Nessun perdono, perché sanno quello che fanno_ per Moussa Balde, contro i CPR

Riceviamo e pubblichiamo il seguente contributo, un aggiornamento circa l’inizio dei processi penali per reati commessi nella gestione del CPR di Torino. Le indagini furono avviate nel 2021 in seguito alla morte per suicidio del giovane Mamadou Moussa Balde. Nel marzo 2023 il centro per rimpatri di Torino è stato chiuso per inagibilità delle strutture in seguito alle rivolte dei reclusi. Da mesi se ne annuncia l’imminente riapertura. (per info sui passaggi precedenti qui e qui)

Esprimiamo totale solidarietà alle persone colpite dall’orrore dei CPR e a tutte le persone che ne hanno permesso la chiusura, così come a tutte coloro che lotteranno per impedire che questo ed altri CPR vengano aperti.

Nessun perdono, perché sanno quello che fanno_ per Moussa Balde, contro i CPR

Ci siamo: a quasi tre anni dagli eventi stanno per iniziare al tribunale di Torino i processi nati dalle indagini per la morte di Moussa Balde, il ventiduenne originario della Guinea che si era impiccato nella sezione di isolamento “ospedaletto” nel CPR di Torino nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2021, dove era stato rinchiuso dopo aver subito un brutale pestaggio nelle strade di Ventimiglia pochi giorni prima. Per quella violenta aggressione a Gennaio 2023 sono stati condannati a due anni per lesioni aggravate i tre ventimigliesi che avevano preso a sprangate Moussa davanti a un supermercato in centro città.

Il secondo capitolo di questa storia di insopportabile razzismo italiano si era scritto con la peggiore delle conclusioni nel cpr di Torino, dove Moussa era stato trascinato a poche ore dal pestaggio, le ferite ancora fresche sul volto, negato il diritto di farsi testimone della sua stessa aggressione, inabissato in una sezione di isolamento abusiva persino per un posto già extra legale quale è il CPR, la sua presenza nel centro negata ripetutamente dal personale di servizio agli avvocati che lo stavano cercando. Poi il suicidio nella notte, in quelle celle definite “gabbie dello zoo” anche dalle autorità che dovrebbero esserne responsabili.

A seguito di questi eventi si è ritenuto opportuno dimostrare che qualcosa veniva pur fatto per porre rimedio. Così si sono aperte le indagini su due livelli: il primo strettamente legato al suicidio, che si profila essere, con una più corretta descrizione degli eventi, un omicidio colposo; il secondo rappresenta invece un’indagine più allargata sull’uso illecito della sezione di isolamento “ospedaletto” nel CPR di Torino, che ha portato a formulare l’accusa di sequestro di persona nei confronti di più attori legati alla gestione del centro, a danno di 14 persone recluse nella struttura tra gennaio 2020 e luglio 2021 e tenute in isolamento per giorni, settimane e in alcuni casi mesi.

Nel dettaglio: Venerdì 1 marzo 2024 alle 9:15, al tribunale di Torino, verrà discussa la richiesta di archiviazione presentata dalla procura per le accuse di sequestro di persona – con corollario variamente distribuito di abuso di potere, falso in atto pubblico, lesioni personali colpose, violazione dei doveri medici, abbandono di incapaci, falso ideologico- a carico della ex direttrice del CPR di Torino, di due medici del centro e di 4 operatori di polizia, tra i quali il dirigente dell’ufficio immigrazione di Torino e l’ispettore superiore di PS in servizio presso il CPR di corso Brunelleschi.

Mercoledì 13 marzo 2024 alle 9:30, sempre a Torino, si terrà l’udienza preliminare del procedimento per omicidio colposo a carico della ex direttrice del CPR e del medico direttore sanitario della struttura all’epoca della morte di Moussa Balde. Nello stesso procedimento è accusato anche l’ispettore capo di polizia assegnato al servizio di vigilanza presso il CPR, che deve rispondere di falso in atto pubblico per aver manomesso le relazioni di servizio richieste come prove nell’indagine per omicidio colposo.

Questi i fatti. Le conclusioni che si possono trarre fanno, se possibile, ancora più rabbia dei fatti stessi. È evidente come lo stato, tramite la procura di Torino, voglia far pagare il conto di una montagna di abusi e violenze esclusivamente ai dipendenti della Gepsa, l’ente privato che aveva in gestione il CPR, mandando loro a giudizio per omicidio colposo e tentando invece di salvare operatori, dirigenti e ispettori di polizia dall’accusa di sequestro di persona. Il procedimento penale sul caso singolo di Moussa troverà effettivamente un seguito nelle aule del tribunale di Torino, ma si cerca di insabbiare con una richiesta di archiviazione il procedimento generale sulla mala gestione del CPR, che renderebbe pubblicamente conto della portata di iniquità che rappresentano i centri per il rimpatrio.

Nel procedimento per sequestro di persona, infatti, emergono una lunga serie di abusi e illeciti operati anche dall’ente gestore ma soprattutto delle forze dell’ordine, sia sottoposti che alti dirigenti. Il ricorso illegale e continuativo all’uso dell’isolamento, in un luogo dove non è prevista per legge la possibilità di ulteriore restrizione della libertà personale -e a seguire la sfilza di falsificazioni, giustificazioni e tentativi dei vari soggetti coinvolti di salvarsi a vicenda dalle accuse- finirà con probabilità in una bolla di niente.

La richiesta di archiviazione viene motivata con una spregiudicata logica d’azzeccagarbugli: non viene affatto negato dalla procura che le persone imputate abbiano commesso il sequestro di persona e tutte le altre sotto accuse. Ma si afferma che tutto questo non può costituire reato perché, semplicemente, così han sempre fatto anche poliziotti, dirigenti, prefetture, questure e agenzie private che hanno avuto in gestione questo come gli altri CPR d’Italia. E se così fan tutti, queste specifiche soggettività finite sotto accusa per i reati commessi tra il 2020 e il 2021 non possono essere davvero colpevoli, perché non sapevano che quello che stavano facendo era illegale.

Sia chiaro: non è nostra convinzione che la giustizia possa passare dai tribunali, né è nostro interesse che un numero maggiore di persone venga portato alla sbarra o condannato per questo o quell’altro reato. Le galere sono luoghi che vanno distrutti e definitivamente aboliti, tutti, che siano le carceri penali o le gabbie della detenzione amministrativa. Allo stesso modo non è nostra intenzione affermare che operatori e operatrici della Gepsa, multinazionale della detenzione per migranti, siano sfortunate persone che meritano solidarietà in quanto destinate a diventare il capro espiatorio di un sistema profondamente marcio quale è il mondo dei centri di espulsione, avendo queste scelto di aderirvi per lucrare sulla pelle di chi è senza i giusti documenti.

Ma le leggi le scrivono loro ed è illuminante vedere l’uso creativo che ne fanno, perfettamente allineato all’ipocrisia di tutto il sistema, cercando di lavarsi dal sangue quelle mani che continuano a causare morti. Non tanto per gridare di indignazione per le capriole logiche che compiono le istituzioni e chi le rappresenta nelle aule di tribunale, atterrando comunque sempre illese e in piedi. Ma perché quegli stessi spergiuri sulla gravità di aver arrecato danno e dolore a così tante persone e sulla necessità di correggere questi soprusi dilaganti, raccontano alla fine l’unica vera storia che a questo stato interessa scrivere:

i CPR sono sbagliati ma ne costruiranno ancora di più.

I CPR sono luoghi di tortura, ma se fin qui si è sempre torturato non è poi tanto un reato continuare a farlo.

I CPR hanno violato l’integrità, la dignità e i diritti di quelle 14 persone (ma sono molte di più) tenute in isolamento per punizione, per discriminazione di credo o orientamento sessuale, per problematiche sanitarie fisiche e mentali, talvolta gravi e reali, tal’altra pure presunte. Come la psoriasi diagnosticata a Moussa, malattia non contagiosa per la quale si è comunque stabilito che dovesse finire all’ospedaletto.

Ma lo stato decide di alzare i tempi di reclusione nei CPR da 3 a 18 mesi.

I CPR hanno ucciso Moussa Balde, prima di lui troppi altri e ancora altri dopo di lui, ma lo stato non se ne ritiene responsabile.

Ultimo di una lista che non vi è alcuna intenzione di fermare è Ousmane Sylla, morto suicida nel CPR di Ponte Galeria nella notte tra il 3 e il 4 febbraio, un altro ventiduenne della Guinea, anche lui distrutto da un sistema che, senza alcuna vergogna, nei tribunali riconosce le proprie colpe e nei tribunali decide anche la propria auto assoluzione. Ousmane Sylla voleva tornare a casa ed era rinchiuso in un centro di espulsione da cui non sarebbe mai tornato a casa, proprio come Moussa, perché l’Italia non ha accordi di rimpatrio con la Guinea: un altro paradosso che racconta la vera identità criminale dello stato e del governo italiano, al di là delle sentenze e dei giochi togati nei tribunali.

Abbiamo saputo della morte di Ousmane Sylla. È davvero triste e deplorevole, possiamo vedere che le stesse cause producono gli stessi effetti. Le autorità italiane devono esaminare a fondo ciò che sta accadendo all’interno di questa prigione, alle condizioni di detenzione e tutto ciò che ne consegue, non sono buone. Altrimenti non ti alzeresti così un mattino decidendo di mettere fine a tutto questo, è difficile da credere, le ragioni devono essere cercate altrove” Thierno Balde, fratello di Moussa.

