia avevano luogo le proteste contro la violenza della polizia, in seguito all’uccisione di Nahel Merzouk, abbiamo assistito a delle anomalie nei pattugliamenti al confine. Infatti per un’intera settimana in zona di frontiera l’esercito ha assunto funzioni di polizia regolare, effettuando controlli e respingimenti. Questa novità è presumibilmente da imputare all’imponente dispiegamento di forze sul fronte interno per reprimere le proteste diffuse in tutto il paese, che ha avrebbe lasciato scoperta l’area di frontiera. E’ anche il risultato di 8 anni di militarizzazione del confine: quella settimana è stata eccezionale solo per come sistematicamente l’esercito ha svolto ruolo autonomo di polizia. Ci sono frequenti racconti di soldati che arrestano persone nelle montagne per poi detenerle illegalmente fino all’arrivo della polizia, una pratica anticostituzionale.

Nelle settimane seguenti nella via dove ha sede la base solidale “Upupa” cresce la tensione con il vicinato, intento a cacciare il collettivo dallo spazio per vie legali. Il pattugliamento della polizia con luci blu accese è costante, sguardi inquisitori fissi sull’infopoint, sul parcheggio dove vengono distribuiti i pasti, la pressione è alle stelle. Il pomeriggio del 25 luglio una colonna di fumo sovrasta la città. Un vasto incendio brucia l’intera area sotto il ponte dove ha sede l’accampamento informale delle persone in transito. Dove alcune settimane dopo lo sgombero erano, come sempre, lentamente tornate a stabilirsi. Immediatamente il dito viene puntato contro i migranti, contro chi cucinando avrebbe fatto sfuggire qualche fiamma. A chi conosce il contesto la dinamica risulta subito strana. I focolai scoppiano in tre punti diversi, distanti e contemporaneamente, coprendo un’importante area. A chi non vuole far finta di niente risulta evidente la natura dolosa. Quando le fiamme sono già alte e diffuse risuonano alcuni forti scoppi e successivamente vengono trovate bombole da campeggio usate per giustificare l’incidente. Il timore che questo episodio venga usato strumentalmente per una stretta securitaria è immediato.

Nei giorni seguenti notiamo che la guardia del cimitero situato di fronte al parcheggio sopra descritto ha degli atteggiamenti particolarmente spavaldi e prepotenti, naturalmente razzisti. Durante il caos dell’incendio era già arrivato a minacciare di sparare ad una solidale che si era recata nei bagni interni, e di chiamare i suoi amici ndranghetisti per completare l’opera ripulendo la zona dai neri. Da notare che stiamo parlando di una persona che non solo mentre parla è armata, ma che si permette addirittura di fare con la mano il segno di una pistola e puntarla in faccia alla ragazza. Gli atteggiamenti aggressivi aumentano fino a quando il sindaco pochi giorni dopo annuncia l’insediamento nel cimitero di una vigilanza privata con l’obiettivo di impedire l’accesso alle persone in movimento che si recavano nei bagni per prendere l’acqua dall’unico rubinetto pubblico rimasto, utilizzando la retorica della sacralità del luogo. Già da tempo tutte le fontane della città erano state sigillate proprio con l’obiettivo di respingere chi era alla ricerca di questo bene primario. La vigilanza viene presto estesa anche ai giardini pubblici cittadini, uno sparuto insieme di aiuole tra cemento e il lungomare. Mentre viene annunciato il ripristino del poliziotto di quartiere, dedito a pattugliamenti a piedi. Un altro provvedimento di riqualifica urbana sbandierato dalla giunta è la rimozione di una grande panchina rossa (simbolo contro la violenza sulle donne). Il sindaco lamenta essere frequentata soprattutto da migranti e accusa presunti no border di averla imbrattata, mentre a suo dire il vero scopo era quello di offrire ai turisti un bel palco per i selfie.

In agosto, in concomitanza con l’aumento degli sbarchi nel sud Italia, c’è stata un’impennata di persone in movimento a Ventimiglia. Data la completa assenza di presidi assistenziali statali l’aggravarsi delle condizioni umanitarie è fisiologico. Le persone alla ricerca di un pasto offerto da collettivi e associazioni hanno raggiunto le centinaia. Si moltiplicano le violazioni dei diritti, come aggressioni fisiche e detenzioni arbitrarie, più facilmente denunciabili riguardo i minori. Infatti la legge internazionale prevede per i minori non accompagnati la libertà di movimento tra gli stati membri dell’unione e protezione in ogni stato membro. Spetterebbe all’ASE (Aide Sociale à l’Enfance) valutare la loro minore età, invece il loro respingimento avviene regolarmente falsificando la data di nascita. Lunedì 21 agosto erano trattenut* illegalmente 68 minori in condizioni igienico-sanitarie deplorevoli: dentro un container, ammassati, dormendo per terra, senza avere accesso ad assistenza legale o a traduttore/traduttrice. Il 23 agosto erano in 78! Privati della libertà fino a 5 giorni, in chiara violazione della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, di cui la Francia è firmataria. Da gennaio abbiamo anche riscontrato l’utilizzo dell’OQTF (obligation de quitter la France) per respingere minori. Si tratta di un documento creato per criminalizzare persone in movimento inserendole in un database e rendendo così loro impossibile cercare una casa, un lavoro, ottenere una visa in ogni paese europeo. Questa nuova modalità di utilizzo è un preoccupante segnale che rientra nelle sperimentazioni repressive, una tecnica per diffondere la paura proprio perché è un provvedimento amministrativo particolarmente difficile da contestare e si può rischiare di essere deportati prima che le pratiche legali siano concluse, o che venga raggiunta la maggiore età prima che si riesca a dimostrare il contrario.

Quest’estate a Ventimiglia suona proprio come le parole di William Butler Yeats: “I migliori mancano di ogni convinzione, mentre i peggiori sono pieni di intensità appassionata”

 

Resistere al Confine

Condividiamo con piacere il risultato di un lavoro di collaborazione tra questo blog e il sito Osservatorio Repressione. Al link sottostante è possibile scaricare in formato pdf il quaderno informativo Resistere al Confine: un compendio sulla situazione al confine di Ventimiglia tra il 2015 e il 2023 e sulle conseguenze che questo confine causa nelle vite di chi tenta di resistere e attraversare la frontiera franco-italiana.

Per scaricare il quaderno integrale in versione pdf (a singola pagina o a doppia pagina):

Resistere al Confine-Ventimiglia 2015/2023

 

L’introduzione al lavoro di Osservatorio Repressione:

Continua il nostro viaggio tra quell’umanità che il 14 giugno le autorità greche hanno lasciato consapevolmente morire nel mare Egeo, così come hanno fatto le autorità italiane per la strage di Cutro, così come accadde a Lampedusa nell’ottobre del 2013 distante nel tempo ma vivo nella memoria. Non sapremo mai il numero degli annegati: sappiamo che una nuova strage si è compiuta. E non sapremo mai quante, quanti, non riescono a correre il rischio di sopravvivere al mare. I nuovi desaparesidos. Con Resistere al confine, grazie al collettivo «Parole sul confine» raccontiamo le lotte di resistenza e di speranza, e gli avvenimenti che dal 2015 si sono succeduti sugli scogli di Ventimiglia e lungo i sentieri della frontiera tra Italia e Francia

Dalla quarta di copertina:

In una città di frontiera come Ventimiglia si dispiega tutta la forza oppressiva e repressiva delle politiche migratorie: persecuzione, annientamento, riduzione in schiavitù, condanna all’isolamento e alla marginalità delle persone migranti. «Parole sul confine» nasce per raccontare le pratiche di resistenza e di lotta contro la violenza istituzionale e contro tutti i dispositivi che negano il diritto a migrare e ad una vita migliore.

