Aggiornamenti sul processo per la morte di Moussa Balde

Condividiamo tre contributi rispetto alla situazione processuale per la morte di Moussa Balde, avvenuta nel cpr di Torino nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2021, in cui l’ex direttrice e l’ex medico del cpr risultano imputati per omicidio colposo.

Il primo contributo è un documento audio, andato in onda alcuni mesi fa su alcune radio indipendenti, in cui si riassume la storia di Moussa e delle ingiustizie che ha subito fino a restarne ucciso. Il secondo si tratta di una chiamata per raccogliere i fondi necessari per le spese di viaggio per permettere alla famiglia Balde di essere presente alla prima udienza del processo a Torino, il 12 febbraio 2025. Il terzo testo è una lettera della sorella di Moussa, Aissatou Balde.

Per un quadro più completo delle vicende che hanno portato il giovane guineano a togliersi la vita, prima picchiato a Ventimiglia e poi rinchiuso nel cpr torinese, rimandiamo ai precedenti articoli pubblicati su questo sito:

https://parolesulconfine.com/nessun-perdono-perche-sanno-quello-che-fanno_-per-moussa-balde-contro-i-cpr/

https://parolesulconfine.com/contro-il-razzismo-e-i-cpr-per-moussa-balde/

https://parolesulconfine.com/moussa-balde-e-morto-di-razzismo/

https://parolesulconfine.com/moussa-balde-e-la-sua-famiglia-non-sono-soli/

Contributo audio sulla vicenda di Moussa:

Podcast sull’affare Moussa Balde

Testo pubblicato sulla piattaforma Papayoux_solidaritè per una campagna di crowdfunding a sostegno della famiglia Balde:

AIUTIAMO LA FAMIGLIA BALDE A PARTECIPARE AL PROCESSO DEL 12.02 E AD UNIRSI ALLA LOTTA CONTRO I CPR

Stiamo raccogliendo fondi per permettere alla sorella, al fratello e alla madre di Moussa Balde di essere presenti alla prima udienza del processo per omicidio colposo contro due dipendenti del centro per rimpatri di Torino in cui Moussa ha trovato la morte. L’udienza si terrà a Torino il 12 febbraio. 
I familiari sono rappresentati dai legali Gianluca Vitale e Laura Martinelli. 
I fondi servono per pagare le spese di viaggio dalla Guinea e i costosissimi visti per l’Italia, oltre alle spese di soggiorno.
Durante il loro periodo in Italia i familiari vorrebbero intervenire attivamente in diversi eventi di contestazione ai CPR presenti in Pemonte e in Liguria.

CHI ERA MOUSSA BALDE?

Lui è stato un amico e un compagno, morto nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2021 dopo di 10 giorni passati in una cella dell’area d’isolamento, denominata Ospedaletto, del CPR di Torino. Il 9 maggio era stato picchiato a Ventimiglia da tre italiani e dopo un breve ricovero  in ospedale è stato subito richiuso nel centro di detenzione, ignorando le sue gravi condizioni fisiche e psicologiche in conseguenza del pestaggio. Moussa, originario della Guinea, è stato detenuto in quanto persona non-europea e irregolare sul territorio, e per questo è morto rinchiuso in una cella. La morte di Moussa non è stata nè “fatalità” nè il frutto di una catena di inadempienze, ma la conseguenza del razzismo strutturale del sistema in cui viviamo.

Per leggere di piu sui processi e la sua storia, si puo visitare questo blog (in Italiano) alla categoria “Moussa Balde” https://parolesulconfine.com/ > Moussa Balde

ORA

Il 12 Febbraio a Torino, si terrà l’udienza preliminare del procedimento per omicidio colposo a carico della ex direttrice del CPR e del medico direttore sanitario della struttura all’epoca della morte di Moussa Balde. 
Nel febbraio 2023, la CPR in corso Brunelleschi è andato a fuoco ed è rimasto chiuso fino ad ora. Eppure sta per riaprire.

Tra giugno 2019 e dicembre 2022, dieci persone hanno perso la vita mentre erano tenute in detenzione amministrativa. All’inizio di febbraio 2024, il giovane Ousmane Sylla, che si rivela essere un vicino e amico della famiglia Balde, si è suicidato nel CPR di Roma.

La presenza della famiglia è essenziale non solo per questa procedura legale contro questa particolare struttura, è anche importante per dare forza a un movimento largo contro l’apertura di una di queste prigioni in Liguria (come a Diano Marina) e in ogni regione italiana.

CONTRO LA RIAPERTURA DEL CPR DI TORINO, DOVE MOUSSA BALDE E’ MORTO

CONTRO I CPR

PER LA LIBERTA DI MOVIMENTO

GIUSTIZIA PER MOUSSA

Lettera della sorella di Moussa:

Ciao a tutti. Mi chiamo Balde Aissatou, sorella maggiore di Moussa Balde. Oggi sono qui per parlarvi di mio fratello minore Moussa Balde.

Quando era molto giovane, Moussa aveva una sola ambizione: lavorare sodo per mantenere la sua famiglia fuori dalla povertà, soprattutto nostra madre. Quando era un giovane studente, ogni volta che sua madre si alzava alle 5 del mattino per andare al mercato, lui si alzava per accompagnarla al mercato e aiutarla nel lavoro al ristorante. Da lì partiva per andare a scuola. Così un giorno, mentre discutevamo in famiglia, ci ha detto: “dopo le elezioni del 2015 ho intenzione di lasciare questo paese e andare in Europa, anche se dovrò attraversare il mare. Forse lì riuscirò a guadagnarmi da vivere meglio che qui”. Ma data la sua giovane età, gli abbiamo detto di non rischiare la vita per l’Europa.

Ma lui non ci ha ascoltato e nel 2016 ha deciso di lasciare il paese, senza mai dire a nessuno del suo viaggio. Eravamo molto preoccupati e ci chiedevamo dove potesse essere. Quando abbiamo contattato i suoi amici, ci hanno detto che Moussa si trovava a Bamako, in Mali, e da lì aveva attraversato il deserto per raggiungere l’Algeria. Da aprile 2016 a settembre 2016 è riuscito a cavarsela lavorando come manovale in aziende edili, gtrazie al sostegno del fratello maggiore, Thierno Hamidou, che studiava lì.

Durante questo periodo la sua famiglia ha fatto di tutto per convincerlo a tornare in Guinea, perchè noi, la sua famiglia, non avevamo mai appoggiato il suo progetto di attraversare la Libia per raggiungere l’Italia, ma lui era determinato a farlo. Quando ho cercato di convincerlo a tornare, mi ha detto: “Diadia (sorella maggiore), prega per me. So cosa sto facendo, è l’unico modo per aiutare la mia famiglia, soprattutto mia madre. Non faccio nulla senza rifletterci, quando arriverò a destinazione, visto che ho memorizzato il tuo numero, ti contatterò. Auguratemi buona fortuna e soprattutto non parlarne con mia madre, in modo che non si preoccupi, perchè il suo stato di salute non permette troppo stress”.

Quando è arrivato in Italia mi ha contattato. All’inizio tutto andava bene, comunicava bene con noi nonostante avesse qualche difficoltà in quanto immigrato senza documenti. Infine, con l’avvicinarsi della sua aggressione a Ventimiglia, abbiamo avuto difficoltà a tenerci in contatto con lui e quindi abbiamo cercato di aumentare i contatti con i suoi amici in Italia e in Francia per avere sue notizie. Il 23 maggio 2021 uno dei suoi amici ci ha contattato per informarci che nostro fratello Moussa Balde era morto in un centro di detenzione a Torino nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2021.

Grazie a voi per aver dedicato tempo ad ascoltare una parte della sotria di Moussa.

Che la sua anima riposi in pace.

La ferocia della società: un aggiornamento da Ventimiglia

Riceviamo e pubblichiamo un contributo scritto a seguito dell’ultimo sgombero della zona ventimigliese di via Tenda, lungo il fiume Roya, dove da molti anni si rifugiano in accampamenti di fortuna le persone in attesa di passare il confine, o coloro che, pur avendo ormai ottenuto un documento in Italia, non riescono comunque a trovare una casa.

È il 10 ottobre. Il parcheggio di via Tenda, fradicio dalla notte di pioggia, rimane offuscato nella penombra dell’alba, nonostante il cielo sereno. Il sole non è ancora sorto quando una ruspa, targata Città di Ventimiglia, è già parcheggiata sul parcheggio. È ferma davanti all’unico cancello semiaperto nella recizione di ferro che separa il parcheggio dal fiume Roya, l’ennesimo confine di questa città a 10 chilometri dalla Francia.

È il giorno dopo la tempesta Kirk che ha tenuto l’intera regione in allerta gialla per diversi giorni. La notte precedente forti piogge e raffiche di vento fino a 120 km/h hanno colpito la città. Tutto ciò che rimane è un fiume in piena e un cielo terso, in attesa dei primi raggi del sole. All’alba due addetti dei servizi tecnici comunali arrivano nel parcheggio e confermano l’annunciato sgombero dell’area sotto il ponte, sulle rive del fiume Roya. Il prefetto, in carne ed ossa, arriva sul posto alle 8 del mattino per supervisionare l’operazione. Prima di lui erano già arrivati diversi camion con grossi cassoni a rimorchio: la capacità di stoccaggio è mostruosa.

Il prefetto e il suo cappellino bianco. Il balletto delle jeep dei carabinieri e delle Alfa Romeo della polizia. Alcuni abitanti del quartiere portano a spasso i cani per la cacca mattutina. L’arrivo spettacolare dei giornalisti che brandiscono macchine fotografiche e flash. Il sindaco di Ventimiglia in posa davanti ad una ruspa comunale: un incubo. Proprio per mettere in guardia da questo incubo, sotto al ponte si inizia a far circolare la voce che le persone devono svegliarsi e allontanarsi. Infatti, il ponte del cavalcavia che svetta su via Tenda e collega il centro di Ventimiglia con l’autostrada dei Fiori più a monte, funge da tetto per i molti che dormono qui nelle tende o direttamente per terra. È proprio questo tetto che le autorità sono venute a confiscare questa mattina.

I netturbini della ditta privata, seduti sul loro miniescavatore, guardano le tende sotto il ponte e si dicono: “Ok, faremo come l’altra volta: voi ammucchiate tutto verso il centro e poi noi lo buttiamo nel cassonetto”.

Non appena la voce si è sparsa tra le tende, due file di poliziotti in tenuta antisommossa accerchiano l’accampamento. Alcune persone erano già in piedi, altre si sono svegliate al suono degli stivali. Sotto minacce e ordini gridati brutalmente, tutti hanno dovuto alzarsi, raccogliere le poche cose che riuscivano portare con sé e spostarsi nell’angolo più buio sotto al ponte, verso il parcheggio della “distrib” – il parcheggio di fronte al cimitero comunale (che ora è diventato una fortezza sorvegliata da vigilantes armati) dove, la sera, le associazioni distribuiscono a turno un pasto gratuito, da consumare a terra. Questa mattina il sole inonda lo spiazzo di una luminosità sorprendente, dopo giorni di maltempo. Le persone trattenute sono relegate all’ombra del ponte, dietro la recinzione di ferro. Vengono rilasciate a poco a poco, dopo un controllo d’identità. La goccia che fa traboccare il vaso è quando un poliziotto ci dice: “Non vi preoccupate non ci saranno problemi, li conosciamo”. Il controllo dell’identità diventa un’iniqua procedura priva di senso, intrisa di violenza.

Per di più, per schedare fotograficamente la gente fermata, i poliziotti ordinano a ciascuna persona di posizionarsi esattamente nell’ unico spiraglio di luce che passa tra l’ombra del ponte e la recinzione. Foto del profilo, del viso e del corpo intero. Trasferimento della foto a Lampedusa. I giornalisti filmano sotto il ponte la distruzione delle tende, il discorso vomitevole del sindaco, mentre si cancella qualunque traccia delle persone che mezz’ora prima dormivano lì.

In un gioco di luci e ombre, si mescola lo spettacolo dell’invisibilizzazione delle persone escluse, respinte e rifiutate, con l’ipervisibilità delle truppe di Stato, la propaganda razzista e i sorrisi meschini di queste marionette politiche.

Il messaggio è quello di un bulldozer: la distruzione materiale delle tende, degli angoli di vita in cui le persone si sentono semi-autorizzate a stare. Ma è solo una parte del messaggio. La ruspa schiaccia anche le speranze, la rete di relazioni e di sostegno reciproco, la resilienza delle persone che vivono sotto al ponte e lavorano in questa città, la premurosa comunità di mutuo aiuto che rifiuta di accettare che il confine si intrometta violentemente nella vita quotidiana di tutt*.

Come fanno ad indossare al mattino i loro stivali, con quella sete selvaggia di svegliare le persone dal loro sonno per sottoporle a interrogatori umilianti, mentre vandalizzano quell’unico fazzoletto di terra che è stato loro concesso come casa?

Il capo della polizia attraversa il parcheggio con un piccione zoppo in mano, tenendolo con cautela e ostentazione davanti a sé. Presta deliberata attenzione ad attraversare il gruppo di persone solidali, le varie file di colleghi della polizia e dei carabinieri, prima di spostarsi verso il gruppo di persone ancora trattenute sotto il ponte e posare il piccione nel canneto sul greto del Roya. Il suo unico gesto di tenerezza della giornata.  I solidali sono impegnati a organizzare i sacchetti di cibo che hanno appena comprato al supermercato locale per distribuirli alle persone ancora trattenute sotto il ponte. È mezzogiorno. Il capo della polizia ha fatto irruzione nelle vite di queste persone più di 4 ore fa. A ciascuno il suo gesto di tenerezza.

Nel pomeriggio l’inferno continua. Per le strade di Ventimiglia è scoppiato un alterco tra due gruppi di persone che fino al momento prima riuscivano tranquillamente a ignorarsi per le strade di Ventimiglia: dopo aver visto calpestati i loro spazi abitativi e la propria dignità, la vita e gli equilibri di chi vive per strada vengono stravolti. C’è sempre un epilogo sanguinoso che segue ad uno sgombero. Il sole non ha fatto ancora in tempo a tramontare. Il ciclo di violenza accelera.

Il giorno dopo, il titolo di un giornale riporta a caratteri cubitali: “Dopo lo sgombero tornano le tende”. Alla recinzione di via Tenda sono stati appesi due teli con i messaggi: “STOP SGOMBERI, LIBERTA’ PER TUTTI” e “NESSUNO E’ ILLEGALE”.

Nonostante la violenza, l’invisibilizzazione, le grida mortifere dei politici, il confine sarà sempre attraversato, il cancello sarà forzato ed aperto, le persone racconteranno le loro storie da oltre il muro, gli striscioni nasconderanno gradualmente la barriera per mantenere viva la speranza di libertà per tutt*. 

Nessun perdono, perché sanno quello che fanno_ per Moussa Balde, contro i CPR

Riceviamo e pubblichiamo il seguente contributo, un aggiornamento circa l’inizio dei processi penali per reati commessi nella gestione del CPR di Torino. Le indagini furono avviate nel 2021 in seguito alla morte per suicidio del giovane Mamadou Moussa Balde. Nel marzo 2023 il centro per rimpatri di Torino è stato chiuso per inagibilità delle strutture in seguito alle rivolte dei reclusi. Da mesi se ne annuncia l’imminente riapertura. (per info sui passaggi precedenti qui e qui)

Esprimiamo totale solidarietà alle persone colpite dall’orrore dei CPR e a tutte le persone che ne hanno permesso la chiusura, così come a tutte coloro che lotteranno per impedire che questo ed altri CPR vengano aperti.

Nessun perdono, perché sanno quello che fanno_ per Moussa Balde, contro i CPR

Ci siamo: a quasi tre anni dagli eventi stanno per iniziare al tribunale di Torino i processi nati dalle indagini per la morte di Moussa Balde, il ventiduenne originario della Guinea che si era impiccato nella sezione di isolamento “ospedaletto” nel CPR di Torino nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2021, dove era stato rinchiuso dopo aver subito un brutale pestaggio nelle strade di Ventimiglia pochi giorni prima. Per quella violenta aggressione a Gennaio 2023 sono stati condannati a due anni per lesioni aggravate i tre ventimigliesi che avevano preso a sprangate Moussa davanti a un supermercato in centro città.

Il secondo capitolo di questa storia di insopportabile razzismo italiano si era scritto con la peggiore delle conclusioni nel cpr di Torino, dove Moussa era stato trascinato a poche ore dal pestaggio, le ferite ancora fresche sul volto, negato il diritto di farsi testimone della sua stessa aggressione, inabissato in una sezione di isolamento abusiva persino per un posto già extra legale quale è il CPR, la sua presenza nel centro negata ripetutamente dal personale di servizio agli avvocati che lo stavano cercando. Poi il suicidio nella notte, in quelle celle definite “gabbie dello zoo” anche dalle autorità che dovrebbero esserne responsabili.

A seguito di questi eventi si è ritenuto opportuno dimostrare che qualcosa veniva pur fatto per porre rimedio. Così si sono aperte le indagini su due livelli: il primo strettamente legato al suicidio, che si profila essere, con una più corretta descrizione degli eventi, un omicidio colposo; il secondo rappresenta invece un’indagine più allargata sull’uso illecito della sezione di isolamento “ospedaletto” nel CPR di Torino, che ha portato a formulare l’accusa di sequestro di persona nei confronti di più attori legati alla gestione del centro, a danno di 14 persone recluse nella struttura tra gennaio 2020 e luglio 2021 e tenute in isolamento per giorni, settimane e in alcuni casi mesi.

Nel dettaglio: Venerdì 1 marzo 2024 alle 9:15, al tribunale di Torino, verrà discussa la richiesta di archiviazione presentata dalla procura per le accuse di sequestro di persona – con corollario variamente distribuito di abuso di potere, falso in atto pubblico, lesioni personali colpose, violazione dei doveri medici, abbandono di incapaci, falso ideologico- a carico della ex direttrice del CPR di Torino, di due medici del centro e di 4 operatori di polizia, tra i quali il dirigente dell’ufficio immigrazione di Torino e l’ispettore superiore di PS in servizio presso il CPR di corso Brunelleschi.

Mercoledì 13 marzo 2024 alle 9:30, sempre a Torino, si terrà l’udienza preliminare del procedimento per omicidio colposo a carico della ex direttrice del CPR e del medico direttore sanitario della struttura all’epoca della morte di Moussa Balde. Nello stesso procedimento è accusato anche l’ispettore capo di polizia assegnato al servizio di vigilanza presso il CPR, che deve rispondere di falso in atto pubblico per aver manomesso le relazioni di servizio richieste come prove nell’indagine per omicidio colposo.

Questi i fatti. Le conclusioni che si possono trarre fanno, se possibile, ancora più rabbia dei fatti stessi. È evidente come lo stato, tramite la procura di Torino, voglia far pagare il conto di una montagna di abusi e violenze esclusivamente ai dipendenti della Gepsa, l’ente privato che aveva in gestione il CPR, mandando loro a giudizio per omicidio colposo e tentando invece di salvare operatori, dirigenti e ispettori di polizia dall’accusa di sequestro di persona. Il procedimento penale sul caso singolo di Moussa troverà effettivamente un seguito nelle aule del tribunale di Torino, ma si cerca di insabbiare con una richiesta di archiviazione il procedimento generale sulla mala gestione del CPR, che renderebbe pubblicamente conto della portata di iniquità che rappresentano i centri per il rimpatrio.

Nel procedimento per sequestro di persona, infatti, emergono una lunga serie di abusi e illeciti operati anche dall’ente gestore ma soprattutto delle forze dell’ordine, sia sottoposti che alti dirigenti. Il ricorso illegale e continuativo all’uso dell’isolamento, in un luogo dove non è prevista per legge la possibilità di ulteriore restrizione della libertà personale -e a seguire la sfilza di falsificazioni, giustificazioni e tentativi dei vari soggetti coinvolti di salvarsi a vicenda dalle accuse- finirà con probabilità in una bolla di niente.

La richiesta di archiviazione viene motivata con una spregiudicata logica d’azzeccagarbugli: non viene affatto negato dalla procura che le persone imputate abbiano commesso il sequestro di persona e tutte le altre sotto accuse. Ma si afferma che tutto questo non può costituire reato perché, semplicemente, così han sempre fatto anche poliziotti, dirigenti, prefetture, questure e agenzie private che hanno avuto in gestione questo come gli altri CPR d’Italia. E se così fan tutti, queste specifiche soggettività finite sotto accusa per i reati commessi tra il 2020 e il 2021 non possono essere davvero colpevoli, perché non sapevano che quello che stavano facendo era illegale.

Sia chiaro: non è nostra convinzione che la giustizia possa passare dai tribunali, né è nostro interesse che un numero maggiore di persone venga portato alla sbarra o condannato per questo o quell’altro reato. Le galere sono luoghi che vanno distrutti e definitivamente aboliti, tutti, che siano le carceri penali o le gabbie della detenzione amministrativa. Allo stesso modo non è nostra intenzione affermare che operatori e operatrici della Gepsa, multinazionale della detenzione per migranti, siano sfortunate persone che meritano solidarietà in quanto destinate a diventare il capro espiatorio di un sistema profondamente marcio quale è il mondo dei centri di espulsione, avendo queste scelto di aderirvi per lucrare sulla pelle di chi è senza i giusti documenti.

Ma le leggi le scrivono loro ed è illuminante vedere l’uso creativo che ne fanno, perfettamente allineato all’ipocrisia di tutto il sistema, cercando di lavarsi dal sangue quelle mani che continuano a causare morti. Non tanto per gridare di indignazione per le capriole logiche che compiono le istituzioni e chi le rappresenta nelle aule di tribunale, atterrando comunque sempre illese e in piedi. Ma perché quegli stessi spergiuri sulla gravità di aver arrecato danno e dolore a così tante persone e sulla necessità di correggere questi soprusi dilaganti, raccontano alla fine l’unica vera storia che a questo stato interessa scrivere:

i CPR sono sbagliati ma ne costruiranno ancora di più.

I CPR sono luoghi di tortura, ma se fin qui si è sempre torturato non è poi tanto un reato continuare a farlo.

I CPR hanno violato l’integrità, la dignità e i diritti di quelle 14 persone (ma sono molte di più) tenute in isolamento per punizione, per discriminazione di credo o orientamento sessuale, per problematiche sanitarie fisiche e mentali, talvolta gravi e reali, tal’altra pure presunte. Come la psoriasi diagnosticata a Moussa, malattia non contagiosa per la quale si è comunque stabilito che dovesse finire all’ospedaletto.

Ma lo stato decide di alzare i tempi di reclusione nei CPR da 3 a 18 mesi.

I CPR hanno ucciso Moussa Balde, prima di lui troppi altri e ancora altri dopo di lui, ma lo stato non se ne ritiene responsabile.

Ultimo di una lista che non vi è alcuna intenzione di fermare è Ousmane Sylla, morto suicida nel CPR di Ponte Galeria nella notte tra il 3 e il 4 febbraio, un altro ventiduenne della Guinea, anche lui distrutto da un sistema che, senza alcuna vergogna, nei tribunali riconosce le proprie colpe e nei tribunali decide anche la propria auto assoluzione. Ousmane Sylla voleva tornare a casa ed era rinchiuso in un centro di espulsione da cui non sarebbe mai tornato a casa, proprio come Moussa, perché l’Italia non ha accordi di rimpatrio con la Guinea: un altro paradosso che racconta la vera identità criminale dello stato e del governo italiano, al di là delle sentenze e dei giochi togati nei tribunali.

Abbiamo saputo della morte di Ousmane Sylla. È davvero triste e deplorevole, possiamo vedere che le stesse cause producono gli stessi effetti. Le autorità italiane devono esaminare a fondo ciò che sta accadendo all’interno di questa prigione, alle condizioni di detenzione e tutto ciò che ne consegue, non sono buone. Altrimenti non ti alzeresti così un mattino decidendo di mettere fine a tutto questo, è difficile da credere, le ragioni devono essere cercate altrove” Thierno Balde, fratello di Moussa.

Per la memoria di Moussa Balde, di Ousmane Sylla e delle altre decine di persone che hanno subito morte e violenza nei centri per i rimpatri

Per portare solidarietà alle loro famiglie, colpite dal dolore causato dall’ingiustizia delle leggi italiane ed europee

Per la libertà di circolazione di tutte e di ciascuno

Per impedire la riapertura del CPR di Torino

Per la distruzione degli altri CPR ancora operativi in Italia

Per l’apertura di tutte le frontiere europee e l’abolizione delle politiche migratore neo-colonialiste

Gli orari degli appuntamenti al tribunale di Torino l’1 e il 13 marzo 2024 sono scritti in questo testo, così come le posizioni e i ruoli dei vari soggetti: ciascuna persona reagisca dove e come ritiene più opportuno.

Solidali di Ventimiglia

Ceuta: in marcia per la dignità

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente contributo, resoconto della Marcha por la Dignidad, risposta alla chiamata annuale di mobilitazioni e proteste per la commemorazione della strage avvenuta per mano della Guardia Civil il 6 febbraio 2014 sulla spiaggia del Tarajal, Marocco, al confine con Ceuta.

Ringraziamo lx compagnx che hanno condiviso questa importante testimonianza.

Ceuta: in marcia per la dignità

Come ogni anno dal 2014 a Ceuta si è svolta la Marcha por la Dignidad, in commemorazione delle vittime della strage del Tarajal. Il 6 febbraio di dieci anni fa la Guardia Civil attaccò violentemente un gruppo di circa quattrocento persone che tentavano di attraversare la frontiera a nuoto. Mentre le motovedette della polizia marocchina le inseguivano, la Guardia Civil dalle imbarcazioni aprì il fuoco con proiettili di gomma, colpi a salve, candelotti fumogeni e granate stordenti. Ne uccise almeno quindici e molte delle sopravvissute riportarono gravi ferite. Nonostante la causa civile aperta dalle associazioni per i diritti umani, che ha portato sedici agenti alla convocazione davanti al tribunale di Ceuta, il caso è stato archiviato tre volte dal giudice istruttore. I più alti organi dello Stato spagnolo e i vertici delle forze di polizia hanno respinto ogni responsabilità e mistificato la realtà, negando l’utilizzo di attrezzatura antisommossa e il coinvolgimento di feriti.

