Il Campo Roja di Ventimiglia ha definitivamente chiuso.

 

Tre settimane fa è iniziata a girare voce, nelle vie informali e formali di Ventimiglia, della chiusura definitiva del Campo Roja.

Neanche il tempo di capire se fosse una “soffiata” o una “trovata politica” che nel giro di pochissimo tempo e nel silenzio più assordante, sono stati gestiti gli ultimi “trasferimenti” – non si sa dove – delle ultime presenze al Campo Roja. Presenze già dimezzate durante l’emergenza Covid che ad oggi fanno pensare a un pretesto più che a una linea di contenimento per evitare che altre persone potessero infettarsi. Ormai è chiaro che le emergenze servono agli Stati per garantire questi apparati: a quella degli sbarchi si è sovrapposta quella del terrorismo e ora è sopraggiunta quella del Covid. È stata questa “nuova emergenza” a finanziare società private come GNV e Moby per il contenimento, nei traghetti di queste due compagnie, dei migranti potenziali minacce per la salute della popolazione europea.

Del Campo rimane lo scheletro di tre anni di vite che lo hanno attraversato: container, grate, gabbiotti, tornelli, qualche tenda da campo, un calcetto e la staffetta tra polizia e finanza a presidiare il nulla.

È utile ricordare che il Campo Roja venne aperto a seguito della chiusura della Chiesa delle Gianchette che ospitava donne, minori non accompagnati e famiglie e dello sgombero del campo autogestito di Via Tenda. Due realtà tra loro differenti che segnavano il dentro e il fuori: il discrimine tra chiesa e sottoponte era l’essere una donna, un minore non accompagnato, o una famiglia: in questi casi era possibile accedere all’ospitalità in chiesa. Con queste “categorie” lavoravano le Ong che avevano le Gianchette come spazio di riferimento. Ad un certo punto i mariti non furono più ammessi, se non dopo un periodo di “osservazione” per capire se fossero effettivamente tali o trafficanti, profittatori o altro… Tra le persone migranti e i solidali era condivisa la sensazione di disagio per il paradosso che spesso nasceva: persone che avrebbero voluto essere seguite da una Ong e chiedere asilo politico ma nessun finanziamento o progetto che fosse rivolto a uomini adulti. In un certo senso e, per alcune “categorie”, il dentro era uno spazio “safe” che non obbligava ad entrare nel circuito dell’asilo. Una delle ragioni per cui la Prefettura non si è accontentata dello sgombero e della pulizia del sottocavalcavia e ha spinto, fino a imporre, la chiusura dell’ospitalità delle Ghianchette. Una realtà, che per quanto legata all’ente Chiesa, era autogestita dai volontari, motivo per cui la polizia non poteva controllare chi era, letteralmente, sotto il pavimento della chiesa, protetto dalla Caritas. Ne hanno quindi ordinato la chiusura e l’ultimo giorno Polizia e Croce Rossa Italiana (CRI) si son presentati coi pullman sul sagrato a prelevare e contare chi sfuggiva all’appello, portando al campo le ultime persone che ancora erano accolte grazie alla solidarietà informale.

Nel fuori di Via Tenda non c’era nessuna condizione dettata da altri, nessuno volontario preparava i pasti, nessun investimento di significati umanitari, nessuno si occupava dell’altro se non per le reti di solidarietà spontanee tra le persone che rompevano completamente la dicotomia migrante/volontario portando a rafforzare i legami di reciprocità e la lotta al diritto di movimento.

Sgomberare il campo autogestito del sottoponte, chiudere la Chiesa delle Gianchette e aprire il Campo Roja, delegandone la gestione alla CRI, è stato il miglior compromesso utilizzato dalle autorità per affidare la presenza dei migranti a dei professionisti in una logica umanitaria – in antitesi apparente con la logica militare ma di fatto suoi collaboratori – e delegittimare, per poi reprimere, le azioni di solidarietà e lotta che negli ultimi due anni si erano espresse tanto in forma spontanea quanto autorganizzata a Ventimiglia.

