Ventimiglia, dopo l’ennesimo sgombero, 18 e 19 Maggio 2018

È la seconda volta nell’ultimo mese che ci rechiamo a Ventimiglia, dopo lo sgombero del campo informale sotto il ponte di Via Tenda.

All’arrivo in città, nelle strade principali, persiste inalterato il passaggio quasi continuo di giovani migranti a piccoli gruppi. Inoltre, balzano agli occhi i cellulari delle forze dell’ordine con la cospicua presenza di polizia/finanza/carabinieri che si alternano nei piazzali antistante la chiesa si San Antonio.

Parcheggio davanti al cimitero

Proseguendo il cammino raggiungiamo il parcheggio davanti all’entrata del cimitero.

Qui staziona il camper di kesha niya che fornisce su un tavolino acqua e the un po’ di cibo. Ci sono una decina di ragazzi, prevalentemente sudanesi. Parliamo con loro e visitiamo alcune persone: due sono affette da scabbia, forniamo e spieghiamo come effettuare il trattamento, indicando l’infopoint Eufemia come possibile luogo di approvvigionamento di vestiti e coperte. Arriva un ragazzo sudanese in bicicletta, che più volte ci ha aiutato nelle traduzioni. Ci informa che il giorno prima c’è stata una retata della polizia che ha riempito 3 pullman, quindi circa 140 persone trovate in giro per la città o sulla spiaggia o espulsi dalla Francia. I pullman avevano come destinazione l’hotspot di Crotone. A lui chiediamo come sono distribuite le persone in città. Come ci era stato già detto nell’ultima visita la prevalenza si era recata presso il centro della croce rossa che raccoglie circa 300 persone, comprese una decina di famiglie con bambini.

Spiaggia

Poiché sembra che altre persone dormano in spiaggia, andiamo li, ma questa volta non incontriamo nessuno, nonostante siano ben riconoscibili vari giacigli di fortuna utilizzati per la notte.

Nella visita precedente avevamo incontrato in spiaggia un folto gruppo di ragazzi curdi, con evidenti eritemi cutanei da irradiazione solare, per i quali avevamo aiutato a trovare il modo, non essendo in possesso di documenti e con l’ausilio degli attivisti di Eufemia, di poter ricevere soldi dalla famiglia.

Bar Hobbit

Pranziamo presso il Bar Hobbit di Delia. Con lei parliamo della situazione generale e del particolare stato di crisi del suo locale che tanto ha dato in termini di aiuti materiali e di calore umano alle persone in viaggio. Qui incontriamo un gruppo di attiviste amiche che stanno facendo riprese per un documentario sulla storia di Ventimiglia.

Parcheggio davanti al cimitero

Nel pomeriggio torniamo verso il piazzale antistante al cimitero. Ci accorgiamo con sconforto che il tormentato accesso di fortuna all’acqua potabile, messo in funzione con caparbietà da un amico solidale, è stato nuovamente interrotto.

La volta precedente avevamo percorso l’argine del fiume fino al ponte dell’autostrada senza incontrare alcuno. Questa volta ci sediamo al bordo del piazzale, con alcune persone. Visitiamo un ragazzo per un’estesa micosi alla pianta dei piedi, banale patologia, ma che in queste condizioni dove il poter camminare è fondamentale ed urgente diventa importante. Ricordiamo a tutti di non bere l’acqua del fiume e di informare costantemente i nuovi arrivi sulla necessità di recarsi agli accessi d’acqua potabile, anche se lontani. Assistiamo ad una piccola partita di calcio, a cui partecipa anche un ragazzo bianco. Al termine, ci racconta che è uno che vive a Sanremo, ha fatto una tesi per la laurea magistrale in sociologia presso l’Università di Napoli su interviste eseguite a Ventimiglia riguardo alle ragioni delle migrazioni dal continente africano, in particolare sulla situazione sudanese.

La storia di Musa

Un altro ragazzo, Musa, di 25 anni, ci indica un suo amico per un problema di salute. Iniziamo a parlare e ci racconta del suo “sogno” di studiare – dice di se stesso di essere “educated”. A suo parere se non si ha questa possibilità, non ci sono speranze. A 25 anni si sente già vecchio e sente come se il suo sogno gli stesse sfuggendo di mano.