L’iniziativa commemorativa si è aperta la mattina con una conferenza che ha ospitato l’intervento della ricercatrice Viviane Ogou, l’attivista Mouctar Bah, l’artista Abubakar e l’avvocatessa Patuca Fernandez. Gli interventi hanno riguardato il tema del diritto alla migrazione, il razzismo strutturale dell’economia globale e l’esternalizzazione della frontiera. In particolare ci si è soffermatə sull’importanza politica della visibilizzazione e della memoria. Dopo la strage del Tarajal i corpi non sono stati recuperati, è stato il mare a restituirli nei giorni seguenti dopo averli resi irriconoscibili. Il processo di identificazione è durato anni e non si è mai del tutto concluso. La frontiera oltre ad aver ucciso fisicamente le vittime le ha private della loro individualità, cancellandone la dignità in morte oltre che in vita. Come ha affermato l’avvocatessa Fernandez l’atto più violento fu quello di non poter riscattare i corpi, negandone quindi la possibilità di identificazione, memoria e commemorazione. Venne rifiutato inoltre alle famiglie ogni permesso di raggiungere la Spagna per rendere omaggio alle salme e intervenire in tribunale.

Giungendo nell’enclave spagnola dal Marocco, attraverso le alture del Rif, salta agli occhi nella sua interezza il muro che racchiude questa minuscola parte della fortezza Europa. Da qui si arriva alla zona del Tarajal, frontiera sud, unico punto di accesso attualmente percorribile per entrare legalmente nel territorio. E’ su questa spiaggia che si è conclusa la marcia, con un momento di raccoglimento sugli scogli. La frontiera nord è invece blindata dal 2004, sia per quanto riguarda il transito di persone che di merci. L’attraversamento da parte di persone in movimento era frequente fino al 2018, quando un accordo bilaterale ha portato l’inasprimento dei controlli, rendendola inaccessibile. La valla, recinzione in spagnolo, che racchiude completamente Ceuta tagliandola da costa a costa, fu innalzata da tre a sei metri nel 2006. In seguito ad un finanziamento europeo fu portata all’altezza di dieci metri. I nove km del perimetro frontaliero sono costantemente sorvegliati su entrambi i lati. L’esercito marocchino è stanziato in diversi punti con piccole caserme, su terreni che furono espropriati ai precedenti abitanti. Oltre a torrette per l’avvistamento e telecamere, c’è il filo spinato concertina. In seguito a pressioni di associazioni per i diritti umani queste recinzioni provviste di lame furono tolte dal lato spagnolo nel 2018, spostandole però su lato marocchino, finanziate con soldi europei. Questo processo di esternalizzazione delle frontiere comporta anche una presenza capillare di polizia nell’area che precede la frontiera, con funzione di filtro e rastrellamento delle persone in movimento. Dall’altro lato la Guardia Civil pattuglia Ceuta dall’interno, attraverso strade riservate al solo utilizzo militare e tramite appostamenti con sensori termici notturni.

Alcune associazioni attive in loco supportano le persone in transito, la lotta per il diritto a migrare e per l’abbattimento delle profonde disuguaglianze sociali della città. Tra le altre Elin si occupa principalmente dei corsi di spagnolo per le persone presenti al CETI (Centros de Estancia Temporal de Inmigrantes); No Name Kitchen presta sostegno alle persone in strada, per la maggior parte marocchine; Luna Blanca distribuisce gratuitamente i pasti quotidianamente. Sta inoltre nascendo un nuovo centro: ASCS (Agenzia Scalabriniana Cooperazione e Sviluppo) ha avviato un progetto sulle frontiere e investito su Ceuta. Nel centro dove già è attivo uno spazio diurno ricreativo, in cui si svolgono lezioni di spagnolo, sarà aperta una zona abitativa in cui poter offrire ospitalità.

A Ceuta vige un regime normativo speciale, la città ha uno statuto autonomo che prevede la sospensione di Schengen, maggiori restrizioni nell’accesso a servizi pubblici, difficoltà ad ottenere un domicilio e contratto di lavoro. Sono visibili enormi disuguaglianze tra i diversi quartieri, nei quali vige una netta separazione su base razziale, religiosa e disponibilità di risorse economiche. Percorrendone le vie è forte la sensazione di essere chiusə dentro una recinzione. Oltre lo Stretto è intravisibile il continente, apparentemente vicino, ma ancora fuori portata. Attualmente la maggior parte delle persone prova a superare la frontiera a nuoto attraverso la zona costiera del Tarajal. Per quanto il tratto marittimo possa sembrare breve, è estremamente pericoloso a causa delle forti correnti dello Stretto, oltre ad essere costantemente presidiato. L’1 febbraio più di venti minori e una decina di maggiorenni sono riusciti a raggiungere la spiaggia su territorio spagnolo approfittando del maltempo, quando pare esserci meno sorveglianza. I giornali locali affermano che il Governo di Ceuta ha domandato un ulteriore piano di contingenza per poter trasferire i minori, che per ora sono accolti dal centro La Esperanza. Mentre i maggiorenni sono stati rimpatriati in Marocco.

In quanto territorio europeo, su suolo africano, Ceuta rappresenta una rotta migratoria di interesse. Una volta raggiunta è possibile presentare domanda per regolarizzare la propria posizione e avviare la procedura per ottenere documenti europei.  Queste procedure vengono avviate in seguito all’inserimento al CETI. Per coloro che provengono da paesi considerati a rischio è prevista la possibilità di fare richiesta di protezione internazionale, si tratta principalmente di persone originarie dell’area subsahariana, che vengono prese in carico dal CETI. Sono invece escluse da questo servizio le persone del Maghreb, che rimangono quindi tagliate fuori dalla possibilità di presentare domanda e relegate ad un’ulteriore marginalizzazione, in virtù di criteri arbitrari poichè non dettati da alcuna legge. Per queste persone è stato istituito un apposito sportello informatizzato dove poter presentare domanda. Per ragioni tecniche legate alle modalità di prenotazione digitale la maggior parte delle persone non riesce ad accedervi, e si è sviluppato un sistema di compra-vendita delle prenotazioni, a partire da mille euro. Questa esclusione costringe alla vita di strada, e le lunghe attese ne aggravano le condizioni. A Melilla dove la situazione era simile, in seguito ad azioni legali si è riuscito a far accedere al CETI anche persone provenienti dall’area del Maghreb.

Le minorenni e i minorenni secondo la legge europea hanno diritto all’accoglienza a prescindere dalla provenienza. In città sono situati due centri, distinti per genere, nei quali sono costrettə a rimanere fino al raggiungimento della maggiore età. Solo dopo aver compiuto diciotto anni, infatti, potranno spostarsi nel continente con un permesso temporaneo della durata di sei mesi. Durante questo periodo devono regolarizzarsi sul territorio, attraverso contratti lavorativi e abitativi, per poter rinnovare i documenti. A causa di queste rigide condizioni la maggior parte preferisce quindi tentare la traversata. Le persone minorenni hanno come zona di riferimento la scogliera accanto al porto, qui trovano riparo tra gli spazi concavi delle rocce. Di notte chi prova la partenza cerca un nascondiglio per imbarcarsi, questo in gergo viene chiamato risky, data la nota pericolosità del tentativo. Il livello di violenza e mortalità della frontiera è altissimo: il monitoraggio di Caminando fronteras riporta 6.618 vittime nella rotta di accesso alla Spagna nel 2023. Sono 147 le persone uccise nell’ultimo anno nella zona dello stretto, la maggior parte nel tentativo di raggiungere Ceuta a nuoto.

Anche a Melilla nel 2022 si è verificato un terribile massacro. Oltre quaranta persone morirono nel tentativo di superare l’enorme recinzione. L’associazione marocchina per i diritti umani AMDH dichiara che il bilancio delle vittime è destinato a salire poiché sessantaquattro persone risultano disperse da quel giorno. Ong marocchine e spagnole denunciano un accanimento giudiziario contro le persone in movimento arrestate, che hanno ricevuto condanne detentive e sanzioni pecuniarie. A giugno, in occasione dell’anniversario, si terrà la prima manifestazione per chiedere giustizia, verità e riparazione.

Chiara e Timo

Estate a Ventimiglia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Estate a Ventimiglia: ci sarà mai limite al peggio?

Le contraddizioni della città-confine Ventimiglia si percepiscono quotidianamente. Una dinamica che può portare in qualche caso a normalizzare un contesto surreale, anche a causa della narrazione capovolta che viene fatta. Colpevolizzando i soggetti più fragili, piuttosto che i responsabili dell’esasperarsi di condizioni di marginalità. Ma nonostante questo luogo possa sembrare già saturo di ingiustizie, arriva sempre qualche novità pronta a sorprenderti, a ricordarti che non c’è limite al peggio, che il concetto di umanità che ti eri figurato è relativo e continuamente sotto attacco. Mi sento di aprire con questa immagine il racconto su quest’estate a Ventimiglia. Quel momento in cui tutti e tutte ci siamo guardate e chiesti: avrà mai fine il peggio?

Proprio a causa dell’esasperarsi della situazione era stata convocata una manifestazione il 21 maggio, contro il Decreto Cutro, i suoi nuovi CPR e le modalità criminali di respingimento continuamente messe in atto dalla paf (police aux frontières) in accordo con la polizia italiana. In quell’occasione è stato anche espresso lo sdegno verso il candidato della Lega alle elezioni cittadine, Flavio Di Muro, noto per l’approccio ultra-securitario sbandierato in campagna elettorale e dato favorito nei sondaggi. Non si è fatta mancare la patetica solidarietà dello sfidante del PD che, compartecipe nel teatrino elettorale, ha manifestato supporto a Di Muro in riferimento a delle scritte contro di lui. Altrettanto celere è stata la risposta della questura che il giorno dopo ha identificato in stazione uno dei partecipanti alla protesta, denunciandolo per imbrattamento e dimostrando così la propria efficienza nell’acciuffar colpevoli e ripagare il leso onore dell’onorevole.

Così come preventivato, il 19 giugno si insedia il nuovo sindaco della coalizione di destra Di Muro. Il primo consiglio comunale si apre con un minuto di silenzio in memoria di tre vittime di un incidente d’auto dell’anno precedente: un mezzo militare si era capovolto nei pressi del confine. In quella stessa area dove altre decine di persone sono morte negli ultimi anni, il più recente da quel momento risaliva a 4 mesi prima. A loro non sarà dedicato alcun pensiero, anzi. I primi provvedimenti della nuova giunta porteranno ad una terribile escalation. Il giorno seguente infatti ha avuto luogo lo sgombero dell’accampamento all’addiaccio sotto il ponte di via Tenda, dove decine di persone in transito trovano riparo dalla pioggia e tentano di raccogliersi per stabilire qualche legame comunitario. Lo sgombero era già in programma ma era necessario l’insediarsi di un nuovo sindaco per autorizzarlo, dato che nei mesi precedenti la giunta dell’uscente sindaco Scullino era stata sfiduciata.

Non è la prima volta che l’accampamento informale è stato attaccato da irruzioni e sgomberi, la novità sta nel nuovo provvedimento “anti-bivacco” che, in riferimento al decreto Minniti, ha introdotto sanzioni per i senza tetto che stanziano in luoghi cittadini, prevedendo fino al daspo urbano. Nei giorni seguenti si è palesato un presidio di polizia fisso nei pressi dell’area, in aggiunta ad una cancellata che ne impediva l’accesso. Il risultato è stato un ovvio sparpagliarsi delle persone che vivevano in strada, divise in piccoli gruppi nei vari punti più nascosti della periferia e nella spiaggia più isolata, laddove il fiume Roja confluisce in mare generando una pericolosa corrente. A pochi giorni dallo sgombero riceviamo la notizia che un giovane era stato trovato deceduto sulla spiaggia. In breve capiamo che il ragazzo era una conoscenza nota a buona parte dei solidali e dei migranti stabili sul territorio da più tempo. Non ci sono parole sufficienti per descrivere l’orrore e la rabbia conseguenti alla notizia. La settimana seguente si verifica un episodio simile. Un altro corpo trovato in spiaggia, un altro ragazzo che nel tentativo di lavare i propri indumenti nel fiume ne viene travolto. Un bagnino della zona dice di aver denunciato alle autorità la mancanza di guardia spiagge in quel lato della riviera. Ma tutte le risorse del comune sono concentrate a coprire la parte più turistica. La risposta dell’amministrazione a questo secondo morto è l’istallazione di un cartello che segnala il divieto di balneazione, in una misera operazione di auto-assolvimento da ogni responsabilità. “Il razzismo uccide” era stato denunciato con lo spray sulla sede della Lega durante la manifestazione, sfregiando il sorridente volto del sindaco entrante, che in tutta risposta aveva presentato denuncia per diffamazione contro ignoti.

A inizio luglio mentre in Francia avevano luogo le proteste contro la violenza della polizia, in seguito all’uccisione di Nahel Merzouk, abbiamo assistito a delle anomalie nei pattugliamenti al confine. Infatti per un’intera settimana in zona di frontiera l’esercito ha assunto funzioni di polizia regolare, effettuando controlli e respingimenti. Questa novità è presumibilmente da imputare all’imponente dispiegamento di forze sul fronte interno per reprimere le proteste diffuse in tutto il paese, che ha avrebbe lasciato scoperta l’area di frontiera. E’ anche il risultato di 8 anni di militarizzazione del confine: quella settimana è stata eccezionale solo per come sistematicamente l’esercito ha svolto ruolo autonomo di polizia. Ci sono frequenti racconti di soldati che arrestano persone nelle montagne per poi detenerle illegalmente fino all’arrivo della polizia, una pratica anticostituzionale.

Nelle settimane seguenti nella via dove ha sede la base solidale “Upupa” cresce la tensione con il vicinato, intento a cacciare il collettivo dallo spazio per vie legali. Il pattugliamento della polizia con luci blu accese è costante, sguardi inquisitori fissi sull’infopoint, sul parcheggio dove vengono distribuiti i pasti, la pressione è alle stelle. Il pomeriggio del 25 luglio una colonna di fumo sovrasta la città. Un vasto incendio brucia l’intera area sotto il ponte dove ha sede l’accampamento informale delle persone in transito. Dove alcune settimane dopo lo sgombero erano, come sempre, lentamente tornate a stabilirsi. Immediatamente il dito viene puntato contro i migranti, contro chi cucinando avrebbe fatto sfuggire qualche fiamma. A chi conosce il contesto la dinamica risulta subito strana. I focolai scoppiano in tre punti diversi, distanti e contemporaneamente, coprendo un’importante area. A chi non vuole far finta di niente risulta evidente la natura dolosa. Quando le fiamme sono già alte e diffuse risuonano alcuni forti scoppi e successivamente vengono trovate bombole da campeggio usate per giustificare l’incidente. Il timore che questo episodio venga usato strumentalmente per una stretta securitaria è immediato.

Nei giorni seguenti notiamo che la guardia del cimitero situato di fronte al parcheggio sopra descritto ha degli atteggiamenti particolarmente spavaldi e prepotenti, naturalmente razzisti. Durante il caos dell’incendio era già arrivato a minacciare di sparare ad una solidale che si era recata nei bagni interni, e di chiamare i suoi amici ndranghetisti per completare l’opera ripulendo la zona dai neri. Da notare che stiamo parlando di una persona che non solo mentre parla è armata, ma che si permette addirittura di fare con la mano il segno di una pistola e puntarla in faccia alla ragazza. Gli atteggiamenti aggressivi aumentano fino a quando il sindaco pochi giorni dopo annuncia l’insediamento nel cimitero di una vigilanza privata con l’obiettivo di impedire l’accesso alle persone in movimento che si recavano nei bagni per prendere l’acqua dall’unico rubinetto pubblico rimasto, utilizzando la retorica della sacralità del luogo. Già da tempo tutte le fontane della città erano state sigillate proprio con l’obiettivo di respingere chi era alla ricerca di questo bene primario. La vigilanza viene presto estesa anche ai giardini pubblici cittadini, uno sparuto insieme di aiuole tra cemento e il lungomare. Mentre viene annunciato il ripristino del poliziotto di quartiere, dedito a pattugliamenti a piedi. Un altro provvedimento di riqualifica urbana sbandierato dalla giunta è la rimozione di una grande panchina rossa (simbolo contro la violenza sulle donne). Il sindaco lamenta essere frequentata soprattutto da migranti e accusa presunti no border di averla imbrattata, mentre a suo dire il vero scopo era quello di offrire ai turisti un bel palco per i selfie.

In agosto, in concomitanza con l’aumento degli sbarchi nel sud Italia, c’è stata un’impennata di persone in movimento a Ventimiglia. Data la completa assenza di presidi assistenziali statali l’aggravarsi delle condizioni umanitarie è fisiologico. Le persone alla ricerca di un pasto offerto da collettivi e associazioni hanno raggiunto le centinaia. Si moltiplicano le violazioni dei diritti, come aggressioni fisiche e detenzioni arbitrarie, più facilmente denunciabili riguardo i minori. Infatti la legge internazionale prevede per i minori non accompagnati la libertà di movimento tra gli stati membri dell’unione e protezione in ogni stato membro. Spetterebbe all’ASE (Aide Sociale à l’Enfance) valutare la loro minore età, invece il loro respingimento avviene regolarmente falsificando la data di nascita. Lunedì 21 agosto erano trattenut* illegalmente 68 minori in condizioni igienico-sanitarie deplorevoli: dentro un container, ammassati, dormendo per terra, senza avere accesso ad assistenza legale o a traduttore/traduttrice. Il 23 agosto erano in 78! Privati della libertà fino a 5 giorni, in chiara violazione della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, di cui la Francia è firmataria. Da gennaio abbiamo anche riscontrato l’utilizzo dell’OQTF (obligation de quitter la France) per respingere minori. Si tratta di un documento creato per criminalizzare persone in movimento inserendole in un database e rendendo così loro impossibile cercare una casa, un lavoro, ottenere una visa in ogni paese europeo. Questa nuova modalità di utilizzo è un preoccupante segnale che rientra nelle sperimentazioni repressive, una tecnica per diffondere la paura proprio perché è un provvedimento amministrativo particolarmente difficile da contestare e si può rischiare di essere deportati prima che le pratiche legali siano concluse, o che venga raggiunta la maggiore età prima che si riesca a dimostrare il contrario.

Quest’estate a Ventimiglia suona proprio come le parole di William Butler Yeats: “I migliori mancano di ogni convinzione, mentre i peggiori sono pieni di intensità appassionata”

 

Manifestazione in memoria di Moussa Balde. Contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale.

Riceviamo e Pubblichiamo la chiamata alla manifestazione di domenica 21 maggio promossa dal Centro sociale La Talpa e L’orologio – Imperia, Progetto 20k – Ventimiglia. 

A seguire pubblichiamo il Report dall’assemblea contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale del 30 aprile 2023

 

Manifestazione in memoria di Moussa Balde. Contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale.Ventimiglia, domenica 21 maggio 2023 concentramento ore 11 piazzale della stazione

Moussa Balde muore nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2021 in una cella dell’area d’isolamento, denominata Ospedaletto, del CPR di Torino. Il 9 maggio era stato pestato a Ventimiglia da tre italiani e dopo essere stato in ospedale venne richiuso nel centro di detenzione, ignorando le sue gravi condizioni fisiche e psicologiche. Moussa, originario della Guinea, è stato detenuto in quanto persona non-europea e irregolare sul territorio, e per questo è morto nel chiuso di una cella. La morte di Moussa non è stata nè “fatalità” nè il frutto di una catena di inadempienze, ma la conseguenza del razzismo strutturale del sistema in cui viviamo.

A due anni di distanza la situazione a Ventimiglia è, per quanto insopportabile ammetterlo, peggiorata ulteriormente. Dopo quasi otto anni di chiusura della frontiera da parte del governo francese, che ha causato la morte diretta di almeno 42 persone e devastato la vita di altre migliaia, la violenza che subiscono le persone in transito continua ad aumentare. Solo negli ultimi due mesi è stata approvata un’ordinanza “antidegrado” che colpisce gli insediamenti informali e le persone che abitano questi luoghi, che va ad aggiungersi ad operazioni di polizia tanto scenografiche quanto violente per chi già è costretto a vivere in condizioni di estrema marginalità.

Nei primi mesi dell’anno sono più di quarantamila le persone che sono sbarcate sulle coste italiane, a dimostrare l’assoluta insostenibilità e insensatezza delle politiche di respingimento in mare volute dal governo Meloni. In questi ultimi giorni, con l’approvazione alla Camera, il cosiddetto Decreto Cutro è diventato legge e questo determinerà un ulteriore peggioramento nelle condizioni di vita e accesso ai diritti per richiedenti asilo e altra forma di protezione. Con la dichiarazione dello stato di emergenza, i finanziamenti contenuti nel PNRR e i nuovi dispositivi di questa legge infame che porta il nome di una strage, il governo Meloni e il suo ministro dell’interno Piantedosi puntano a creare un sistema detentivo di massa che calpesta le legittime aspirazioni di libertà delle persone migranti. Solo cosi’ puo’ essere interpretata la volontà di aprire un CPR in ogni regione e le trasformazioni in atto nel sistema di prima d’accoglienza.

In questo contesto lo stato francese continua a rinforzare il dispositivo di controllo e respingimento alla frontiera interna, riproducendo e dando forza alla violenza razzista e arbitraria delle forze di polizia francesi lungo tutta la linea di confine. A completare questo quadro ci sono poi gli accordi bilaterali che Italia e Francia continuano a siglare con i paesi sull’altra sponda del mediterraneo come Libia e Tunisia, rendendosi di fatto responsabili dell’aumento dei naufragi e dei respingimenti in mare ad opera di guardie costiere e border forces pagate con soldi europei.

Lo scenario per i prossimi mesi alla frontiera italofrancese, per quanto ancora pieno di incognite, non è quindi per nulla rassicurante e richiede l’attivazione di tutte le forze solidali. Non staremo a guardare il razzismo strutturale di questa europa distruggere vite umane senza far nulla! Per questo invitiamo collettivi, movimenti, organizzazioni e singol3 a scendere in piazza con noi per una manifestazione commemorativa, ma anche di rivendicazione, e che sia attraversabile da tutt3, con o senza documenti. Immaginiamo un momento che dia spazio a diverse prese di parola e invitiamo quindi tutt3 a portare le proprie testimonianze, denunce, pensieri e rivendicazioni riguardo cio’ che accade a Ventimiglia e altrove.

Per Moussa Balde e tutte le vittime della violenza razzista delle frontiere! Per la libertà di movimento per tutt3!
Contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale!
Per l’abolizione e la chiusura di tutti i CPR!

Freedom, Hurrya, Libertà!

Centro sociale La Talpa e L’orologio – Imperia Progetto 20k – Ventimiglia

Report dall’assemblea contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale

All’assemblea contro le frontiere, il razzismo e la violenza istituzionale convocata il 30 Aprile a Ventimiglia erano presenti una settantina di persone, con delegazioni della frontiera sud del Mediterraneo (Mem.med.) e dei diversi punti di passaggio sulla frontiera italo-francese (alta val di Susa e valle Stura), oltre che solidali del ponente ligure (Imperia, Sanremo e Ventimiglia) e delle grandi città più prossime al confine (Torino, Genova e Nizza). Le persone presenti hanno discusso ampiamente della situazione sui diversi punti della frontiera e ne è emersa una lettura e delle proposte che qui cerchiamo di riportare.

Dalla chiusura della frontiera nel 2015, mai la situazione sociale e umana delle persone migranti è stata così difficile, vulnerata dall’abbandono istituzionale, dalla repressione delle forze di polizia italiane e francesi e dalla violenza generata dalla marginalità a cui queste persone sono state condannate. In questo contesto anche la solidarietà attiva fatica a dare sostegno alle persone in transito ed è stato quindi ribadito con forza il bisogno di riprendere parola politicamente, stringere nuove alleanze e pensare nuove pratiche di fronte a quanto accade a Ventimiglia. Diventa inoltre urgente costruire una mobilitazione che ponga un argine a questa deriva, anche in vista di una stagione estiva che si annuncia drammatica.

Quali avvenimenti hanno segnato la città di frontiera negli ultimi mesi? Le decisioni prese all’interno del “Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica”, su spinta del nuovo prefetto Valerio Massimo Romeo, sembrano essere una riproposizione della linea Meloni-Piantedosi nella città di confine. Senza considerare realmente i bisogni delle persone in transito (salvo i “punti di assistenza diffusa” sulla cui natura, ad oggi, poco è dato sapere), le autorità si sono concentrate unicamente sulla repressione. Una nuova ordinanza “anti-degrado”, firmata dal Commissario straordinario al comune di Ventimiglia Samuele De Lucia, individua le aree di via Tenda e della stazione come luoghi sensibili a cui applicare una giurisdizione “speciale”, e le persone migranti che vi gravitano come oggetto di dispositivi di allontanamento quali il Daspo urbano. Subito dopo l’emanazione di questi dispositivi è seguita una spettacolare operazione di polizia con il disgustoso nome “Pantografo”, a indicare quel pezzo delle locomotrici sotto cui diverse persone hanno trovato la morte per folgorazione, nascoste sul tetto dei treni diretti in Francia. Tale operazione è servita a comunicare come anche a Ventimiglia tutti i problemi sono legati al fenomeno del passeuraggio. In realtà sono state arrestate una decina di persone accusate di essere passeur di piccolo taglio senza alcuna organizzazione alle spalle. Non sono poi mancati nelle ultime settimane interventi vessatori sulle persone in transito, con ordini di allontanamento e micro-sgomberi mirati degli insediamenti informali maggiormente visibili, come ad esempio davanti alla chiesa delle Gianchette.

Sul lato francese intanto il governo Macron, in crisi di legittimità dopo il passaggio in forza della Loi Retraite ed al momento incapace di affrontare il dibattito sul disegno di legge sull’immigrazione (che porta il nome del ministro dell’interno Darmanin), ha annunciato il rafforzamento del dispositivo di controllo con l’aggiunta di 150 effettivi, che sono entrati in funzione in questi giorni, e la creazione di una nuova border force.