 

Per scaricare la versione pdf integrale della graphic novel La Bolla di Emanuele Giacopetti: La Bolla

Home page Osservatorio Repressione

Ringraziamo anche il collettivo Progetto20k per aver accettato di curare due articoli pubblicati in questo lavoro.

Manifestazione in memoria di Moussa Balde. Contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale.

Riceviamo e Pubblichiamo la chiamata alla manifestazione di domenica 21 maggio promossa dal Centro sociale La Talpa e L’orologio – Imperia, Progetto 20k – Ventimiglia. 

A seguire pubblichiamo il Report dall’assemblea contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale del 30 aprile 2023

 

Manifestazione in memoria di Moussa Balde. Contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale.Ventimiglia, domenica 21 maggio 2023 concentramento ore 11 piazzale della stazione

Moussa Balde muore nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2021 in una cella dell’area d’isolamento, denominata Ospedaletto, del CPR di Torino. Il 9 maggio era stato pestato a Ventimiglia da tre italiani e dopo essere stato in ospedale venne richiuso nel centro di detenzione, ignorando le sue gravi condizioni fisiche e psicologiche. Moussa, originario della Guinea, è stato detenuto in quanto persona non-europea e irregolare sul territorio, e per questo è morto nel chiuso di una cella. La morte di Moussa non è stata nè “fatalità” nè il frutto di una catena di inadempienze, ma la conseguenza del razzismo strutturale del sistema in cui viviamo.

A due anni di distanza la situazione a Ventimiglia è, per quanto insopportabile ammetterlo, peggiorata ulteriormente. Dopo quasi otto anni di chiusura della frontiera da parte del governo francese, che ha causato la morte diretta di almeno 42 persone e devastato la vita di altre migliaia, la violenza che subiscono le persone in transito continua ad aumentare. Solo negli ultimi due mesi è stata approvata un’ordinanza “antidegrado” che colpisce gli insediamenti informali e le persone che abitano questi luoghi, che va ad aggiungersi ad operazioni di polizia tanto scenografiche quanto violente per chi già è costretto a vivere in condizioni di estrema marginalità.

Nei primi mesi dell’anno sono più di quarantamila le persone che sono sbarcate sulle coste italiane, a dimostrare l’assoluta insostenibilità e insensatezza delle politiche di respingimento in mare volute dal governo Meloni. In questi ultimi giorni, con l’approvazione alla Camera, il cosiddetto Decreto Cutro è diventato legge e questo determinerà un ulteriore peggioramento nelle condizioni di vita e accesso ai diritti per richiedenti asilo e altra forma di protezione. Con la dichiarazione dello stato di emergenza, i finanziamenti contenuti nel PNRR e i nuovi dispositivi di questa legge infame che porta il nome di una strage, il governo Meloni e il suo ministro dell’interno Piantedosi puntano a creare un sistema detentivo di massa che calpesta le legittime aspirazioni di libertà delle persone migranti. Solo cosi’ puo’ essere interpretata la volontà di aprire un CPR in ogni regione e le trasformazioni in atto nel sistema di prima d’accoglienza.

In questo contesto lo stato francese continua a rinforzare il dispositivo di controllo e respingimento alla frontiera interna, riproducendo e dando forza alla violenza razzista e arbitraria delle forze di polizia francesi lungo tutta la linea di confine. A completare questo quadro ci sono poi gli accordi bilaterali che Italia e Francia continuano a siglare con i paesi sull’altra sponda del mediterraneo come Libia e Tunisia, rendendosi di fatto responsabili dell’aumento dei naufragi e dei respingimenti in mare ad opera di guardie costiere e border forces pagate con soldi europei.

Lo scenario per i prossimi mesi alla frontiera italofrancese, per quanto ancora pieno di incognite, non è quindi per nulla rassicurante e richiede l’attivazione di tutte le forze solidali. Non staremo a guardare il razzismo strutturale di questa europa distruggere vite umane senza far nulla! Per questo invitiamo collettivi, movimenti, organizzazioni e singol3 a scendere in piazza con noi per una manifestazione commemorativa, ma anche di rivendicazione, e che sia attraversabile da tutt3, con o senza documenti. Immaginiamo un momento che dia spazio a diverse prese di parola e invitiamo quindi tutt3 a portare le proprie testimonianze, denunce, pensieri e rivendicazioni riguardo cio’ che accade a Ventimiglia e altrove.

Per Moussa Balde e tutte le vittime della violenza razzista delle frontiere! Per la libertà di movimento per tutt3!
Contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale!
Per l’abolizione e la chiusura di tutti i CPR!

Freedom, Hurrya, Libertà!

Centro sociale La Talpa e L’orologio – Imperia Progetto 20k – Ventimiglia

Report dall’assemblea contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale

All’assemblea contro le frontiere, il razzismo e la violenza istituzionale convocata il 30 Aprile a Ventimiglia erano presenti una settantina di persone, con delegazioni della frontiera sud del Mediterraneo (Mem.med.) e dei diversi punti di passaggio sulla frontiera italo-francese (alta val di Susa e valle Stura), oltre che solidali del ponente ligure (Imperia, Sanremo e Ventimiglia) e delle grandi città più prossime al confine (Torino, Genova e Nizza). Le persone presenti hanno discusso ampiamente della situazione sui diversi punti della frontiera e ne è emersa una lettura e delle proposte che qui cerchiamo di riportare.

Dalla chiusura della frontiera nel 2015, mai la situazione sociale e umana delle persone migranti è stata così difficile, vulnerata dall’abbandono istituzionale, dalla repressione delle forze di polizia italiane e francesi e dalla violenza generata dalla marginalità a cui queste persone sono state condannate. In questo contesto anche la solidarietà attiva fatica a dare sostegno alle persone in transito ed è stato quindi ribadito con forza il bisogno di riprendere parola politicamente, stringere nuove alleanze e pensare nuove pratiche di fronte a quanto accade a Ventimiglia. Diventa inoltre urgente costruire una mobilitazione che ponga un argine a questa deriva, anche in vista di una stagione estiva che si annuncia drammatica.

Quali avvenimenti hanno segnato la città di frontiera negli ultimi mesi? Le decisioni prese all’interno del “Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica”, su spinta del nuovo prefetto Valerio Massimo Romeo, sembrano essere una riproposizione della linea Meloni-Piantedosi nella città di confine. Senza considerare realmente i bisogni delle persone in transito (salvo i “punti di assistenza diffusa” sulla cui natura, ad oggi, poco è dato sapere), le autorità si sono concentrate unicamente sulla repressione. Una nuova ordinanza “anti-degrado”, firmata dal Commissario straordinario al comune di Ventimiglia Samuele De Lucia, individua le aree di via Tenda e della stazione come luoghi sensibili a cui applicare una giurisdizione “speciale”, e le persone migranti che vi gravitano come oggetto di dispositivi di allontanamento quali il Daspo urbano. Subito dopo l’emanazione di questi dispositivi è seguita una spettacolare operazione di polizia con il disgustoso nome “Pantografo”, a indicare quel pezzo delle locomotrici sotto cui diverse persone hanno trovato la morte per folgorazione, nascoste sul tetto dei treni diretti in Francia. Tale operazione è servita a comunicare come anche a Ventimiglia tutti i problemi sono legati al fenomeno del passeuraggio. In realtà sono state arrestate una decina di persone accusate di essere passeur di piccolo taglio senza alcuna organizzazione alle spalle. Non sono poi mancati nelle ultime settimane interventi vessatori sulle persone in transito, con ordini di allontanamento e micro-sgomberi mirati degli insediamenti informali maggiormente visibili, come ad esempio davanti alla chiesa delle Gianchette.