Per la memoria di Moussa Balde, di Ousmane Sylla e delle altre decine di persone che hanno subito morte e violenza nei centri per i rimpatri

Per portare solidarietà alle loro famiglie, colpite dal dolore causato dall’ingiustizia delle leggi italiane ed europee

Per la libertà di circolazione di tutte e di ciascuno

Per impedire la riapertura del CPR di Torino

Per la distruzione degli altri CPR ancora operativi in Italia

Per l’apertura di tutte le frontiere europee e l’abolizione delle politiche migratore neo-colonialiste

Gli orari degli appuntamenti al tribunale di Torino l’1 e il 13 marzo 2024 sono scritti in questo testo, così come le posizioni e i ruoli dei vari soggetti: ciascuna persona reagisca dove e come ritiene più opportuno.

Solidali di Ventimiglia

Ceuta: in marcia per la dignità

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente contributo, resoconto della Marcha por la Dignidad, risposta alla chiamata annuale di mobilitazioni e proteste per la commemorazione della strage avvenuta per mano della Guardia Civil il 6 febbraio 2014 sulla spiaggia del Tarajal, Marocco, al confine con Ceuta.

Ringraziamo lx compagnx che hanno condiviso questa importante testimonianza.

Ceuta: in marcia per la dignità

Come ogni anno dal 2014 a Ceuta si è svolta la Marcha por la Dignidad, in commemorazione delle vittime della strage del Tarajal. Il 6 febbraio di dieci anni fa la Guardia Civil attaccò violentemente un gruppo di circa quattrocento persone che tentavano di attraversare la frontiera a nuoto. Mentre le motovedette della polizia marocchina le inseguivano, la Guardia Civil dalle imbarcazioni aprì il fuoco con proiettili di gomma, colpi a salve, candelotti fumogeni e granate stordenti. Ne uccise almeno quindici e molte delle sopravvissute riportarono gravi ferite. Nonostante la causa civile aperta dalle associazioni per i diritti umani, che ha portato sedici agenti alla convocazione davanti al tribunale di Ceuta, il caso è stato archiviato tre volte dal giudice istruttore. I più alti organi dello Stato spagnolo e i vertici delle forze di polizia hanno respinto ogni responsabilità e mistificato la realtà, negando l’utilizzo di attrezzatura antisommossa e il coinvolgimento di feriti.

L’iniziativa commemorativa si è aperta la mattina con una conferenza che ha ospitato l’intervento della ricercatrice Viviane Ogou, l’attivista Mouctar Bah, l’artista Abubakar e l’avvocatessa Patuca Fernandez. Gli interventi hanno riguardato il tema del diritto alla migrazione, il razzismo strutturale dell’economia globale e l’esternalizzazione della frontiera. In particolare ci si è soffermatə sull’importanza politica della visibilizzazione e della memoria. Dopo la strage del Tarajal i corpi non sono stati recuperati, è stato il mare a restituirli nei giorni seguenti dopo averli resi irriconoscibili. Il processo di identificazione è durato anni e non si è mai del tutto concluso. La frontiera oltre ad aver ucciso fisicamente le vittime le ha private della loro individualità, cancellandone la dignità in morte oltre che in vita. Come ha affermato l’avvocatessa Fernandez l’atto più violento fu quello di non poter riscattare i corpi, negandone quindi la possibilità di identificazione, memoria e commemorazione. Venne rifiutato inoltre alle famiglie ogni permesso di raggiungere la Spagna per rendere omaggio alle salme e intervenire in tribunale.

Giungendo nell’enclave spagnola dal Marocco, attraverso le alture del Rif, salta agli occhi nella sua interezza il muro che racchiude questa minuscola parte della fortezza Europa. Da qui si arriva alla zona del Tarajal, frontiera sud, unico punto di accesso attualmente percorribile per entrare legalmente nel territorio. E’ su questa spiaggia che si è conclusa la marcia, con un momento di raccoglimento sugli scogli. La frontiera nord è invece blindata dal 2004, sia per quanto riguarda il transito di persone che di merci. L’attraversamento da parte di persone in movimento era frequente fino al 2018, quando un accordo bilaterale ha portato l’inasprimento dei controlli, rendendola inaccessibile. La valla, recinzione in spagnolo, che racchiude completamente Ceuta tagliandola da costa a costa, fu innalzata da tre a sei metri nel 2006. In seguito ad un finanziamento europeo fu portata all’altezza di dieci metri. I nove km del perimetro frontaliero sono costantemente sorvegliati su entrambi i lati. L’esercito marocchino è stanziato in diversi punti con piccole caserme, su terreni che furono espropriati ai precedenti abitanti. Oltre a torrette per l’avvistamento e telecamere, c’è il filo spinato concertina. In seguito a pressioni di associazioni per i diritti umani queste recinzioni provviste di lame furono tolte dal lato spagnolo nel 2018, spostandole però su lato marocchino, finanziate con soldi europei. Questo processo di esternalizzazione delle frontiere comporta anche una presenza capillare di polizia nell’area che precede la frontiera, con funzione di filtro e rastrellamento delle persone in movimento. Dall’altro lato la Guardia Civil pattuglia Ceuta dall’interno, attraverso strade riservate al solo utilizzo militare e tramite appostamenti con sensori termici notturni.

Alcune associazioni attive in loco supportano le persone in transito, la lotta per il diritto a migrare e per l’abbattimento delle profonde disuguaglianze sociali della città. Tra le altre Elin si occupa principalmente dei corsi di spagnolo per le persone presenti al CETI (Centros de Estancia Temporal de Inmigrantes); No Name Kitchen presta sostegno alle persone in strada, per la maggior parte marocchine; Luna Blanca distribuisce gratuitamente i pasti quotidianamente. Sta inoltre nascendo un nuovo centro: ASCS (Agenzia Scalabriniana Cooperazione e Sviluppo) ha avviato un progetto sulle frontiere e investito su Ceuta. Nel centro dove già è attivo uno spazio diurno ricreativo, in cui si svolgono lezioni di spagnolo, sarà aperta una zona abitativa in cui poter offrire ospitalità.

A Ceuta vige un regime normativo speciale, la città ha uno statuto autonomo che prevede la sospensione di Schengen, maggiori restrizioni nell’accesso a servizi pubblici, difficoltà ad ottenere un domicilio e contratto di lavoro. Sono visibili enormi disuguaglianze tra i diversi quartieri, nei quali vige una netta separazione su base razziale, religiosa e disponibilità di risorse economiche. Percorrendone le vie è forte la sensazione di essere chiusə dentro una recinzione. Oltre lo Stretto è intravisibile il continente, apparentemente vicino, ma ancora fuori portata. Attualmente la maggior parte delle persone prova a superare la frontiera a nuoto attraverso la zona costiera del Tarajal. Per quanto il tratto marittimo possa sembrare breve, è estremamente pericoloso a causa delle forti correnti dello Stretto, oltre ad essere costantemente presidiato. L’1 febbraio più di venti minori e una decina di maggiorenni sono riusciti a raggiungere la spiaggia su territorio spagnolo approfittando del maltempo, quando pare esserci meno sorveglianza. I giornali locali affermano che il Governo di Ceuta ha domandato un ulteriore piano di contingenza per poter trasferire i minori, che per ora sono accolti dal centro La Esperanza. Mentre i maggiorenni sono stati rimpatriati in Marocco.

In quanto territorio europeo, su suolo africano, Ceuta rappresenta una rotta migratoria di interesse. Una volta raggiunta è possibile presentare domanda per regolarizzare la propria posizione e avviare la procedura per ottenere documenti europei.  Queste procedure vengono avviate in seguito all’inserimento al CETI. Per coloro che provengono da paesi considerati a rischio è prevista la possibilità di fare richiesta di protezione internazionale, si tratta principalmente di persone originarie dell’area subsahariana, che vengono prese in carico dal CETI. Sono invece escluse da questo servizio le persone del Maghreb, che rimangono quindi tagliate fuori dalla possibilità di presentare domanda e relegate ad un’ulteriore marginalizzazione, in virtù di criteri arbitrari poichè non dettati da alcuna legge. Per queste persone è stato istituito un apposito sportello informatizzato dove poter presentare domanda. Per ragioni tecniche legate alle modalità di prenotazione digitale la maggior parte delle persone non riesce ad accedervi, e si è sviluppato un sistema di compra-vendita delle prenotazioni, a partire da mille euro. Questa esclusione costringe alla vita di strada, e le lunghe attese ne aggravano le condizioni. A Melilla dove la situazione era simile, in seguito ad azioni legali si è riuscito a far accedere al CETI anche persone provenienti dall’area del Maghreb.

Le minorenni e i minorenni secondo la legge europea hanno diritto all’accoglienza a prescindere dalla provenienza. In città sono situati due centri, distinti per genere, nei quali sono costrettə a rimanere fino al raggiungimento della maggiore età. Solo dopo aver compiuto diciotto anni, infatti, potranno spostarsi nel continente con un permesso temporaneo della durata di sei mesi. Durante questo periodo devono regolarizzarsi sul territorio, attraverso contratti lavorativi e abitativi, per poter rinnovare i documenti. A causa di queste rigide condizioni la maggior parte preferisce quindi tentare la traversata. Le persone minorenni hanno come zona di riferimento la scogliera accanto al porto, qui trovano riparo tra gli spazi concavi delle rocce. Di notte chi prova la partenza cerca un nascondiglio per imbarcarsi, questo in gergo viene chiamato risky, data la nota pericolosità del tentativo. Il livello di violenza e mortalità della frontiera è altissimo: il monitoraggio di Caminando fronteras riporta 6.618 vittime nella rotta di accesso alla Spagna nel 2023. Sono 147 le persone uccise nell’ultimo anno nella zona dello stretto, la maggior parte nel tentativo di raggiungere Ceuta a nuoto.