Continuiamo a chiamarlo “Campo Roja” perché da quando è stato costruito – era agosto del 2017 – non ha mai avuto una “definizione giuridica”. Inizialmente venne chiamato “Centro temporaneo” poi, diventando permanente, fu definito “Centro per richiedenti asilo” ma come i Cie, i Cara, i Cpt, i Cpr e gli Hotspot rimaneva anch’esso un luogo detentivo e allo stesso tempo volutamente ambiguo: un centro di contenimento e concentramento per stranieri.

Qualsiasi nome gli abbiano dato è stato un luogo ove la temporaneità ha fatto paio con la ricattabilità. Dove la selettività si è basata su di un approccio economico, militare e aziendale intento a coniugare la sicurezza con il profitto. Lo dimostra la fisarmonicità del confine, la sua porosità come l’hanno chiamata vari tra ricercatori e sociologi che l’hanno attraversato. I burocrati europei invece gli hanno dato un nome più trendy: “Smart Border Package” una specie di confine selettivo e intelligente in grado di selezionare rapidamente soggetti e merci economicamente rilevanti rispetto a quelli che ritiene non esserlo.

La temporaneità, la ricattabilità e la selettività sono garantite dalla presenza dei diversi attori che con ruoli, profitti e servizi differenti, governano e gestiscono questi luoghi di contenimento. Per questo troviamo in qualsiasi paese e confine ove essi sono posizionati – dalla fortezza Europa fino alla Libia, al Sudan, nel Nord Africa e nel Medio Oriente – associazioni umanitarie e grandi o piccole Ong a fianco delle Polizie di Frontiera e di Stato, delle istituzioni pubbliche o degli enti del privato sociale insieme all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e all’Onu.
Così è stato al Campo Roja ove la gestione affidata alla Croce Rossa Italiana “ospitava”, in accordo con la Polizia di Stato, le varie Ong che nell’arco di tre anni si sono alternate nella loro presenza al campo. Tra spinte umanitarie e logiche sicuritarie esse hanno partecipato al contenimento e alla repressione delle persone che lì arrivavano a prescindere dalla volontarietà che le induceva a recarsi al Campo. Così come, a prescindere dalle singole umanità che lavorano come militi o professionisti, la logica strutturale su cui questi spazi furono organizzati portava chi li attraversava come migrante ad assoggettarsi, pena l’esclusione. La stessa logica che poi troveranno una volta usciti dai centri dove, addestrati alla temporaneità e ricattabilità, diventeranno soggetti utili ai modelli di valorizzazione e di sfruttamento della “civiltà europea”. Più si insinua la precarietà più sarà agevole la loro amministrazione.

Come dicevamo all’inizio i trasferimenti delle persone dal Campo Roja sono avvenuti in un silenzio assordante: nessuna contestazione da parte della popolazione migrante, solo precarietà e silenzio. Queste sono due delle caratteristiche di assoggettamento più richieste ad oggi dal mercato del lavoro. Se spostiamo lo sguardo dai centri di contenimento dei richiedenti asilo e lo volgiamo nelle città dal Nord al Sud Italia, quante persone immigrate regolarmente vivono con il ricatto che perdendo il lavoro diventeranno espellibili? Quanti di queste si assoggettano alle condizioni di lavoratori precari e sfruttati per non perdere l’unica possibilità di non divenire irregolari? Tutto questo ha delle conseguenze drammatiche nella vita politica, sociale, economica, lavorativa e relazionale della persona straniera e della comunità intera.