Sul lato francese intanto il governo Macron, in crisi di legittimità dopo il passaggio in forza della Loi Retraite ed al momento incapace di affrontare il dibattito sul disegno di legge sull’immigrazione (che porta il nome del ministro dell’interno Darmanin), ha annunciato il rafforzamento del dispositivo di controllo con l’aggiunta di 150 effettivi, che sono entrati in funzione in questi giorni, e la creazione di una nuova border force.

Il caso del naufragio di Steccato di Cutro è stato portato come emblematico di cio’ che non si vede, prima e dopo questa strage. Naufragi e respingimenti sono in aumento e le politiche di esternalizzazione delle frontiere, fortemente volute e finanziate dai governi europei, stanno determinando nuove violenze tanto in Libia quanto in Tunisia, dove l’attacco alle popolazioni subsahariane fa il paio con la criminalizzazione dei pescatori che portano soccorso alle barche in difficoltà. All’arrivo sulle coste italiane si aggiungono ulteriori violenze per chi sopravvive, che assumono la forma di un’accoglienza indegna e del mancato accesso alle informazioni sul destino dei propri cari. A Cutro è risultata evidente l’impreparazione istituzionale di fronte a una strage di quella portata, con prassi di identificazione dei corpi confuse e l’abbandono totale tanto delle persone sopravvissute, quanto delle famiglie di quelle scomparse. Associazioni e realtà solidali si sono fatte carico dell’accompagnamento delle famiglie con le proprie sole forze, e soltanto la determinazione dei familiari delle vittime ha permesso di avere risposte sul rimpatrio dei corpi e su quanto succedeva a Cutro. La risposta governativa è invece tristemente nota, con un consiglio dei ministri che è servito unicamente a criminalizzare gli scafisti e le persone che si imbarcano, deresponsabilizzando il governo rispetto a quanto accaduto e gettando le basi per un nuovo tornante repressivo.

Vaso comunicante con Ventimiglia è la frontiera sul Monginevro.

Il grosso dei passaggi in alta val di Susa inizia infatti a partire del 2017, anno in cui si rafforzano i controlli attorno a Ventimiglia, e sono caratterizzati in un primo periodo dalla presenza di uomini provenienti dalla rotta balcanica, che pur portando sul corpo i segni del viaggio, avevano chiari progetti migratori e una certa esperienza della montagna. Oggi le persone che raggiungo Oulx sono diverse per provenienza e profilo. Uomini e donne vulnerate, con meno esperienza della montagna, trovano ancora ad accoglierle un tessuto solidale sul territorio. Ma la stanchezza dellə solidali comincia a farsi sentire, ed il passaggio per queste persone è sempre più difficile. Emerge anche da questo nodo della frontiera italo-francese il bisogno di rinsaldare le nostre reti di solidarietà dal basso. Forte anche il desiderio di mobilitazione collettiva che il presidio al colle della Maddalena, in alta valle Stura, di sabato 29 aprile ha espresso. La necessità di organizzarci insieme è urgente, su tutta la frontiera italo-francese – che infondo è unica per chi l’attraversa.

A Ventimiglia ci troviamo di fronte a un potere che ha fatto di tutto per rendere atroce una situazione già difficile, mentre in questo territorio è mancata la voce strategica della società civile, anche laddove alcune realtà del terzo settore sono impegnate nell’accoglienza istituzionale e quindi pienamente implicate con quanto accade. Abbiamo davanti agli occhi l’inadeguatezza dei servizi sociali territoriali, dei presidi sanitari e di salute mentale, mentre precipitano velocemente le condizioni critiche dell’umanità sotto il ponte di via Tenda.

Nella parte finale della discussione è stata evidenziata la volontà di rivedersi e di coordinarsi maggiormente lungo tutta la frontiera italo-francese, quindi costruire insieme proposte di mobilitazioni unitarie. Dallə solidali del territorio è stata ribadita la volontà di dare continuità all’assemblea, con una mobilitazione che riesca a visibilizzare e denunciare l’estrema violenza della situazione locale. Nella testa e nei cuori di chi è stato/a presente negli ultimi anni a Ventimiglia l’occasione per mobilitarsi è stata individuata nell’anniversario del pestaggio e della morte di Moussa Balde – morto al CPR di Torino nella notte tra il 22 ed il 23 Maggio 2021, storia emblematica della violenza razzista dei dispositivi di frontiera. Anche la famiglia di Moussa sostiene con determinazione la lotta al razzismo e alle frontiere, e ci invita ad organizzarci per un momento che sia di commemorazione ma anche di denuncia e rivendicazione.

Crediamo che questa possa essere anche un’occasione per dare continuità alla lotta contro la legge approvata in questi giorni e che porta il nome della strage di Cutro, contro il razzismo strutturale della nostra società e tutti i dispositivi che impediscono alle persone migranti una vita degna.

È fissato dunque per DOMENICA 21 MAGGIO alle ore 11:00 il concentramento in stazione a Ventimiglia, per convergere insieme in una manifestazione che attraverserà il centro della città di confine con le parole d’ordine

Per Moussa e per le vittime delle frontiere! Contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale!”

Assemblea per la libertà di movimento, contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale

Riceviamo e pubblichiamo

ASSEMBLEA PER LA LIBERTÀ DI MOVIMENTO, CONTRO FRONTIERE, RAZZISMO E VIOLENZA ISTITUZIONALE

Domenica 30 aprile – ore 14:00
Giardinetti pubblici di Ventimiglia

Fonte: La Talpa e l’orologio 

Il governo Meloni sta provando a fare del naufragio di Cutro, frutto maturo delle politiche di morte italiane ed europee degli ultimi anni, un’occasione per peggiorare ulteriormente le condizioni di vita delle persone migranti e criminalizzarne la presenza ed il transito, scaricando cosi ogni responsabilità sull’accaduto.
Dall’inizio dell’anno il numero degli sbarchi ha reso evidente come la politica dei respingimenti in mare sia stata, oltre che mortifera, impossibile ed inutile. Il decreto Cutro, e gli emendamenti che rischiano di passare, non intendono occuparsi dei naufragi o della crisi dell’accoglienza, ma anzi riducono ulteriormente servizi e condizioni d’accesso per le persone in arrivo, rilanciando le detenzioni amministrative e le espulsioni come soluzione viabile nella quale investire risorse, e cercando facili capri espiatori nelle figure degli scafisti, dei trafficanti e dei passeur (sovrapponendo colpevolmente la tratta di esseri umani con l’aiuto al passaggio). Per finire lo stato d’emergenza, colpo di scena che farà la gioia degli affaristi per i quali basterà l’accordo con le prefetture di riferimento per andare in deroga a qualunque norma sull’accoglienza e aprire un centro.
Nel frattempo a livello europeo lo scontro sui cosiddetti movimenti secondari che contrappone paesi del sud Europa, che vorrebbero saltasse il principio del primo paese d’approdo, e paesi del nord Europa contrari a ogni trasferimento di responsabilità, non sembra trovare soluzione e pare quindi che il regolamento Dublino rimarrà il riferimento obbligato in assenza di altro accordo. L’unico punto in comune tra i paesi dell’Unione pare l’impegno nell’esternalizzazione dei confini europei, ulteriore vettore di destabilizzazione dei paesi dell’altra sponda del mediterraneo e causa di gravi violazioni dei diritti umani.
A Ventimiglia nell’ultimo mese abbiamo visto un rinnovato protagonismo da parte della prefettura su una situazione che si è scientemente lasciata incancrenire in questi anni. Dopo sette anni di chiusura della frontiera da parte del governo francese, che ha causato la morte diretta di almeno 42 persone e devastato la vita di altre migliaia, la situazione è oggettivamente disastrosa. Non essendoci luoghi di accoglienza per le persone in transito, e non solo, queste trovano riparo in insediamenti informali dove l’amministrazione pubblica ha deciso deliberatamente di non raccogliere la spazzatura, non dare accesso all’acqua potabile nè a dei bagni pubblici, delegando a umanitari e solidali il minimo vitale per queste persone. Unico intervento pubblico quello di controllo e repressione verso i/le transitanti
e le persone che avendo fatto domanda in Italia restano a Ventimiglia in attesa di un posto in accoglienza. Alcune di queste persone continueranno con coraggio e determinazione ad affrontare il loro viaggio, altre rimarranno bloccate a Ventimiglia per un tempo indeterminato, nell’attesa di capire dove andare e come farlo.
Su questa situazione già di per sé al limite la nomina di un nuovo prefetto, a quanto pare vicino al ministro Piantedosi, ci dà una dimostrazione plastica di come il governo ha intenzione di gestire la fase attuale. A fine marzo i tavoli per la sicurezza hanno predisposto cio’ che è stato deciso a Roma, cioè niente accoglienza ma un piano di assistenza per donne e bambini da appaltare alle organizzazioni umanitarie, un’ordinanza antidegrado per la zona degli insediamenti informali sotto il ponte di via Tenda (che prevede anche il DASPO urbano per quelle persone che pur coi documenti in regola o in attesa di regolarizzazione si ritrovano a vivere sotto un ponte), a cui far seguire immediatamente un’operazione di polizia in grande stile con elicottero, cani e decine di mezzi per arrestare 13 passeur di piccolo taglio che agivano perlopiù individualmente e vivevano sotto il ponte. Niente che migliori minimamente la vita di chi abita o transita a Ventimiglia. Una parte non irrilevante delle persone sbarcate in questi mesi, e che continueranno a sbarcare nei prossimi, transiteranno per Ventimiglia e troveranno la frontiera chiusa, come accade da sette anni. Mentre sotto il ponte le condizioni socio-sanitarie si aggravano, niente è predisposto al transito delle
persone salvo i mezzi delle forze di polizia da mobilitare alla bisogna, per regolari rastrellamenti (i cosiddetti “pattuglioni”) o per le operazioni in grande stile a cui il nuovo prefetto sembra volerci abituare.
Bisogna porre un argine alla deriva razzista delle politiche sulla vita delle persone in migrazione, ed è per questo che stiamo cercando un confronto ampio, con realtà locali e non. Per continuare a costruire insieme l’opposizione sociale al decreto Cutro ed ai disegni di Meloni e Piantedosi per terra e per mare. Per la chiusura di tutti i centri di detenzione e contro ogni progetto di costruzione di nuovi CPR. Per lottare ancora e di nuovo contro la chiusura della frontiera decisa dal governo francese. Per pretendere una vita degna per tutte e tutti!

Per questo invitiamo collettivi, movimenti, organizzazioni e singole/i a unirsi a noi il 30 APRILE ALLE  ORE  14:00 NEI GIARDINETTI PUBBLICI DI VENTIMIGLIA per una grande assemblea per la libertà di movimento, contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale.
Partecipiamo numeros*!

ASSEMBLÉE POUR LA LIBERTÉ DE CIRCULATION, CONTRE LES FRONTIÈRES, LE RACISME ET LA VIOLENCE INSTITUTIONNELLE
Dimanche 30 avril – 14:00
Jardins publics de Vintimille

Le gouvernement Meloni tente de faire du naufrage de Cutro, resultat des politiques de mort italiennes et européennes de ces dernières années, une occasion d’aggraver encore les conditions de vie des migrantes et de criminaliser leur présence et leur parcours migratoire, rejetant ainsi toute responsabilité sur l’événement.
Depuis le début de l’année, le nombre d’arrivées de bateaux montre clairement que la politique de rejet en mer est non seulement mortelle, mais aussi impossible et inutile. Le décret Cutro et les amendements qui seront probablement adoptés, n’ont pas l’intention de traiter les naufrages ou la crise de l’accueil, mais plutôt de réduire davantage les services et leur conditions d’accès pour les personnes qui arrivent, en reaffirmant les détentions administratives et les expulsions comme une solution viable dans laquelle investir des ressources, et en cherchant des boucs émissaires faciles dans les figures des passeurs et des trafiquants (confondant de manière coupable la traite des êtres humains et l’aide au passage). Et pour finir, l’état d’urgence, un coup de théâtre qui ravira les affairistes pour qui un simple accord avec les préfectures suffira pour déroger à toute réglementation sur l’accueil et ouvrir un centre.
En attendant, au niveau européen, l’affrontement sur les mouvements dits secondaires, qui oppose les pays du sud de l’Europe qui voudraient que l’on dépasse le principe du premier pays d’arrivée et les pays du nord de l’Europe opposés à tout transfert de responsabilité, ne semble pas avoir trouvé de solution. Il semble donc que le règlement de Dublin restera la référence obligatoire en l’absence de tout autre accord. Le seul point commun entre les pays de l’Union semble être l’engagement en faveur de l’externalisation des frontières européennes, vecteur supplémentaire de déstabilisation pour les pays de l’autre côté de la Méditerranée et la cause de graves violations des droits de l’homme.
A Vintimille, nous avons assisté le mois dernier à un regain de protagonisme de la part de la préfecture face à une situation que l’on a sciemment laissé s’envenimer ces dernières années. Après sept ans de fermeture des frontières par le gouvernement français, qui a causé la mort directe d’au moins 42 personnes et a dévasté la vie de milliers d’autres, la situation est objectivement désastreuse. En l’absence de lieux d’accueil pour les personnes en transit (et pas seulement) celles-ci trouvent refuge dans des campements informels où l’administration publique a délibérément décidé de ne pas ramasser les ordures, de ne pas donner accès à l’eau potable ou à des toilettes publiques, déléguant aux travailleur.euses humanitaires et aux personnes solidaires le soin d’apporter le minimum vital. La seule intervention publique est celle du contrôle et de la répression à l’égard des personnes en transits et des personnes qui, ayant déposé une demande d’asile en Italie, restent à Vintimille dans l’attente d’une place d’accueil. Certaines de ces personnes continueront avec courage et détermination à affronter leur voyage, d’autres resteront bloquées à Vintimille pour une durée indéterminée en attendant de savoir où aller et comment s’y prendre.
Sur cette situation déjà limite, la nomination d’un nouveau préfet, apparemment proche du ministre Piantedosi, illustre bien la manière dont le gouvernement entend gérer la séquence actuelle. Fin mars, une table ronde sur la sécurité a mis en place ce qui avait été décidé à Rome, c’est-à-dire pas d’accueil mais un plan d’assistance pour les femmes et les enfants à confier à des organisations humanitaires, une ordonnance anti-dégradation sur la zone d’habitat informel sous le pont de la via Tenda (qui prévoit aussi un DASPO urbain pour les personnes qui, bien qu’en règle ou en attente de régularisation, se retrouvent sous un pont), immédiatement suivie d’une opération policière de grande envergure avec hélicoptères, chiens et dizaines de véhicules pour arrêter 13 petits trafiquants qui agissaient pour la plupart individuellement et vivaient sous le pont. Rien qui n’améliore le moins du monde la vie des habitant.es de Vintimille ou de celles et ceux qui passent par là.
Une partie non négligeable des personnes qui ont débarqué ces derniers mois, et qui continueront à débarquer dans les mois à venir, transiteront par Vintimille et trouveront la frontière fermée, comme c’est le cas depuis sept ans. Alors que les conditions socio-sanitaires s’aggravent sous le pont, rien n’est préparé pour le transit des personnes, à part des véhicules de police à mobiliser en fonction des besoins, pour des descentes régulières (les fameuses “patrouilles”) ou pour les opérations d’envergure auxquelles le nouveau préfet semble vouloir nous habituer.
Nous devons mettre un terme à la dérive raciste de ces politiques sur la vie des migrants, c’est pourquoi nous recherchons une réflexion large, avec les réalités d’ici et d’ailleurs. Pour continuer à construire ensemble l’opposition sociale au décret Cutro et aux plans terrestres et maritimes de Meloni et Piantedosi. Pour la fermeture de tous les centres de rétention et contre tout projet de construction de nouveaux CPR. Pour lutter encore et toujours contre la fermeture de la frontière décidée par le gouvernement français. Pour exiger une vie digne pour tous.tes !