Anche a Melilla nel 2022 si è verificato un terribile massacro. Oltre quaranta persone morirono nel tentativo di superare l’enorme recinzione. L’associazione marocchina per i diritti umani AMDH dichiara che il bilancio delle vittime è destinato a salire poiché sessantaquattro persone risultano disperse da quel giorno. Ong marocchine e spagnole denunciano un accanimento giudiziario contro le persone in movimento arrestate, che hanno ricevuto condanne detentive e sanzioni pecuniarie. A giugno, in occasione dell’anniversario, si terrà la prima manifestazione per chiedere giustizia, verità e riparazione.

Chiara e Timo

Moussa Balde è morto di razzismo

Riceviamo e pubblichiamo (ita, eng, fra)

Per info sulla precedente udienza, vedi: Moussa Balde e la sua famiglia non sono soli

Moussa Balde è morto di razzismo

Il 14 ottobre al tribunale d’Imperia è iniziato il processo a tre italiani che il 9 maggio 2021 aggredirono brutalmente Moussa Balde a Ventimiglia. L’aggressione avvenne in pieno giorno in via Ruffini tra un supermercato e gli uffici della polizia di frontiera. 

Gli imputati sono a processo per lesioni aggravate dal numero di persone e dall’uso dell’arma, una spranga in questo caso, e sono difesi dall’avvocato Marco Bosio, noto per essere stato il difensore degli imputati nei processi contro la criminalità organizzata nel Ponente Ligure,  conosciuti come “SPI.GA” e “La Svolta”. Gli aggressori sono stati denunciati a piede libero in seguito a un video della violenza che ha fatto il giro del web, nel quale gli imputati sono riconoscibili. 

Il giorno stesso dell’aggressione il questore d’Imperia si affretta a fare dichiarazioni escludendo la matrice razziale delle violenze, che gli imputati giustificano come reazione ad un fantomatico tentato furto con una nullità di prove. 

Resta evidente il razzismo istituzionale che mette in atto un protocollo non per tutelare la vittima del linciaggio, ma piuttosto le persone italiane incriminate dal video filmato da un balcone.

Infatti in seguito all’aggressione Moussa Balde, originario della Guinea, viene portato all’ospedale per trauma facciale e lesioni, medicato e dimesso il giorno stesso, portato in commissariato viene consegnato all’ufficio immigrazione e, controllata la sua irregolarità sul territorio, viene recluso nel CPR (Centro di Permanenza per i Rimpatri) di Torino in attesa d’espulsione. 

Allontanato da Ventimiglia Moussa è finito al CPR senza aver mai firmato nessuna testimonianza sulla sua aggressione e senza che gli sia stata posta alcuna domanda sullo svolgimento dei fatti. Non ha ricevuto nessuna visita psicologica ma è stato rinchiuso a Torino, dove per diversi giorni gli avvocati non sono riusciti a rintraccialo perchè Moussa era stato registrato al CPR con un nome diverso da quello segnato dalla questura di Imperia. 

In una cella dell’area d’isolamento, denominata Ospedaletto, del CPR di Torino Moussa Balde muore la notte tra il 22 e il 23 maggio. I compagni di prigionia, che hanno iniziato una protesta quando hanno saputo la notizia della sua morte, hanno raccontato che la notte del 22 maggio l’avevano sentito urlare a lungo e chiedere l’intervento di un dottore senza mai ricevere risposta. 

E’ in corso un’indagine per omicidio colposo sui fatti avvenuti all’interno del centro detentivo dov’era rinchiuso Moussa quando è deceduto.

Il 14 ottobre scorso durante la prima udienza gli imputati hanno richiesto ed ottenuto il rito abbreviato, quindi il processo andrà avanti a porte chiuse e senza l’ausilio di testimonianze. 

Grazie alla presenza in aula del fratello Amadou Thierno Balde, la famiglia di Moussa si è costituita parte civile. 

Neppure al processo è stata riconosciuta l’aggravante dell’odio razziale, infatti la stessa procura ha deciso di non contestarla, decisione sulla quale l’avvocato della famiglia si opporrà nel dibattimento.

La giudice ha inoltre respinto la richiesta di costituirsi parte civile presentata da tre associazioni operanti nel territorio di Ventimiglia.

Non potendo entrare in aula, un gruppo di solidali si è radunato davanti al tribunale di Imperia e, dopo la rapida udienza, si è spostato a Ventimiglia nel luogo dove avvenne l’aggressione razzista, insieme ad Amadou Thierno Balde. 

Le persone solidali hanno camminato lungo le vie del centro per ricordare che la morte di Moussa Balde non è stata un tragico episodio ma il risultato di un brutale razzismo, anche istituzionale, che si palesa nel trattamento subito dal sopravvissuto al violento pestaggio, il quale è passato dall’ospedale, dal commissariato, dalla questura, dal CPR di Torino, davanti al medico che lo ha valutato idoneo alla detenzione, dall’isolamento disumano senza contatti con l’esterno e senza qualsiasi tipo di cura.

“Il trattamento che ha ricevuto prima di morire nessun individuo, nessun essere umano dev’essere trattato in questa maniera” dice Thierno Balde fuori dal tribunale d’Imperia, parlando del fratello “Perchè non ci siano più ingiustizie o razzismo, perché è duro ma bisogna essere chiari, si tratta di razzismo quello che ha subito. Perché non ci siano più casi così nel mondo intero, in particolare in Italia. Che il diritto in tutto il mondo sia rispettato, il diritto umano.”

La prossima udienza del processo ai tre aggressori sarà al tribunale d’Imperia il 9 dicembre alle ore 13:00.

Per impedire che questa storia finisca nel silenzio, per contrapporsi alla violenza razzista, per la libera autodeterminazione di tutte e tutti.

Per l’abolizione e la chiusura di tutti i CPR.

Ci ritroviamo il 9 dicembre 

alle 12:00 di fronte al tribunale d’Imperia  

alle 15:00 in Piazza De Amicis a Imperia Oneglia per un presidio e un volantinaggio antirazzista

Video della giornata del 14 ottobre con Thierno Amadou Balde –
https://youtu.be/keioX07CiEI

Per contribuire alle spese legali,  sia per il processo ad Imperia, che per quello che si aprirà a Torino dopo la chiusura delle indagini.

IBAN: IT58H3608105138280345080353

CAUSALE: solidarietà a Moussa Balde

_________________________________________

Moussa Balde died from racism

The trial of three Italians who brutally attacked Moussa Balde in Ventimiglia on May 9, 2021, began at the court of Imperia on October 14th. The attack took place in broad daylight on Ruffini Street between a supermarket and the border police offices. 

The defendants are on trial for injuries aggravated by the number of people and the use of an iron bar. They are being defended by lawyer Marco Bosio, known for having been the defense counsel in the trials against organized crime in western Liguria known as “SPI.GA” and “La Svolta”. 

The attackers were reported because a video of the violence was taken and then spread around the web, in which the defendants are recognizable. 

On the very day of the attack, the Imperia police commissioner rushed to make statements ruling out the racial matrix of the violence, which the defendants justified as a reaction to a phantom attempted robbery without a shred of proof

Institutional racism remains evident, putting in place a protocol not to protect the lynching victim, but rather the Italian people incriminated by the video filmed from a balcony.

In fact, following the attack Moussa Balde (from Guinea) was taken to the hospital for facial trauma and injuries, medicated and discharged the same day. Taken to the police station he was handed over to the immigration office and, checked for his irregularity in the territory, he was imprisoned in the CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio, or detention center) in Turin awaiting deportation. 

Removed from VentimigliaMoussa ended up at the CPR without ever having signed any testimony about his assault and without being asked any questions about the course of events. He received no psychological examination but was locked up in Turin, where, for several days lawyers were unable to track him down because Moussa had been registered at the CPR under a name different from the one marked by the Imperia police headquarters. 

In isolation in a zone of the CPR called Ospedaletto in TurinMoussa Balde died on the night between May 22nd And 23rd. Fellow prisoners who started a protest when they knew about his death said that on the night of May 22, they had heard him screaming for a long time and calling for a doctor without ever receiving a response. 

A manslaughter investigation is under way into the events that took place inside the detention center where Moussa was confined when he died.

On October 14 during the first hearing, the defendants requested and obtained an abbreviated trial, so the trial will go on behind closed doors and without the aid of witnesses. 

Thanks to the presence of Moussa’s brother Amadou Thierno Balde in the courtroom, Moussa’s family has filed civil 

Not even at the trial was the aggravating factor of ethnic hatred recognized; in fact, the prosecutor’s office itself decided not to challenge it, a decision on which the family’s lawyer will argue in the trial.

The judge also rejected the request for civil action filed by three associations operating in the Ventimiglia area.

Unable to enter the courtroom, a group of solidarians gathered in front of the Imperia courthouse and, after the quick hearing, moved to Ventimiglia to the site where the racist attack took place, along with Amadou Thierno Balde. 