Si può pensare quindi che il laboratorio Campo Roja abbia raggiunto i suoi obiettivi nel formare una futura popolazione assoggettabile? Si forse si. Potremmo pensare che le motivazioni per cui il Campo Roja è stato chiuso è perché è venuto a mancare il motivo per cui è stato aperto e cioè l’emergenza migranti al confine di Ventimiglia? Si forse si, gli accordi con il governo libico hanno sicuramente ridotto l’afflusso degli arrivi così come colpire le Ong che soccorrono i migranti in mare ne ha fatto morire molti di più di quelli che sono partiti. Ma non è così, Ventimiglia ci mostra visi di donne, uomini, bambine e bambini appena giunte dalla rotta balcanica o da quella mediterranea cosi come diniegati che hanno visto negata la loro richiesta d’asilo nei paesi europei.

Davanti a chi si domanda se la chiusura del Campo Roja sia peggio del suo mantenimento si potrebbe rispondere se i campi di detenzione libici siano meglio delle morti in mare o se disertare i decreti sicurezza per la gestione dei Cas sia stato peggio che continuare a gestirli nelle condizioni imposte. Forse sarebbe meglio non porsi questo tipo di domande, il rischio è che tra qualche tempo non distingueremo più ciò che ci lascia morire da quello che ci fa vivere. Il confine è poroso come dicono i sociologi ed è intelligentemente selettivo come esprimono i burocratici. Entrambi hanno ragione: lo scopo non è quello di chiudere o aprire le frontiere; non è quello di respingere o accogliere le persone migranti ma di governarle. Va da sé che la chiusura del Campo Roja o la sua (ri)apertura sono scelte che si equivalgono essendo partorite dallo stesso dispositivo che gestisce la frontiera e tenta di governarne l’umanità. Opporsi alla politica del meno peggio è l’unica risposta che ci viene da dare a chi si domanda se fosse meglio mantenere il Campo Roja piuttosto che vederlo chiudere.

 

La redazione

Che fine hanno fatto i minori sbarcati a Genova il 2 giugno?

Pubblichiamo un contributo, ricevuto ieri mattina, circa il “destino” dei 29 minori arrivati a Genova con la nave militare Fulgosi, il 2 giugno.

Pensiamo sia fondamentale farlo ora, nel mentre che la Sea Watch3 – dopo aver disegnato per 15 gg traiettorie impazzite di fronte a Lampedusa – nella giornata di mercoledì 26, ha deciso di forzare il blocco ed è entrata nel porto di Lampedusa. Ad ora mentre pubblichiamo l’imbarcazione è controllata da un dispositivo di “sicurezza” che ne impedisce lo sbarco di persone ridotte allo stremo delle forze e la capitana Carola Rackete viene accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a nave da guerra. Nel mentre che la Corte Europea per i diritti dell’uomo (CEDU) ha negato il ricorso. Nel mentre che una parte di società attiva ha passato parte della notte davanti alle Prefetture di tutta Italia. Nel mentre che alcuni lavoratori del porto di Genova scrivono un comunicato alla Sea Watch3 per rendersi disponibili ad aiutarla, nel caso in cui volesse puntare dritta verso il porto della nostra città.

Quale strategia si nasconde dietro la scelta del Ministro dell’Interno di far arrivare la Fulgosi a Genova il 2 giugno e negare l’approdo alla Sea Watch 3? Complimentandosi con la CEDU per la decisione di non accettare la richiesta di approdo?

Nei giorni precedenti alla festa della Repubblica, Genova ha mostrato di non avere più paura e la piazza del 23 maggio, contro l’autorizzazione al presidio di Casa Pound, l’ha dimostrato[1]. Il blocco della Bahri Yanbu, che trasportava armi destinate all’Arabia Saudita da usare contro il popolo yemenita, l’ha dimostrato[2]– “CHIUDIAMO I PORTI ALLE ARMI”. Il corteo del 6 aprile in risposta all’arrivo di Salvini – “CHIUDIAMO I PORTI AI RAZZISTI” – l’ha dimostrato.