Il caso del naufragio di Steccato di Cutro è stato portato come emblematico di cio’ che non si vede, prima e dopo questa strage. Naufragi e respingimenti sono in aumento e le politiche di esternalizzazione delle frontiere, fortemente volute e finanziate dai governi europei, stanno determinando nuove violenze tanto in Libia quanto in Tunisia, dove l’attacco alle popolazioni subsahariane fa il paio con la criminalizzazione dei pescatori che portano soccorso alle barche in difficoltà. All’arrivo sulle coste italiane si aggiungono ulteriori violenze per chi sopravvive, che assumono la forma di un’accoglienza indegna e del mancato accesso alle informazioni sul destino dei propri cari. A Cutro è risultata evidente l’impreparazione istituzionale di fronte a una strage di quella portata, con prassi di identificazione dei corpi confuse e l’abbandono totale tanto delle persone sopravvissute, quanto delle famiglie di quelle scomparse. Associazioni e realtà solidali si sono fatte carico dell’accompagnamento delle famiglie con le proprie sole forze, e soltanto la determinazione dei familiari delle vittime ha permesso di avere risposte sul rimpatrio dei corpi e su quanto succedeva a Cutro. La risposta governativa è invece tristemente nota, con un consiglio dei ministri che è servito unicamente a criminalizzare gli scafisti e le persone che si imbarcano, deresponsabilizzando il governo rispetto a quanto accaduto e gettando le basi per un nuovo tornante repressivo.

Vaso comunicante con Ventimiglia è la frontiera sul Monginevro.

Il grosso dei passaggi in alta val di Susa inizia infatti a partire del 2017, anno in cui si rafforzano i controlli attorno a Ventimiglia, e sono caratterizzati in un primo periodo dalla presenza di uomini provenienti dalla rotta balcanica, che pur portando sul corpo i segni del viaggio, avevano chiari progetti migratori e una certa esperienza della montagna. Oggi le persone che raggiungo Oulx sono diverse per provenienza e profilo. Uomini e donne vulnerate, con meno esperienza della montagna, trovano ancora ad accoglierle un tessuto solidale sul territorio. Ma la stanchezza dellə solidali comincia a farsi sentire, ed il passaggio per queste persone è sempre più difficile. Emerge anche da questo nodo della frontiera italo-francese il bisogno di rinsaldare le nostre reti di solidarietà dal basso. Forte anche il desiderio di mobilitazione collettiva che il presidio al colle della Maddalena, in alta valle Stura, di sabato 29 aprile ha espresso. La necessità di organizzarci insieme è urgente, su tutta la frontiera italo-francese – che infondo è unica per chi l’attraversa.

A Ventimiglia ci troviamo di fronte a un potere che ha fatto di tutto per rendere atroce una situazione già difficile, mentre in questo territorio è mancata la voce strategica della società civile, anche laddove alcune realtà del terzo settore sono impegnate nell’accoglienza istituzionale e quindi pienamente implicate con quanto accade. Abbiamo davanti agli occhi l’inadeguatezza dei servizi sociali territoriali, dei presidi sanitari e di salute mentale, mentre precipitano velocemente le condizioni critiche dell’umanità sotto il ponte di via Tenda.

Nella parte finale della discussione è stata evidenziata la volontà di rivedersi e di coordinarsi maggiormente lungo tutta la frontiera italo-francese, quindi costruire insieme proposte di mobilitazioni unitarie. Dallə solidali del territorio è stata ribadita la volontà di dare continuità all’assemblea, con una mobilitazione che riesca a visibilizzare e denunciare l’estrema violenza della situazione locale. Nella testa e nei cuori di chi è stato/a presente negli ultimi anni a Ventimiglia l’occasione per mobilitarsi è stata individuata nell’anniversario del pestaggio e della morte di Moussa Balde – morto al CPR di Torino nella notte tra il 22 ed il 23 Maggio 2021, storia emblematica della violenza razzista dei dispositivi di frontiera. Anche la famiglia di Moussa sostiene con determinazione la lotta al razzismo e alle frontiere, e ci invita ad organizzarci per un momento che sia di commemorazione ma anche di denuncia e rivendicazione.

Crediamo che questa possa essere anche un’occasione per dare continuità alla lotta contro la legge approvata in questi giorni e che porta il nome della strage di Cutro, contro il razzismo strutturale della nostra società e tutti i dispositivi che impediscono alle persone migranti una vita degna.

È fissato dunque per DOMENICA 21 MAGGIO alle ore 11:00 il concentramento in stazione a Ventimiglia, per convergere insieme in una manifestazione che attraverserà il centro della città di confine con le parole d’ordine

Per Moussa e per le vittime delle frontiere! Contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale!”

Assemblea per la libertà di movimento, contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale

Riceviamo e pubblichiamo

ASSEMBLEA PER LA LIBERTÀ DI MOVIMENTO, CONTRO FRONTIERE, RAZZISMO E VIOLENZA ISTITUZIONALE

Domenica 30 aprile – ore 14:00
Giardinetti pubblici di Ventimiglia

Fonte: La Talpa e l’orologio 

Il governo Meloni sta provando a fare del naufragio di Cutro, frutto maturo delle politiche di morte italiane ed europee degli ultimi anni, un’occasione per peggiorare ulteriormente le condizioni di vita delle persone migranti e criminalizzarne la presenza ed il transito, scaricando cosi ogni responsabilità sull’accaduto.
Dall’inizio dell’anno il numero degli sbarchi ha reso evidente come la politica dei respingimenti in mare sia stata, oltre che mortifera, impossibile ed inutile. Il decreto Cutro, e gli emendamenti che rischiano di passare, non intendono occuparsi dei naufragi o della crisi dell’accoglienza, ma anzi riducono ulteriormente servizi e condizioni d’accesso per le persone in arrivo, rilanciando le detenzioni amministrative e le espulsioni come soluzione viabile nella quale investire risorse, e cercando facili capri espiatori nelle figure degli scafisti, dei trafficanti e dei passeur (sovrapponendo colpevolmente la tratta di esseri umani con l’aiuto al passaggio). Per finire lo stato d’emergenza, colpo di scena che farà la gioia degli affaristi per i quali basterà l’accordo con le prefetture di riferimento per andare in deroga a qualunque norma sull’accoglienza e aprire un centro.
Nel frattempo a livello europeo lo scontro sui cosiddetti movimenti secondari che contrappone paesi del sud Europa, che vorrebbero saltasse il principio del primo paese d’approdo, e paesi del nord Europa contrari a ogni trasferimento di responsabilità, non sembra trovare soluzione e pare quindi che il regolamento Dublino rimarrà il riferimento obbligato in assenza di altro accordo. L’unico punto in comune tra i paesi dell’Unione pare l’impegno nell’esternalizzazione dei confini europei, ulteriore vettore di destabilizzazione dei paesi dell’altra sponda del mediterraneo e causa di gravi violazioni dei diritti umani.
A Ventimiglia nell’ultimo mese abbiamo visto un rinnovato protagonismo da parte della prefettura su una situazione che si è scientemente lasciata incancrenire in questi anni. Dopo sette anni di chiusura della frontiera da parte del governo francese, che ha causato la morte diretta di almeno 42 persone e devastato la vita di altre migliaia, la situazione è oggettivamente disastrosa. Non essendoci luoghi di accoglienza per le persone in transito, e non solo, queste trovano riparo in insediamenti informali dove l’amministrazione pubblica ha deciso deliberatamente di non raccogliere la spazzatura, non dare accesso all’acqua potabile nè a dei bagni pubblici, delegando a umanitari e solidali il minimo vitale per queste persone. Unico intervento pubblico quello di controllo e repressione verso i/le transitanti
e le persone che avendo fatto domanda in Italia restano a Ventimiglia in attesa di un posto in accoglienza. Alcune di queste persone continueranno con coraggio e determinazione ad affrontare il loro viaggio, altre rimarranno bloccate a Ventimiglia per un tempo indeterminato, nell’attesa di capire dove andare e come farlo.
Su questa situazione già di per sé al limite la nomina di un nuovo prefetto, a quanto pare vicino al ministro Piantedosi, ci dà una dimostrazione plastica di come il governo ha intenzione di gestire la fase attuale. A fine marzo i tavoli per la sicurezza hanno predisposto cio’ che è stato deciso a Roma, cioè niente accoglienza ma un piano di assistenza per donne e bambini da appaltare alle organizzazioni umanitarie, un’ordinanza antidegrado per la zona degli insediamenti informali sotto il ponte di via Tenda (che prevede anche il DASPO urbano per quelle persone che pur coi documenti in regola o in attesa di regolarizzazione si ritrovano a vivere sotto un ponte), a cui far seguire immediatamente un’operazione di polizia in grande stile con elicottero, cani e decine di mezzi per arrestare 13 passeur di piccolo taglio che agivano perlopiù individualmente e vivevano sotto il ponte. Niente che migliori minimamente la vita di chi abita o transita a Ventimiglia. Una parte non irrilevante delle persone sbarcate in questi mesi, e che continueranno a sbarcare nei prossimi, transiteranno per Ventimiglia e troveranno la frontiera chiusa, come accade da sette anni. Mentre sotto il ponte le condizioni socio-sanitarie si aggravano, niente è predisposto al transito delle
persone salvo i mezzi delle forze di polizia da mobilitare alla bisogna, per regolari rastrellamenti (i cosiddetti “pattuglioni”) o per le operazioni in grande stile a cui il nuovo prefetto sembra volerci abituare.
Bisogna porre un argine alla deriva razzista delle politiche sulla vita delle persone in migrazione, ed è per questo che stiamo cercando un confronto ampio, con realtà locali e non. Per continuare a costruire insieme l’opposizione sociale al decreto Cutro ed ai disegni di Meloni e Piantedosi per terra e per mare. Per la chiusura di tutti i centri di detenzione e contro ogni progetto di costruzione di nuovi CPR. Per lottare ancora e di nuovo contro la chiusura della frontiera decisa dal governo francese. Per pretendere una vita degna per tutte e tutti!

Per questo invitiamo collettivi, movimenti, organizzazioni e singole/i a unirsi a noi il 30 APRILE ALLE  ORE  14:00 NEI GIARDINETTI PUBBLICI DI VENTIMIGLIA per una grande assemblea per la libertà di movimento, contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale.
Partecipiamo numeros*!

ASSEMBLÉE POUR LA LIBERTÉ DE CIRCULATION, CONTRE LES FRONTIÈRES, LE RACISME ET LA VIOLENCE INSTITUTIONNELLE
Dimanche 30 avril – 14:00
Jardins publics de Vintimille

Le gouvernement Meloni tente de faire du naufrage de Cutro, resultat des politiques de mort italiennes et européennes de ces dernières années, une occasion d’aggraver encore les conditions de vie des migrantes et de criminaliser leur présence et leur parcours migratoire, rejetant ainsi toute responsabilité sur l’événement.
Depuis le début de l’année, le nombre d’arrivées de bateaux montre clairement que la politique de rejet en mer est non seulement mortelle, mais aussi impossible et inutile. Le décret Cutro et les amendements qui seront probablement adoptés, n’ont pas l’intention de traiter les naufrages ou la crise de l’accueil, mais plutôt de réduire davantage les services et leur conditions d’accès pour les personnes qui arrivent, en reaffirmant les détentions administratives et les expulsions comme une solution viable dans laquelle investir des ressources, et en cherchant des boucs émissaires faciles dans les figures des passeurs et des trafiquants (confondant de manière coupable la traite des êtres humains et l’aide au passage). Et pour finir, l’état d’urgence, un coup de théâtre qui ravira les affairistes pour qui un simple accord avec les préfectures suffira pour déroger à toute réglementation sur l’accueil et ouvrir un centre.
En attendant, au niveau européen, l’affrontement sur les mouvements dits secondaires, qui oppose les pays du sud de l’Europe qui voudraient que l’on dépasse le principe du premier pays d’arrivée et les pays du nord de l’Europe opposés à tout transfert de responsabilité, ne semble pas avoir trouvé de solution. Il semble donc que le règlement de Dublin restera la référence obligatoire en l’absence de tout autre accord. Le seul point commun entre les pays de l’Union semble être l’engagement en faveur de l’externalisation des frontières européennes, vecteur supplémentaire de déstabilisation pour les pays de l’autre côté de la Méditerranée et la cause de graves violations des droits de l’homme.
A Vintimille, nous avons assisté le mois dernier à un regain de protagonisme de la part de la préfecture face à une situation que l’on a sciemment laissé s’envenimer ces dernières années. Après sept ans de fermeture des frontières par le gouvernement français, qui a causé la mort directe d’au moins 42 personnes et a dévasté la vie de milliers d’autres, la situation est objectivement désastreuse. En l’absence de lieux d’accueil pour les personnes en transit (et pas seulement) celles-ci trouvent refuge dans des campements informels où l’administration publique a délibérément décidé de ne pas ramasser les ordures, de ne pas donner accès à l’eau potable ou à des toilettes publiques, déléguant aux travailleur.euses humanitaires et aux personnes solidaires le soin d’apporter le minimum vital. La seule intervention publique est celle du contrôle et de la répression à l’égard des personnes en transits et des personnes qui, ayant déposé une demande d’asile en Italie, restent à Vintimille dans l’attente d’une place d’accueil. Certaines de ces personnes continueront avec courage et détermination à affronter leur voyage, d’autres resteront bloquées à Vintimille pour une durée indéterminée en attendant de savoir où aller et comment s’y prendre.
Sur cette situation déjà limite, la nomination d’un nouveau préfet, apparemment proche du ministre Piantedosi, illustre bien la manière dont le gouvernement entend gérer la séquence actuelle. Fin mars, une table ronde sur la sécurité a mis en place ce qui avait été décidé à Rome, c’est-à-dire pas d’accueil mais un plan d’assistance pour les femmes et les enfants à confier à des organisations humanitaires, une ordonnance anti-dégradation sur la zone d’habitat informel sous le pont de la via Tenda (qui prévoit aussi un DASPO urbain pour les personnes qui, bien qu’en règle ou en attente de régularisation, se retrouvent sous un pont), immédiatement suivie d’une opération policière de grande envergure avec hélicoptères, chiens et dizaines de véhicules pour arrêter 13 petits trafiquants qui agissaient pour la plupart individuellement et vivaient sous le pont. Rien qui n’améliore le moins du monde la vie des habitant.es de Vintimille ou de celles et ceux qui passent par là.
Une partie non négligeable des personnes qui ont débarqué ces derniers mois, et qui continueront à débarquer dans les mois à venir, transiteront par Vintimille et trouveront la frontière fermée, comme c’est le cas depuis sept ans. Alors que les conditions socio-sanitaires s’aggravent sous le pont, rien n’est préparé pour le transit des personnes, à part des véhicules de police à mobiliser en fonction des besoins, pour des descentes régulières (les fameuses “patrouilles”) ou pour les opérations d’envergure auxquelles le nouveau préfet semble vouloir nous habituer.
Nous devons mettre un terme à la dérive raciste de ces politiques sur la vie des migrants, c’est pourquoi nous recherchons une réflexion large, avec les réalités d’ici et d’ailleurs. Pour continuer à construire ensemble l’opposition sociale au décret Cutro et aux plans terrestres et maritimes de Meloni et Piantedosi. Pour la fermeture de tous les centres de rétention et contre tout projet de construction de nouveaux CPR. Pour lutter encore et toujours contre la fermeture de la frontière décidée par le gouvernement français. Pour exiger une vie digne pour tous.tes !

C’est pourquoi nous invitons les collectifs, mouvements, organisations et individus à nous rejoindre le 30 AVRIL À 14 h DANS LE JARDIN PUBLIC DE VENTIMIGLIA pour une grande assemblée pour la liberté de circulation, contre les frontières, le racisme et la violence institutionnelle.
Participons nombreux.ses !

 


https://fb.me/e/YnO6YsoP

Contro il razzismo e i CPR, per Moussa Balde

Riceviamo e pubblichiamo:

Contro il razzismo e i CPR, per Moussa Balde

Il 10 gennaio saremo davanti al tribunale di Imperia per affermare ancora una volta che la morte di Moussa Balde non è stata accidentale: è l’esito diretto di una serie di azioni e di silenziose complicità da parte di soggetti diversi in un contesto dominato dall’ideologia e dalle politiche razziste che lo Stato promuove e legittima.

Le persone responsabili della discriminazione e della violenza che hanno portato Moussa Balde a morire nel centro torinese di detenzione per migranti (CPR) sono i membri della commissione che gli hanno rifiutato la protezione, i tre uomini che lo hanno preso a sprangate in pieno giorno nel centro di Ventimiglia, i numerosi testimoni che non sono intervenuti per fermare il linciaggio, la questura di Imperia che ha deciso per la sua reclusione anziché proteggerlo come testimone della violenza a lui inflitta, i rappresentanti delle istituzioni che hanno sostenuto che non si trattasse di aggressione razziale prima ancora di iniziare le indagini, i medici delle strutture sanitarie che a 24 ore dall’aggressione ne hanno firmato l’idoneità alla reclusione e successivamente all’isolamento, chi lo ha imprigionato negando per giorni la sua presenza nel CPR per impedire che Moussa potesse essere raggiunto dal suo avvocato.

Il 14 Ottobre a Imperia si è aperto il procedimento a carico dei tre uomini che hanno aggredito Moussa Balde nelle strade di Ventimiglia il 9 Maggio 2021.

Il 10 Gennaio, secondo la formula del rito abbreviato scelta dagli imputati, verrà emessa la sentenza.

È invece ancora aperta l’inchiesta per omicidio colposo avviata per accertare i fatti accaduti all’interno del CPR di Torino a seguito del presunto suicidio di Moussa Balde. L’indagine che vede indagati la direttrice del centro, il medico della struttura e nove poliziotti si allarga anche ad altri casi di procedure illegittime all’interno del CPR, dove già altre persone migranti avevano trovato la morte e dove continuamente si registrano tentativi di suicidio.

Indipendentemente dall’esito dei tribunali sappiamo che la fine di Moussa Balde è un crimine d’odio e che la responsabilità di questa morte è delle dinamiche di esclusione e razzializzazione che hanno prima schiacciato le speranze di Moussa di costruirsi una vita dignitosa in Europa per poi seppellire la verità sulla sua aggressione sotto una coltre di omertà.

! Per impedire che coloro che lo hanno ridotto al silenzio possano avere il monopolio della verità su questa storia di violenza e razzismo !

! Per l’abolizione dei CPR e di ogni forma di detenzione delle persone migranti !

! Per la libertà di circolazione e autodeterminazione di tutte le persone in viaggio, a prescindere da documenti e paese d’origine!

APPUNTAMENTO AL TRIBUNALE DI IMPERIA

10 GENNAIO ORE 9:00

IN SOLIDARIETA’ A MOUSSA BALDE E ALLA SUA FAMIGLIA

Solidali di Ventimiglia

(per ulteriori informazioni: https://parolesulconfine.com/moussa-balde-e-la-sua-famiglia-non-sono-soli/ ; https://parolesulconfine.com/moussa-balde-e-morto-di-razzismo/ )

Per contribuire alle spese legali per il processo di Imperia e per quello che si aprirà sul CPR di Torino:

IBAN: IT58H3608105138280345080353

BIC: PPAYITR1XXX

CAUSALE: solidarietà a Moussa Balde

Moussa Balde è morto di razzismo

Riceviamo e pubblichiamo (ita, eng, fra)

Per info sulla precedente udienza, vedi: Moussa Balde e la sua famiglia non sono soli

Moussa Balde è morto di razzismo

Il 14 ottobre al tribunale d’Imperia è iniziato il processo a tre italiani che il 9 maggio 2021 aggredirono brutalmente Moussa Balde a Ventimiglia. L’aggressione avvenne in pieno giorno in via Ruffini tra un supermercato e gli uffici della polizia di frontiera. 

Gli imputati sono a processo per lesioni aggravate dal numero di persone e dall’uso dell’arma, una spranga in questo caso, e sono difesi dall’avvocato Marco Bosio, noto per essere stato il difensore degli imputati nei processi contro la criminalità organizzata nel Ponente Ligure,  conosciuti come “SPI.GA” e “La Svolta”. Gli aggressori sono stati denunciati a piede libero in seguito a un video della violenza che ha fatto il giro del web, nel quale gli imputati sono riconoscibili. 

Il giorno stesso dell’aggressione il questore d’Imperia si affretta a fare dichiarazioni escludendo la matrice razziale delle violenze, che gli imputati giustificano come reazione ad un fantomatico tentato furto con una nullità di prove. 

Resta evidente il razzismo istituzionale che mette in atto un protocollo non per tutelare la vittima del linciaggio, ma piuttosto le persone italiane incriminate dal video filmato da un balcone.

Infatti in seguito all’aggressione Moussa Balde, originario della Guinea, viene portato all’ospedale per trauma facciale e lesioni, medicato e dimesso il giorno stesso, portato in commissariato viene consegnato all’ufficio immigrazione e, controllata la sua irregolarità sul territorio, viene recluso nel CPR (Centro di Permanenza per i Rimpatri) di Torino in attesa d’espulsione. 

Allontanato da Ventimiglia Moussa è finito al CPR senza aver mai firmato nessuna testimonianza sulla sua aggressione e senza che gli sia stata posta alcuna domanda sullo svolgimento dei fatti. Non ha ricevuto nessuna visita psicologica ma è stato rinchiuso a Torino, dove per diversi giorni gli avvocati non sono riusciti a rintraccialo perchè Moussa era stato registrato al CPR con un nome diverso da quello segnato dalla questura di Imperia. 

In una cella dell’area d’isolamento, denominata Ospedaletto, del CPR di Torino Moussa Balde muore la notte tra il 22 e il 23 maggio. I compagni di prigionia, che hanno iniziato una protesta quando hanno saputo la notizia della sua morte, hanno raccontato che la notte del 22 maggio l’avevano sentito urlare a lungo e chiedere l’intervento di un dottore senza mai ricevere risposta. 

E’ in corso un’indagine per omicidio colposo sui fatti avvenuti all’interno del centro detentivo dov’era rinchiuso Moussa quando è deceduto.

Il 14 ottobre scorso durante la prima udienza gli imputati hanno richiesto ed ottenuto il rito abbreviato, quindi il processo andrà avanti a porte chiuse e senza l’ausilio di testimonianze. 

Grazie alla presenza in aula del fratello Amadou Thierno Balde, la famiglia di Moussa si è costituita parte civile. 

Neppure al processo è stata riconosciuta l’aggravante dell’odio razziale, infatti la stessa procura ha deciso di non contestarla, decisione sulla quale l’avvocato della famiglia si opporrà nel dibattimento.

La giudice ha inoltre respinto la richiesta di costituirsi parte civile presentata da tre associazioni operanti nel territorio di Ventimiglia.

Non potendo entrare in aula, un gruppo di solidali si è radunato davanti al tribunale di Imperia e, dopo la rapida udienza, si è spostato a Ventimiglia nel luogo dove avvenne l’aggressione razzista, insieme ad Amadou Thierno Balde. 

Le persone solidali hanno camminato lungo le vie del centro per ricordare che la morte di Moussa Balde non è stata un tragico episodio ma il risultato di un brutale razzismo, anche istituzionale, che si palesa nel trattamento subito dal sopravvissuto al violento pestaggio, il quale è passato dall’ospedale, dal commissariato, dalla questura, dal CPR di Torino, davanti al medico che lo ha valutato idoneo alla detenzione, dall’isolamento disumano senza contatti con l’esterno e senza qualsiasi tipo di cura.

“Il trattamento che ha ricevuto prima di morire nessun individuo, nessun essere umano dev’essere trattato in questa maniera” dice Thierno Balde fuori dal tribunale d’Imperia, parlando del fratello “Perchè non ci siano più ingiustizie o razzismo, perché è duro ma bisogna essere chiari, si tratta di razzismo quello che ha subito. Perché non ci siano più casi così nel mondo intero, in particolare in Italia. Che il diritto in tutto il mondo sia rispettato, il diritto umano.”

La prossima udienza del processo ai tre aggressori sarà al tribunale d’Imperia il 9 dicembre alle ore 13:00.

Per impedire che questa storia finisca nel silenzio, per contrapporsi alla violenza razzista, per la libera autodeterminazione di tutte e tutti.

Per l’abolizione e la chiusura di tutti i CPR.

Ci ritroviamo il 9 dicembre 

alle 12:00 di fronte al tribunale d’Imperia  

alle 15:00 in Piazza De Amicis a Imperia Oneglia per un presidio e un volantinaggio antirazzista

Video della giornata del 14 ottobre con Thierno Amadou Balde –
https://youtu.be/keioX07CiEI

Per contribuire alle spese legali,  sia per il processo ad Imperia, che per quello che si aprirà a Torino dopo la chiusura delle indagini.

IBAN: IT58H3608105138280345080353

CAUSALE: solidarietà a Moussa Balde

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Moussa Balde died from racism

The trial of three Italians who brutally attacked Moussa Balde in Ventimiglia on May 9, 2021, began at the court of Imperia on October 14th. The attack took place in broad daylight on Ruffini Street between a supermarket and the border police offices. 

The defendants are on trial for injuries aggravated by the number of people and the use of an iron bar. They are being defended by lawyer Marco Bosio, known for having been the defense counsel in the trials against organized crime in western Liguria known as “SPI.GA” and “La Svolta”. 

The attackers were reported because a video of the violence was taken and then spread around the web, in which the defendants are recognizable. 

On the very day of the attack, the Imperia police commissioner rushed to make statements ruling out the racial matrix of the violence, which the defendants justified as a reaction to a phantom attempted robbery without a shred of proof

Institutional racism remains evident, putting in place a protocol not to protect the lynching victim, but rather the Italian people incriminated by the video filmed from a balcony.

In fact, following the attack Moussa Balde (from Guinea) was taken to the hospital for facial trauma and injuries, medicated and discharged the same day. Taken to the police station he was handed over to the immigration office and, checked for his irregularity in the territory, he was imprisoned in the CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio, or detention center) in Turin awaiting deportation. 

Removed from VentimigliaMoussa ended up at the CPR without ever having signed any testimony about his assault and without being asked any questions about the course of events. He received no psychological examination but was locked up in Turin, where, for several days lawyers were unable to track him down because Moussa had been registered at the CPR under a name different from the one marked by the Imperia police headquarters. 