Those in solidarity walked along the streets of the city center to remember that Moussa Balde’s death was not a tragic episode but the result of brutal racism, including institutional racism. This is evident in the treatment suffered by the survivor of the violent beating, who went from the hospital to the police station, the police headquarters to the CPR in Turin, before arriving before the doctor who assessed him fit for detention, inhumane isolation without contact with the outside world and without any kind of care.

“The treatment he received before he died, no individual, no human being should be treated in this way.” says Thierno Balde outside the court in Imperia, speaking of his brother “So that there will be no more injustice or racism, because it’s harsh but you have to be clear, it’s racism what he suffered. So that there are no more cases like this in the whole world, particularly in Italy. Let the right throughout the world be respected, the human right.”

The next hearing in the trial of the three attackers will be at the Imperia court on December 9 at 1 p.m.

To prevent this story from ending in silence, to oppose racist violence, for the free self-determination of all and everyone.

For the abolition and closure of all CPRs.

We meet on December 9 

at 12 noon in front of the Imperia courthouse.  

at 3 p.m. in De Amicis Square a Imperia Oneglia for an anti-racist sit in and leafleting 

Video of October 14th with Thierno Amadou Balde –
https://youtu.be/keioX07CiEI

To contribute to the legal costs, both for the trial in Imperia and for the one that will start in Turin after the investigation closes:

IBAN: IT58H3608105138280345080353

PAYMENT DESCRIPTION : solidarity with Moussa Balde

_______________________________________

Moussa Balde est mort de racisme

Le 9 mai 2021, Moussa Balde, originaire de Guinée, a été brutalement agressé à Vintimille. Le procès des trois Italiens auteurs de cette attaque qui a eu lieu en plein jour rue Ruffini, entre un supermarché et les bureaux de la police aux frontières, a débuté au tribunal d’Imperia le 14 octobre 2022. 

Les accusés sont jugés pour des blessures aggravées par le nombre de personnes et l’usage d’une barre de métal. Ils sont défendus par Marco Bosio, connu pour avoir été l’avocat des accusés dans les procès “SPI.GA” et “La Svolta” contre le crime organisé en Ligurie. Des poursuites sans mesure de privation de liberté ont pu être engagées contre les agresseurs grâce à une vidéo des violences réalisée par une voisine depuis son balcon et qui a fait le tour du web.

Le jour même de l’agression, le chef de la police d’Imperia s’est empressé de faire des déclarations excluant la dimension raciste de ces violences. Les accusés ont justifié leurs actes comme étant une réaction à une prétendue tentative de vol, sans pouvoir en apporter aucune preuve.

Le racisme institutionnel reste évident, mettant en place un protocole non pas pour protéger la victime du lynchage mais plutôt les Italiens incriminés par la vidéo filmée depuis un balcon.

En effet, à la suite de son agression et après un court passage à l’hôpital pour des traumatismes et des blessures au visage, Moussa Balde a été conduit au commissariat de police, remis au bureau de l’immigration et, après qu’ait été vérifiée son irrégularité sur le territoire, il a été enfermé au CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio, équivalent des centres de rétention administrative) de Turin en attendant son expulsion. 

Éloigné de Vintimille, Moussa s’est retrouvé en détention sans jamais avoir signé de témoignage sur son agression et sans que ne lui soit posée aucune question sur le déroulement des événements. Il n’a bénéficié d’aucun examen psychologique mais a été enfermé à Turin où, pendant plusieurs jours, les avocats n’ont pas pu le retrouver car il avait été enregistré au CPR sous un nom différent de celui retenu par la préfecture de police d’Imperia.

Dans une cellule de l’Ospedaletto, le quartier d’isolement du CPR de Turin, Moussa Balde est mort dans la nuit du 22 au 23 mai 2021. Ses codétenus, qui ont commencé à protester lorsqu’ils ont appris la nouvelle de son décès, ont déclaré que cette nuit-là, ils l’avaient entendu crier pendant longtemps et demander l’intervention d’un médecin sans jamais recevoir de réponse.

Une enquête pour homicide involontaire est en cours sur les événements qui se sont déroulés à l’intérieur du centre de rétention où était enfermé Moussa lorsqu’il est décédé.

 

Ce 14 octobre, lors de la première audience concernant l’agression de Moussa, les accusés ont demandé et obtenu une procédure simplifiée. Le procès se déroulera donc plus rapidement, à huis clos et sans audition de témoins. Grâce à la présence d’Amadou Thierno Balde, le frère de Moussa, la famille a pu se porter civile. 

Déjà écartée dans les déclarations publiques officielles au moment de l’agression, la circonstance aggravante de haine raciale n’a pas été retenue lors du procès. Le procureur a décidé de ne pas la relever, une décision à laquelle l’avocat de la famille s’opposera dans les suites du procès. Le juge a également rejeté la demande de trois associations de Vintimille de se porter partie civile.

Ne pouvant entrer dans le tribunal d’Imperia, un groupe de personnes solidaires s’est rassemblé à ses portes et après la rapide audience, s’est rendu sur les lieux de l’agression raciste à Vintimille avec Amadou Thierno Balde. Ils et elles ont marché dans les rues du centre ville pour rappeler que la mort de Moussa Balde n’est pas seulement un événement tragique mais le résultat d’un racisme brutal, y compris institutionnel, qui apparaît clairement dans le traitement qu’a subi le survivant du lynchage, emmené de l’hôpital au commissariat, de la préfecture de police au centre de rétention, d’un médecin qui l’a jugé apte à la détention jusqu’à un isolement inhumain, sans contact avec le monde extérieur et sans aucun type de soins.

« Le traitement qu’il a reçu avant de mourir, aucun individu, aucun être humain ne devrait être traité de cette façon. Pour qu’il n’y ait plus d’injustice ou de racisme, parce que c’est dur mais il faut être clair, c’est du racisme qu’il a subi. Pour qu’il n’y ait plus de cas comme celui-ci dans le monde entier, et en particulier en Italie. Que l’on respecte le droit dans le monde entier, le droit humain. » a déclaré Amadou Thierno Balde à la sortie du tribunal d’Imperia, en parlant de son frère Moussa.

 

La prochaine audience dans le cadre du procès des trois agresseurs de Moussa Balde aura lieu au tribunal d’Imperia le 9 décembre à 13h.

Pour éviter que cette histoire ne termine dans le silence, pour s’opposer à la violence raciste, pour la libre autodétermination de toustes.

Pour l’abolition et la fermeture de tous les CPR.

Nous nous réunissons retrouvons nous le 9 décembre :

– à 12h00 devant le tribunal d’Imperia  

– à 15h00 sur la Piazza De Amicis à Imperia Oneglia pour un rassemblement antiraciste et une distribution de tracts

Vidéo de la journée du 14 octobre avec Thierno Amadou Balde –
https://youtu.be/keioX07CiEI

Pour contribuer aux frais de justice, tant pour le procès d’Imperia que pour celui qui s’ouvrira à Turin après la clôture de l’enquête :

IBAN : IT58H3608105138280345080353

OBJET : solidarité avec Moussa Balde

(immagine di copertina da Meltingpot.org: Pestaggio a Moussa Balde: al via il processo contro gli aggressori)

Per Ahmed Safi

Ahmed Safi è un ragazzo afghano di diciannove anni. Lunedì 7 novembre è morto attraversando il confine a Ventimiglia. Pubblichiamo il testo del comunicato che è stato letto e distribuito ieri, domenica 13 novembre, dalle persone solidali del territorio che si sono radunate proprio davanti al confine tra Italia e Francia per commemorare e portare un saluto ad Ahmed. (1, 2)


Per Ahmed

Alcuni giorni fa, lunedì 7 Novembre, Ahmed Safi, un ragazzo afghano di 19 anni è morto sull’autostrada A10 a Ventimiglia, investito mentre provava a raggiungere la Francia.

Ahmed è l’ennesima vittima delle politiche di discriminazione e respingimento della fortezza Europa. Come lui sono più di cinquanta le persone morte dal 2015 ad oggi nel tentativo di attraversare la frontiera italo-francese.

Chi crede nella libertà di circolazione deve oggi fare i conti con un aumento esponenziale delle vittime ai nostri confini. Ogni volta il primo tentativo è quello di ricostruire, dare un nome, documentare, raccontare e, malgrado tutto, contare. Il numero dei morti, questa triste contabilità, perde però di significato se non riflettiamo come ciascuna di questa persone morte fosse una vita, una storia personale che si è interrotta e i cui affetti sono spesso lontani dal luogo della fine.

In ogni società alla morte di una persona la comunità risponde con un rituale nel quale si intende salutare chi se ne è andato e rinnovarne il ricordo. Crediamo sia giusto che questo accada anche qui in frontiera, per quelle persone che se ne sono andate lontane dai propri affetti, dopo aver attraversato migliaia di chilometri ed essersi trovate davanti l’ennesimo muro.

Crediamo che salutare e commemorare ogni singola vittima della frontiera sia tanto più importante oggi, nel momento in cui i governi di Italia e Francia gareggiano a chi riesce a garantire il trattamento più inumano a chi è in viaggio, l’una chiudendo i porti l’altra aumentando gli effettivi alle frontiere. A questa inumanità oggi rispondiamo con il più umano dei gesti, salutare chi se ne va.

Siamo quindi qui per Ahmed, per la sua famiglia, per i suoi amici e per le sue amiche.

Per dirgli addio e rendergli omaggio.