C’est pourquoi nous invitons les collectifs, mouvements, organisations et individus à nous rejoindre le 30 AVRIL À 14 h DANS LE JARDIN PUBLIC DE VENTIMIGLIA pour une grande assemblée pour la liberté de circulation, contre les frontières, le racisme et la violence institutionnelle.
Participons nombreux.ses !

 


https://fb.me/e/YnO6YsoP

Contro il razzismo e i CPR, per Moussa Balde

Riceviamo e pubblichiamo:

Contro il razzismo e i CPR, per Moussa Balde

Il 10 gennaio saremo davanti al tribunale di Imperia per affermare ancora una volta che la morte di Moussa Balde non è stata accidentale: è l’esito diretto di una serie di azioni e di silenziose complicità da parte di soggetti diversi in un contesto dominato dall’ideologia e dalle politiche razziste che lo Stato promuove e legittima.

Le persone responsabili della discriminazione e della violenza che hanno portato Moussa Balde a morire nel centro torinese di detenzione per migranti (CPR) sono i membri della commissione che gli hanno rifiutato la protezione, i tre uomini che lo hanno preso a sprangate in pieno giorno nel centro di Ventimiglia, i numerosi testimoni che non sono intervenuti per fermare il linciaggio, la questura di Imperia che ha deciso per la sua reclusione anziché proteggerlo come testimone della violenza a lui inflitta, i rappresentanti delle istituzioni che hanno sostenuto che non si trattasse di aggressione razziale prima ancora di iniziare le indagini, i medici delle strutture sanitarie che a 24 ore dall’aggressione ne hanno firmato l’idoneità alla reclusione e successivamente all’isolamento, chi lo ha imprigionato negando per giorni la sua presenza nel CPR per impedire che Moussa potesse essere raggiunto dal suo avvocato.

Il 14 Ottobre a Imperia si è aperto il procedimento a carico dei tre uomini che hanno aggredito Moussa Balde nelle strade di Ventimiglia il 9 Maggio 2021.

Il 10 Gennaio, secondo la formula del rito abbreviato scelta dagli imputati, verrà emessa la sentenza.

È invece ancora aperta l’inchiesta per omicidio colposo avviata per accertare i fatti accaduti all’interno del CPR di Torino a seguito del presunto suicidio di Moussa Balde. L’indagine che vede indagati la direttrice del centro, il medico della struttura e nove poliziotti si allarga anche ad altri casi di procedure illegittime all’interno del CPR, dove già altre persone migranti avevano trovato la morte e dove continuamente si registrano tentativi di suicidio.

Indipendentemente dall’esito dei tribunali sappiamo che la fine di Moussa Balde è un crimine d’odio e che la responsabilità di questa morte è delle dinamiche di esclusione e razzializzazione che hanno prima schiacciato le speranze di Moussa di costruirsi una vita dignitosa in Europa per poi seppellire la verità sulla sua aggressione sotto una coltre di omertà.

! Per impedire che coloro che lo hanno ridotto al silenzio possano avere il monopolio della verità su questa storia di violenza e razzismo !

! Per l’abolizione dei CPR e di ogni forma di detenzione delle persone migranti !

! Per la libertà di circolazione e autodeterminazione di tutte le persone in viaggio, a prescindere da documenti e paese d’origine!

APPUNTAMENTO AL TRIBUNALE DI IMPERIA

10 GENNAIO ORE 9:00

IN SOLIDARIETA’ A MOUSSA BALDE E ALLA SUA FAMIGLIA

Solidali di Ventimiglia

(per ulteriori informazioni: https://parolesulconfine.com/moussa-balde-e-la-sua-famiglia-non-sono-soli/ ; https://parolesulconfine.com/moussa-balde-e-morto-di-razzismo/ )

Per contribuire alle spese legali per il processo di Imperia e per quello che si aprirà sul CPR di Torino:

IBAN: IT58H3608105138280345080353

BIC: PPAYITR1XXX

CAUSALE: solidarietà a Moussa Balde

Moussa Balde è morto di razzismo

Riceviamo e pubblichiamo (ita, eng, fra)

Per info sulla precedente udienza, vedi: Moussa Balde e la sua famiglia non sono soli

Moussa Balde è morto di razzismo

Il 14 ottobre al tribunale d’Imperia è iniziato il processo a tre italiani che il 9 maggio 2021 aggredirono brutalmente Moussa Balde a Ventimiglia. L’aggressione avvenne in pieno giorno in via Ruffini tra un supermercato e gli uffici della polizia di frontiera. 

Gli imputati sono a processo per lesioni aggravate dal numero di persone e dall’uso dell’arma, una spranga in questo caso, e sono difesi dall’avvocato Marco Bosio, noto per essere stato il difensore degli imputati nei processi contro la criminalità organizzata nel Ponente Ligure,  conosciuti come “SPI.GA” e “La Svolta”. Gli aggressori sono stati denunciati a piede libero in seguito a un video della violenza che ha fatto il giro del web, nel quale gli imputati sono riconoscibili. 

Il giorno stesso dell’aggressione il questore d’Imperia si affretta a fare dichiarazioni escludendo la matrice razziale delle violenze, che gli imputati giustificano come reazione ad un fantomatico tentato furto con una nullità di prove. 

Resta evidente il razzismo istituzionale che mette in atto un protocollo non per tutelare la vittima del linciaggio, ma piuttosto le persone italiane incriminate dal video filmato da un balcone.

Infatti in seguito all’aggressione Moussa Balde, originario della Guinea, viene portato all’ospedale per trauma facciale e lesioni, medicato e dimesso il giorno stesso, portato in commissariato viene consegnato all’ufficio immigrazione e, controllata la sua irregolarità sul territorio, viene recluso nel CPR (Centro di Permanenza per i Rimpatri) di Torino in attesa d’espulsione. 

Allontanato da Ventimiglia Moussa è finito al CPR senza aver mai firmato nessuna testimonianza sulla sua aggressione e senza che gli sia stata posta alcuna domanda sullo svolgimento dei fatti. Non ha ricevuto nessuna visita psicologica ma è stato rinchiuso a Torino, dove per diversi giorni gli avvocati non sono riusciti a rintraccialo perchè Moussa era stato registrato al CPR con un nome diverso da quello segnato dalla questura di Imperia. 

In una cella dell’area d’isolamento, denominata Ospedaletto, del CPR di Torino Moussa Balde muore la notte tra il 22 e il 23 maggio. I compagni di prigionia, che hanno iniziato una protesta quando hanno saputo la notizia della sua morte, hanno raccontato che la notte del 22 maggio l’avevano sentito urlare a lungo e chiedere l’intervento di un dottore senza mai ricevere risposta. 

E’ in corso un’indagine per omicidio colposo sui fatti avvenuti all’interno del centro detentivo dov’era rinchiuso Moussa quando è deceduto.