Il Sudan

Sentendo che ha voglia di parlare, gli chiediamo come abbia deciso di partire. Racconta che in Sudan, le persone del suo villaggio vengono considerate molto forti, per questo la “milizia” le obbliga spesso a lavorare gratuitamente. Per lungo tempo infatti aveva lavorato per loro. Tagliava la legna che poi veniva usata per produrre carbone per la vendita a Khartoum. Dopo molti mesi era riuscito a fuggire e a rifugiarsi a casa di uno zio, che ritenendo che fosse in pericolo, gli aveva consigliato di fuggire in Egitto.

L’Egitto

In Egitto era riuscito a sopravvivere e anche a inviare dei soldi alla famiglia grazie a vari lavori, ma rimaneva il sogno in lui di andare all’Università. In Egitto tuttavia i costi erano eccessivi, avrebbe dovuto pagare circa 450 dollari, che per lui avrebbe significato lavorare una vita.

Decide dunque, benché consapevole del rischio, delle torture a scopo di estorsione nei campi in Libia, dei morti in mare, di affrontare il viaggio per raggiungere l’Europa.

La Libia

Poco dopo essere arrivato in Libia, gli viene proposto da un locale di lavorare per lui. Non conoscendo bene la situazione e avendo bisogno di soldi, accetta. Tuttavia, l’uomo si rivelerà una persona pericolosa e crudele. Ogni notte lo chiude a chiave in una piccola stanza e ogni mattina apre la porta per dargli dei lavori pesanti da fare, minacciandolo di morte e di lasciarlo senza cibo e senza acqua se Musa non farà ciò che lui gli ordina. Musa spiega che tutti in Libia hanno armi in casa. L’uomo ha una moglie e un figlio piccolo. La donna si mostra più umana e ogni volta che suo marito esce, porta a Musa del cibo e dell’acqua. Un giorno però il marito, accorgendosi di ciò, reagisce violentemente e lancia il cibo addosso alla moglie. Da quel giorno Musa rifiuta qualsiasi aiuto dalla donna, dicendole che non vuole che lei venga uccisa da suo marito, troverà da solo il modo di sopravvivere. Dopo due mesi e a seguito di uno studio approfondito dei tempi della vita del libico, riesce a portare un grosso ramo nella stanza e a usarlo per rompere la finestra.

Fugge in strada e riesce a raggiungere un campo informale di sudanesi. Questi gli spiegano che non può rimanere li, perché il suo carceriere potrebbe arrivare e potrebbe anche uccidere tutti. Lo portano in macchina in un altro campo, dove vivono altri sudanesi, da molto tempo. Dice che molti di questi vivono in Libia da più di 20 anni, ci sono anche persone anziane. Loro conoscono il territorio e possono consigliargli dove andare e per chi lavorare (dice: “chi paga e chi no”), chi sono le brave persone e chi è pericoloso.

Vive così alcuni mesi, ma purtroppo un giorno viene scoperto da gruppi paramilitari, che lo portano in un campo di prigionia. Starà lì altri mesi, sarà soggetto a torture e vedrà molte persone torturate. Soprattutto racconta della tortura con l’acqua bollente gettata sulla pelle nuda. A suo parere questa volta i carcerieri sono paramilitari, ma hanno accordi con i militari libici. Nel campo ci sono centinaia di uomini, donne e bambini. Dopo giorni e giorni di tortura, alcuni uomini (dice soprattutto nigeriani), impazziscono. I torturatori gli fanno bere e gli forniscono droghe, successivamente li prendono a lavorare per loro, convincendoli a perpetrare violenze su prigionieri inermi a scopo di estorcergli più denaro possibile. Ad un certo punto, improvvisamente, i prigionieri vengono portati al porto dai loro stessi carcerieri, e gli viene detto: “now, go to Italy”.

“Sogno” e realtà

Alla fine Musa dice soltanto: “pensavamo all’Europa come un sogno, ora siamo quì: Europa…e non c’è niente”. Nella sua vita ha visto tanti campi, anche con donne e bambini, in condizioni terribili. Ha sempre pensato che avrebbe dovuto fare qualcosa per loro, ma senza riuscire a capire cosa, o come.

Questa storia è troppo forte. Non ce la sentiamo di fare altre domande sul viaggio in mare, o su come sia arrivato a Ventimiglia.

Cerchiamo anche noi di appigliarci all’idea del sogno di studiare, anche perchè Musa chiede avidamente cosa sarebbe meglio fare: tentare ancora e ancora il passaggio in Francia? Chiedere i documenti in Italia? Quando potrà avere una casa, andare a scuola e imparare l’italiano, se chiede asilo in Italia?

Lia Trombetta
Antonio Curotto