Per Ahmed Safi, ragazzo di 19 anni, morto lunedì 7 novembre a Ventimiglia

Italia-Francia… e migranti: tra i due litiganti, il terzo muore

Italia-Francia diventa un’espressione unica in questi giorni vibranti di tensioni, ricatti e giochi politici. Italia-Francia è un binomio che tiene insieme, in pochi mesi, un viaggio che parte dall’acclamata squadra mista di gendarmi e polizia “per la sicurezza transfrontaliera” per arrivare in picchiata alle velenose dichiarazioni delle ultime ore.

In tempi ormai sospetti e guasti, Italia-Francia suona come una minaccia di guerra.

Migranti, crisi Italia-Francia. Meloni: “non siamo più in grado di occuparcene”; Crisi Italia-Francia, in arrivo altre misure di ritorsione; Scontro tra l’Italia e la Francia, Parigi blinda i confini 500 agenti alla frontiera; Migranti, scontro aperto Italia-Francia; La crisi diplomatica tra Italia e Francia per la nave Ocean Viking.  Questo è ciò che stanno scrivendo in queste ore di litigiosa contesa geopolitica tutte le testate giornalistiche di qualsiasi schieramento politico. (1,2,3,4,5)

Ecco: povera Italia quindi. Ma soprattutto, poveri italiani…  Addirittura, su queste sponde italiche di rivoltamenti narrativi di convenienza, siamo riusciti a raggiungere nelle ultime dichiarazioni lo stadio del ‘poveri migranti!’ (che però non dovete sbarcare, crepate pure in mare, anzi gli uomini li rimandiamo direttamente in Libia perchè la pacchia è finita ).

Quello che accade è spiacevole, ma quello che si dice ha dell’incredibile.

In queste bieche ore di faide internazionali e minacce politiche, si stanno scalando inedite vette di ipocrisia, mentre si scava a piene mani dagli abissi più profondi dell’indecenza umana.

Una prima riflessione, per chi conosce Ventimiglia e le sue dinamiche di frontiera, è che una dichiarazione francese che annuncia torva la blindatura dei confini fa ridere. Una risata amara e lunga come la lista delle persone decedute a Ventimiglia nel tentativo di attraversare il confine dal 2015 ad oggi. Già, quante sono le persone morte sul confine Italia-Francia a Ventimiglia? C’è qualcuno che lo sa? Forse trenta. Forse quaranta. Probabilmente di più.

Era così aperto e accogliente prima questo confine, con la legione straniera con cani e infrarossi sui monti, i pattuglioni nelle stazioni francesi coi piedi di porco in una mano e i gas lacrimogeni nell’altra, i checkpoint lungo le strade e le autostrade, le detenzioni per donne uomini e bambini per ore infinite senza acqua e cibo in scatole di metallo, ma era così una festa che la gente decideva da sola di finire precipitata nei dirupi che portano in Francia, travolta sulle autostrade, bruciata sui tetti dei treni francesi.

L’ultima vita rubata dal confine Italia-Francia è quella di Ahmed Safi, diciannove anni, investito lunedì 7 novembre da tre diversi automezzi presso il casello autostradale che divide Italia-Francia: un corpo distrutto a causa di questo confine e raccattato in un macabro simbolismo proprio sulla linea della frontiera.

Che se non dicevano due giorni fa che vogliono blindarla, sta frontiera Italia-Francia, allora mica la gente se ne era accorta che si rischia l’osso del collo per raggiungere quella desiderata libertà in Europa.

Una seconda ovvia riflessione sorge leggendo certe grottesche dichiarazioni di certi amministratori regionali che scelgono, nel dubbio di un momento già abbastanza sinistro di per sé, di rincarare la dose di follia sostenendo che la gente che migra muoia di fame per strada a Ventimiglia per colpa della Francia.

A prescindere dai tuonanti titoli dei giornali e dalle scornate che si danno i politici italiani e i cugini d’Oltralpe in queste ore, quale che sia la posta in gioco nelle beghe per l’egemonia in Europa, il governo Italiano avrebbe il dovere di adoperarsi in ogni modo possibile per evitare che la gente finisca a morire lentamente, spegnendosi lungo i marciapiedi di una città.

Un dovere umano prima ancora che politico. E invece è proprio nell’anno del rinnovo della presidenza di regione di un certo personaggio, che oggi si straccia le vesti per i poveri migranti che languono nelle vie della città di confine, che si è deciso di sbaraccare qualsiasi centro d’accoglienza e ristoro per le persone in viaggio verso l’Europa: dal 2020 non c’è trippa per gatti, eppure gli oltraggiosi francesi erano, all’epoca, validi alleati per la sicurezza del territorio.

Per chiarezza: la gente moriva in strada col Pd (non ci si dimenticherà mai del divieto di portare da mangiare a chi aveva fame) come con la Lega. Con chiunque a qualsiasi livello politico, dagli amministratori locali agli apici delle posizioni in parlamento, negli ultimi sette anni la gente ha perso la vita certamente camminando sul confine, così come ha perso la vita nelle strade di Ventimiglia. Con Fratelli d’Italia, che il cielo scampi la popolazione migrante, le persone continueranno a morire in strada di fame, di freddo, di infarto, di abbandono, di malattie, annegate lungo il fiume dove sono costrette a dormire senza altre soluzioni. Queste sono responsabilità tutte nostrane, checchè abbia la faccia tosta di dichiarare chi è presidente per la regione Liguria, per ironia o forse no, proprio dal 2015.

È obiettivamente agghiacciante e impossibile prendere le parti di uno o dell’altro paese in questo rombare di accuse reciproche. Fate tutti veramente schifo, diciamolo un po’ fuori dai denti. Diciamolo serenamente che tra i due litiganti il terzo non gode, e chi ha sempre e da sempre pagato il conto più amaro è proprio la gente senza un documento europeo che viene dall’Africa e dal Medio Oriente.

Gente che viene definita “clandestini” quando serve alla politica italiana per far mambassa di voti per i partiti di estrema destra e che viene definita “persone che cercano solo di ricongiungersi ai parenti” quando bisogna fomentare il popolo, elmo di Scipio ben stretto sulla testa, a scagliarsi contro i nemici francesi.

Italia-Francia suona come una minaccia di guerra e in ogni guerra fatta a regola a versare il sangue è il capro espiatorio che si butta là davanti nel tritacarne: le persone migranti. Mentre chi dietro tiene le poltrone ci sprofonda saldamente ancora più dentro.

Inumani lo siete tutti, inumani e perversi, e fa veramente disgusto il modo in cui da anni riuscite a utilizzare i corpi e le vite delle persone per fare i vostri teatri di politica, le gazzarre elettorali italiane e i circhi dell’ipocrisia europea. Mentre fate a chi strilla più forte per potere e per soldi, per rivalsa e per orgoglio, la gente continua a camminare, a scappare da guerre, povertà, persecuzioni, cambiamenti climatici, mancanza di chance e prospettive di vita soddisfacenti. Le persone arrivano a centinaia al mese lungo il confine di Ventimiglia. A centinaia vengono catturate, vessate, rinchiuse e umiliate. Dalle polizie di qui come dalle polizie di là. Con o senza rinforzi di ulteriore gendarmeria, che essere fermati da quindici o trenta divise forse fa oggettivamente più brutto, ma il risultato è che le persone vengono comunque bloccate a morire nel corpo e nelle speranze nelle strade di un’Italia che dice che “non ce la fa”, ma che effettivamente nemmeno vuole provare a farcela.

Perchè infine bisogna dire anche che al confine di Ventimiglia continuano ad arrivare tante persone che sono appena sbarcate da queste navi di soccorso che fanno rizzare altre piume e scuotere altre scornate, quante altrettante (e negli ultimi anni sempre di più) sono quelle che stanno scappando da un’Italia in cui non riescono a trovare un proprio posto e continuano a rimbalzare contro muri di gomma e di razzismo fino a uscire di senno, suicidarsi o correre il rischio di perdere la vita per valicare questo confine maledetto che riempie la bocca di giornali, opinionisti e politici che di cosa sia la guerra per sopravvivere a Ventimiglia, che cosa sia la sfida a non soccombere a Italia-Francia, ma non ne hanno la più pallida idea.

Moussa Balde e la sua famiglia non sono soli

Riceviamo e pubblichiamo (Ita, English below).


MOUSSA BALDE E LA SUA FAMIGLIA NON SONO SOLI

 

Il 14 ottobre saremo davanti al tribunale per dire che Moussa e la sua famiglia non sono soli, che a Ventimiglia c’è stato un pestaggio razzista e che il suicidio di Moussa è un omicidio di Stato.

Il 14 ottobre alle ore 9.00 si terrà presso il tribunale di Imperia la prima udienza che vede come imputati i tre italiani che il 9 Maggio 2021 a Ventimiglia aggredirono Moussa Balde con calci, pugni, tubi di plastica e una spranga. L’accusa è lesioni aggravate dall’uso di corpi contundenti.  La questura di Imperia ha voluto escludere l’aggravante dell’odio razziale.

Trasferito al pronto soccorso di Bordighera per le medicazioni urgenti, Moussa era stato dimesso con 10 giorni di prognosi. Quindi, poichè era emersa la sua irregolarità sul territorio nazionale, a sole 24 ore dall’aggressione era stato portato direttamente al centro di detenzione Cpr di Torino, nonostante le sue immaginabili condizioni di salute e
psicologiche.