In isolation in a zone of the CPR called Ospedaletto in TurinMoussa Balde died on the night between May 22nd And 23rd. Fellow prisoners who started a protest when they knew about his death said that on the night of May 22, they had heard him screaming for a long time and calling for a doctor without ever receiving a response. 

A manslaughter investigation is under way into the events that took place inside the detention center where Moussa was confined when he died.

On October 14 during the first hearing, the defendants requested and obtained an abbreviated trial, so the trial will go on behind closed doors and without the aid of witnesses. 

Thanks to the presence of Moussa’s brother Amadou Thierno Balde in the courtroom, Moussa’s family has filed civil 

Not even at the trial was the aggravating factor of ethnic hatred recognized; in fact, the prosecutor’s office itself decided not to challenge it, a decision on which the family’s lawyer will argue in the trial.

The judge also rejected the request for civil action filed by three associations operating in the Ventimiglia area.

Unable to enter the courtroom, a group of solidarians gathered in front of the Imperia courthouse and, after the quick hearing, moved to Ventimiglia to the site where the racist attack took place, along with Amadou Thierno Balde. 

Those in solidarity walked along the streets of the city center to remember that Moussa Balde’s death was not a tragic episode but the result of brutal racism, including institutional racism. This is evident in the treatment suffered by the survivor of the violent beating, who went from the hospital to the police station, the police headquarters to the CPR in Turin, before arriving before the doctor who assessed him fit for detention, inhumane isolation without contact with the outside world and without any kind of care.

“The treatment he received before he died, no individual, no human being should be treated in this way.” says Thierno Balde outside the court in Imperia, speaking of his brother “So that there will be no more injustice or racism, because it’s harsh but you have to be clear, it’s racism what he suffered. So that there are no more cases like this in the whole world, particularly in Italy. Let the right throughout the world be respected, the human right.”

The next hearing in the trial of the three attackers will be at the Imperia court on December 9 at 1 p.m.

To prevent this story from ending in silence, to oppose racist violence, for the free self-determination of all and everyone.

For the abolition and closure of all CPRs.

We meet on December 9 

at 12 noon in front of the Imperia courthouse.  

at 3 p.m. in De Amicis Square a Imperia Oneglia for an anti-racist sit in and leafleting 

Video of October 14th with Thierno Amadou Balde –
https://youtu.be/keioX07CiEI

To contribute to the legal costs, both for the trial in Imperia and for the one that will start in Turin after the investigation closes:

IBAN: IT58H3608105138280345080353

PAYMENT DESCRIPTION : solidarity with Moussa Balde

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Moussa Balde est mort de racisme

Le 9 mai 2021, Moussa Balde, originaire de Guinée, a été brutalement agressé à Vintimille. Le procès des trois Italiens auteurs de cette attaque qui a eu lieu en plein jour rue Ruffini, entre un supermarché et les bureaux de la police aux frontières, a débuté au tribunal d’Imperia le 14 octobre 2022. 

Les accusés sont jugés pour des blessures aggravées par le nombre de personnes et l’usage d’une barre de métal. Ils sont défendus par Marco Bosio, connu pour avoir été l’avocat des accusés dans les procès “SPI.GA” et “La Svolta” contre le crime organisé en Ligurie. Des poursuites sans mesure de privation de liberté ont pu être engagées contre les agresseurs grâce à une vidéo des violences réalisée par une voisine depuis son balcon et qui a fait le tour du web.

Le jour même de l’agression, le chef de la police d’Imperia s’est empressé de faire des déclarations excluant la dimension raciste de ces violences. Les accusés ont justifié leurs actes comme étant une réaction à une prétendue tentative de vol, sans pouvoir en apporter aucune preuve.

Le racisme institutionnel reste évident, mettant en place un protocole non pas pour protéger la victime du lynchage mais plutôt les Italiens incriminés par la vidéo filmée depuis un balcon.

En effet, à la suite de son agression et après un court passage à l’hôpital pour des traumatismes et des blessures au visage, Moussa Balde a été conduit au commissariat de police, remis au bureau de l’immigration et, après qu’ait été vérifiée son irrégularité sur le territoire, il a été enfermé au CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio, équivalent des centres de rétention administrative) de Turin en attendant son expulsion. 

Éloigné de Vintimille, Moussa s’est retrouvé en détention sans jamais avoir signé de témoignage sur son agression et sans que ne lui soit posée aucune question sur le déroulement des événements. Il n’a bénéficié d’aucun examen psychologique mais a été enfermé à Turin où, pendant plusieurs jours, les avocats n’ont pas pu le retrouver car il avait été enregistré au CPR sous un nom différent de celui retenu par la préfecture de police d’Imperia.

Dans une cellule de l’Ospedaletto, le quartier d’isolement du CPR de Turin, Moussa Balde est mort dans la nuit du 22 au 23 mai 2021. Ses codétenus, qui ont commencé à protester lorsqu’ils ont appris la nouvelle de son décès, ont déclaré que cette nuit-là, ils l’avaient entendu crier pendant longtemps et demander l’intervention d’un médecin sans jamais recevoir de réponse.

Une enquête pour homicide involontaire est en cours sur les événements qui se sont déroulés à l’intérieur du centre de rétention où était enfermé Moussa lorsqu’il est décédé.

 

Ce 14 octobre, lors de la première audience concernant l’agression de Moussa, les accusés ont demandé et obtenu une procédure simplifiée. Le procès se déroulera donc plus rapidement, à huis clos et sans audition de témoins. Grâce à la présence d’Amadou Thierno Balde, le frère de Moussa, la famille a pu se porter civile. 

Déjà écartée dans les déclarations publiques officielles au moment de l’agression, la circonstance aggravante de haine raciale n’a pas été retenue lors du procès. Le procureur a décidé de ne pas la relever, une décision à laquelle l’avocat de la famille s’opposera dans les suites du procès. Le juge a également rejeté la demande de trois associations de Vintimille de se porter partie civile.

Ne pouvant entrer dans le tribunal d’Imperia, un groupe de personnes solidaires s’est rassemblé à ses portes et après la rapide audience, s’est rendu sur les lieux de l’agression raciste à Vintimille avec Amadou Thierno Balde. Ils et elles ont marché dans les rues du centre ville pour rappeler que la mort de Moussa Balde n’est pas seulement un événement tragique mais le résultat d’un racisme brutal, y compris institutionnel, qui apparaît clairement dans le traitement qu’a subi le survivant du lynchage, emmené de l’hôpital au commissariat, de la préfecture de police au centre de rétention, d’un médecin qui l’a jugé apte à la détention jusqu’à un isolement inhumain, sans contact avec le monde extérieur et sans aucun type de soins.

« Le traitement qu’il a reçu avant de mourir, aucun individu, aucun être humain ne devrait être traité de cette façon. Pour qu’il n’y ait plus d’injustice ou de racisme, parce que c’est dur mais il faut être clair, c’est du racisme qu’il a subi. Pour qu’il n’y ait plus de cas comme celui-ci dans le monde entier, et en particulier en Italie. Que l’on respecte le droit dans le monde entier, le droit humain. » a déclaré Amadou Thierno Balde à la sortie du tribunal d’Imperia, en parlant de son frère Moussa.

 

La prochaine audience dans le cadre du procès des trois agresseurs de Moussa Balde aura lieu au tribunal d’Imperia le 9 décembre à 13h.

Pour éviter que cette histoire ne termine dans le silence, pour s’opposer à la violence raciste, pour la libre autodétermination de toustes.

Pour l’abolition et la fermeture de tous les CPR.

Nous nous réunissons retrouvons nous le 9 décembre :

– à 12h00 devant le tribunal d’Imperia  

– à 15h00 sur la Piazza De Amicis à Imperia Oneglia pour un rassemblement antiraciste et une distribution de tracts

Vidéo de la journée du 14 octobre avec Thierno Amadou Balde –
https://youtu.be/keioX07CiEI

Pour contribuer aux frais de justice, tant pour le procès d’Imperia que pour celui qui s’ouvrira à Turin après la clôture de l’enquête :

IBAN : IT58H3608105138280345080353

OBJET : solidarité avec Moussa Balde

(immagine di copertina da Meltingpot.org: Pestaggio a Moussa Balde: al via il processo contro gli aggressori)

Per Ahmed Safi

Ahmed Safi è un ragazzo afghano di diciannove anni. Lunedì 7 novembre è morto attraversando il confine a Ventimiglia. Pubblichiamo il testo del comunicato che è stato letto e distribuito ieri, domenica 13 novembre, dalle persone solidali del territorio che si sono radunate proprio davanti al confine tra Italia e Francia per commemorare e portare un saluto ad Ahmed. (1, 2)


Per Ahmed

Alcuni giorni fa, lunedì 7 Novembre, Ahmed Safi, un ragazzo afghano di 19 anni è morto sull’autostrada A10 a Ventimiglia, investito mentre provava a raggiungere la Francia.

Ahmed è l’ennesima vittima delle politiche di discriminazione e respingimento della fortezza Europa. Come lui sono più di cinquanta le persone morte dal 2015 ad oggi nel tentativo di attraversare la frontiera italo-francese.

Chi crede nella libertà di circolazione deve oggi fare i conti con un aumento esponenziale delle vittime ai nostri confini. Ogni volta il primo tentativo è quello di ricostruire, dare un nome, documentare, raccontare e, malgrado tutto, contare. Il numero dei morti, questa triste contabilità, perde però di significato se non riflettiamo come ciascuna di questa persone morte fosse una vita, una storia personale che si è interrotta e i cui affetti sono spesso lontani dal luogo della fine.

In ogni società alla morte di una persona la comunità risponde con un rituale nel quale si intende salutare chi se ne è andato e rinnovarne il ricordo. Crediamo sia giusto che questo accada anche qui in frontiera, per quelle persone che se ne sono andate lontane dai propri affetti, dopo aver attraversato migliaia di chilometri ed essersi trovate davanti l’ennesimo muro.

Crediamo che salutare e commemorare ogni singola vittima della frontiera sia tanto più importante oggi, nel momento in cui i governi di Italia e Francia gareggiano a chi riesce a garantire il trattamento più inumano a chi è in viaggio, l’una chiudendo i porti l’altra aumentando gli effettivi alle frontiere. A questa inumanità oggi rispondiamo con il più umano dei gesti, salutare chi se ne va.

Siamo quindi qui per Ahmed, per la sua famiglia, per i suoi amici e per le sue amiche.

Per dirgli addio e rendergli omaggio.

Per Ahmed Safi, ragazzo di 19 anni, morto lunedì 7 novembre a Ventimiglia

Italia-Francia… e migranti: tra i due litiganti, il terzo muore

Italia-Francia diventa un’espressione unica in questi giorni vibranti di tensioni, ricatti e giochi politici. Italia-Francia è un binomio che tiene insieme, in pochi mesi, un viaggio che parte dall’acclamata squadra mista di gendarmi e polizia “per la sicurezza transfrontaliera” per arrivare in picchiata alle velenose dichiarazioni delle ultime ore.

In tempi ormai sospetti e guasti, Italia-Francia suona come una minaccia di guerra.

Migranti, crisi Italia-Francia. Meloni: “non siamo più in grado di occuparcene”; Crisi Italia-Francia, in arrivo altre misure di ritorsione; Scontro tra l’Italia e la Francia, Parigi blinda i confini 500 agenti alla frontiera; Migranti, scontro aperto Italia-Francia; La crisi diplomatica tra Italia e Francia per la nave Ocean Viking.  Questo è ciò che stanno scrivendo in queste ore di litigiosa contesa geopolitica tutte le testate giornalistiche di qualsiasi schieramento politico. (1,2,3,4,5)

Ecco: povera Italia quindi. Ma soprattutto, poveri italiani…  Addirittura, su queste sponde italiche di rivoltamenti narrativi di convenienza, siamo riusciti a raggiungere nelle ultime dichiarazioni lo stadio del ‘poveri migranti!’ (che però non dovete sbarcare, crepate pure in mare, anzi gli uomini li rimandiamo direttamente in Libia perchè la pacchia è finita ).

Quello che accade è spiacevole, ma quello che si dice ha dell’incredibile.

In queste bieche ore di faide internazionali e minacce politiche, si stanno scalando inedite vette di ipocrisia, mentre si scava a piene mani dagli abissi più profondi dell’indecenza umana.

Una prima riflessione, per chi conosce Ventimiglia e le sue dinamiche di frontiera, è che una dichiarazione francese che annuncia torva la blindatura dei confini fa ridere. Una risata amara e lunga come la lista delle persone decedute a Ventimiglia nel tentativo di attraversare il confine dal 2015 ad oggi. Già, quante sono le persone morte sul confine Italia-Francia a Ventimiglia? C’è qualcuno che lo sa? Forse trenta. Forse quaranta. Probabilmente di più.

Era così aperto e accogliente prima questo confine, con la legione straniera con cani e infrarossi sui monti, i pattuglioni nelle stazioni francesi coi piedi di porco in una mano e i gas lacrimogeni nell’altra, i checkpoint lungo le strade e le autostrade, le detenzioni per donne uomini e bambini per ore infinite senza acqua e cibo in scatole di metallo, ma era così una festa che la gente decideva da sola di finire precipitata nei dirupi che portano in Francia, travolta sulle autostrade, bruciata sui tetti dei treni francesi.

L’ultima vita rubata dal confine Italia-Francia è quella di Ahmed Safi, diciannove anni, investito lunedì 7 novembre da tre diversi automezzi presso il casello autostradale che divide Italia-Francia: un corpo distrutto a causa di questo confine e raccattato in un macabro simbolismo proprio sulla linea della frontiera.

Che se non dicevano due giorni fa che vogliono blindarla, sta frontiera Italia-Francia, allora mica la gente se ne era accorta che si rischia l’osso del collo per raggiungere quella desiderata libertà in Europa.

Una seconda ovvia riflessione sorge leggendo certe grottesche dichiarazioni di certi amministratori regionali che scelgono, nel dubbio di un momento già abbastanza sinistro di per sé, di rincarare la dose di follia sostenendo che la gente che migra muoia di fame per strada a Ventimiglia per colpa della Francia.

A prescindere dai tuonanti titoli dei giornali e dalle scornate che si danno i politici italiani e i cugini d’Oltralpe in queste ore, quale che sia la posta in gioco nelle beghe per l’egemonia in Europa, il governo Italiano avrebbe il dovere di adoperarsi in ogni modo possibile per evitare che la gente finisca a morire lentamente, spegnendosi lungo i marciapiedi di una città.

Un dovere umano prima ancora che politico. E invece è proprio nell’anno del rinnovo della presidenza di regione di un certo personaggio, che oggi si straccia le vesti per i poveri migranti che languono nelle vie della città di confine, che si è deciso di sbaraccare qualsiasi centro d’accoglienza e ristoro per le persone in viaggio verso l’Europa: dal 2020 non c’è trippa per gatti, eppure gli oltraggiosi francesi erano, all’epoca, validi alleati per la sicurezza del territorio.

Per chiarezza: la gente moriva in strada col Pd (non ci si dimenticherà mai del divieto di portare da mangiare a chi aveva fame) come con la Lega. Con chiunque a qualsiasi livello politico, dagli amministratori locali agli apici delle posizioni in parlamento, negli ultimi sette anni la gente ha perso la vita certamente camminando sul confine, così come ha perso la vita nelle strade di Ventimiglia. Con Fratelli d’Italia, che il cielo scampi la popolazione migrante, le persone continueranno a morire in strada di fame, di freddo, di infarto, di abbandono, di malattie, annegate lungo il fiume dove sono costrette a dormire senza altre soluzioni. Queste sono responsabilità tutte nostrane, checchè abbia la faccia tosta di dichiarare chi è presidente per la regione Liguria, per ironia o forse no, proprio dal 2015.

È obiettivamente agghiacciante e impossibile prendere le parti di uno o dell’altro paese in questo rombare di accuse reciproche. Fate tutti veramente schifo, diciamolo un po’ fuori dai denti. Diciamolo serenamente che tra i due litiganti il terzo non gode, e chi ha sempre e da sempre pagato il conto più amaro è proprio la gente senza un documento europeo che viene dall’Africa e dal Medio Oriente.

Gente che viene definita “clandestini” quando serve alla politica italiana per far mambassa di voti per i partiti di estrema destra e che viene definita “persone che cercano solo di ricongiungersi ai parenti” quando bisogna fomentare il popolo, elmo di Scipio ben stretto sulla testa, a scagliarsi contro i nemici francesi.

Italia-Francia suona come una minaccia di guerra e in ogni guerra fatta a regola a versare il sangue è il capro espiatorio che si butta là davanti nel tritacarne: le persone migranti. Mentre chi dietro tiene le poltrone ci sprofonda saldamente ancora più dentro.

Inumani lo siete tutti, inumani e perversi, e fa veramente disgusto il modo in cui da anni riuscite a utilizzare i corpi e le vite delle persone per fare i vostri teatri di politica, le gazzarre elettorali italiane e i circhi dell’ipocrisia europea. Mentre fate a chi strilla più forte per potere e per soldi, per rivalsa e per orgoglio, la gente continua a camminare, a scappare da guerre, povertà, persecuzioni, cambiamenti climatici, mancanza di chance e prospettive di vita soddisfacenti. Le persone arrivano a centinaia al mese lungo il confine di Ventimiglia. A centinaia vengono catturate, vessate, rinchiuse e umiliate. Dalle polizie di qui come dalle polizie di là. Con o senza rinforzi di ulteriore gendarmeria, che essere fermati da quindici o trenta divise forse fa oggettivamente più brutto, ma il risultato è che le persone vengono comunque bloccate a morire nel corpo e nelle speranze nelle strade di un’Italia che dice che “non ce la fa”, ma che effettivamente nemmeno vuole provare a farcela.

Perchè infine bisogna dire anche che al confine di Ventimiglia continuano ad arrivare tante persone che sono appena sbarcate da queste navi di soccorso che fanno rizzare altre piume e scuotere altre scornate, quante altrettante (e negli ultimi anni sempre di più) sono quelle che stanno scappando da un’Italia in cui non riescono a trovare un proprio posto e continuano a rimbalzare contro muri di gomma e di razzismo fino a uscire di senno, suicidarsi o correre il rischio di perdere la vita per valicare questo confine maledetto che riempie la bocca di giornali, opinionisti e politici che di cosa sia la guerra per sopravvivere a Ventimiglia, che cosa sia la sfida a non soccombere a Italia-Francia, ma non ne hanno la più pallida idea.

Moussa Balde e la sua famiglia non sono soli

Riceviamo e pubblichiamo (Ita, English below).


MOUSSA BALDE E LA SUA FAMIGLIA NON SONO SOLI

 

Il 14 ottobre saremo davanti al tribunale per dire che Moussa e la sua famiglia non sono soli, che a Ventimiglia c’è stato un pestaggio razzista e che il suicidio di Moussa è un omicidio di Stato.

Il 14 ottobre alle ore 9.00 si terrà presso il tribunale di Imperia la prima udienza che vede come imputati i tre italiani che il 9 Maggio 2021 a Ventimiglia aggredirono Moussa Balde con calci, pugni, tubi di plastica e una spranga. L’accusa è lesioni aggravate dall’uso di corpi contundenti.  La questura di Imperia ha voluto escludere l’aggravante dell’odio razziale.

Trasferito al pronto soccorso di Bordighera per le medicazioni urgenti, Moussa era stato dimesso con 10 giorni di prognosi. Quindi, poichè era emersa la sua irregolarità sul territorio nazionale, a sole 24 ore dall’aggressione era stato portato direttamente al centro di detenzione Cpr di Torino, nonostante le sue immaginabili condizioni di salute e
psicologiche.

Da subito era stato rinchiuso nell’area Rossa insieme ad altri detenuti, e poco dopo era stato spostato in isolamento all’interno della sezione denominata “Ospedaletto”, dove già nel 2019 un’altra persona, H.F., si era tolta la vita dopo esservi rimasta rinchiusa per 5 mesi. Ad ora non sono chiare le ragioni che hanno determinato la scelta arbitraria di spostare in isolamento una persona in già critiche condizioni psicofisiche.

Moussa è finito al CPR senza aver mai firmato nessuna testimonianza sulla sua aggressione e senza che gli sia stata posta alcuna domanda sullo svolgimento dei fatti. Non ha ricevuto nessuna visita psicologica ma è stato rinchiuso a Torino con ancora i punti in faccia, e mentre il suo avvocato l’aveva cercato per diversi giorni, nessuno era riuscito a rintracciarlo perchè Moussa era stato registrato al CPR con un nome diverso da quello segnato dalla questura di Imperia.

I suoi aggressori giravano a piede libero e lui finiva recluso. Non poteva sapere che una parte di Italia solidale si stava attivando per rintracciarlo e sostenerlo, e nemmeno che il video della sua aggressione era diventato virale su media e social network: all’interno del CPR non si possono tenere i telefoni, così da essere completamente tagliati fuori da ciò che succede all’esterno e non poter raccontare quello che accade lì dentro.

I compagni di prigionia che hanno iniziato una protesta quando hanno saputo la notizia della sua morte, hanno raccontato che la notte del 22 maggio l’avevano sentito urlare a lungo e chiedere l’intervento di un dottore senza mai ricevere risposta.  La mattina di domenica 23 maggio 2021 è stato trovato impiccato nella sua cella.
Ad oggi la causa ufficiale della morte di Moussa Balde è di suicidio, nonostante sia anche in corso un’inchiesta per omicidio colposo.

La morte di Moussa non è stata nè “fatalità” nè il frutto di una catena di inadempienze, ma la conseguenza del razzismo strutturale del sistema in cui viviamo.
Gli odiosi fatti della vicenda ci dimostrano quanti siano i livelli di discriminazione che hanno contribuito a coprire la bara di Moussa:
prima le infinite attese per il permesso di soggiorno, tempistiche che lo avevano spinto a sopravvivere ai margini di questa società da cui, con ogni sforzo, aveva tentato di farsi accettare seguendo tutto quello che il sistema dell’accoglienza gli chiedeva di fare, prendendo la licenza media, imparando l’italiano, facendo volontariato. Dopo cinque anni di peregrinazioni burocratiche e un tentativo fallito di ritentare maggior fortuna in Francia, era finito in strada senza più chance né progetti, come succede a tantissime persone.
Quindi l’aggressione di gruppo da parte di tre uomini bianchi in pieno giorno, in centro città e sotto gli occhi di numerosi passanti.
Dopo il danno la beffa, e anzichè ricevere le tutele che avrebbe dovuto come sopravvissuto a un linciaggio, è stato immediatamente portato al CPR non per ciò che aveva fatto, ma per ciò che era: un clandestino senza quei documenti che gli erano stati negati nonostante i suoi sforzi.
E poi l’ultima botta di un razzismo che gli è stato infine fatale: poichè Moussa era solo un immigrato sulla strada di tre onorevoli cittadini italiani che l’hanno massacrato, è stato spinto a pagare col silenzio quello che ha visto e subito quel pomeriggio del 9 maggio.

Perchè tanta fretta nell’allontanare Moussa da Ventimiglia dato che era il primo testimone dell’aggressione ai suoi danni? Perchè continuare a negare per giorni la sua presenza all’interno del centro, quando si domandava ripetutamente al CPR se Moussa si trovasse lì? Perchè costringerlo all’isolamento nel momento di maggiore vulnerabilità?

Sono queste e molte altre le domande alle quali non ci illudiamo verrà mai data una risposta.
I suoi aggressori sono vivi e liberi, il CPR continua a macinare vite e Mamadou Moussa Balde è morto a ventidue anni.

CONTRO TUTTI I RAZZISMI e per la  libera migrazione di tutte e tutti.

Per l’abolizione e la chiusura di tutti i Cpr.

CI VEDIAMO IL 14 OTTOBRE AD IMPERIA

Solidali di Ventimiglia

 

 

MOUSSA BALDE AND HIS FAMILY ARE NOT ALONE

On October 14th, we will stand in front of the courthouse to say that Moussa and his family are not alone, that there was a racist attack in Ventimiglia, and that Moussa’s suicide is none other than a murder by the state.

On October 14th at 9 a.m., the first hearing will be held at the Imperia courthouse involving the three Italians who, on May 9th, 2021 in Ventimiglia attacked Moussa Balde with kicks, punches, plastic pipes and an iron rod.
The charge is injury aggravated by the use of blunt instruments. The Imperia police headquarters want to rule out racial hatred as an aggravating factor.

Transferred to Bordighera’s hospital for urgent medical attention, Moussa was released with a 10-day prognosis. Then, due to his illegal status on Italian national territory, only 24 hours after the attack he had been taken directly to the Cpr detention center in Turin, despite his concevable physical and psychological condition.

Immediately he was locked up in the Red area along with other detainees, shorlty thereafter moved to solitary confinement within the section called “Ospedaletto,” where already in 2019 another person, H.F., killed himself after being locked up there for five months.
Even now, the reasons behind the arbitrary decision to move a person in an already critical mental and physical condition to solitary confinement are unclear.

Moussa ended up in the CPR without ever having signed any testimony about his assault and without being asked any questions about the course of events. He received no psychological examination but instead was locked up in Turin with stitches still on his face, and while his lawyer had been looking for him for several days, no one had been able to find him because Moussa was registered at the CPR under a different name from the one marked by the Imperia police.

His attackers were walking around free and he ended up in confinement. He could not have known that a part of Italy was taking action in solidarity to find and support him, nor that the video of his attack had gone viral on media and social networks. Inside the CPR no one is permitted to keep phones, so that one is completely cut off from what happens outside, and cannot speak out about what happens inside.

Fellow detainees who began a protest as soon as they learned the news of his death reported that on the night of May 22nd, they heard him screaming for a long time and asking for a doctor’s intervention without ever receiving a response. On the morning of Sunday, May 23rd, 2021, he was found hung in his cell.
To date, the official cause of Moussa Balde’s death is suicide, although a manslaughter investigation is also underway.