Il 14 ottobre scorso durante la prima udienza gli imputati hanno richiesto ed ottenuto il rito abbreviato, quindi il processo andrà avanti a porte chiuse e senza l’ausilio di testimonianze. 

Grazie alla presenza in aula del fratello Amadou Thierno Balde, la famiglia di Moussa si è costituita parte civile. 

Neppure al processo è stata riconosciuta l’aggravante dell’odio razziale, infatti la stessa procura ha deciso di non contestarla, decisione sulla quale l’avvocato della famiglia si opporrà nel dibattimento.

La giudice ha inoltre respinto la richiesta di costituirsi parte civile presentata da tre associazioni operanti nel territorio di Ventimiglia.

Non potendo entrare in aula, un gruppo di solidali si è radunato davanti al tribunale di Imperia e, dopo la rapida udienza, si è spostato a Ventimiglia nel luogo dove avvenne l’aggressione razzista, insieme ad Amadou Thierno Balde. 

Le persone solidali hanno camminato lungo le vie del centro per ricordare che la morte di Moussa Balde non è stata un tragico episodio ma il risultato di un brutale razzismo, anche istituzionale, che si palesa nel trattamento subito dal sopravvissuto al violento pestaggio, il quale è passato dall’ospedale, dal commissariato, dalla questura, dal CPR di Torino, davanti al medico che lo ha valutato idoneo alla detenzione, dall’isolamento disumano senza contatti con l’esterno e senza qualsiasi tipo di cura.

“Il trattamento che ha ricevuto prima di morire nessun individuo, nessun essere umano dev’essere trattato in questa maniera” dice Thierno Balde fuori dal tribunale d’Imperia, parlando del fratello “Perchè non ci siano più ingiustizie o razzismo, perché è duro ma bisogna essere chiari, si tratta di razzismo quello che ha subito. Perché non ci siano più casi così nel mondo intero, in particolare in Italia. Che il diritto in tutto il mondo sia rispettato, il diritto umano.”

La prossima udienza del processo ai tre aggressori sarà al tribunale d’Imperia il 9 dicembre alle ore 13:00.

Per impedire che questa storia finisca nel silenzio, per contrapporsi alla violenza razzista, per la libera autodeterminazione di tutte e tutti.

Per l’abolizione e la chiusura di tutti i CPR.

Ci ritroviamo il 9 dicembre 

alle 12:00 di fronte al tribunale d’Imperia  

alle 15:00 in Piazza De Amicis a Imperia Oneglia per un presidio e un volantinaggio antirazzista

Video della giornata del 14 ottobre con Thierno Amadou Balde –
https://youtu.be/keioX07CiEI

Per contribuire alle spese legali,  sia per il processo ad Imperia, che per quello che si aprirà a Torino dopo la chiusura delle indagini.

IBAN: IT58H3608105138280345080353

CAUSALE: solidarietà a Moussa Balde

_________________________________________

Moussa Balde died from racism

The trial of three Italians who brutally attacked Moussa Balde in Ventimiglia on May 9, 2021, began at the court of Imperia on October 14th. The attack took place in broad daylight on Ruffini Street between a supermarket and the border police offices. 

The defendants are on trial for injuries aggravated by the number of people and the use of an iron bar. They are being defended by lawyer Marco Bosio, known for having been the defense counsel in the trials against organized crime in western Liguria known as “SPI.GA” and “La Svolta”. 

The attackers were reported because a video of the violence was taken and then spread around the web, in which the defendants are recognizable. 

On the very day of the attack, the Imperia police commissioner rushed to make statements ruling out the racial matrix of the violence, which the defendants justified as a reaction to a phantom attempted robbery without a shred of proof

Institutional racism remains evident, putting in place a protocol not to protect the lynching victim, but rather the Italian people incriminated by the video filmed from a balcony.

In fact, following the attack Moussa Balde (from Guinea) was taken to the hospital for facial trauma and injuries, medicated and discharged the same day. Taken to the police station he was handed over to the immigration office and, checked for his irregularity in the territory, he was imprisoned in the CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio, or detention center) in Turin awaiting deportation. 

Removed from VentimigliaMoussa ended up at the CPR without ever having signed any testimony about his assault and without being asked any questions about the course of events. He received no psychological examination but was locked up in Turin, where, for several days lawyers were unable to track him down because Moussa had been registered at the CPR under a name different from the one marked by the Imperia police headquarters. 

In isolation in a zone of the CPR called Ospedaletto in TurinMoussa Balde died on the night between May 22nd And 23rd. Fellow prisoners who started a protest when they knew about his death said that on the night of May 22, they had heard him screaming for a long time and calling for a doctor without ever receiving a response. 

A manslaughter investigation is under way into the events that took place inside the detention center where Moussa was confined when he died.

On October 14 during the first hearing, the defendants requested and obtained an abbreviated trial, so the trial will go on behind closed doors and without the aid of witnesses. 

Thanks to the presence of Moussa’s brother Amadou Thierno Balde in the courtroom, Moussa’s family has filed civil 

Not even at the trial was the aggravating factor of ethnic hatred recognized; in fact, the prosecutor’s office itself decided not to challenge it, a decision on which the family’s lawyer will argue in the trial.

The judge also rejected the request for civil action filed by three associations operating in the Ventimiglia area.

Unable to enter the courtroom, a group of solidarians gathered in front of the Imperia courthouse and, after the quick hearing, moved to Ventimiglia to the site where the racist attack took place, along with Amadou Thierno Balde. 

Those in solidarity walked along the streets of the city center to remember that Moussa Balde’s death was not a tragic episode but the result of brutal racism, including institutional racism. This is evident in the treatment suffered by the survivor of the violent beating, who went from the hospital to the police station, the police headquarters to the CPR in Turin, before arriving before the doctor who assessed him fit for detention, inhumane isolation without contact with the outside world and without any kind of care.

“The treatment he received before he died, no individual, no human being should be treated in this way.” says Thierno Balde outside the court in Imperia, speaking of his brother “So that there will be no more injustice or racism, because it’s harsh but you have to be clear, it’s racism what he suffered. So that there are no more cases like this in the whole world, particularly in Italy. Let the right throughout the world be respected, the human right.”

The next hearing in the trial of the three attackers will be at the Imperia court on December 9 at 1 p.m.

To prevent this story from ending in silence, to oppose racist violence, for the free self-determination of all and everyone.

For the abolition and closure of all CPRs.

We meet on December 9 

at 12 noon in front of the Imperia courthouse.  

at 3 p.m. in De Amicis Square a Imperia Oneglia for an anti-racist sit in and leafleting 

Video of October 14th with Thierno Amadou Balde –
https://youtu.be/keioX07CiEI

To contribute to the legal costs, both for the trial in Imperia and for the one that will start in Turin after the investigation closes:

IBAN: IT58H3608105138280345080353

PAYMENT DESCRIPTION : solidarity with Moussa Balde

_______________________________________

Moussa Balde est mort de racisme

Le 9 mai 2021, Moussa Balde, originaire de Guinée, a été brutalement agressé à Vintimille. Le procès des trois Italiens auteurs de cette attaque qui a eu lieu en plein jour rue Ruffini, entre un supermarché et les bureaux de la police aux frontières, a débuté au tribunal d’Imperia le 14 octobre 2022. 

Les accusés sont jugés pour des blessures aggravées par le nombre de personnes et l’usage d’une barre de métal. Ils sont défendus par Marco Bosio, connu pour avoir été l’avocat des accusés dans les procès “SPI.GA” et “La Svolta” contre le crime organisé en Ligurie. Des poursuites sans mesure de privation de liberté ont pu être engagées contre les agresseurs grâce à une vidéo des violences réalisée par une voisine depuis son balcon et qui a fait le tour du web.