Da subito era stato rinchiuso nell’area Rossa insieme ad altri detenuti, e poco dopo era stato spostato in isolamento all’interno della sezione denominata “Ospedaletto”, dove già nel 2019 un’altra persona, H.F., si era tolta la vita dopo esservi rimasta rinchiusa per 5 mesi. Ad ora non sono chiare le ragioni che hanno determinato la scelta arbitraria di spostare in isolamento una persona in già critiche condizioni psicofisiche.

Moussa è finito al CPR senza aver mai firmato nessuna testimonianza sulla sua aggressione e senza che gli sia stata posta alcuna domanda sullo svolgimento dei fatti. Non ha ricevuto nessuna visita psicologica ma è stato rinchiuso a Torino con ancora i punti in faccia, e mentre il suo avvocato l’aveva cercato per diversi giorni, nessuno era riuscito a rintracciarlo perchè Moussa era stato registrato al CPR con un nome diverso da quello segnato dalla questura di Imperia.

I suoi aggressori giravano a piede libero e lui finiva recluso. Non poteva sapere che una parte di Italia solidale si stava attivando per rintracciarlo e sostenerlo, e nemmeno che il video della sua aggressione era diventato virale su media e social network: all’interno del CPR non si possono tenere i telefoni, così da essere completamente tagliati fuori da ciò che succede all’esterno e non poter raccontare quello che accade lì dentro.

I compagni di prigionia che hanno iniziato una protesta quando hanno saputo la notizia della sua morte, hanno raccontato che la notte del 22 maggio l’avevano sentito urlare a lungo e chiedere l’intervento di un dottore senza mai ricevere risposta.  La mattina di domenica 23 maggio 2021 è stato trovato impiccato nella sua cella.
Ad oggi la causa ufficiale della morte di Moussa Balde è di suicidio, nonostante sia anche in corso un’inchiesta per omicidio colposo.

La morte di Moussa non è stata nè “fatalità” nè il frutto di una catena di inadempienze, ma la conseguenza del razzismo strutturale del sistema in cui viviamo.
Gli odiosi fatti della vicenda ci dimostrano quanti siano i livelli di discriminazione che hanno contribuito a coprire la bara di Moussa:
prima le infinite attese per il permesso di soggiorno, tempistiche che lo avevano spinto a sopravvivere ai margini di questa società da cui, con ogni sforzo, aveva tentato di farsi accettare seguendo tutto quello che il sistema dell’accoglienza gli chiedeva di fare, prendendo la licenza media, imparando l’italiano, facendo volontariato. Dopo cinque anni di peregrinazioni burocratiche e un tentativo fallito di ritentare maggior fortuna in Francia, era finito in strada senza più chance né progetti, come succede a tantissime persone.
Quindi l’aggressione di gruppo da parte di tre uomini bianchi in pieno giorno, in centro città e sotto gli occhi di numerosi passanti.
Dopo il danno la beffa, e anzichè ricevere le tutele che avrebbe dovuto come sopravvissuto a un linciaggio, è stato immediatamente portato al CPR non per ciò che aveva fatto, ma per ciò che era: un clandestino senza quei documenti che gli erano stati negati nonostante i suoi sforzi.
E poi l’ultima botta di un razzismo che gli è stato infine fatale: poichè Moussa era solo un immigrato sulla strada di tre onorevoli cittadini italiani che l’hanno massacrato, è stato spinto a pagare col silenzio quello che ha visto e subito quel pomeriggio del 9 maggio.

Perchè tanta fretta nell’allontanare Moussa da Ventimiglia dato che era il primo testimone dell’aggressione ai suoi danni? Perchè continuare a negare per giorni la sua presenza all’interno del centro, quando si domandava ripetutamente al CPR se Moussa si trovasse lì? Perchè costringerlo all’isolamento nel momento di maggiore vulnerabilità?

Sono queste e molte altre le domande alle quali non ci illudiamo verrà mai data una risposta.
I suoi aggressori sono vivi e liberi, il CPR continua a macinare vite e Mamadou Moussa Balde è morto a ventidue anni.

CONTRO TUTTI I RAZZISMI e per la  libera migrazione di tutte e tutti.

Per l’abolizione e la chiusura di tutti i Cpr.

CI VEDIAMO IL 14 OTTOBRE AD IMPERIA

Solidali di Ventimiglia

 

 

MOUSSA BALDE AND HIS FAMILY ARE NOT ALONE

On October 14th, we will stand in front of the courthouse to say that Moussa and his family are not alone, that there was a racist attack in Ventimiglia, and that Moussa’s suicide is none other than a murder by the state.

On October 14th at 9 a.m., the first hearing will be held at the Imperia courthouse involving the three Italians who, on May 9th, 2021 in Ventimiglia attacked Moussa Balde with kicks, punches, plastic pipes and an iron rod.
The charge is injury aggravated by the use of blunt instruments. The Imperia police headquarters want to rule out racial hatred as an aggravating factor.

Transferred to Bordighera’s hospital for urgent medical attention, Moussa was released with a 10-day prognosis. Then, due to his illegal status on Italian national territory, only 24 hours after the attack he had been taken directly to the Cpr detention center in Turin, despite his concevable physical and psychological condition.

Immediately he was locked up in the Red area along with other detainees, shorlty thereafter moved to solitary confinement within the section called “Ospedaletto,” where already in 2019 another person, H.F., killed himself after being locked up there for five months.
Even now, the reasons behind the arbitrary decision to move a person in an already critical mental and physical condition to solitary confinement are unclear.

Moussa ended up in the CPR without ever having signed any testimony about his assault and without being asked any questions about the course of events. He received no psychological examination but instead was locked up in Turin with stitches still on his face, and while his lawyer had been looking for him for several days, no one had been able to find him because Moussa was registered at the CPR under a different name from the one marked by the Imperia police.

His attackers were walking around free and he ended up in confinement. He could not have known that a part of Italy was taking action in solidarity to find and support him, nor that the video of his attack had gone viral on media and social networks. Inside the CPR no one is permitted to keep phones, so that one is completely cut off from what happens outside, and cannot speak out about what happens inside.

Fellow detainees who began a protest as soon as they learned the news of his death reported that on the night of May 22nd, they heard him screaming for a long time and asking for a doctor’s intervention without ever receiving a response. On the morning of Sunday, May 23rd, 2021, he was found hung in his cell.
To date, the official cause of Moussa Balde’s death is suicide, although a manslaughter investigation is also underway.

Moussa’s death was neither a random ‘fatality’ nor the result of a chain of neglect, but the consequence of the structural racism of the system in which we live.
The hateful facts of this case show us how many levels of discrimination contributed to covering Moussa’s coffin:

firstly, the endless waits for a residence permit, timelines that had pushed him to survive on the margins of this society by which, with every effort, he tried to be accepted by following everything the reception system asked him to do, taking his middle school diploma, learning Italian, volunteering. After five years of bureaucratic wanderings and a failed attempt to try his luck again in France, he had ended up on the street with no more chances or plans, as it has happened to so many others.
Second, the group attack by three white men in broad daylight, in the city center and in front of the eyes of many passersby.
After the harm came the mockery: instead of receiving the protections he should have had as a survivor of a lynching, he was immediately taken to the CPR not for what he had done, but for what he was: an illegal immigrant without the documents he had been denied despite his best efforts.
And lastly, the final blow of a racism that was ultimately fatal to him: because Moussa was just an immigrant in the face of three honorable Italian citizens who slaughtered him, he was driven to pay with his silence for that which he saw and suffered that afternoon of May 9th.

Why such a rush to remove Moussa from Ventimiglia when he was the first eye witness to the attack on himself? Why continue to deny for days his presence inside the center when it was repeatedly asked at the CPR if Moussa was there? Why force him into solitary confinement at his most vulnerable moment?

It’s these and many other questions that we are under no delusions that will ever be answered.

His attackers are alive and free, the CPR continues to grind lives, and Mamadou Moussa Balde is dead at the age of twenty-two.

AGAINST ALL RACISMS and for the free migration of everyone everywhere.

For the abolition and closure of all CPRs/retention centers/lagers.

SEE YOU ON OCTOBER 14th IN IMPERIA

Those In Solidarity from Ventimiglia

(Foto copertina tratta da Fatto Quotidiano)

uomini di origine nigeriana, arte di origine europea

La settimana appena trascorsa a Ventimiglia si è aperta e si è chiusa con due eventi che sembrerebbero non collegati tra loro, ma che ci parlano invece della situazione sociale e politica nella cittadina di frontiera se osservati nell’interezza della cornice in cui si sono verificati.

  1. Lunedì 3 giugno viene trovato il cadavere di un giovane di origine nigeriana.

  2. Da giovedì 6 e fino al sabato si è discusso della notizia della probabile rimozione di un’installazione artistica che è ora collocata alla frontiera.

Due uomini di origine nigeriana…

– pregresso –

Il 29 maggio 2019, durante una rissa scoppiata in spiaggia tra alcune persone di origine non europea, un uomo finisce in mare nei pressi della foce del fiume Roya. In quel tratto di litorale, dove le onde incontrano le acque dolci del fiume, si generano mulinelli e forti correnti: restare a galla è un tentativo disperato. L’uomo è sparito tra i flutti e nonostante le ricerche durate due giorni non è stato ripescato vivo né è stato ritrovato il corpo: si pensava che le correnti lo avessero trascinato in Francia.