Moussa’s death was neither a random ‘fatality’ nor the result of a chain of neglect, but the consequence of the structural racism of the system in which we live.
The hateful facts of this case show us how many levels of discrimination contributed to covering Moussa’s coffin:

firstly, the endless waits for a residence permit, timelines that had pushed him to survive on the margins of this society by which, with every effort, he tried to be accepted by following everything the reception system asked him to do, taking his middle school diploma, learning Italian, volunteering. After five years of bureaucratic wanderings and a failed attempt to try his luck again in France, he had ended up on the street with no more chances or plans, as it has happened to so many others.
Second, the group attack by three white men in broad daylight, in the city center and in front of the eyes of many passersby.
After the harm came the mockery: instead of receiving the protections he should have had as a survivor of a lynching, he was immediately taken to the CPR not for what he had done, but for what he was: an illegal immigrant without the documents he had been denied despite his best efforts.
And lastly, the final blow of a racism that was ultimately fatal to him: because Moussa was just an immigrant in the face of three honorable Italian citizens who slaughtered him, he was driven to pay with his silence for that which he saw and suffered that afternoon of May 9th.

Why such a rush to remove Moussa from Ventimiglia when he was the first eye witness to the attack on himself? Why continue to deny for days his presence inside the center when it was repeatedly asked at the CPR if Moussa was there? Why force him into solitary confinement at his most vulnerable moment?

It’s these and many other questions that we are under no delusions that will ever be answered.

His attackers are alive and free, the CPR continues to grind lives, and Mamadou Moussa Balde is dead at the age of twenty-two.

AGAINST ALL RACISMS and for the free migration of everyone everywhere.

For the abolition and closure of all CPRs/retention centers/lagers.

SEE YOU ON OCTOBER 14th IN IMPERIA

Those In Solidarity from Ventimiglia

(Foto copertina tratta da Fatto Quotidiano)

Ventimiglia e i suoi scalpi

Ventimiglia e i suoi scalpi

Lo scalpo, parola di origine scandinava, consiste nel praticare un taglio circolare intorno alla testa al fine di strapparne una parte. Solitamente si conosce come una pratica adottata dai nativi americani, ma esiste un’altra storia che la riconosce appartenere ai coloni francesi e inglesi che estraevano un “premio” per ogni persona nativa uccisa, collezionando scalpi. Il gioco del fazzoletto sembra avere origine da lì: tutti si sparpagliano nel campo di gioco e al “via!” ognuno cerca di rubare il fazzoletto o lo “scalpo” degli altri.

Si può solo acchiappare lo scalpo: si è squalificati se ci si spinge, ci si afferra o se si trattiene con la mano il proprio scalpo.

Vince chi, nel tempo stabilito, ha preso più scalpi.

Vince chi, nel tempo stabilito, ha preso più scalpi. 

Iniziamo così questa testimonianza di alcuni giorni trascorsi a Ventimiglia perché è questo che i nostri occhi vedono quando un giovane migrante nordafricano ci mostra la ferita sulla testa provocata dalle violenze ricevute, nel mese di luglio, dalla polizia francese. Il medico scriverà sul referto: trauma con scalpo parziale al capo. L’uomo ci racconta che la polizia francese aveva posto rimedio al taglio graffettando con una sparapunti la ferita e ci mostra una lesione al tendine estensore del III dito -che in medicina viene definito “atteggiamento a becco di flauto”- della mano destra. Anch’essa provocata dalla violenza poliziesca. Sarà lesionato a vita, ci dirà il medico, ma necessita di un appuntamento specialistico presso ambulatori di chirurgia della mano che in Liguria si trovano a Savona e Genova.

Inizia così il nostro viaggio nel girone dantesco della Sanità nella provincia di Imperia, inizia così il nostro muoverci tra gli scalpi. 

Il primo passo è quello di chiedere il codice STP (straniero temporaneamente presente) che permette alle persone senza permesso di soggiorno di ottenere tutte le cure urgenti e/o essenziali, non potendo avere il medico di famiglia.

Secondo le direttive di A.Li.sa (Azienda Sanitaria Ligure):Il codice STP può essere rilasciato dalle ASL, dalle Aziende Ospedaliere e dagli IRCCS, ha validità nazionale e ha una durata semestrale rinnovabile”. Su questa base ci rechiamo presso l’ospedale di Bordighera, precisamente al “Centro di prenotazione per le visite mediche” con la richiesta di una visita urgente o essenziale presso un ambulatorio di chirurgia della mano su un ricettario intestato AAICA (Associazione Ambulatorio Internazionale Città Aperta) redatto e firmato da un medico.

L’impiegata ci informa che loro non rilasciano il codice STP e che il luogo deputato a tale funzione si trova presso il Distretto Sanitario ventimigliese “Villa Olga”, distante 3 km dall’ospedale. Ci rimettiamo in viaggio, torniamo a Ventimiglia, arrivati a Villa Olga otteniamo un nuovo diniego: il codice STP viene dato solo alle persone non in regola che “intendono” eseguire la vaccinazione per il Covid 19 e alle persone di provenienza ucraina.

Dopo alcune telefonate all’Ufficio Relazioni col Pubblico e con la responsabile dell’ufficio Esteri il direttore del distretto di Ventimiglia si palesa affermando inopinatamente che “la prassi in Liguria è questa”. Dopo avergli chiarito che tale affermazione è falsa come da indicazioni di A.Li.sa, tanto che a Genova l’STP viene fornito da tutti i distretti sanitari ancorché accompagnati da una richiesta redatta e firmata da un medico, il direttore ci informa che per l’ASL 1 l’unico luogo deputato è il pronto soccorso, e che per il Distretto di Ventimiglia è rappresentato dal pronto soccorso dell’ospedale di Bordighera. Il medesimo da cui siamo stati respinti per dirigerci a Villa Olga.

Il direttore prova, ovviamente senza successo, ad avere una descrizione fisica della persona che sostiene aver dato un’informazione scorretta per avere un capro espiratorio su cui far ricadere la colpa.

Ritorniamo all’ospedale di Bordighera, quindi al pronto soccorso, dove un infermiere gentile ma un po’ contrariato dalla scarsa comunicazione/organizzazione ci fornisce l’STP: andare al pronto soccorso per fare l’STP, un atto amministrativo, significa intasare un luogo dedicato alle emergenze.

Rimane il problema della richiesta per la visita.

Nei distretti sanitari della ASL 3 genovese esistono i medici prescrittori che, valutando e segnalando direttamente sulla richiesta regionale il nome del medico che invia il paziente, forniscono ricetta regionale. Nell’ASL 1 non esiste tale possibilità: il paziente deve per forza essere valutato dal medico del pronto soccorso per convertire la ricetta regionale.

Tale situazione è inaccettabile. In primo luogo, per la persona che necessita di cure (condizione sancita in modo chiaro dalla nostra tanto declamata e decantata costituzione e regolata da indicazioni regionali): se il giovane fosse stato da solo tra le barriere linguistiche e burocratiche, incontrando personale stanco, poco informato e irritato, dovendosi spostare per 9 Km avrebbe probabilmente desistito e sarebbero peggiorate le sue condizioni di salute.

In secondo luogo, tale procedura è estremamente dannosa per i cittadini del territorio: la prassi secondo cui queste procedure, in gran parte burocratiche, siano a carico del pronto soccorso, del personale medico del pronto soccorso e non di quello amministrativo significa intasare il già denutrito ospedale.

Aggiungiamo un altro episodio per evidenziare la progressiva distruzione del sistema sanitario, soprattutto territoriale, che investe nella privatizzazione e nei progetti costosi e faraonici e lascia le persone, malate, in balia del caos e del caso.

Sempre al pronto soccorso dell’ospedale di Bordighera incrociamo una donna in gravidanza al VII mese. Con la stessa trafila assurda ha ottenuto l’STP, ma per fare una visita ostetrico/ginecologica con ecografia è stata inviata con l’ambulanza all’ospedale di Imperia non essendoci localmente un tale servizio, con costi e disagi intuibili.

Ci chiediamo fino a che punto l’anestesia generale riesca a far sì che i cittadini di Ventimiglia e Bordighera non chiedano conto di tale situazione al distretto sanitario, alla ASL 1, ad A.Li.sa (azienda sanitaria ligure) e all’Assessore alla Salute nella figura di Toti, tra l’altro pure presidente della regione Liguria.

Le autorità degli stati, le polizie italiane, francesi e di confine stanno giocando a modo loro allo “scalpo”: tutti si sparpagliano nel campo di gioco e, al “via!”, ognuno cerca di rubare il fazzoletto o lo “scalpo” degli altri.

Si può solo acchiappare lo scalpo: si è squalificati se ci si spinge, ci si afferra o se si trattiene con la mano il proprio scalpo.

Vince chi, nel tempo stabilito, ha preso più scalpi.

Vince chi, nel tempo stabilito, ha preso più scalpi.

Gli sbarchi in Sicilia continuano insieme alle violenze dei confini e alle morti nel cercare di attraversali; violenze che hanno travolto gli argini, lasciando tracce della loro desolazione ovunque.

Le storie delle persone sopravvissute che incontriamo a Ventimiglia con direzione “respingimento” tra i binari della stazione, sotto il ponte di Via Tenda, lungo la spiaggia alla foce del Roja, nel piazzale davanti al cimitero durante la distribuzione serale del cibo, nel parco adiacente al Comune di Ventimiglia mostrano scalpi, scabbia, micosi interdigitali dei piedi, ascessi secondari al vivere in condizioni forzate di scarsa igiene, mal di denti, febbri, traumi dovuti alle violenze frequenti della polizia di confine. E nel mostrare raccontano scenari di sopraffazione e sfruttamento, di connessioni tra lo stato e la mafia, tra la mafia e la polizia.

Un uomo proveniente dall’Africa centrale ci racconta di essere arrivato nel 2013 in Italia, aver fatto richiesta di asilo politico (respinta) ed essere finito irregolare a lavorare come operaio/carpentiere di un imprenditore siciliano, rivelatosi personaggio di spicco della mafia locale. Mentre racconta, intorno a lui, si muovono gli sguardi sperduti e angosciati della compagna incinta e delle loro due bambine.

Nel mese di luglio dopo una persistente mancata retribuzione per un totale di 4000 euro, e dopo le ripetute richieste disattese, l’uomo decide di cercare un nuovo lavoro, sempre sfruttato, sempre irregolare, sempre in Sicilia, sempre nello stesso paese per garantire alle bambine di proseguire la scuola e non sradicarle. Ma l’ex datore di lavoro non lo accetta, lo minaccia, dà fuoco alla casa con la moglie e le figlie che vengono salvate dai vicini. Lo minaccia con una pistola alla testa affermando che non può lavorare per nessun altro, pena la morte. L’imprenditore mafioso sarebbe agli arresti domiciliari ma controlla evidentemente il territorio.

L’uomo ha denunciato tutto alla polizia, sia l’incendio doloso sia le minacce armate, ma non sono stati presi provvedimenti se non consigliargli di scappare. Cosa che ha fatto soprattutto per tutelare la famiglia. Rimane la sua dignità, il desiderio di ottenere “giustizia” che si scontra con l’indolenza, la superficialità se non la connivenza delle autorità. Rimane lo sguardo traumatizzato della moglie, incinta, che non dice più una parola, guarda le sue bambine, è persa, ha paura…

La seconda storia ci viene raccontata da un giovane nordafricano scappato anche lui dalla Sicilia dopo aver scoperto e tentato di fermare traffici di esseri umani.

Ci racconta di legami mafiosi tra il Nordafrica e l’Italia, in particolare con la Sicilia; di come tali traffici siano cresciuti in modo esponenziale durante la pandemia e gli obblighi di quarantena per gli sbarchi. Ci descrive la dislocazione delle persone dalle navi quarantena direttamente in case/lager dove sarebbero perpetrate violenze con avviamenti alla tratta, al lavoro forzato e al trapianto di organi (quest’ultima pratica, talmente terribile da essere inaccettabile anche al solo pensarla, sta avendo riscontro in numerose indagini penali e giornalistiche).

Ci viene detto che tale situazione coinvolgerebbe molti migranti di diverse provenienze, ma in particolare i tunisini perché maggiormente ricattabili essendo il loro paese “considerato dal 2019 dall’Italia un “Paese di origine sicuro” per quanto riguarda il rispetto dei diritti”; ciò determina che siano quelli più respinti sul totale. Ci parla di violenze subite e consigli (intimidazioni?) da parte delle forze dell’ordine di tacere e allontanarsi dalla Sicilia.

Questi sono gli scalpi che le autorità e le polizie di confine mostrano come trofei? È questa la vita che stanno estorcendo alle persone: arti spezzati, corpi bruciati vivi, donne abusate, vite incarcerate, violate, denutrite, malate.

Sono queste le storie delle persone sopravvissute che incontriamo a Ventimiglia: tra gli avanzi gettati di tutti i transiti; lungo le rotaie di un binario morto dove i più giovani chiudono gli occhi sfiniti; nell’attesa di un pasto serale con vista cimitero tra stormi di uccelli che grufolano tra i resti dei resti; nelle notti di un fiume secco dove brulicano topi tra i corpi dormienti che si sono ricavati a stento un giaciglio; tra chi ha lo sguardo già perduto in un mondo che non è più questo, simile al fondale di un mare dove si depositano fotografie di scomparsi.

Sono loro che ci chiedono con fermezza, coraggio e determinazione di raccontare le loro storie.

 

Una manifestazione transfemminista contro i confini

Riceviamo e pubblichiamo il resoconto dei fatti accaduti in occasione di una manifestazione transfemminista sul confine tra Ventimiglia e Mentone nelle giornate di sabato 5 e domenica 6 giugno.

*pour la version française

*for the English version

Una manifestazione transfemminista contro i confini:

Ventimiglia/Mentone sabato 5 e domenica 6 giugno

Tuoutes aux frontierès: manifestazione transfemminista in solidarietà con le persone detenute alla frontiera franco italiana di Ventimiglia, un primo vittorioso passo del movimento transfemminista europeo contro le frontiere dell’Europa, contro Frontex e la polizia, contro il sessismo e il razzismo … ovvero come le persone manifestanti sono riuscite a incastrare per ore gli ingranaggi discriminatori e razziali dei dispositivi di frontiera.

Nel pomeriggio di sabato 5 giugno 2021 si è tenuta a Nizza una manifestazione transfemminista europea contro i confini e le politiche migratorie.

Nella stessa giornata, persone solidali che vivono e attraversano la zona di frontiera italo-francese hanno pensato di condividere una mattinata di protesta contro i confini anche nel territorio di Ventimiglia e Mentone, per dare a tuttx la possibilità di unirsi in una giornata contro le frontiere, anche per chi poteva avere problemi a causa dei controlli covid o per la distanza da Nizza.

Un appuntamento improvvisato per la mattinata di sabato 5 giugno, immaginato e condiviso come saluto solidale alla manifestazione transfemminista di Nizza, e momento di lotta e sostegno alle persone recluse dentro ai container della Paf (Police aux frontieres), ulteriore scintilla di protesta proprio sul confine.

La manif al confine

Dopo essersi radunate alle 10:30 in frontiera italiana, le persone solidali si sono spostate a protestare direttamente davanti agli uffici della Paf ed ai container dal lato francese, dove erano recluse diverse decine di persone senza documenti. Alla manifestazione hanno deciso di partecipare anche alcune persone senza documenti arrivate da Ventimiglia. Striscioni, cartelli, grida, cori, interventi, canti, saluti alle persone rinchiuse, si sono susseguiti per oltre un’ora, a pochi centimetri dalle strutture di reclusione francesi, da dove le persone imprigionate nel tentativo di attraversare il confine hanno mandato saluti e risposte ai richiami di chi manifestava.

La polizia italiana è rimasta a guardare a distanza cercando di capire cosa stava succedendo, e successivamente schierando un gruppo di carabinieri in antisommossa; la polizia francese si è mostrata in difficoltà, impreparata a una manifestazione transfemminista partecipatissima e non annunciata, che è riuscita a spingersi oltre il confine senza che le autorità riuscissero a ostacolarla o reagire.

Sono arrivati rinforzi dal lato francese e hanno provato a far arretrare la gente, ma la forza collettiva della rabbia contro i confini ha risposto con ancora più rumore e cori. Quando la complicità e l’entusiasmo delle persone chiuse dentro ha iniziato a crescere, la Paf è entrata nei container e ha gasato chi si trovava dentro con spray urticante: all’interno è calato un improvviso silenzio, un forte odore chimico ha infiammato gli occhi di chi stava protestando fino a un centinaio di metri intorno alle gabbie di lamiera.

Nel pomeriggio, le persone rilasciate hanno poi raccontato che decine di loro erano collassate nei container sotto i gas. Nonostante questo, si sono mostrate felici per la manifestazione del mattino chiedendo entusiaste di portare più spesso saluti e solidarietà.

Verso mezzogiorno la manifestazione è risalita verso il lato italiano, superando gli uffici di polizia per poi disperdersi.

A Ventimiglia, sul treno per Nizza

Numerose persone hanno deciso di proseguire la protesta, andando a prendere un treno alla stazione di Ventimiglia, per raggiungere nel pomeriggio la manifestazione transfemminista a Nizza. Sul binario italiano in direzione Francia le persone sono state affrontate dalla solita presenza di polizia italiana e vigilanza privata, che ha il quotidiano compito di bloccare e controllare, in cima al sottopassaggio, tutti i passeggeri non bianchi, prima che riescano a salire sul treno fermo al binario. Il gruppo ha semplicemente continuato ad avanzare, facendo retrocedere la polizia che ha tentato di fermare alcune persone, ma si è poi fatta da parte lasciando infine che le manifestanti salissero sul treno delle 13:55, e lasciando piuttosto che se la vedessero i colleghi francesi all’arrivo a Menton Garavan. Una volta a bordo, si sono unite al vagone “manif Nizza” anche alcune persone già presenti sul treno.

Una decina di minuti più tardi, all’arrivo alla prima stazione in Francia, Menton Garavan, la polizia francese che controlla ogni convoglio da sei anni in cerca di tutte le persone senza documenti, si è avvicinata al treno per il consueto blitz. Ma ha trovato ad attenderla un vagone di grida, cori e percussioni contro le frontiere. Ad ogni tentativo di mediazione o di richiesta dei documenti di identità, è stato risposto protestando e suonando ancora più forte. A un certo punto il capotreno ha detto “se state tranquille e lasciate passare i controlli, proseguiamo fino a Nizza senza problemi”.

Controlli vuol dire rastrellamenti razziali, vuol dire gente che non ha commesso nessun reato trascinata a forza nei furgoni della Paf o della gendarmerie e sbattuta per ore senza cibo e acqua in una scatola di metallo. Vuol dire che le persone vengono insultate e umiliate, gasate e picchiate, uomini, donne, persone trans, intersex, o minori che siano. I cori contro i confini non si sono fermati.

Blocco sul treno a Menton Garavan

A un certo punto l’interfono del treno ha avvertito i signori e le signore passeggere che il treno era fermo, e che avrebbero trovato un altro treno per proseguire, in arrivo sul binario opposto, quello che normalmente copre la linea inversa, dalla Francia a Ventimiglia. Anche le persone che volevano raggiungere la manifestazione a Nizza si sono mosse allora per uscire assieme agli altri passeggeri e passeggere, così da cambiare treno e riprendere il viaggio.

Energumeni della Paf e della gendarmerie si sono lanciati alle due uscite del vagone, per bloccare chi voleva raggiungere la manifestazione transfemminista a Nizza. Hanno schiacciato con violenza le persone, gridando, spintonando, prendendo a pugni, insultando e provocando con la minaccia di usare il gas o ricorrendo a molestie verbali sessiste.

Per tutto il tempo che le persone sono state bloccate in attesa dell’arrivo dei rinforzi dall’aeroporto di Nizza, la polizia ha investito le persone con rabbia e feroce aggressività, cercando lo scontro con i pochissimi uomini etero cis presenti come unica soluzione ad una situazione che non sapevano affrontare. Quando i rinforzi sono arrivati con i furgoni, le persone sono state allora costrette a scendere con la forza, tra calci, pugni e spintoni, qualcuna con la testa tenuta abbassata a forza, qualcuna presa e quasi sollevata per il collo, sono state caricate sui mezzi e deportate nuovamente sull’altro lato del confine, proprio davanti agli uffici di polizia italiana.

Alla fine sono state trattenute solo una persona solidale, accusata di aggressione a pubblico ufficiale, e due persone senza documenti. Queste due sono state spostate nei container e rilasciate dopo alcune ore in direzione Italia, assieme a tutte le altre persone fermate nei precedenti controlli.

La persona accusata di aggressione è invece rimasta negli uffici di frontiera francesi in stato di fermo per 24 + 24 ore, chiamate in Francia garde à vue e prolungabili fino a 48 ore salvo casi più gravi.

La polizia italiana, indignata e innervosita per un pushback illegale di persone comunitarie, scaricate dai colleghi francesi in suolo italico senza nemmeno identificazione, ha deciso di sospendere il lavoro per il resto del pomeriggio, entrando in “sciopero riammissioni”. Se al mattino il ricatto del potere davanti a una manifestazione con cui non trovava dialogo è stato gasare persone chiuse in trappola, al pomeriggio la ripicca dell’autorità italiana ha deciso di bloccare sul ponte che separa il territorio italiano da quello francese, Ponte San Luigi, tutte le persone migranti respinte dalla Francia

Schierati all’inizio del ponte, un gruppo di poliziotti italiani in divisa e altri in borghese che filmavano, hanno proseguito per ore rifiutando l’ingresso alle persone, mentre alla fine del ponte poliziotti francesi nervosissimi controllavano la situazione e mantenevano fermo il rifiuto anche per l’ingresso in Francia.

Tutte le persone che erano dirette alla manifestazione transfemminista a Nizza si sono radunate tra le due frontiere, aspettando di conoscere notizie delle persone fermate e di sbloccare quella situazione di stallo per le persone senza documenti, innescata da una questione di orgoglio e ripicca puerile tra le forze armate dei due paesi.

Dopo circa quattro ore di sollecitazioni, una poliziotta in borghese è andata a negoziare dentro gli uffici francesi coi colleghi, per tornare sul ponte raggiante, spiegando che c’era solo stato un “problema di comunicazione” e che era tutto risolto: le persone comunitarie potevano andare liberamente in Francia o in Italia a piacimento, “invece loro li prendiamo noi che li dobbiamo trattare”, ha affermato indicando le persone migranti bloccate per tutto il pomeriggio dalla polizia italiana.

Alla conferma che la persona solidale sarebbe stata trattenuta in garde à vue, e una volta che tutte le persone sono state autorizzate a rientrare in Italia e, per quelle confermate minorenni, è stato riconsiderato il riaccompagnamento in Francia dopo intervento dell’avvocato, la giornata di 12 ore alla “frontiera alta” di Ponte San Luigi si è conclusa con un appuntamento per il giorno successivo, nello stesso luogo.

Domenica, ritorno in frontiera (a Ventimiglia)

Domenica 6 verso le ore 14, quando l’avvocato ha confermato che i poliziotti francesi avevano trovato uno stratagemma per prolungare le 24 ore di garde à vue della persona solidale fermata il giorno prima, con l’escamotage della richiesta tardiva di acquisizione delle telecamere del treno e della stazione di Menton Garavan, il gruppo di solidali si è avvicinato nuovamente ai container, gridando per un paio di minuti cori e saluti a tutte le persone rinchiuse in quel momento, che a loro volta hanno nuovamente risposto; mentre dalla finestra del commissariato francese alcuni poliziotti mostravano lo spray urticante rivolgendolo ai container, come minaccia di ulteriore vendetta sulle persone prigioniere.

In pochi secondi, quando ormai le persone solidali se ne stavano andando, la Paf è uscita di corsa dagli uffici, chi sfoderando manganelli, chi agitando lo spray, fermandosi in schieramento sulla linea del confine per alcuni secondi, prima di ottenere probabilmente un’autorizzazione a sconfinare da parte della polizia italiana: un movimento rapido di cellulari tra un lato e l’altro del confine, ha fatto rompere gli indugi della polizia francese, che è corsa rabbiosa a circondare su suolo italiano un’auto delle persone solidali che stava facendo manovra per andarsene via.

Cinque persone sono state aggredite e tirate fuori a forza dall’auto, portate dentro gli uffici di frontiera francesi con le braccia bloccate dietro la schiena. La polizia italiana, a qualche centinaio di metri di distanza, ha osservato e filmato ogni cosa. Dopo alcune ore, tutte le persone sono state rilasciate con un refus d’entrée (rifiuto d’ingresso) dalla Francia, uguali a quelli che ogni giorno vengono dati a decine di persone rimandate in Italia, e una multa di 135 euro per ingresso in Francia -di circa cinque metri- senza test covid.

Lunedì, toutes aux frontières!

Al terzo giorno di presenza contestatrice alla frontiera, dopo ulteriori saluti da parte delle persone nei container, che si sono arrampicate dalla grata posta a chiusura sul tetto, per salutare con le braccia la presenza solidale, e dopo 45 ore di garde à vue, è stata rilasciata anche l’ultima persona presa sul treno diretto a Nizza.

I rastrellamenti razziali sui due lati del confine e il trattenimento per ore di persone senza documenti dentro prigioni di lamiera, continua giorno dopo giorno. Assieme al traffico di esseri umani, alla vendita del corpo delle donne come biglietto per attraversare il confine, agli accordi sottobanco tra guardie e ladri, alle aggressioni fisiche sempre più frequenti contro le persone non bianche.

Continua tuttavia anche la loro lotta quotidiana per la sopravvivenza in un territorio ostile, pericoloso, violento, razzista, sessista, omofobo, transfobo e patriarcale. Come femministe, non smetteremo di aiutarle con ogni mezzo necessario ad esercitare la loro fondamentale libertà di movimento.

Gli stati europei vanno mano per mano coi trafficanti !

Le frontiere in Europa sono uno stupro !

Vogliamo la chiusura di tutti i centri di detenzione amministrativa !

Vogliamo l’apertura di tutte le frontiere e la fine del business di armi e polizia !

 

Tou.te.s aux frontières!