Le jour même de l’agression, le chef de la police d’Imperia s’est empressé de faire des déclarations excluant la dimension raciste de ces violences. Les accusés ont justifié leurs actes comme étant une réaction à une prétendue tentative de vol, sans pouvoir en apporter aucune preuve.

Le racisme institutionnel reste évident, mettant en place un protocole non pas pour protéger la victime du lynchage mais plutôt les Italiens incriminés par la vidéo filmée depuis un balcon.

En effet, à la suite de son agression et après un court passage à l’hôpital pour des traumatismes et des blessures au visage, Moussa Balde a été conduit au commissariat de police, remis au bureau de l’immigration et, après qu’ait été vérifiée son irrégularité sur le territoire, il a été enfermé au CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio, équivalent des centres de rétention administrative) de Turin en attendant son expulsion. 

Éloigné de Vintimille, Moussa s’est retrouvé en détention sans jamais avoir signé de témoignage sur son agression et sans que ne lui soit posée aucune question sur le déroulement des événements. Il n’a bénéficié d’aucun examen psychologique mais a été enfermé à Turin où, pendant plusieurs jours, les avocats n’ont pas pu le retrouver car il avait été enregistré au CPR sous un nom différent de celui retenu par la préfecture de police d’Imperia.

Dans une cellule de l’Ospedaletto, le quartier d’isolement du CPR de Turin, Moussa Balde est mort dans la nuit du 22 au 23 mai 2021. Ses codétenus, qui ont commencé à protester lorsqu’ils ont appris la nouvelle de son décès, ont déclaré que cette nuit-là, ils l’avaient entendu crier pendant longtemps et demander l’intervention d’un médecin sans jamais recevoir de réponse.

Une enquête pour homicide involontaire est en cours sur les événements qui se sont déroulés à l’intérieur du centre de rétention où était enfermé Moussa lorsqu’il est décédé.

 

Ce 14 octobre, lors de la première audience concernant l’agression de Moussa, les accusés ont demandé et obtenu une procédure simplifiée. Le procès se déroulera donc plus rapidement, à huis clos et sans audition de témoins. Grâce à la présence d’Amadou Thierno Balde, le frère de Moussa, la famille a pu se porter civile. 

Déjà écartée dans les déclarations publiques officielles au moment de l’agression, la circonstance aggravante de haine raciale n’a pas été retenue lors du procès. Le procureur a décidé de ne pas la relever, une décision à laquelle l’avocat de la famille s’opposera dans les suites du procès. Le juge a également rejeté la demande de trois associations de Vintimille de se porter partie civile.

Ne pouvant entrer dans le tribunal d’Imperia, un groupe de personnes solidaires s’est rassemblé à ses portes et après la rapide audience, s’est rendu sur les lieux de l’agression raciste à Vintimille avec Amadou Thierno Balde. Ils et elles ont marché dans les rues du centre ville pour rappeler que la mort de Moussa Balde n’est pas seulement un événement tragique mais le résultat d’un racisme brutal, y compris institutionnel, qui apparaît clairement dans le traitement qu’a subi le survivant du lynchage, emmené de l’hôpital au commissariat, de la préfecture de police au centre de rétention, d’un médecin qui l’a jugé apte à la détention jusqu’à un isolement inhumain, sans contact avec le monde extérieur et sans aucun type de soins.

« Le traitement qu’il a reçu avant de mourir, aucun individu, aucun être humain ne devrait être traité de cette façon. Pour qu’il n’y ait plus d’injustice ou de racisme, parce que c’est dur mais il faut être clair, c’est du racisme qu’il a subi. Pour qu’il n’y ait plus de cas comme celui-ci dans le monde entier, et en particulier en Italie. Que l’on respecte le droit dans le monde entier, le droit humain. » a déclaré Amadou Thierno Balde à la sortie du tribunal d’Imperia, en parlant de son frère Moussa.

 

La prochaine audience dans le cadre du procès des trois agresseurs de Moussa Balde aura lieu au tribunal d’Imperia le 9 décembre à 13h.

Pour éviter que cette histoire ne termine dans le silence, pour s’opposer à la violence raciste, pour la libre autodétermination de toustes.

Pour l’abolition et la fermeture de tous les CPR.

Nous nous réunissons retrouvons nous le 9 décembre :

– à 12h00 devant le tribunal d’Imperia  

– à 15h00 sur la Piazza De Amicis à Imperia Oneglia pour un rassemblement antiraciste et une distribution de tracts

Vidéo de la journée du 14 octobre avec Thierno Amadou Balde –
https://youtu.be/keioX07CiEI

Pour contribuer aux frais de justice, tant pour le procès d’Imperia que pour celui qui s’ouvrira à Turin après la clôture de l’enquête :

IBAN : IT58H3608105138280345080353

OBJET : solidarité avec Moussa Balde

(immagine di copertina da Meltingpot.org: Pestaggio a Moussa Balde: al via il processo contro gli aggressori)

Per Ahmed Safi

Ahmed Safi è un ragazzo afghano di diciannove anni. Lunedì 7 novembre è morto attraversando il confine a Ventimiglia. Pubblichiamo il testo del comunicato che è stato letto e distribuito ieri, domenica 13 novembre, dalle persone solidali del territorio che si sono radunate proprio davanti al confine tra Italia e Francia per commemorare e portare un saluto ad Ahmed. (1, 2)


Per Ahmed

Alcuni giorni fa, lunedì 7 Novembre, Ahmed Safi, un ragazzo afghano di 19 anni è morto sull’autostrada A10 a Ventimiglia, investito mentre provava a raggiungere la Francia.

Ahmed è l’ennesima vittima delle politiche di discriminazione e respingimento della fortezza Europa. Come lui sono più di cinquanta le persone morte dal 2015 ad oggi nel tentativo di attraversare la frontiera italo-francese.

Chi crede nella libertà di circolazione deve oggi fare i conti con un aumento esponenziale delle vittime ai nostri confini. Ogni volta il primo tentativo è quello di ricostruire, dare un nome, documentare, raccontare e, malgrado tutto, contare. Il numero dei morti, questa triste contabilità, perde però di significato se non riflettiamo come ciascuna di questa persone morte fosse una vita, una storia personale che si è interrotta e i cui affetti sono spesso lontani dal luogo della fine.

In ogni società alla morte di una persona la comunità risponde con un rituale nel quale si intende salutare chi se ne è andato e rinnovarne il ricordo. Crediamo sia giusto che questo accada anche qui in frontiera, per quelle persone che se ne sono andate lontane dai propri affetti, dopo aver attraversato migliaia di chilometri ed essersi trovate davanti l’ennesimo muro.

Crediamo che salutare e commemorare ogni singola vittima della frontiera sia tanto più importante oggi, nel momento in cui i governi di Italia e Francia gareggiano a chi riesce a garantire il trattamento più inumano a chi è in viaggio, l’una chiudendo i porti l’altra aumentando gli effettivi alle frontiere. A questa inumanità oggi rispondiamo con il più umano dei gesti, salutare chi se ne va.

Siamo quindi qui per Ahmed, per la sua famiglia, per i suoi amici e per le sue amiche.

Per dirgli addio e rendergli omaggio.

Per Ahmed Safi, ragazzo di 19 anni, morto lunedì 7 novembre a Ventimiglia

Italia-Francia… e migranti: tra i due litiganti, il terzo muore

Italia-Francia diventa un’espressione unica in questi giorni vibranti di tensioni, ricatti e giochi politici. Italia-Francia è un binomio che tiene insieme, in pochi mesi, un viaggio che parte dall’acclamata squadra mista di gendarmi e polizia “per la sicurezza transfrontaliera” per arrivare in picchiata alle velenose dichiarazioni delle ultime ore.