Il 31 maggio i giornali riportano la notizia del fermo in zona stazione di un diciannovenne di origine nigeriana: un poliziotto lo riconosce come una delle tre persone avvistate sulla spiaggia durante la rissa che ha causato l’incidente. Non si sa se abbia fornito ulteriori informazioni per dare un nome e un pezzo di storia all’uomo trascinato via dal mare. Veniamo però a sapere che il diciannovenne fermato è un migrante con richiesta d’asilo in Francia e con espulsione dall’Italia, che è stato fermato come uno dei responsabili della rissa, che è stato processato per direttissima per inottemperanza all’ordine di espulsione del questore di Imperia, che è stato trasferito in Francia e che da qui dovrebbe essere infine espulso (cioè rimpatriato? Sulla base della presunta responsabilità per l’incidente? Sulla base di qualcosa che ha commesso in Francia? Sulla base degli accordi di rimpatrio con la Nigeria? Interrogativi senza risposta). Game-over, anche per lui. E game-over anche per l’altro uomo di 24 anni di origine siriana di cui, nello stesso articolo di giornale, apprendiamo di sfuggita che gli tocca la medesima sorte: espulsione.

Il corpo di Osakpolor Morogie, 25 anni, viene ritrovato sulla riva all’altezza della foce del Roya.

 

– Lunedì 3 giugno –

Poi, nella mattinata di lunedì, il cadavere dell’uomo caduto in acqua viene infine restituito dal mare, che lo deposita sulla spiaggia nella stessa zona in cui si era inabissato: il corpo doveva essersi incagliato da qualche parte sul fondale lì intorno. Nelle tasche dei vestiti che ancora coprono il corpo senza vita vengono trovati i suoi documenti, che dicono che lui era Osakpolor Morogie, uomo di 25 anni di origine nigeriana, residente in Italia nella frazione ventimigliese di Bevera assieme al fratello con cui si era ricongiunto.

Quindi a voler essere in regola con la lingua italiana l’uomo non era uno straniero o un migrante, come descritto negli articoli di giornale, ma al massimo un immigrato regolarmente residente in città. Ma le etichette classificatorie, che non restituiscono la completezza della realtà ed anzi la stravolgono e la viziano, restano lo strumento più facile per pensare in modi semplici e riduttivi a un mondo complesso e pieno di sfumature. Per tradurci un mondo che meno capiamo e più ci spaventa; che più ci spaventa e meno lo capiamo.

Dalla chiusura delle frontiere francesi nel giugno 2015 a Ventimiglia si è fatta l’abitudine alla morte di persone non europee arrivate qui per attraversare il confine. Oltre venti le persone decedute a causa delle difficoltà nel passare la frontiera o per i disagi e gli stenti che devono patire nell’attesa dell’impresa: qui è morta così tanta gente in viaggio che, alla quinta persona che ha perso la vita tra il fiume Roya e il mare, l’equazione nero/migrante era già lì pronta all’uso.  (22 novembre 2016; 13 giugno 2017; 22 giugno 2018; 10 settembre 2018)

Uno straniero (con un pezzo di famiglia e residenza italiane) dunque è morto. E un altro straniero, forse coinvolto nell’incidente e forse no (le indagini ancora erano in corso e non sono stati resi noti i risultati dell’autopsia sul cadavere ripescato), è stato deportato in Francia e verrà espulso. Non sappiamo nulla delle vite e dei progetti di queste due persone. Non sappiamo le cause e le esperienze che hanno portato a un epilogo così negativo della loro presenza a Ventimiglia. Tutto quello che interessa sapere: due stranieri fuori dai giochi.

un’opera d’arte di origine europea

12 Aprile 2017, inaugurazione dell’installazione artisticha Terzo Paradiso presso il valico di frontiera di Ponte San Ludovico, Ventimiglia_fonte Sanremonews

 

– pregresso –

Il 12 Aprile 2017 a Ventimiglia fu inaugurata in pompa magna l’opera Terzo Paradiso dell’artista Michelangelo Pistoletto. Il simbolo rappresenta un infinito a tre cerchi: nelle intenzioni di Pistoletto il cerchio centrale costituirebbe il punto di incontro, di armonia e congiunzione tra i poli avversi, i due cerchi opposti che sono il tu e l’io e che trovano al centro la sintesi nella scoperta del noi. Vuole essere un simbolo di pace. L’inizio di una nuova civiltà formulata in 50 pietroni che l’amministrazione dell’ex sindaco Ioculano (PD) decise di far “installare” nell’aiuola che si affaccia sul confine di Ponte San Ludovico.

Nello stesso luogo, due anni prima, centinaia di persone che avevano provato ad entrare in Francia ed erano state respinte (colore sbagliato, pezzo di carta sbagliato) avevano deciso di accamparsi ed iniziare una protesta, durata cento giorni, contro le frontiere e le discriminazioni, chiedendo il rispetto dei propri diritti e la libertà di poter realizzare le proprie aspettative di vita.

Ioculano era sindaco quando sgomberarono a ruspate quello spazio di lotta, resistenza, incontro e sperimentazione collettiva che fu il campo dei Balzi Rossi. Due anni dopo annuiva convinto accanto all’artista Pistoletto, uomo bianco di origine europea, che spiegava con vibranti parole il significato della sua opera e la sua personale interpretazione della Storia recente di quelle aiuole:

A me pare quasi un sogno veder realizzato questo simbolo dell’armonia, della pace e dell’incontro qui, in questo luogo di scontro e divisione. In questo spazio specifico (…) di forte tensione tra i due paesi, momenti di tensione inutile, anche provocata… io credo che non è sulla provocazione che dobbiamo muoverci, non è sulla critica e sull’aggressione, ma sulla proposta. (…) Se veramente si ha qualcosa da proporre, si sa cosa fare dopo la rivoluzione, non c’è nemmeno più bisogno di fare la rivoluzione. (…) Noi dobbiamo dimostrare in questa zona simbolica di essere capaci di fare proposte di unione, di connessione, di condivisione.

I giornali rincararono il condimento di entusiasmo per l’arrivo del Terzo Paradiso : “Un modo per dare un calcio, con l’arte, ai confini geografici e soprattutto sociali, che spesso emergono con più intensità al confine con la Francia”.

 Veduta di Ponte San Ludovico: l’installazione artistica simbolo dell’incontro si affaccia sulla barriera delle dogane francese e italiana.

 

– Giovedì 6 giugno –

Dall’inaugurazione dell’opera sono passati nuovamente due anni: Giovedì 6 giugno i quotidiani on line riportano dell’incontro, voluto dalla destrorsa giunta comunale appena eletta, tra Anas e il neo sindaco Scullino, che si propone si riqualificare la zona stradale innanzi alla frontiera. Sintesi: nella zona del confine si fanno i soldi, non spettacolini per allodole, quindi al posto dei 50 pietroni artistici ci si metteranno 50 parcheggi.

Parafrasando i giornali di allora: un modo per dare un calcio, con gli affari, all’arte e alla retorica sul buonismo sociale e sull’abbattimento dei confini. Proprio qui, di fronte alla barriera con la Francia.

La settimana si chiude nelle polemiche di routine del PD circa lo smantellamento della profetica opera d’arte che tanto fu lodata dall’allora sindaco ruspaiolo dello stesso partito. Eppure guardando le cose con un’onesta prospettiva non è affatto strabiliante che si voglia sostituire un simulacro della retorica europea sull’accoglienza con cinquanta parcheggi per far girare macchine e soldi. (Anche) dalle parti delle frontiere funziona così e chi non lo sa è in malafede: le merci hanno la precedenza e per il denaro tutto fila liscio. L’unico inconveniente lungo il confine erano e restano gli esseri umani ai quali, sulla base di criteri etnici, si deve impedirne l’attraversamento.

A poche centinaia di metri dall’installazione Terzo Paradiso, in linea d’aria sulle alture dell’Aurelia, c’è l’altro valico di confine, ponte san Luigi, dove la frontiera esercita quotidianamente il suo potere sulla vita della gente che ha un documento di poco valore e una pigmentazione troppo scura.

Là sotto, adagiato su un prato abbandonato, riposa coi giorni contati quell’infinito fatto di macigni giganti e muti innanzi ai controlli frontalieri ed al setaccio razziale. Sulla destra dell’installazione artistica, ad altezza mediana tra le due frontiere, corrono le rotaie che portano in Francia: troppe persone sono rimaste gravemente ferite o sono morte sfidando la frontiera ferrata e i suoi treni proibiti.

Sulla sinistra del Terzo Paradiso corrono invece gli scogli che nel 2015 furono casa di una lunga battaglia internazionale contro le chiusure dei confini. Poco oltre le rocce ondeggia il Mediterraneo che unisce e divide le terre. Un po’ come il centro dell’infinito di Pistoletto, che voleva ricongiungere gli opposti e portare la pace, ma che finirà smantellato in nome del profitto.

I tentacoli della frontiera sono potenti e pervasivi: Ventimiglia regala ogni settimana folgoranti accadimenti, bug di un sistema catastrofico che causa cortocircuiti di senso di fronte alla presenza e alle conseguenze del confine.