Sabato 5 e domenica 6 giugno, Ventimiglia-Mentone

version française ici

Une manifestation transféministe contre les frontières :

Ventimiglia/Menton Samedi 5 et dimanche 6 juin 2021

Toustes au frontières : manifestation transféministe en solidarité avec les détenu.es à la frontière italo-française de Vintimille. Les personnes détenues son gazées dans les containers lors de l’action. L’action se poursuit vers Nice : violence policière raciste sur le trajet. Les personnes migrantes sont relâchées, 5 autres arrestations d’activistes en solidarité, dont une relâchée au terme d’une garde-à-vue de 48 heures. Amorce victorieuse d’un mouvement européen transféministe contre les frontières de l’Europe, Frontex, la police, le sexisme et le racisme… Ou comment les féministes sèment la discorde entre les polices frontalières.

Dans l’après-midi du samedi 5 juin 2021, une manifestation transféministe européenne contre les frontières et les politiques migratoires a eu lieu à Nice.
Le matin-même, les personnes solidaires qui vivent et traversent la zone frontalière franco-italienne ont elles aussi voulu partager une matinée de protestation. Ce rendez vous improvisé aux confins des territoires entre Vintimille et Menton émanait du désir de voir renaître une nouvelle étincelle de contestation et de lutte sur la frontière et de témoigner du soutien aux personnes emprisonnées à l’intérieur des containers de la PAF (Police aux frontières).

Manifestation à la frontière
Solidarité à travers les tôles. Détenu.es lacrymogené.es.

Après s’être rassemblées à 10h30 à la frontière italienne, des dizaines de personnes concernées et de féministes solidaires se sont déplacées pour protester directement devant les bureaux de la PAF et devant les containers, côté français. Pendant plus d’une heure on manifeste avec force, cris, chants, banderoles, discours, slogans et salutations aux dizaines de personnes emprisonnées à l’intérieur de ces containers à la suite de leur tentative de passer la frontière. La kyrielle protéiforme et décidée a réussi à franchir la frontière sous le regard hagard de la gendarmerie italienne et de la police française anti-émeute. De toute évidence, prise au dépourvu face à une manifestation transféministe non annoncée.

Les renforts arrivent du côté français et tentent de faire reculer les gens, mais la force collective de la colère contre les frontières répond par encore plus de bruit et de chants. Lorsque la complicité et l’enthousiasme des personnes enfermées à l’intérieur se font entendre plus fort, les agents de PAF entrent dans les containers et gazent les gens qui s’y trouvent avec leurs sprays lacrymogènes : le silence est soudain tombé à l’intérieur, une effluve chimique a piqué les yeux de celleux qui protestaient jusqu’à une centaine de mètres autour des cages métalliques.

Dans l’après-midi, les personnes libérées racontent que des dizaines d’entre elles s’étaient effondrées dans les containers sous l’effet du gaz. Malgré cela, iels se sont montrées heureu.ses de la manifestation du matin et ont demandé avec enthousiasme à ce que soient portés plus souvent des salutations et de la solidarité.

Vers midi la manifestation se disperse.

 

À Ventimiglia, dans le train pour Nice
Féministes véneres contre les frontières !

Une partie d’entre nous a décidé de continuer la journée d’action en allant prendre un train direction Nice, la grande manif. Sur le quai italien en direction de la France, présence habituelle de la police italienne et de la sécurité privée qui ont pour tâche quotidienne de bloquer et de contrôler toustes les passager.es non blancs avant qu’iels ne parviennent à monter dans le train. Nous avons simplement continué à avancer, amenant la police à reculer et finalement à laisser les manifestant.es monter dans le train de 13h55. Une fois à bord, un certain nombre de personnes déjà présentes dans le train rejoignent le wagon “manifestation de Nice”.

Une dizaine de minutes plus tard, à l’arrivée à la première gare de France, Menton Garavan, la police française qui, depuis six ans, contrôle chaque convoi à la recherche de tous les sans-papiers, s’approche du train pour la descente habituelle. Elle y découvre un wagon rempli de cris, de chants et de tambours anti-frontaliers. À chaque tentative de médiation ou de demande de papiers d’identité, on répondait en protestant et en jouant encore plus fort. Les contrôles, ce sont des rafles racistes, ce sont les personnes qui n’ont commis aucun crime traînées de force dans les fourgons de la PAF ou de la gendarmerie et jetées pendant des heures sans eau ni nourriture dans une boîte métallique. Cela signifie que des personnes sont insultées et humiliées, gazées et battues, qu’il s’agisse d’hommes, de femmes, de personnes trans, intersexes ou mineures. Les chants contre les frontières n’ont pas cessé.

 

Blocage du train à Menton Garavan
Les transféministes déroutent les polices

À un moment donné, les hauts-parleurs du train ont averti les passagers, mesdames et messieurs, que le train était arrêté, et qu’ils trouveraient un autre train pour continuer leur voyage sur la voie opposée. Des agents de la PAF et de la gendarmerie ont bloqué la sortie de celleux qui voulaient rejoindre la manifestation transféministe à Nice.

Dans une mêlée de coups de poing et d’insultes sexistes, les policier-es visiblement embarrassé.es par cette situation cherchaient la confrontation avec les rares hommes cis présents. Au final, deux personnes sans papiers sont arrêtées, emmené.es dans les containers et renvoyé.es vers l’Italie après quelques heures. Une personne solidaire est accusée de violences sur agent public et détenue.

La police italienne, déconcertée par le refoulement illégal de citoyen.nes européen.nes non-identifiées décide alors de suspendre son travail pour le reste de l’après-midi, entamant une “grève des réadmissions”.

Nous toustes qui voulions aller à la manifestation transféministe de Nice, on se rassemble entre les deux frontières.

Après environ quatre heures de sollicitation, arrive la « gentille policière » en civil, qui est allée négocier à l’intérieur des bureaux français. Revenant rayonnante sur le pont, elle explique qu’il n’y avait eu qu’un “problème de communication” et que tout était résolu : les citoyen.nes européen.nes pouvaient aller librement en France ou en Italie à leur guise, « par contre, eux, on les emmène parce qu’on doit les traiter » (sic), en indiquant les personnes bloquées tout l’après-midi par la police italienne.

 

Dimanche, retour à la frontière (Vintimille)
Liberté, égalité, refus d’entrée!

Le dimanche 6, vers 14 heures, les personnes emprisonnées répondent à nouveau à nos refrains, tandis qu’à la fenêtre, des policiers nous montrent leurs sprays lacrymogènes, comme une menace de vengeance supplémentaire sur les personnes emprisonnées dans les containers.

Cinq personnes du groupe sont attaquées et sorties de force de leur voiture qui manœuvrait pour partir.

Après quelques heures, toutes seront libérées avec un ̈refus d’entrée ̈, comme ceux qu’ils donnent chaque jour à des dizaines de personnes renvoyées en Italie, et une amende de 135 euros pour être entrées en France -sur environ cinq mètres- sans test Covid!

 

Lundi, toustes aux frontières!
Les frontières violent – nous les tuerons

Au troisième jour de la présence protestataire à la frontière, les personnes enfermées grimpent jusqu’à la grille posée entre les toits des containers pour saluer de leurs bras la présence solidaire. Après 45 heures de garde à vue, la dernière personne arrêtée dans le train pour Nice est libérée.

Le harcèlement raciste des deux côtés de la frontière et la détention pendant des heures des personnes sans papiers dans des prisons en tôle se poursuivent jour après jour sans que nous, vous, les voisins, ne protestent. Cela fait l’affaire de la traite des êtres humains, le business de la vente des corps des femmes en échange du passage de frontière. Cela n’est rendu possible que par des accords en sous-main entre gardiens et voleurs, et donne lieu à des agressions de plus en plus graves et fréquentes contre les personnes migrantes.

Cependant, leur lutte quotidienne pour la survie dans un territoire hostile, dangereux, violent, raciste, homophobe, transphobe et patriarcal se poursuit. En tant que féministes, nous ne cesserons pas de les aider par tous les moyens nécessaires à exercer leur liberté fondamentale de circulation.

États Européens, main dans la main avec les trafiquants !

En Europe, les frontières, c’est du VIOL !

Nous voulons la fermeture de tous les centres de rétention administrative !

Nous voulons l’ouverture de toutes les frontières et l’arret du business des polices et des armes !

 

Tou.te.s aux frontières !

Samedi 5 et dimanche 6 juin 2021, Vintimille-Menton

 

 

English version here:

A TRANSFEMINIST DEMONSTRATION AGAINST BORDERS:

Ventimiglia/Mentone Saturday 5th and Sunday 6th of June

Tuoutes aux frontierès: transfeminist demo in solidarity with the people detained at the French-Italian border of Ventimiglia, a first victorious step of the European transfeminist movement against the european borders, against Frontex and the police, against sexism and racism … or how the people demonstrating managed to jam the discriminatory and racial gears of the border devices for hours.

A transfeminist demonstration against borders and migration policies was held in Nice in the afternoon of Saturday 5 June 2021

In the same day, people in solidarity who live and cross the Italian-French border area decided to spend the morning protesting against borders in the territory of Ventimiglia and Mentone as well, to give everyone the possibility of gathering in a day against borders, even for those who might have problems because of the covid checks or for distance from Nice.

An impromptu appointment for the morning of Saturday 5th of June, imagined and shared as a solidarity greeting to the transfeminist demonstration of Nice, and moment of fight and support for people imprisoned inside the containers of the PAF (Police aux frontieres), further sparked protests right on the border.

 

The demonstration at the border

After gathering at 10:30 at the Italian border, the people in solidarity moved to protest directly in front of the PAF offices and the containers on the french side, where several dozen undocumented people were reclused. Some people without documents from Ventimiglia have decided to participate as well. There have been banners, signs, shouts, choirs, speeches, songs, greetings to locked up people for more than an hour, a few centimeters far away from the french prison structures, from where people imprisoned trying to cross the border have sent greetings and responses to the calls of those demonstrating.

Italian police watched from distance trying to understand what was happening, subsequently deploying a group of riot police; French police showed themselves in trouble, unprepared for a very participatory and unannounced transfeminist demonstration, that managed to go beyond the border without the authorities being able to obstruct or react.

Reinforcements arrived from the French side and tried to get the people back, but collective rage against borders responded with even more noise and chants. When the complicity and the enthusiasm of the people locked inside has begun to grow, Paf entered the containers and gassed those inside with stinging spray: a sudden silence fell inside, a strong chemical smell inflamed the eyes of those who were protesting up to a hundred meters around the sheet metal cages.

In the afternoon, released people have then reported that dozens of them were collapsed in containers under gas. Despite this, they showed themselves happy for the demonstration that has taken place in the morning, enthusiastically asking to bring greetings and solidarity more often.

Around noon the demonstration climbed towards the Italian side, passing in front of police offices and then dispersing.

 

In Ventimiglia, on the train to Nice

Many people have decided to continue the protest, going to get a train at Ventimiglia station, to reach in the afternoon the transfeminist demonstration in Nice. On the Italian rail towards France people have faced with the usual presence of Italian police and private security, which has the daily task to stop and control, at the top of the underpass, all non-white passengers, before they can be able to get on the train which is still at the platform. The group has simply continued to advance, pulling back the police who tried to stop some people, but then stepped aside and finally let the protesters board the 1:55 pm train, rather leaving it to the French colleagues upon arrival in Menton Garavan. Once on board, some people already present on the train joined the “Manif Nizza” wagon.

Ten minutes later, upon arrival at the first station in France, Menton Garavan, French police who have been checking every convoy for six years looking for all the people without documents, approached the train for the usual blitz. It found though a wagon of shouts, choirs and percussion against borders awaiting. To any attempt of mediation or request for identity documents, it was answered protesting and ringing even louder. At one point, the conductor said “if you are quiet and let the controls to be, we continue to Nice without problems ”.

Controls means racial roundups, it means people who have not committed any rime dragged by force into the containers of the Paf or the gendarmerie and beaten for hours without food and water in a metal box. It means that people are insulted and humiliated, gassed and beaten, men, women, intersex, trans persons, or minors who are. The choirs against the borders did not stop.

 

Blockage on the train at Menton Garavan

At one point the intercom of the train warned people that the train was still, and that another train to continue would have been found, arriving on the other platform, which normally covers the reverse line, from France to Ventimiglia. People who wanted to reach the demonstration in Nice then moved as well to go out with the other passengers, so as to change train and be back on the travel.

Army ginks of the PAF and of gendarmerie went to the two exits of the wagon, to block those who wanted to reach the transfeminist demonstration in Nice. They violently crushed people, shouting, throwing up their hands, grabbing, punching, insulting and provoking by threatening to use gas or resorting to sexist verbal harassment.

For the whole time when people have been blocked waiting for reinforcements to arrive from Nice airport, the police hit people with anger and ferociousness aggression, encounter the confrontation only with the very few straight men cis present as the only solution to a situation they did not know how to face. When reinforces arrived with vans, people have been then forced to get off by force, between kicks, punches and shoves, some with her head held down by force, some taken and almost lifted by the neck, they were loaded onto the vehicles and deported again on the other side of the border, right in front of the Italian police offices.

In the end, only one person in solidarity was detained, accused of assault to public official, and two people without documents. These two have been moved to the container and released after a few hours in the direction of Italy, together with all the other people stopped in previous checks.

The person accused of assault, on the other hand, remained in the border offices French in custody for 24 + 24 hours, called “garde à vue” in France and extendable up to 48 hours except for more serious cases.

The Italian police, outraged and nervous about the illegal pushback of community people, downloaded by his French colleagues on Italian soil without even identification, decided to suspend work for the rest of the afternoon, entering a “readmission strike”. If in the morning the blackmail of power in front of a demonstration with which could not find dialogue has been gassing trapped people, in the afternoon the spite of the Italian authorities has decided to block on the bridge that separates the Italian territory from the French one, Ponte San Luigi, all migrants rejected by France.

Lined up at the beginning of the bridge, a group of Italian policemen in uniform and others in plain clothes who were filming, continued for hours refusing people from entering, while at the end of bridge nervous French policemen controlled the situation and held the refusal to entry in France.

All the people who were directed to the transfeminist demonstration in Nice have gathered between the two borders, waiting for news of the people stopped and for unlocking the stalemate for people without documents, triggered by a question of pride and childish spite between the armed forces of the two countries.

After about four hours of soliciting, a plainclothes policewoman went to negotiate inside the French offices with colleagues, to return to the beaming bridge, explaining that it was there it was only a “communication problem” and that it was all solved: the community people could freely go to France or Italy at will, “instead we take them ‘cause we have to deal with them ”, she said pointing at the migrants blocked for the whole afternoon by the Italian police.

Upon confirmation that the person in solidarity would have been detained in garde à vue, and once that all people have been authorized to return to Italy and, for those confirmed minors, the return to France was reconsidered after the intervention of the lawyer, the 12-hour day at the “high border” of Ponte San Luigi ended with an appointment for the next day, in the same place.

 

Sunday, return to the border (Ventimiglia)

Sunday 6th around 2 pm, when the lawyer confirmed that the French policemen had found a trick to extend the solidarity person’s 24 hours of garde à vue stopped the day before, with the ploy of the late request for acquisition for the cameras of the train and the station of Menton Garavan, the group of solidarity people has approached the containers again, shouting for a couple of minutes choruses and greetings to all the people incarcerated at that time, who have in turn again answered; while from the window of the French police station some policemen showed him stinging spray aimed at containers, as a threat of further revenge on people recluse.

In a few seconds, when the people in solidarity were leaving, the PAF came out running from the offices, some pulling out batons, some waving the spray, stopping in line up on the border line for a few seconds, probably before getting an authorization to trespass from the Italian police: a rapid movement of mobile phones between one side to the other of the border, has broken the delay of the French police, who ran angrily to surround a car of supportive people on Italian soil which was maneuvering to leave.

Five people were attacked and forcibly pulled out of the car, taken inside the French border offices with their arms locked behind their backs. Italian police, a few hundred meters away, observed and filmed everything. After a few hours, all people were released with a refus d’entrée (refusal of entry) from France, the same as those that are given to dozens of deferred people every day in Italy, and a fine of 135 euros for entry into France – of about five meters – without testing covid.

Monday, all at the borders!

On the third day of protesting at the border, after further greetings from the people in the containers, who climbed from the closing grate on the roof, to greet the presence of supportive people, and after 45 hours of garde à vue, it was released as well the last person taken on the train to Nice.

The racial roundups on both sides of the border and the detention of people for hours without documents in sheet metal prisons, continues day after day. Together to human trafficking, to the sale of women’s bodies as a ticket to to cross the border, to under-the-table agreements between cops and thieves, to physicals assaults everyday more frequent against non-white people.

However, their daily struggle to survive in an hostile, dangerous, violent, racist, sexist, homophobic, transphobic, and patriarchal territory keeps going. As feminists, we will not stop helping them by any  necessary way to exercise their fundamental freedom of movement.

 

European States, hand in hand with the traffickers !

In Europe, borders are Rape !

We want all administrative detention centers to be closed !

We want the opening of all borders and the end of the police and arms business!

 

Tou.te.s aux frontières!

Saturday 5th and Sunday 6th June, Ventimiglia

La polizia di frontiera e il Covid 19, un anno dopo

Pubblichiamo la traduzione del report di marzo del collettivo Kesha Niya, attivo alla frontiera di Ventimiglia dalla primavera del 2017. Il resoconto mette in luce come la polizia di frontiera francese continui a utilizzare in modo strumentale l’emergenza Covid 19 per inasprire i controlli, mentre continua contestualmente a detenere in luoghi insalubri e affollati le persone da respingere, spesso illegalmente, in Italia. La traduzione del precedente report (febbraio 2021) è disponibile qui.

Cari amici! La situazione alla frontiera continua ad essere intollerabile. Le ultime settimane sono state caratterizzate da un buon numero di persone che ogni sera si fermano alla nostra postazione, sia per passarci la notte, sia per percorrere il Passo della Morte (sentiero per la Francia) durante la notte.

Le notti sono ancora molto fredde, cerchiamo di fornire coperte e vestiti caldi. La situazione è ulteriormente aggravata dalla pioggia.

Ci sono pochissime strutture coperte/tetto per dormire a Ventimiglia. La settimana scorsa, quasi tutti i treni per la Francia erano già controllati a Ventimiglia, quindi era quasi impossibile salire sul treno. Dato che così tante persone sono bloccate qui in questo momento, sorgono tensioni, che sentiamo anche alla postazione della colazione (postazione del colletivo Kesha Niya a qualche centinaia di metri dalla frontiera di ponte San Luigi) Tutte le persone respinte che arrivano alla nostra postazione hanno cercato di passare a piedi. Come risultato un minor numero di persone è arrivato dalla polizia di frontiera mentre il maggior numero è arrivato in autobus o a piedi da Ventimiglia.

I dati della scorsa settimana saranno pubblicati nel prossimo rapporto. La gente continua a raccontarci di insulti da parte della polizia. In diverse occasioni, le persone in movimento sono state insultate dalla polizia. Le donne sono state chiamate “puttanelle” e gli uomini “figli di puttana”. Il Covid è ancora molto presente e continua a creare problemi. Non sono solo i documenti mancanti a impedire (l’ingresso in Francia ndt), ma anche la mancanza di un test PCR impedisce l’ingresso e viene giustificato sul “refus d’entrée” (documento consegnato dalla polizia francese al momento del respingimento in Italia ndt) come “pericolo per il paese”.

Il Bar Hobbit è ancora chiuso, e non è ancora chiaro quando o se riaprirà.

Da un lato, il Covid porta a maggiori controlli con il pretesto della salute, di fatto però, solo le persone BIPOC (Black Indigenous People of Color, persone nere, indigene e e di colore ndt) vengono controllate. Il profilamento razziale è praticato qui al più alto livello. La conseguenza diretta dei controlli è la detenzione di troppe persone in container dove non si può mantenere la distanza. La condizione molto poco igienica aggrava la situazione. Come già raccontato in un precedente rapporto, il tribunale di Nizza ha definito illegale questo modo di gestire le persone alla frontiera. Ciononostante, la situazione rimane invariata. Le foto di seguito ci sono state inviate da una persona che è appena uscita dai container. Invierà queste foto anche al ministro della salute francese.

 

 

 

 

polizia di frontiera
Interno dei container di detenzione utilizzati dalla polizia francese

 

esterno dei container usati per la detenzione prima del respingimento in Italia

La settimana scorsa, un numero insolitamente grande di donne e bambini è venuto da noi. Molti di loro hanno deciso di non essere ospitati dalla Caritas in una casa per donne e famiglie. Una possibile ragione potrebbe essere che sono intrappolati nei circoli della tratta delle donne. Dormire in uno spazio sicuro potrebbe essere visto come un tentativo di fuga che potrebbe essere punito dai trafficanti e quindi è un pericolo per le donne e i loro bambini.

C’è uno squat a Ventimiglia dove i trafficanti offrono alle persone in fuga un posto per dormire in cambio di soldi. Secondo i racconti, non ci sono strutture adeguate per dormire lì, i vestiti vengono usati per fare il fuoco e la casa è piena di spazzatura e feci a causa della mancanza di servizi igienici. Scriveremo e pubblicheremo un articolo sulla situazione del traffico di donne nella zona di confine il più presto possibile.

Inoltre, un incidente ci ha accompagnato negli ultimi giorni. Un bambino di 11 anni è stato separato da sua madre mentre cercava di attraversare il confine in treno. Molto probabilmente i contrabbandieri avevano precedentemente nascosto la famiglia sul treno in luoghi diversi e solo un bambino non è stato scoperto dalla polizia. Ha viaggiato non accompagnato fino a Nizza. Nel frattempo, è stato accompagnato a Parigi da una persona conosciuta dalla madre. La madre è ancora in Italia.

Oltre alle famiglie, abbiamo incontrato molti minori non accompagnati. Alcuni di loro sono stati respinti più di 5 volte. Ci hanno anche detto che la polizia ha distrutto i documenti che provano la minore età dei minorenni.

Fino a sei mesi fa, un documento per i minori poteva essere rilasciato tramite il nostro avvocato con una procedura d’urgenza. Questo doveva essere preso in considerazione dalla polizia di frontiera e permetteva loro di attraversare la frontiera legalmente. Nel frattempo, la situazione in cui i minori sono costretti a vivere per strada è stata dichiarata come non urgente. Pertanto, le procedure urgenti non sono più attuabili e l’attraversamento legale della frontiera è quasi impossibile. Molti dei minori non hanno alcuna prova della loro età.

A causa di questo, sono privati dell’accesso ad alcune strutture come i posti letto qui sul posto (Ventimiglia ndt), poiché in molti casi questi possono essere richiesti solo con documenti ufficiali. Ecco le cifre delle ultime due settimane. Come sempre, vogliamo ricordarvi che queste cifre sono incomplete e possono dare solo una panoramica approssimativa della situazione al confine. Per il 19 marzo i numeri si sono persi.

Altri avvenimenti: 4.03.: Molte persone sono state rilasciate dopo l’ultimo autobus e hanno deciso di rimanere alla postazione della colazione per dormire. 10.03.: Alla postazione della colazione è arrivato un uomo dal Sudan che aveva lividi e ferite aperte al ginocchio. Ci ha detto che stava camminando sul sentiero di montagna (passo della morte). Quando è arrivata la polizia, voleva scappare ma un poliziotto lo ha afferrato per la caviglia e lo ha spinto a terra. E’ dovuto rimanere 15 ore nel container, senza cure mediche, cibo o acqua.

Grazie a tutti coloro che seguono continuamente i nostri reportage e si interessano alle persone che incontriamo.

Anche se siete lontanə, date nuova visibilità a tuttə coloro che sono statə lasciatə solə dal governo italiano e francese, maltrattatə e spesso oggetto di violenza da parte della polizia di frontiera francese. Per maggiori informazioni o per qualsiasi domanda contattate l’e-mail qui sotto. Siamo anche sempre felici di ricevere donazioni in denaro, per continuare il nostro lavoro e per l’arrivo di nuovi volontarə. restate ribelli! a presto – kesha niya <3

kesha-niya@riseup.net keshaniyakitchen@gmail.com Bank account:
GLS Bank Depositor: Frederik Bösing IBAN: DE32 4306 0967 2072 1059 00 BIC-Code: GENODEM1GLS

Ventimiglia – Binario 3

Abbiamo trascorso questi ultimi mesi in continuo aggiornamento con i collettivi Kesha Niya e 20K grazie ai quali è stato possibile non rimanere all’oscuro di ciò che accade al confine. Abbiamo tradotto e condiviso i report scritti da Kesha Niya sulle violenze della polizia e sulle condizioni disumane del trattenimento e abbandono in cui vengono lasciate le persone che arrivano al confine di Ventimiglia. Ogni report, ogni telefonata, ogni incontro ci avvicinava sempre più al confine fino a decidere, in un momento di incremento locale dell’infezione covid 19, di partire.

Siamo arrivati in una mattina infrasettimanale, contemporaneamente all’orario in cui la Caritas distribuisce il pasto.  Numerose le persone, tutti maschi, in coda o sedute per terra con indossate le mascherine. Nei loro corpi la rassegnazione: una coda, una mano tesa a prendere il sacchetto, un giro su stessi e avanti un altro. Arrivano da Ventimiglia o direttamente dalla ferrovia e si allontanano seguendo gli stessi percorsi da cui sono arrivati.

Percorsi che facciamo anche noi e che ci portano lungo i binari della stazione praticamente deserti se non per la presenza di personale in divisa prevalentemente della polizia italiana, dell’esercito, di quella francese o della vigilanza privata, del personale ferroviario e di uomini e donne al lavoro. Mentre ferrovieri e lavoratori si muovono tra una banchina e l’altra intenti a fare cose e a trasportarne altre, gli uomini in divisa stazionano, assembrati, per lo più sul binario 3 dove transitano i treni per e dalla Francia.

L’atteggiamento tra le polizie italiane e francesi sembra assai poco collaborativo a tratti quasi ostile. Gli uni impegnati a dirigere il traffico per quelli che vengono fatti scendere dai treni in arrivo dalla Francia e gli altri impegnati a controllare chi in Francia ci sta per andare. Ma entrambi assolutamente interscambiabili nella profilazione razziale della scelta di chi controllare e nelle modalità aggressivo repressive del loro agire. Come già raccontato in diverse occasioni i treni in transito per la Francia stazionano il tempo necessario per permettere alle forze dell’ordine di effettuare quelli che loro chiamano controlli e quelli che più volte sono stati descritti con video testimonianze come vere e proprie aggressioni (persino da striscia la notizia…).