In tempi ormai sospetti e guasti, Italia-Francia suona come una minaccia di guerra.

Migranti, crisi Italia-Francia. Meloni: “non siamo più in grado di occuparcene”; Crisi Italia-Francia, in arrivo altre misure di ritorsione; Scontro tra l’Italia e la Francia, Parigi blinda i confini 500 agenti alla frontiera; Migranti, scontro aperto Italia-Francia; La crisi diplomatica tra Italia e Francia per la nave Ocean Viking.  Questo è ciò che stanno scrivendo in queste ore di litigiosa contesa geopolitica tutte le testate giornalistiche di qualsiasi schieramento politico. (1,2,3,4,5)

Ecco: povera Italia quindi. Ma soprattutto, poveri italiani…  Addirittura, su queste sponde italiche di rivoltamenti narrativi di convenienza, siamo riusciti a raggiungere nelle ultime dichiarazioni lo stadio del ‘poveri migranti!’ (che però non dovete sbarcare, crepate pure in mare, anzi gli uomini li rimandiamo direttamente in Libia perchè la pacchia è finita ).

Quello che accade è spiacevole, ma quello che si dice ha dell’incredibile.

In queste bieche ore di faide internazionali e minacce politiche, si stanno scalando inedite vette di ipocrisia, mentre si scava a piene mani dagli abissi più profondi dell’indecenza umana.

Una prima riflessione, per chi conosce Ventimiglia e le sue dinamiche di frontiera, è che una dichiarazione francese che annuncia torva la blindatura dei confini fa ridere. Una risata amara e lunga come la lista delle persone decedute a Ventimiglia nel tentativo di attraversare il confine dal 2015 ad oggi. Già, quante sono le persone morte sul confine Italia-Francia a Ventimiglia? C’è qualcuno che lo sa? Forse trenta. Forse quaranta. Probabilmente di più.

Era così aperto e accogliente prima questo confine, con la legione straniera con cani e infrarossi sui monti, i pattuglioni nelle stazioni francesi coi piedi di porco in una mano e i gas lacrimogeni nell’altra, i checkpoint lungo le strade e le autostrade, le detenzioni per donne uomini e bambini per ore infinite senza acqua e cibo in scatole di metallo, ma era così una festa che la gente decideva da sola di finire precipitata nei dirupi che portano in Francia, travolta sulle autostrade, bruciata sui tetti dei treni francesi.

L’ultima vita rubata dal confine Italia-Francia è quella di Ahmed Safi, diciannove anni, investito lunedì 7 novembre da tre diversi automezzi presso il casello autostradale che divide Italia-Francia: un corpo distrutto a causa di questo confine e raccattato in un macabro simbolismo proprio sulla linea della frontiera.

Che se non dicevano due giorni fa che vogliono blindarla, sta frontiera Italia-Francia, allora mica la gente se ne era accorta che si rischia l’osso del collo per raggiungere quella desiderata libertà in Europa.

Una seconda ovvia riflessione sorge leggendo certe grottesche dichiarazioni di certi amministratori regionali che scelgono, nel dubbio di un momento già abbastanza sinistro di per sé, di rincarare la dose di follia sostenendo che la gente che migra muoia di fame per strada a Ventimiglia per colpa della Francia.

A prescindere dai tuonanti titoli dei giornali e dalle scornate che si danno i politici italiani e i cugini d’Oltralpe in queste ore, quale che sia la posta in gioco nelle beghe per l’egemonia in Europa, il governo Italiano avrebbe il dovere di adoperarsi in ogni modo possibile per evitare che la gente finisca a morire lentamente, spegnendosi lungo i marciapiedi di una città.

Un dovere umano prima ancora che politico. E invece è proprio nell’anno del rinnovo della presidenza di regione di un certo personaggio, che oggi si straccia le vesti per i poveri migranti che languono nelle vie della città di confine, che si è deciso di sbaraccare qualsiasi centro d’accoglienza e ristoro per le persone in viaggio verso l’Europa: dal 2020 non c’è trippa per gatti, eppure gli oltraggiosi francesi erano, all’epoca, validi alleati per la sicurezza del territorio.

Per chiarezza: la gente moriva in strada col Pd (non ci si dimenticherà mai del divieto di portare da mangiare a chi aveva fame) come con la Lega. Con chiunque a qualsiasi livello politico, dagli amministratori locali agli apici delle posizioni in parlamento, negli ultimi sette anni la gente ha perso la vita certamente camminando sul confine, così come ha perso la vita nelle strade di Ventimiglia. Con Fratelli d’Italia, che il cielo scampi la popolazione migrante, le persone continueranno a morire in strada di fame, di freddo, di infarto, di abbandono, di malattie, annegate lungo il fiume dove sono costrette a dormire senza altre soluzioni. Queste sono responsabilità tutte nostrane, checchè abbia la faccia tosta di dichiarare chi è presidente per la regione Liguria, per ironia o forse no, proprio dal 2015.

È obiettivamente agghiacciante e impossibile prendere le parti di uno o dell’altro paese in questo rombare di accuse reciproche. Fate tutti veramente schifo, diciamolo un po’ fuori dai denti. Diciamolo serenamente che tra i due litiganti il terzo non gode, e chi ha sempre e da sempre pagato il conto più amaro è proprio la gente senza un documento europeo che viene dall’Africa e dal Medio Oriente.

Gente che viene definita “clandestini” quando serve alla politica italiana per far mambassa di voti per i partiti di estrema destra e che viene definita “persone che cercano solo di ricongiungersi ai parenti” quando bisogna fomentare il popolo, elmo di Scipio ben stretto sulla testa, a scagliarsi contro i nemici francesi.

Italia-Francia suona come una minaccia di guerra e in ogni guerra fatta a regola a versare il sangue è il capro espiatorio che si butta là davanti nel tritacarne: le persone migranti. Mentre chi dietro tiene le poltrone ci sprofonda saldamente ancora più dentro.

Inumani lo siete tutti, inumani e perversi, e fa veramente disgusto il modo in cui da anni riuscite a utilizzare i corpi e le vite delle persone per fare i vostri teatri di politica, le gazzarre elettorali italiane e i circhi dell’ipocrisia europea. Mentre fate a chi strilla più forte per potere e per soldi, per rivalsa e per orgoglio, la gente continua a camminare, a scappare da guerre, povertà, persecuzioni, cambiamenti climatici, mancanza di chance e prospettive di vita soddisfacenti. Le persone arrivano a centinaia al mese lungo il confine di Ventimiglia. A centinaia vengono catturate, vessate, rinchiuse e umiliate. Dalle polizie di qui come dalle polizie di là. Con o senza rinforzi di ulteriore gendarmeria, che essere fermati da quindici o trenta divise forse fa oggettivamente più brutto, ma il risultato è che le persone vengono comunque bloccate a morire nel corpo e nelle speranze nelle strade di un’Italia che dice che “non ce la fa”, ma che effettivamente nemmeno vuole provare a farcela.

Perchè infine bisogna dire anche che al confine di Ventimiglia continuano ad arrivare tante persone che sono appena sbarcate da queste navi di soccorso che fanno rizzare altre piume e scuotere altre scornate, quante altrettante (e negli ultimi anni sempre di più) sono quelle che stanno scappando da un’Italia in cui non riescono a trovare un proprio posto e continuano a rimbalzare contro muri di gomma e di razzismo fino a uscire di senno, suicidarsi o correre il rischio di perdere la vita per valicare questo confine maledetto che riempie la bocca di giornali, opinionisti e politici che di cosa sia la guerra per sopravvivere a Ventimiglia, che cosa sia la sfida a non soccombere a Italia-Francia, ma non ne hanno la più pallida idea.