Vinceranno i 50 parcheggi. Proprio lì dove 50 pietroni si vantavano di aver inaugurato una proposta di unione e armonia: game-over anche per loro. Dalla posa di quei sassi, che sarebbero stati più sinceri se fossero state lapidi, sono morte -almeno- altre undici persone non europee che volevano attraversare la barriera per l’Europa. A Ventimiglia (in tutto lo stivale) le persone non-bianche resteranno comunque straniere, qualsiasi pezzo di carta abbiano in tasca. Qualcuno di origine europea suggeriva che non serve una rivoluzione…

La Morte di Prince e John – la Violenza del sistema

A qualche giorno dalla morte di Prince, giovane ragazzo nigeriano, condividiamo le parole di una compagna: parole che impongono una riflessione, ricordandoci che la lucidità è una delle nostre migliori armi, anche nei momenti di dolore. La terribile storia di Prince richiama alla memoria un’altra morte a noi vicina: poco meno di due anni fa, John, un altro giovane nigeriano, terminava il suo viaggio a Genova, a pochi passi dalla Fiera del Mare (al tempo centro di prima accoglienza). Allora, ben poche parole furono spese nel chiedersi quale disperazione si celi dietro – o appena fuori – le porte di una struttura d’accoglienza, tra le pagine della burocrazia migratoria. Cambiano i decreti e i ministri che li firmano, ma la violenza di un sistema che si fonda sull’univocità del giudizio e il ricatto è la medesima. E’ la stessa che spinge ormai da anni a schiacciarsi contro le frontiere, a Ventimiglia e altrove, per proseguire, quasi per inerzia, rischiando l’incolumità fisica, mortificando le proprie aspettative, mettendo a dura prova la propria salute mentale. L’unico vero omaggio che possiamo fare a Prince è allora quello di pretendere rispetto e dignità per tutte quelle vite sospese. Che la commozione sia motore di rivolta e non ornamento dell’ennesima commemorazione.

 

Prince e John Kenedy due giovani uomini nigeriani morti (dicono suicidi) a Genova.
John lo conoscevo, Prince no.
Di John se ne è parlato molto poco, di Prince molto.
Per John è stata fatta una veglia in piazzale Kennedy al tempo del campo della CRI presso la Fiera di Genova. Si è scelta quella piazza perché è vicino a dove è morto e perchè lui ci teneva a dire che si chiamava come il Presidente ma con una sola “N”. Eravamo si e no in una trentina.
Per Prince è stato fatto un funerale al quale si sono invitate moltitudini di persone.
Del corpo di John non si sa più niente, era all’obitorio come NC. Prince è stato sepolto in un cimitero cittadino.
John ha abitato il dispositivo nell’era Minniti ed è morto in quel tempo. Prince è entrato nell’era Minniti ed è morto in quella di Salvini.
John e Prince sono morti.
Per Kennedy è stata scritta una lettera, denunciando le condizioni nelle quali si è lasciato morire. Era Marzo 2017.
Per Prince si sono scritti articoli e si è tuonato quasi immediatamente che si sia suicidato per il diniego. Quale il bisogno nel costruire narrazioni sulla morte di Prince? Su quella di Kenedy ciò non è stato fatto… l’ipotesi era che fosse ubriaco e che si sia buttato in mare perchè ubriaco. Tra coloro che hanno conosciuto Prince, e ne hanno raccontato dopo la sua morte, tra quelli che con lui hanno vissuto il dispositivo dell’accoglienza, c’è stato chi aveva iniziato una lotta di rivendicazione, non per la mancanza del wi-fi, come molti giornalisti hanno tentato di mascherare, ma contro le condizioni in cui erano (e sono) costretti a vivere. Era Maggio 2017.
Alcuni di loro ad oggi devono ancora avere l’appuntamento in Commissione e sono convinti che quest’attesa sia dovuta alle proteste cui hanno preso parte. Alcuni hanno paura a raccontare quello che succede nei circuiti dell’accoglienza, pensano che il passo successivo sia il diniego. Supposizioni? Paure? E’ possibile vivere così? Come fanno a resistere a tutto questo? … Nel frattempo, la struttura che ospitava Prince, e tanti altri richiedenti asilo, prima invitava il ministro Orlando – ai tempi del Decreto Minniti-Orlando e della formalizzazione dei campi di detenzione in Libia – e poi Bucci e Garassino – nel tempo in cui questi sostengono il governo di chi tiene le persone in mezzo al mare e poi le riporta nel porto “sicuro” di Tripoli -. Questo – e non solo questo – non può lasciare indifferenti.
Io non mi sento di chiedere scusa agli amici di John e Prince, perchè non mi assolvo con delle scuse e perchè non assisto inerte a quello che succede. Ognuno, con le sue forme, deve avere il coraggio di dire che tutto questo fa letteralmente schifo. Che porti il nome o la bandiera di un partito, il nome di una cooperativa piuttosto che di un’associazione, laica o religiosa, bianca o rossa. Io penso che sia necessario denunciare la retorica della “buona accoglienza” perchè ad oggi è troppo chiaro che non esiste una “buona accoglienza” – il sistema è malato e porta malattia e morte. Tanti sono i morti, nelle nostre strade e nelle traversate per raggiungerle. Tanti e Tante quelle che stanno impazzendo nei luoghi di detenzione e di accoglienza, nei campi di lavoro, dove in troppi sono pure morti.
Tanti e Tante quelle che stanno resistendo e denunciando tutto questo. Io so da che parte stare e tutto questo sciacallaggio e buonismo mi fa profondamente incazzare! Tutto questo deresponsabilizzare alcuni per altri … ora il problema è il Decreto Sicurezza?! Quale poi? il Minniti o il Salvini?! Ma per favore!

Ventimiglia: Uomo in mare

A Ventimiglia, il 21 giugno alcuni bagnanti hanno visto affiorare, poco distante dalla riva, il cadavere di un uomo. Il volto sfigurato dalla lunga permanenza in acqua, il corpo ancora vestito: un migrante quasi sicuramente. Queste le poche informazioni che si possono leggere sull’ansa e sulle  testate locali che hanno diffuso la notizia. [1]

 Quest’uomo senza volto, senza identità, va ad aggiungersi al tremendo numero dei morti per mano della violenza delle frontiere. Per mano del capitalismo che impone che la vita degli esseri umani si riduca a merce, per mano degli Stati che sono gli esecutori politici di questo sistema di morte e di tutti quei poteri che cooperano nel funzionamento di questo sistema.

Un uomo senza volto. Un volto sfigurato dalla violenza che si infiltra in ogni angolo di questo sistema, si insinua dentro ogni recesso. Una violenza che sta dentro di noi. Che di questo sistema siamo attori ma troppo spesso ci figuriamo come spettatori.

Se anche quest’uomo avesse avuto ancora il suo volto, il silenzio a cui la sua morte sarebbe stata condannata, glielo avrebbe sottratto.

L’assenza di un volto che, chi combatte ogni giorno la frontiera, nei tanti modi in cui questo è possibile, non potrà dimenticare.

In un mare estivo, celeste e scintillante, in un mare bello, nel mare nostrum, alcuni bagnanti hanno recuperato un corpo. Da dove arriva? Difficile arrivi dalla Francia: le correnti non spingono quasi mai in direzione Italia… dicono i locali. Potrebbe arrivare dal fiume Roya, magari una fuga dai militari francesi appostati nella valle per catturare i migranti che tentano di passare la frontiera, e fuggendo una caduta e poi il fiume… giù a valle fino al mare. Oppure chissà. Chi è? Qual è la sua storia di uomo?

E’ solo un numero. Uno dei tanti numeri dei desaparecidos contemporanei.[2]

Si insinua il dubbio amaro, se abbia senso scriverne, se esistano delle parole con cui rendere giustizia a tanto dolore e a questo male.

Viene in mente un altro corpo, ritrovato nel porto di Genova circa un anno e mezzo fa. [3] Un ragazzo, entrato nel circuito dell'”accoglienza” e finito in fondo al mare, affogato da un dispositivo disumanizzante. Allora più di un centinaio di persone si era riunito per ricordarlo e per ricordarsi che non si può e non ci si deve abituare alla banalità del male e soprattutto che occorre resistere e reagire.

Genova – manifestazione per John Kenedy

Per quest’uomo, ancora e forse per sempre senza nome e senza volto. Per John e per tutte le altre sorelle e fratelli morti ammazzati dalle frontiere con cui si difende il privilegio di pochi e il diritto allo sfruttamento di troppi: è ora di non farsi più sconti!

Le vite delle sorelle e dei fratelli in viaggio contano tanto quanto le nostre.

Dobbiamo cominciare difenderle come difendiamo le nostre e quelle dei nostri car*. Dobbiamo difenderci insieme.

g.b.

[1] http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2018/06/21/migrante-morto-in-mare-a-ventimiglia_a3cc32a4-ecea-49b5-adb7-e719adf5f174.html 

http://genova.repubblica.it/cronaca/2018/06/21/news/migrante_muore_nel_mare_di_ventimiglia-199661940/

http://www.sanremonews.it/2018/06/21/leggi-notizia/argomenti/cronaca/articolo/ventimiglia-migrante-morto-trovato-in-mare-da-alcuni-bagnanti-intervento-della-guardia-costiera.html

http://la-riviera.it/cronaca/migrante-trovato-morto-in-mare-a-ventimiglia/

[2] https://parolesulconfine.com/migranti-riappare-il-fiume-carsico-delle-politiche-eliminazioniste-proprie-del-mondo-occindentale/

[3]http://www.genovatoday.it/cronaca/foce-identificato-cadavere.html

http://effimera.org/john-kenedy-al-presidente-nero-enne-operatori-x-rete-no-borders-genova/