Seguendo le indicazioni che un poliziotto italiano fornisce, come fosse uno steward, a un presubilmente respinto dalla Francia, intravediamo i gruppi di migranti seduti sulle banchine morte della Stazione di Ventimiglia. Decidiamo di percorrere il perimetro esterno della stazione fino al parcheggio presso il ponte della ferrovia. Dietro le grate, sedute sul binario morto, ci sono una ventina di persone. Ci avviciniamo, proviamo a parlare con loro, alla richiesta se hanno un qualche problema di salute, alcuni uomini abbassano la testa mentre una donna, avvicinandosi quasi a coprirne un’altra seduta, ci dice che non ci sono problemi, con un chiaro invito ad andarcene. La sua sicurezza in una situazione prevalentemente maschile e il suo avvicinarsi all’unica ragazza presente ci induce ad ipotizzare un ruolo di controllo e di potere che abbiamo già visto e descritto più chiaramente in un precedente articolo presente nel Blog dal titolo “Come si è permesso al trafficking di creare la rete di sfruttamento a Ventimiglia. La Tratta e la Mafia, la Tratta è Mafia”.

Per il pranzo raggiungiamo in spiaggia alcune compagne di kesha Niya e di 20K. Ci scambiamo racconti, testimonianze, esperienze e sguardi sulle condizioni delle donne in frontiera, vittime del trafficking e dello sfruttamento della prostituzione. Condividiamo i nostri saperi: i ruoli della criminalità organizzata che gestisce il trafficking, la figura del passeur, dello sponsor, del trolley, come vengono reclutate le donne e da chi, quale la rete di sfruttamento a cui sono destinate, cosa sanno, come renderle più consapevoli e autonome circa il loro desiderio o bisogno di migrare o di fermarsi a riposare, come entrare in relazione con loro se così accerchiate da maschi, soprattutto ora che il bar Hobbit, punto di riferimento nel passaparola delle donne sole che transitavano a Ventimiglia, è chiuso causa Covid19.

La stazione di Ventimiglia è luogo di reclutamento di donne che tentano di passare il confine, tutto accade lì, tutti gli attori del crimine organizzato stazionano in quel luogo: c’è il trafficante, il passeur, la madam, il controllore.

Alle 18 ci rechiamo presso il parcheggio davanti al cimitero dove da ormai numerosi anni si alternano diverse associazioni per la distribuzione del cibo, vestiario e coperte, insieme a chi fa assistenza sanitaria e a chi attrezza postazioni con generatori per la ricarica dei cellulari. Neanche il tempo di avvicinarci al piazzale veniamo identificati immediatamente da due agenti della Digos, che stazioneranno in macchina per tutto il tempo della distribuzione. Appena cala il sole l’umidità del fiume avvolge i nostri corpi, fai finta di niente, sai che le persone intorno a te, quella notte come le precedenti e le future, le avranno passate e le passeranno all’addiaccio, senza alcun riparo se non quello di coperte recuperate dai grandi sacchi che escono dalle macchine di alcune volontarie.

La mattina successiva ritorniamo in stazione e raggiungiamo, seguendo i binari, l’area presso il ponte della ferrovia dove incontriamo diverse persone che rispondono alla nostra domanda di necessità di cure mediche. Lo spazio occupato segue una dislocazione per provenienza d’origine ed aree linguistiche, per la maggior parte sono uomini. Chi si avvicina, lamentando dolori forti al corpo, è una donna con la quale cerchiamo di interloquire nonostante il continuo e ripetuto intervento dell’uomo che le sta a fianco. Lei riesce comunque a dirci che c’è un’altra donna che sta male indicando i magazzini prima descritti. Proviamo a cercarla chiedendo ad alcuni uomini che incontriamo lungo i binari, tra loro alcuni si mostrano interessati a noi e iniziano a raccontarci che le donne sole che arrivano in stazione vengono immediatamente circondate da alcuni uomini e allontanate dal resto del gruppo. Nel mentre che ci raccontano questo, intravediamo tre donne col capo chino circondate da un gruppo di uomini, proviamo ad avvicinarci a loro, pensando che tra loro potrebbe esserci la donna malata. Un uomo con una bottiglia di vino bianco in mano ci allontana facendoci capire che non era sua intenzione farci avvicinare. Proviamo a parlare lo stesso con le donne ma nessuna di loro alza la testa, si capisce che sono spaventate e la nostra presenza crea tensione.

Proseguiamo il cammino dirigendoci verso l’ultima banchina dove incontriamo un gruppo di persone, sempre maschi, intenti a lavarsi nei pressi di una bocchetta d’acqua posta sotto il binario. Parlando con loro capiamo che sono arrivati da poco a Ventimiglia dalla rotta balcanica e non conoscono né la distribuzione mattutina alla Caritas né quella serale nei pressi del parcheggio del cimitero. Hanno come indicazione il fatto che la stazione sia il luogo dove poter attendere il passaggio del confine senza avere problemi con la polizia. Polizia che per altro continua a mantenere lo stesso assetto a difesa del Binario 3 come nel giorno precedente. Tre di loro presentano infestazione da scabbia, forniamo la terapia e diamo indicazioni su come si arriva alla Caritas, dove possono trovare abiti di ricambio necessari perché la cura sia efficace. Poco più avanti un altro gruppo di 6 persone al quale non riusciamo ad avvicinarci.

binario
Kesha Niya – confine alto

Ci allontaniamo dalla stazione per raggiungere il nuovo presidio di Kesha Niya e 20k presso la frontiera di Ventimiglia, come sempre molto organizzato e popolato. Al nostro arrivo infatti vediamo circa 50 persone, stanche dal lungo percorso che separa la notte nel container dal ritorno verso Ventimiglia. Le persone riposano, mangiano qualcosa, si scambiano informazioni e ipotesi per come affrontare il viaggio in attesa del passaggio del pullman diretto a Ventimiglia. Tra di loro risaltano un gruppo di 6 donne con bambini e ragazzini molto curiosi e attivi provenienti da paesi differenti. Si sono incontrate e riunite lungo il viaggio e sembrano determinate a mantenere la loro autonomia. Vengono più volte avvicinate da un gruppo di uomini, i passeur hanno volti ormai noti tra chi vive il confine, le donne li allontanano comprendendo i loro obiettivi. I passeur si raccolgono in un punto e tra loro vediamo la stessa donna, sicura e autoritaria che il giorno prima lungo i binari ci aveva fatto capire che nessuna persona aveva necessità di cure mediche.

Lasciamo Ventimiglia con la stessa sensazione di sempre. In questi 6 anni di presenza sul confine ne abbiamo vissute di cose, incontrate di persone, partecipato a lotte, condiviso nottate in strada, e tutto ci ritorna alla mente quando nuove compagne ci domandano “ma com’era prima?” quando c’erano le battiture al confine, quando si sono occupati i Balzi Rossi, quando c’erano i campi informali e poi quelli formali.

Proviamo a ripercorrere le contraddizioni, le violenze, le vittorie, gli errori, le sconfitte di quegli anni e da questo viaggio nel tempo e nello spazio intravediamo qualcosa che in tutti questi anni non si era mai mostrato. Dalle occupazioni dei primi mesi del 2015 si è passati a una serie di misure preventive e detentive che hanno lacerato le vite delle persone che hanno attraversato quel confine e fatto guadagnare chi di quel confine ne traeva profitto: stati, polizie, associazioni laiche o cattoliche, ong, ecc… Sappiamo che queste parole potrebbero ferire o far arrabbiare le persone che lavorano con passione in queste realtà associative da molto tempo ma è anche a queste persone che chiediamo di fare, insieme a noi, una pratica di parresia, cioè di dire la verità, come primo atto di capacità critica.

In questo atto di parresia c’è da domandarsi quanto fossimo preparati a vedere nelle lotte dei migranti al confine non solo il diritto di emigrare ma la messa in discussione dell’intera politica coloniale europea. Quando un gruppo di sudanesi, nel 2015, dopo alcuni mesi di presenza a Ventimiglia, scrissero su di un cartello che “Il problema è la frontiera” non parlavano solo di quella di Ventimiglia ma della costruzione dello Stato nazione e delle pratiche di potere e sfruttamento agite da quegli stessi stati nei loro territori portando istanze di emancipazione personale, sociale, “razziale”, intrecciate in modo tale da essere inseparabili.

Lo stesso atto di incessante parresia costato in denunce, obblighi di firma, limitazione della libertà personale, abusi di potere, violenze, minacce e reclusione di chi, solidale, occupa spazi di libertà. È in questi spazi che ad oggi, le associazioni riconosciute e incaricate di monitorare le persone che attraversano il confine, svolgono il loro lavoro, incontrano fisicamente le persone in transito, redigono report e quindi testimoniano che la loro presenza al confine ha un senso per chi li stipendia. E questo accade perché i solidali fanno di quegli spazi dei luoghi protetti, dove le persone in viaggio si sentono più libere di poter parlare, di soffermarsi, dove sanno che quel pasto non si esaurisce in un “dono” ma in un supporto a continuare il loro viaggio.

Il tempo trascorso nello spazio solidale organizzato lungo il confine alto e nel piazzale davanti al cimitero è diverso dal tempo trascorso alla distribuzione della Caritas. Lo dicono i corpi di chi attraversa quei luoghi. Lo dicono i sorrisi di chi dopo il pasto si ferma a far due chiacchiere mentre si attende che il cellulare raggiunga la carica per poter essere riutilizzato. Lo dice il fatto che alla Caritas non ci sono le associazioni incaricate di monitorare le persone che transitano da Ventimiglia, così come non ci sono sulla spiaggia, nel parco o lungo i binari della stazione dove i migranti attendono il trascorrere delle ore. Perché quelli non sono spazi di incontro e non lo sono né per i migranti né per le associazioni e non lo sono stati nemmeno per noi.

Questo è l’atto pratico di parresia che crediamo non possa più essere rimandato né celato. Così come è chiaro che l’interesse delle forze di polizia sia esclusivamente a tutela del Binario 3. Intorno a quel binario ci sono bambini a disposizione di pedofili del luogo o frontalieri; donne a disposizione di passeur che le vendono a trafficanti; giovani assoldati dalla malavita. Ma la difesa dello stato nazione, e quindi del Binario 3, è l’unico per cui vengono messe forze a disposizione e per cui addirittura si crea una “brigata speciale” di interforze poliziesche italofrancesi a tutela dello stesso.

Respingimento e Controllo a Ventimiglia

Il respingimento dei minori, la violenza fisica e verbale della polizia francese, la nuova cooperazione tra la polizia francese e quella italiana alla stazione di Ventimiglia, raccontate da chi quotidianamente incontra e raccoglie i racconti delle persone in viaggio, in direzione ostinata e contraria al meccanismo disumanizzante della frontiera.

Pubblichiamo di seguito la traduzione del report di febbraio del collettivo Kesha Niya, attivo alla frontiera di Ventimiglia dalla primavera del 2017.

La traduzione del precedente report (dicembre 2020 – gennaio 2021) è disponibile qui.

Cari amici, ci scusiamo per l’intervallo di tempo tra questo aggiornamento e l’ultimo di gennaio. Recentemente, ci sono stati alcuni cambiamenti nel nostro gruppo, volontari* che se ne sono andat* così come nuov* che sono arrivat*.

Siamo a febbraio e anche se giorno dopo giorno le temperature sta aumentano, le notti restano ancora fredde. Ogni giorno incontriamo dalle 10 alle 20 persone che sono tenute per tutta la notte nei container di detenzione al confine francese. Riferiscono che all’interno dei container non c’è alcuna possibilità di dormire e che la polizia si rifiuta di distribuire coperte, tè, acqua o cibo.

Tutto considerato, rispetto alle settimane precedenti, durante le ultime due sono arrivate meno persone al posto di frontiera di Kesha Niya. Questo potrebbe essere collegato al fatto che gruppi della polizia francese e italiana (nuova cooperazione) stanno controllando la stazione ferroviaria di Ventimiglia. Chiedono documenti di viaggio validi alle persone che vorrebbero in raggiungere la Francia con il treno, non proibendo di fatto altro che un viaggio sicuro. A seguito di questo infatti, le persone in movimento sono costrette a cercare modi non sicuri per attraversare il confine, come camminare su un sentiero di montagna o dipendere da trafficanti che approfittano della situazione di vulnerabilità dei migranti.

La distribuzione di cibo a Ventimiglia è meno frequentata, stiamo ancora cercando di capire se c’è una ragione particolare per questo.

I controlli della polizia rimangono simili a quelli delle ultime due settimane. La novità è che la polizia francese ha iniziato a respingere le persone con documenti di viaggio validi a causa di una “mancanza di un test PCR (test per COVID-19 con risultato disponibile in 24 ore n.d.t.)” – trattenendoli per più di 4 ore nei container quindi in maniera illegale (come d’altronde è la stessa procedura di respingimento).

A causa del passaggio da zona gialla a zona rossa (Covid-19) a Ventimiglia devono chiudere anche importanti servizi per migranti in città (come il “Bar Hobbit” che è un locale aperto a tutti).

Il bar Hobbit

Dalla seconda settimana di febbraio c’è stato un numero significativo di minori respinti (ne abbiamo incontrati 63). Anche se queste persone avevano con se documenti che provano la loro minore età, la polizia li ha registrati un anno di nascita più basso per non essere responsabile della loro sicurezza. Alcuni dei minori che abbiamo incontrato non hanno più di 13 anni. Ad oggi non esiste a Ventimiglia un singolo centro di accoglienza per minori anche questi ragazzi quindi, come tutte le altre persone, sono costretti a dormire per strada.
Molte delle persone detenute dalla polizia ci hanno raccontato che la polizia francese si comporta in modo razzista e usa un linguaggio razzista (come ad esempio chiamarli “schiavi”). Il 14 gennaio, le persone che abbiamo incontrato ci hanno riferito che la situazione nel container di detenzione è degenerata e la polizia ha usato violenza fisica e spray al peperoncino contro 35 persone che erano all’interno. Due migranti sono svenuti e sono stati portati all’ospedale in ambulanza.

In altri giorni al nostro posto di frontiera sono arrivate persone con un braccio rotto, un labbro rotto o un dito rotto. La maggior parte delle persone ci dice di aver passato “di peggio” ma che speravano che sarebbe stato meglio in Francia e in mezzo all’Europa. Stiamo incontrando molte persone che hanno sperimentato avversità disumane nei campi di Malta o Lampedusa. Molti descrivono la loro frustrazione per la mancanza di consapevolezza della situazione lì. Altri raccontano della violenza in altre frontiere in Europa (per esempio in Croazia). “Abbiamo rischiato la vita attraversando questo mare… E ora questo”. – si sente spesso.

Nelle scorse settimane abbiamo incontrato famiglie e donne con bambini che sono state trattenute nei container per molte ore. All’inizio di febbraio, la polizia ha dovuto chiamare un’ambulanza per un bambino di 11 mesi, indebolito da queste pratiche disumane di respingimento. La maggior parte dei bambini che incontriamo sono sopraffatti dalla situazione e dallo stress fisico ed emotivo in cui sono messi sia loro che i loro genitori.

Di seguito trovate i numeri delle persone sottoposte a respingimento dalla fine di gennaio. Vogliamo ricordarvi che la nostra documentazione non è completa perché mancano le capacità per registrare tutte le persone che arrivano al posto di frontiera. Inoltre, è importante per noi non ridurre la situazione ai numeri, ma tenere presente che ogni “numero” è una persona con la sua storia e la sua vita:

                 Data/Persone Respinte/Uomini/Donne/ Bambini/Minori non accompagnati

Non possiamo e non vogliamo chiudere gli occhi di fronte alla violazione quotidiana dei diritti umani e siamo solidali con le persone! No borders, No problems

Kesha Niya

Per ulteriori informazioni o domande contattateci all’e-mail qui sotto. Sempre felici di ricevere anche donazioni, per continuare il nostro lavoro!

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La dignità umana e i diritti fondamentali dimenticati

Pubblichiamo la traduzione del report di gennaio 2021 del collettivo Kesha Niya, presente alla frontiera di Ventimiglia dal 2017. Il report contiene nuovi resoconti sull’ordinaria amministrazione volta a reprimere i diritti fondamentali e la dignità umana. Potete leggere la traduzione dei precedenti report a questi link: 17 dicembre 2020, 27 dicembre 2020

Il nostro rapporto, finalmente!

Alcune parole sulla dignità umana alla frontiera franco-italiana, gennaio 2021.

Il nuovo anno è iniziato e l’inverno continua.

Da quando vediamo più freddo e giorni e notti di pioggia, dal momento che le persone devono adattarsi, il nostro posto di lavoro alla frontiera sta cambiando come il tempo. Soprattutto visto che questo è il primo anno dal 2016 senza un campo dove stare, le persone in viaggio usano gli spazi sicuri che trovano per dormire ogni volta che possono. Questo include il nostro spazio di lavoro 1 km prima della frontiera francese, direttamente accanto alla strada principale che porta dal confine a Ventimiglia.

Oltre all’accesso a cibo, bevande, assistenza medica e informazioni, da dicembre siamo in grado di dare vestiti, coperte e sacchi a pelo ogni giorno. Questo è reso possibile grazie alle costanti donazioni e risorse portate dai nostri volontari provenienti da diversi paesi e dalle persone del posto!

Ora vediamo ogni notte alcune persone che dormono alla “colazione” perché non hanno altro posto dove andare e aspettano il nostro ritorno al mattino. Altri rimangono per la notte per continuare il loro cammino la mattina presto.

Tutto questo accade proprio accanto alla strada principale che porta dal confine francese a Ventimiglia. Altre persone continuano a scegliere la spiaggia di Ventimiglia, lo spazio sotto il ponte, le case vuote o i posti vicini alla stazione ferroviaria.

Per noi significa più manutenzione dello spazio per tenerlo pulito. Le persone che pernottano lasciano coperte, vestiti e bagagli per non essere ostacolate quando cercheranno di riattraversare il confine italo-francese.

Come reazione alle notti gelide e all’essere costantemente esposti alle temperature esterne, anche nella stazione di polizia (francese ndt) dove rimangono per almeno 12 ore durante le ore notturne, la gente accende fuochi a partire dalla sera fino alla mattina. Non necessariamente presso il nostro spazio, ma in tutti i luoghi di pernottamento a breve termine della città. Due giorni fa è scoppiato un incendio a Ventimiglia a causa di una persona che ha acceso un fuoco per tenere lontano il freddo

Tutto questo ha portato la polizia a fermarsi per diversi giorni per ricordarci di smontare il nostro telo per riparare dalla pioggia, di spegnere i fuochi al mattino e di ripulire lo spazio. Sembrano esserci infinite risorse per controllare noi e quello che dovremmo fare, mentre noi cerchiamo di usare le nostre risorse in una situazione in cui il governo italiano e francese (come qualsiasi altro governo europeo) non sembrano avere alcun interesse a soddisfare i più elementari bisogni degli esseri umani.

Questo dovrebbe essere il lavoro di stranier*, per lo più giovani che vengono a lavorare in nome di Kesha Niya nella zona? Persone che sono per lo più senza adeguate pause o sonno ma sono fortemente impegnate in quello che è solo un piccolo pezzo di supporto proposto a tutt* coloro che si trovano in un viaggio ignorante e violento attraverso l’Europa, anonimo, in un sistema che non riconosce come viv* chi non ha il documento giusto?

Questo non dovrebbe essere il nostro posto. La lotta delle persone dovrebbe essere di tutt*, ma soprattutto di coloro che hanno accettato di assumersi la responsabilità del loro paese, comprese le persone che hanno scelto di entrare in questa terra alla ricerca di qualcosa. Le organizzazioni di base, gli persone locali attive, ONG etc. stanno sostituendo il governo dove fallisce nel reagire. Dove inoltre sceglie attivamente di violare i diritti fissati nella propria stessa legge, e dove viola la dignità umana.

Alcuni resoconti più concreti:

Dopo essere stati catturati sui treni, in auto o camminando da qualche parte, le persone vengono messe nella stazione di polizia (francese ndt) in piccoli spazi che chiamiamo “container”. Non possono usare il loro diritto di chiedere asilo in Francia, ogni diritto che dovrebbero avere è ignorato. Vengono trattenuti per alcune ore durante il giorno e poi solo rimandati indietro, e se prese tra le 6 del pomeriggio e le 7 del mattino, sono trattenute tutta la notte. Spesso, sono trattenute da 12 a 17 ore fino a un giorno intero.

Ora improvvisamente in tre giorni diversi delle persone ci hanno riferito di essere state in stazione per 48 ore (!). 5 persone hanno riferito di essere state trattenute per due giorni interi il 28 dicembre, il 2 e il 7 gennaio. Come chiunque altro, senza cibo, acqua, servizi igienici, coperte, un posto per dormire, assistenza medica. A temperature esterne, in un posto che costruito con pietre e metallo.

Il 29 dicembre, un gruppo di giovani ragazzi riferisce di essere stato catturato di notte in un camion che andava in Francia. Dopo essere stati fermati, la polizia scrive numeri da 1 a 5 sulle loro mani per distinguerli. Quando arrivano, possiamo ancora vedere i numeri sulle loro mani.

Il 30 dicembre: 5 ragazzi vengono arrestati dalla polizia. Vengono messi sui sedili posteriori vengono messi sui sedili posteriori di una macchina della polizia, tutti e 5 insieme. Quando chiedono di avere più spazio, la polizia risponde che sono venuti tutti insieme dall’Africa, schiacciati in una piccola barca, quindi non dovrebbe essere un problema.

Il primo gennaio, una persona viene controllata mentre piove, davanti a un edificio. Chiede di essere controllato all’interno, in uno spazio asciutto. La polizia lo picchia per questa richiesta.

Parliamo con un uomo che è già in procedura d’asilo in Francia. L’8 gennaio, la polizia prende il suo documento che prova il suo status e non glielo restituisce.

Di seguito, trovate i numeri delle ultime due settimane che abbiamo contato alla frontiera. Questi numeri sono abbastanza precisi per tutt* coloro che sono stati accolti a colazione, dal momento che quasi tutte le persone che sono state respinte dalla Francia in Italia passeranno del tempo al nostro punto di frontiera.

Nella settimana dal 28 dicembre al 3 gennaio, abbiamo incontrato solo 222 persone alla frontiera, di cui 190 respinti e 32 provenienti da altri posti nei dintorni per mangiare e chiacchierare. È un numero molto basso, perché è stato per difficile in questo periodo viaggiare all’interno dell’Italia, e le regioni italiane sono state chiuse durante la zona rossa per il Covid 19.
Di queste 222 persone, abbiamo contato solo una donna e due minori.

Nella settimana dal 4 gennaio al 10 gennaio, tutto stava tornando alla normalità con numeri che erano significativamente più alti. Abbiamo contato 603 persone, di cui 518 respinte e 85 provenienti da luoghi diversi. Di tutti questi, 41 erano donne, 17 bambini e almeno 10 minorenni, ma non abbiamo potuto tenere traccia di tutti i minorenni questa settimana. Il numero più alto di persone arrivate in un giorno è stato 158.

Ricordate che il numero di individui effettivamente respinti è molto più basso, dal momento che le persone ci riprovano e vengono arrestate per diversi giorni e noi non le incontriamo quasi mai solo una volta.

Siamo felici di essere di nuovo un alto numero di volontari, dato che il numero di persone al confine aumenta rapidamente. Anche le forze di polizia sono tornate alla normalità. Possiamo continuare bene il nostro lavoro e avremo capacità anche di essere più presenti a Ventimiglia e nella zona, per controllare come stanno le persone che sono appena arrivate o sono bloccate da qualche parte senza via d’uscita.

Medici senza frontiere ha appena pubblicato un mini documentario e un breve rapporto su diverse regioni di confine tra l’Italia e la Francia. Vale la pena guardarlo e tradurlo (dall’italiano all’inglese e/o francese ndt) dal momento che e disponibile solo italiano. Potete trovarlo qui:

Se siete interessati ad altra merda che sta succedendo in Italia, eccovi serviti con un nuovo rapporto di “Are you syrious?” sui campi di espulsione CPR italiani.

Come sempre – se avete letto fino a qui, grazie a voi personalmente per il vostro interesse e supporto
Potete contattarci e attivarvi per la regione qui in qualsiasi modo vi sia possibile.

Per favore utilizzate la nostra pagina Facebook o le nostre e-mail. Ulteriori informazioni di seguito.

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Violenza della polizia al confine francese/italiano – seconda parte

Proponiamo la seconda traduzione dell’ultimo aggiornamento dei Kesha Niya sulla violenza della polizia al confine di Ventimiglia del 27 dicembre.

Violenza della polizia al confine italo-francese, tra Ventimiglia e Mentone

Abbiamo ascoltato una quantità impressionante di storie di violenza in questa settimana di Natale. La cronaca verrà riportata alla fine di questo post.

Questo post non aggiunge nulla di nuovo, né di positivo; abbiamo riassunto le violenze che si verificano regolarmente sui treni tra Ventimiglia e Mentone e nella stazione di polizia della polizia di frontiera francese molte volte in passato.

Questo post è, ancora una volta, per aumentare la consapevolezza e la rabbia – è l’unico modo per condividere ciò che le vittime di questa violenza condividono con noi, ciò che, altrimenti, resta invisibile.

Speriamo che questo testo raggiunga le persone della zona e di entrambi i paesi interessati.

Individui appartenenti alla polizia e alle forze dell’ordine hanno deciso in ogni episodio raccontato di violare attivamente i diritti delle persone e di far loro del male fisicamente e mentalmente.

Perché abbiamo sentito parlare di pestaggi e botte alle persone e di lacrime versate quasi ogni giorno tra il 21 e il 27 dicembre?

Non c’è una risposta chiara, ma è sicuramente più facile agire illegalmente nei treni pubblici quando non c’è nessuno in giro a causa delle misure legate al Coronavirus e delle festività natalizie. La maggior parte dei treni sono stati quasi completamente vuoti in questi ultimi giorni.

La mancanza di coordinamento dei migranti non dà a nessuno il diritto alla violenza. Questa è frutto del modo di agire delle forze dell’ordine che operano nella zona, le quali sanno che  queste modalità non hanno avuto conseguenze negli ultimi quattro anni.

Vi invitiamo a condividere e a diffondere il più possibile queste informazioni, così come siete i benvenuti se volete unirvi a noi o sostenerci come volete e potete.

Per una panoramica e maggiori dettagli sul nostro lavoro nell’area, leggete il nostro ultimo rapporto del 17 dicembre. (Tradotto da Parole sul Confine a questo link).

Amore e rabbia in questi giorni – il Colettivo Kesha Niya

Riassumendo, gli incidenti degli ultimi giorni:

22 dicembre

6 uomini nei container della stazione di polizia francese sono stati colpiti con gas lacrimogeni. Lo spazio è piccolo e non c’è posto per fuggire. Gli uomini hanno gridato chiedendo di poter uscire perché non riuscivano a respirare. Nessuno ha risposto. Sono stati lasciati rinchiusi, con difficoltà a respirare, per le seguenti ore.

Un uomo si nasconde nei bagni del treno mentre va in Francia. Poiché non apre durante un controllo della polizia, la polizia francese apre la porta con un piede di porco metallico e picchia l’uomo sulla testa e sul corpo. Gettano anche del gas lacrimogeno all’interno, che gli arriva in faccia e direttamente al naso,  facendogli perdere conoscenza. Più tardi, quando lo incontriamo, ci dice che ha problemi di cuore e che per lui quel trattamento era molto pericoloso. Non ci sono state cure mediche, è stato portato alla stazione di polizia e alla fine è stato respinto in Italia.

Un adolescente è stato arrestato alla stazione di polizia. Prima di essere rimandato in Italia, un agente di polizia francese passa molto tempo (almeno 30 minuti) per insultarlo. Dice cose come “Dégage toi, ici c’est mon pays”. (Vattene, questo è il mio paese).

Quando il giovane si dichiara minorenne e dice di essere nato nel 2003, il poliziotto ride di lui e gli dice che non è l’età che scriverà sul foglio negandogli l’ingresso in Francia. Questo è successo a tutti i minori di 18 anni che incontriamo.

23 dicembre

A un uomo viene chiesto di lasciare le impronte digitali nella stazione di polizia italiana. Spiega che le sue impronte sono già state rilevate a Lampedusa e che dovrebbero controllare il sistema. La polizia lo riconosce dal giorno prima, si arrabbia e lo picchia in testa, allo stomaco e alla gamba.

Due uomini vengono colpiti con il gas lacrimogeno dalla polizia francese.

25 dicembre

Alcune persone si nascondono nel gabinetto del treno. La polizia francese apre la porta con un piede di porco di metallo e getta subito dei lacrimogeni all’interno. Nessuno riesce a respirare e cercano di uscire. Nel frattempo, un uomo cade a terra. Un altro uomo viene spinto in un angolo dalla polizia.

26 dicembre

Due uomini si nascondono nel bagno del treno. La polizia francese apre la porta con un piede di porco di metallo e li picchia.

Sono storie che sentiamo ogni giorno

 

Violenza della polizia al confine francese/italiano – prima parte

Proponiamo la traduzione – in due parti – degli ultimi aggiornamenti dei Kesha Niya che descrivono la situazione al confine tra Italia e Francia.

Il primo è stato scritto il 17 dicembre 

Questa è la situazione al confine tra Italia e Francia, dove centinaia di persone sono ostacolate nell’attraversare il confine e sono lasciate sole senza cure di base, trattenute con la violazione del loro diritto di circolare liberamente, con violenze da parte di agenti di polizia e pregiudizi degli abitanti locali.

Tutto questo accade da 5 anni ormai. Questo report è un aggiornamento sulla situazione e sul nostro lavoro poco prima di Natale 2020, durante una pandemia di Corona che non si ferma davanti alle persone vulnerabili per le strade.

Ti invitiamo a condividere!

Ora è ufficiale: la procedura che la polizia francese ha seguito negli ultimi anni è stata dichiarata illegale.
Da quando i flussi migratori hanno iniziato a passare dall’Italia alla Francia, il modo usuale per respingere le persone tramite la polizia di frontiera francese era impedire loro di entrare in Francia.Le persone dopo essere state bloccate sul lato francese in treno, in montagna o per le strade delle città fino a 30 km dopo il confine (Mentone, Monaco, Nizza, …), vengono rinchiuse in un “container” durante la notte o per diverse ore durante il giorno e infine rimandate in Italia con il “refus d’entrée” (un documento che dice solo che l’ingresso è stato negato a questa persona). Il 27 novembre il Conseil d’Etat, la più alta corte francese, ha deciso che questa procedura non sta seguendo le leggi europee, poiché il confine in questione è un confine interno dei paesi Schengen, non esterno. Ciò significa che impedire alle persone di attraversare questo confine (consegnando un refus d’entrée senza ulteriori comunicazioni o la possibilità di chiedere asilo) non ha alcun fondamento giuridico.
Dopo questo pronunciamento ci aspettavamo che ci fossero cambiamenti nel modo in cui le forze statali lavorano e reagiscono, ma non è successo. Abbiamo iniziato a raccogliere le foto del “refus d’entrée” che le persone hanno ricevuto da quando il tribunale ha deciso sullo status illegale di questi documenti. Non sono diminuiti o cambiati, e nemmeno i controlli delle persone in arrivo. Stiamo monitorando questo trattamento, in modo che in futuro ci siano prove per un’azione legale contro la polizia di frontiera francese.

Se ci saranno conseguenze sulla base della decisione del tribunale, vi faremo sapere.

Inoltre il Conseil d’Etat è intervenuto sulle attività della polizia di frontiera francese in quest’area: è stato, infatti, sanzionata la negazione dei diritti francesi ed europei che le persone dovrebbero avere nei “container” (luoghi per trattenere le persone presso la stazione di polizia francese al confine).

Tutti coloro che vengono al nostro posto di accoglienza al confine sono stati trattenuti per diverse ore durante il giorno o per tutta la notte (tempi che vanno fino a 24 ore, mentre ufficialmente non devono essere più di 4 ore). Viene ignorato l’accesso ai servizi a cui hanno diritto: cibo, bevande, cure mediche, servizi igienici, traduzione, contatto con le loro famiglie e altro ancora. I container sono realizzati in metallo e pietra e hanno quindi la medesima temperatura esterna.

Due organizzazioni francesi, Anafe (supporto legale) e Medecins du Monde (supporto medico), si sono battute per ottenere il permesso di entrare nella stazione (stazione di polizia di frontiera francese, dove le persone vengono detenute nei container ndt). Finora, questo è stato negato. Il 30 novembre, il tribunale amministrativo di Nizza ha sanzionato questo rifiuto da parte della prefettura di Nizza. La prefettura ha ora 30 giorni per rivalutare la richiesta. In passato sono state apportate modifiche per impedire l’ingresso di persone esterne, come dichiarare il container uno “spazio sicuro”. Ci auguriamo che Médécins du Monde e Anafé possano entrare in futuro e monitorare la situazione all’interno.

Vi daremo un aggiornamento all’inizio di gennaio!

Entrambe le decisioni ci hanno dato forza nel nostro lavoro. Adesso esiste un fondamento legale contro le cose contro cui stiamo combattendo e questo crea la possibilità di rendere maggiormente pubbliche l’ingiustizia, le violazioni, la violenza invece che lasciarle soltanto come sofferenza anonima. Naturalmente, quel che abbiamo imparato qui è l’enorme divario tra la teoria e la prassi utilizzata.

In teoria, la decisione del Conseil d’Etat significherebbe che il nostro gruppo non è più necessario e le persone dovrebbero poter attraversare il confine e avere un passaggio più sicuro perché i loro diritti sono rispettati. Ma sul lato pratico questo non avviene.

Ufficialmente, la polizia di frontiera francese – la PAF – non è autorizzata a fare quello che fa.

Non sono autorizzati a trattenere le persone per più di 4 ore e hanno l’effettiva responsabilità per legge di fornire cibo, acqua, e assistenza medica quando le persone (trattenute ndr) lo richiedono, la possibilità di avere una traduzione di ogni comunicazione e qualsiasi documento che ottengano, la possibilità di contattare un avvocato, la possibilità di contattare i propri parenti. Ogni singolo diritto è stato fino ad oggi violato.

Ma soprattutto, il diritto europeo di chiedere asilo in uno dei paesi in cui la persona arriva viene violato per ogni singola persona. Le persone senza documenti (si intende un passaporto valido/permesso di soggiorno più il passaporto del paese di origine) hanno il diritto di essere informate su ciò che sta accadendo loro, sul motivo per cui è in corso un controllo di polizia e di dichiarare che vogliono chiedere asilo in Francia. Quindi, la polizia dovrebbe seguire una procedura per contattare l’ufficio preposto alle richieste d’asilo e fissare per la persona un appuntamento o un colloquio su Skype in modo che possa dichiarare la sua richiesta di asilo.

Hanno quindi tutt’altri diritti che essere lasciati per un periodo di 10-30 ore in un container vuoto con un pavimento di pietra.

“Ci trattano come animali.” Non sappiamo più quante volte abbiamo sentito questa frase.

Chi spiega le leggi europee e francesi alla polizia e alle autorità francesi?

Continuiamo il nostro lavoro con la consapevolezza che lentamente la situazione umanitaria deve cambiare e lo sta già facendo, anche se è solo l’inizio della parte teorica in questo caso.

Quando si tratta di ingiustizia, almeno chiamatela come tale. Nel prossimo periodo saremo all’erta su come supportare l’azione che seguirà quella in corso, come la raccolta dei refus d’entree (rifiuto d’ingresso ndr) che vengono consegnati alle persone e continuare a raccogliere le testimonianze di quanto sta accadendo nei “container” della stazione di polizia francese.

Più in basso nell’articolo si possono trovare resoconti dettagliati sugli incidenti violenti di queste settimane.

In generale, abbiamo visto molti nuovi arrivi da altre località in Italia. La distribuzione serale del cibo a Ventimiglia, che oltre alla nostra giornata è coperta da altri gruppi durante la settimana, ha visto tra le 200 e le 260 persone! I numeri più alti riscontrati quest’anno e, analogamente, sono stati numeri elevati anche presso il luogo dove operiamo al confine.

Molti occhi sono puntati su Ventimiglia in questo momento. Per la prima volta dal 2016 tutti quelli che sono bloccati a Ventimiglia stanno affrontando un inverno senza alloggio, spazio sicuro, cibo disponibile e assistenza medica. Poiché il Campo della Croce Rossa ha chiuso in estate senza essere mai rimpiazzato (da un servizio analogo ndr), e poiché il sindaco non è interessato a creare di nuovo uno spazio del genere, la situazione è precaria.

I posti letto utilizzati nella zona di Ventimiglia sono i lati della strada (nascosti tra i cespugli), la spiaggia, lo spazio sotto i ponti e le case abbandonate. Naturalmente si fanno piccoli fuochi per affrontare la notte in spiaggia, e si utilizzano i resti di legno portati dalla tempesta. I fuochi servono anche per asciugare i vestiti, visto che ci sono stati molti giorni di pioggia.

Per tre giorni nell’ultima settimana, siamo riusciti a fare un giro per Ventimiglia per controllare la situazione di tutti coloro che vivono sul territorio. Abbiamo parlato molto, dato cibo, bevande, caffè, tè, articoli igienici e soprattutto ci siamo presi cura delle famiglie/donne per strada proponendo di trovare un alloggio. Questo tour ci ha fornito una visione più completa di Ventimiglia, abbiamo potuto incontrare non solo persone in movimento, ma anche a raggiungere persone incontrate una volta al confine ed al momento bloccate in città in attesa di riprovare, così come persone appena arrivate in stazione e fornire loro informazioni sui punti di appoggio a Ventimiglia (come la casa della Caritas e la distribuzione del cibo).

Inoltre, abbiamo potuto verificare come la polizia sta lavorando in città. Questo include controlli casuali di persone dall’aspetto esclusivamente non europeo. Abbiamo anche visto (per la prima volta) agenti di polizia francesi alla stazione dei treni di Ventimiglia davanti ai treni. Non ne conosciamo ancora le ragioni. Il governo francese e italiano hanno dichiarato di prevedere in futuro un’unità comune di frontiera per applicare controlli e arresti alle frontiere.

Durante le ultime due settimane, membri di Human Rights Watch, Medecins du Monde, Amnesty International e organizzazioni di base di altre città erano in visita a Ventimiglia per avere un’idea della situazione. Tutti erano d’accordo sull’importanza di migliorare le condizioni di vita qui. Cercheremo di migliorare sul fare rete per garantire le cose necessarie nei luoghi in cui occorrono, quindi in Italia e specialmente a Ventimiglia al momento.

Per tutte le persone presenti non esiste nel prossimo futuro alcuna sistemazione in programma o in prospettiva.

L’unico posto (sempre pieno) è una casa per famiglie e donne organizzata da diverse associazioni della regione, dove possono soggiornare 15 persone ogni notte.
Questo è un enorme aiuto, ma non abbastanza. Anche le possibilità di hosting privato durante la notte sono al limite e sempre utilizzate nel miglior modo possibile.

A seconda delle nostre donazioni, abbiamo iniziato a portare vestiti alla nostra “colazione” al confine che sono andati esauriti molto velocemente perché le persone vestono abiti bagnati dai giorni di pioggia o non sono ben attrezzate per l’inverno.

In fondo all’articolo troverai un elenco di cose che sono sempre necessarie e saremmo felici di ricevere!

Abbiamo continuato come al solito il nostro lavoro principale, la “colazione” dalle 9 alle 20 tutti i giorni, a un chilometro dal confine in direzione Ventimiglia, sul versante italiano. Stiamo lavorando in questo piccolo spazio vuoto dall’estate dopo aver lavorato in un altro spazio (che è stato chiuso a causa dei vicini) dal 2018.

Tutti coloro che vengono rilasciati dalla stazione di polizia francese sul versante italiano devono prendere la strada per Ventimiglia, da dove provengono, prendendo il treno o camminando per le montagne (il pericoloso “passo della morte”). Naturalmente, tornando in Italia, trovano il nostro “punto colazione” sul lato della strada. Creiamo accesso a cibo, bevande, articoli igienici, una piccola scorta di vestiti, pronto soccorso medico, un tetto per proteggersi dalla pioggia. Ancora più importante, è un luogo più tranquillo rispetto al luogo da cui provengono, chiacchieriamo e possiamo condividere la conoscenza generale che abbiamo sulla zona di Ventimiglia e alcune risposte per le difficoltà.

Stiamo fornendo consulenza legale e reindirizziamo a consulenti legali per casi particolare. I minori che hanno una prova della loro età e un refus d’entrée hanno il diritto di non essere rigettati dalla Francia e possiamo seguire una procedura con un avvocato per riportarli alla polizia e permettere loro di attraversare il confine senza essere presi e respinti indietro. Vediamo persone con un processo di asilo in corso in Francia che vengono respinte in quanto controllate sulla base di profili razziali dalla polizia e detenute perché manca un documento o non ce l’hanno con loro. In entrambi i casi, è “normale” che la polizia modifichi i dettagli (come la data di nascita del minore sul refus d’entrée per farlo figurare come più anziano e respingerlo come “adulto”) o prendere documenti dalle persone e distruggerli di fronte a loro, soprattutto quando le persone vogliono comunicare con loro, spiegare la loro situazione e sapere quali diritti hanno.

Di seguito, i numeri (abbastanza precisi) di persone che abbiamo contato alla nostra «colazione» tra le 9:00 e le 20:00:

Tra il 27 novembre e il 2 dicembre:
610 persone in totale, di queste 510 respinte dalla Questura e 100 provenienti da Ventimiglia o dal territorio circostante.
Tra loro:
– 41 donne
– 15 bambini accompagnati
– 21 minori non accompagnati

Tra il 3 e il 9 dicembre:
741 persone in totale, di cui 615 respinte e 126 provenienti da altre località.
Tra loro:
– 65 donne
– 27 bambini accompagnati
– 17 minori non accompagnati

Tenete in considerazione nella maggior parte dei casi incontriamo persone che abbiamo visto per diversi giorni di seguito, dal momento che occorrono da 2 a 6 tentativi per attraversare il confine con la Francia. Quindi il numero effettivo di individui è decisamente inferiore.

Questi sono gli incidenti concreti avvenuti con la polizia che le persone hanno deciso di condividere con noi o che abbiamo parzialmente vissuto:

27 novembre:

seguiamo una procedura con il nostro avvocato volontario per portare due minori in Francia (erano stati illegalmente respinti). Pur disponendo dei documenti necessari per dimostrare che i respingimenti erano illegali, la polizia francese afferma che “non è abbastanza”. Gli stessi ragazzi riferiscono che la notte prima stavano prendendo un camion per raggiungere la Francia, ma sono stati arrestati in autostrada dalla polizia italiana. Alla stazione di polizia, viene detto loro di sdraiarsi e, poiché uno di loro si rifiuta, viene trattenuto da 5 agenti di polizia e spinto a terra. Uno lo tira a terra torcendogli il naso.

28 novembre:

Incontriamo un uomo che è stato preso e arrestato alla stazione di polizia francese, nonostante sia un richiedente asilo in Francia e stava solo visitando un amico in Italia. Lo riaccompagniamo al confine e alla fine gli viene permesso di andare in Francia.

30 novembre:

un uomo che è già un richiedente asilo in Francia viene preso e arrestato. Mostra i suoi documenti agli agenti di polizia francesi, che li distruggono tutti.

Il giorno prima, 4 uomini con documenti italiani che lavorano regolarmente in Francia sono stati controllati a Nizza sul bus della loro azienda. Vengono portati alla stazione di polizia di Nizza e trattenuti fino alle 14:00. Ci hanno riferito condizioni pessime, gli hanno portati via i telefoni, fatto fotografie e preso le impronte digitali. Il 30 novembre vengono portati in manette al confine e alla fine vengono respinti. Tre di loro non avevano con sè tutti i documenti necessari, mentre a uno avrebbe dovuto essere consentito (l’accesso in Francia ndr) essendo in possesso dei documenti giusti.

1 dicembre:

di notte, tre donne si perdono in montagna e gridano aiuto. Alcuni uomini cercano di attraversare il confine vengono bloccati dalla polizia francese, informano di aver sentito le richieste d’aiuto delle donne sperdute. Chiedono aiuto per loro. La polizia si rifiuta di intraprendere qualsiasi azione e dice che andrà bene. Il giorno successivo incontriamo le tre donne presso il nostro luogo di accoglienza, fortunatamente hanno trovato la strada giusta con la luce del giorno.

Un uomo sta viaggiando dall’Italia a Marsiglia, in Francia, perché suo padre è malato e si trova lì in un ospedale. Vuole fargli visita. L’uomo ha un passaporto valido, un permesso di soggiorno valido, i documenti necessari per il Covid e documenti che dimostrano che suo padre è in ospedale, quindi può essere sicuro di viaggiare durante il lock down. Ha tutto ciò di cui ha bisogno per attraversare legalmente, ma viene comunque bloccato su un treno sul lato francese e portato alla stazione di polizia francese. La polizia francese distrugge i documenti che dimostrano che suo padre è in ospedale. Alla fine, viene respinto in Italia. Lo abbiamo messo in contatto con il nostro avvocato.

3 dicembre:

Incontriamo circa 7 minori nel pomeriggio. Siamo già stati in contatto con uno di loro. Ha già provato 2 volte e ora la terza volta, nuovamente arrestato dalla polizia, ha chiesto chiaramente di esercitare il suo diritto a fare domanda di asilo come minore di 18 anni, cercando di comunicare con la polizia. Come reazione lo hanno picchiato molto duramente. Nessuno di questo gruppo di minori parla della propria permanenza in questura. Uno dei minori che il giorno prima era allegro, rilassato e cucinava con noi ora è serio e non vuole parlare. Non abbiamo quindi informazioni su cosa sia avvenuto nella permanenza in questura. Un minore ha un nome sbagliato sul suo rifiuto d’entrée, oltre a una data di nascita errata attribuita dalla polizia francese. Per questo motivo non possiamo aiutarlo con la solita procedura per riportarlo in Francia.

4 dicembre:

il giorno prima, 11 uomini viaggiano insieme prendono il sentiero di montagna di notte. Quando vengono fermati dai militari francesi, uno di loro, spaventato, cade lungo il lato ripido del sentiero. I suoi amici sono molto preoccupati e chiedono ai militari di controllare le condizioni dell’amico. I soldati dicono loro che lo controlleranno il giorno successivo. Chiamano la polizia francese per portare gli uomini alla stazione di polizia. I 10 uomini insistono nel voler sapere se il loro amico sta bene. I militari scattano una foto del luogo in cui è successo e di tutti loro e non vogliono intraprendere ulteriori azioni. Quando arriva la macchina della polizia, gli uomini si rifiutano di entrare e di andarsene senza il loro amico. Vengono caricati con la forza nell’auto della polizia, portati in stazione e non hanno alcuna possibilità di informare qualcuno o di parlare con qualcuno alla stazione di polizia. Alla fine vengono respinti in Italia il 4 dicembre e arrivano al nostro posto della «colazione», ancora molto preoccupati. Ci facciamo dare il nome, il contatto e la foto dell’amico scomparso per cercarlo. Qualche tempo dopo ricevono la notizia che il loro amico è al sicuro. Si è fatto male a una gamba ma è riuscito a trovare un modo per tornare indietro e ha ricevuto aiuto dalle persone all’inizio del sentiero.

Solo due mesi fa, un uomo (che era con altri due mentre camminava sul sentiero in montagna) è scomparso. I suoi amici lo hanno visto cadere davvero in profondità e hanno informato la polizia francese dell’accaduto dopo essere stati arrestati. La polizia non ha fatto nulla. Solo il giorno successivo, le forze italiane sono andate in montagna, ma poiché la parte del percorso italiano è breve e per lo più sicura, ci hanno detto dopo due giorni di ricerca «Stiamo facendo del nostro meglio, ma pensiamo di cercare nel posto sbagliato» Prevalentemente, se le persone hanno incidenti, è dalla parte francese. Nei casi che abbiamo visto, nessuno si assumeva la responsabilità della possibile morte di qualcuno, nemmeno cercando di agire in qualche modo: il percorso è stretto, non stabile o solido, e molte persone lo percorrono di notte senza luce. Cosa significa morire qui? Soprattutto che nessuno lo saprà mai. Se viaggi da solo o cammini con persone che ti conoscono a malapena, se quelli che potrebbero proteggerti o salvarti non si presentano; sparisci, muori in modo anonimo. È lo stesso tipo di invisibilità che le persone sperimentano attraverso la violenza alla stazione di polizia e sui treni, dove nessuno sta guardando, e nei luoghi della città dove trovano uno spazio libero per dormire. Non esistono realmente nella vita pubblica. Fino ad oggi, per quanto ne sappiamo, non hanno mai (cercato e) trovato il corpo dell’uomo scomparso due mesi fa.

6 dicembre:

Gli effetti personali di un uomo vengono rubati (abbiamo avuto problemi di comunicazione con lui e non siamo riusciti a saperne di più).

8 dicembre:

Incontriamo una donna incinta e sua zia che hanno lasciato un campo italiano a causa delle cattive condizioni di vita, ad es. mancanza di cibo. Sono state fatte scendere dal treno qui al confine dalla polizia francese usando gas lacrimogeni.

Più tardi, un altro uomo ci racconta di più sull’incidente: era stato sul treno con molte altre persone. La polizia francese è salita sul treno in una città dopo il confine. In un bagno si nascondevano una donna incinta e sua figlia di due anni, un’altra donna, l’uomo che ci ha fatto il resoconto e altre persone. La polizia ha ordinato di aprire la porta, ma secondo l’uomo la porta era bloccata dall’esterno. La polizia ha sfondato la porta e ha usato contro di loro forti gas lacrimogeni. L’uomo ha insistito sul fatto che fosse una specie di acido, non solo gas lacrimogeni “normali” ed estremamente doloroso. Il gas veniva messo nel piccolo bagno senza che nessuno avesse la possibilità di uscire. Questo vale anche per il nascituro, la bambina e la loro madre. L’uomo ha urlato all’agente di polizia: “Non ti è permesso farlo. Sai che non ti è permesso. Puoi essere accusato per questo”. Un poliziotto francese ha risposto dicendo che non parlava inglese. Più tardi, alla stazione di polizia, lo stesso agente nel colloquio con la persona che ha segnalato l’accaduto e che chiedeva informazioni personali, ha parlato fluentemente in inglese su il refus d’entrée. Nella stazione di polizia, l’uomo non poteva vedere a causa dell’effetto dei gas lacrimogeni, tossiva e aveva dolore come tutte le altre persone coinvolte.

Gli fu risposto per le cure mediche di rivolgersi in Italia dopo il suo respingimento. Ha quindi ricevuto alcune gocce di un liquido per gli occhi. Poiché abbiamo trovato una possibilità di una accoglienza privata, abbiamo potuto seguire la situazione dell’uomo. Presentava ancora gli effetti del gas lacrimogeno sul corpo e sui capelli e ha avuto problemi a respirare e tossire fino al giorno successivo.

Se hai continuato a leggere il nostro articolo fino ad ora, ti ringraziamo per aver seguito la situazione qui al confine italo-francese. Sebbene la lotta sia in corso, manteniamo la nostra rabbia e la nostra volontà di non perdere mai di vista le persone che attraversano l’Europa.

Sei sempre il benvenuto se vuoi unirti a noi e vivere con noi se puoi impegnarti per un periodo di almeno due settimane o per dare supporto attraverso donazioni.

Cose di cui avremo costantemente bisogno la nel prossimo periodo:

cappelli, guanti, calzini, sciarpe, altri vestiti (contattateci per maggiori dettagli), spazzolini da denti e pasta, vecchi telefoni, sim card utilizzabili in Europa (Leika per esempio), e donazioni di cibo fresco (direttamente al confine se vivi vicino).

Non esitare a contattarci e a utilizzare questi recapiti, cercheremo di ricontattarti il prima possibile!

Con molto calore: il team Kesha Niya
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