Risulta così abbastanza chiaro come mai Salvini decide che Genova sarà la citta destinata ad accogliere i naufraghi della Fulgosi, salvati 4 giorni prima davanti alle coste libiche. Genova? Che dista non sappiamo quante miglia dalla Libia – 4 giorni di navigazione -, mentre la Sea Watch3, da 15 gg in mare di fronte all’isola di Lampedusa, ha ricevuto il divieto ad attraccare. Chi decide di lasciar vivere e far morire è abbastanza chiaro ormai. 

Ma torniamo ai 29 minorenni arrivati a Genova – Salvini dichiarerà:

«Sulla nave “la situazione” è positiva. Ci abbiamo lavorato giorno e notte in silenzio e a carico degli italiani non rimarrà neanche un immigrato, perché verranno ripartiti tra Paesi europei. Ringrazio i vescovi italiani per la disponibilità, non a parole ma nei fatti».

Il 28 giugno, cioè domani, il Ministro degli Interni arriverà a Genova per l’esplosione dell’ultimo pilone del Ponte Morandi, e due giorni fa tutti i minorenni sono stati “ridistribuiti” sul territorio nazionale. A noi nulla importa che Salvini non abbia prestato “onore” alla sua parola di ripartirli tra i paesi Europei.

Per noi è fondamentale lasciare il racconto nelle mani di chi ne ha vissuto la deportazione, con il suo coraggio e la sua rabbia che dev’essere il coraggio e la rabbia di tutti e tutte.

 

Che fine hanno fatto i minori sbarcati il 2 giugno?

Politiche nazionali e locali sulla non tutela dei minorenni

 

Il giorno 02.06.2019 sono sbarcati 29 minori stranieri non accompagnati dalla nave della marina militare Cigala Fulgosi e sono stati inseriti presso diverse strutture accreditate nel Comune di Genova, alcune delle quali aderenti al progetto sprar/siproimi, cioè a quel progetto espressamente dedicato all’accoglienza e integrazione dei minori.

Ad un primo esame i minori sbarcati (degli adulti non saprei dire, tanto velocemente sono stati trasferiti in Lazio) erano piuttosto lontani dall’immagine dei migranti ben tenuti e telefonomuniti della propaganda usuale. Molti di loro non avevano idea di dove fossero e, una volta giunti alle strutture di destinazione, chiedevano l’ora, avendo evidentemente perso la cognizione del tempo. Alcuni di loro, almeno quelli che ricordavano un numero di telefono, hanno potuto contattare la famiglia dagli uffici delle comunità: Maman! C’est moi, je suis en vie. Je suis en Italie!

Le immediate prese di posizione da parte dell’amministrazione comunale sono state quantomeno ambigue: dapprima il consigliere Gambino e la speranza da lui espressa che dei migranti sbarcati non ne rimanesse in città nemmeno uno; le proteste dei rappresentati del Partito Democratico cittadino; le dichiarazioni del sindaco Bucci a Telenord che almeno i minori sarebbero rimasti nelle strutture genovesi[3]. Sopra tutte le parole e le opinioni sempre presente la promessa del ministro dell’Interno: nessuno dei migranti (quindi nemmeno i minori?) avrebbe gravato sui contribuenti genovesi (e in che modo, del resto, visto che le rette per i minori stranieri non accompagnati inseriti presso una struttura sprar provengono per l’85,71% dai fondi messi a disposizione dal Servizio Centrale di Roma?).

Gli operatori delle strutture che hanno accolto i minori sbarcati dalla nave Cigala Fulgosi si sono accorti ben presto che qualcosa non andava nel meccanismo, per altro già da anni collaudato, dell’accoglienza. Le strutture sprar non hanno potuto segnalare al Servizio Centrale la presenza dei minori al loro interno; il servizio sociale del Comune non ha potuto operare alcuna presa in carico; le tutele decretate dal Tribunale dei Minorenni di Genova erano in carico alla Direzione Politiche Sociali e all’Assessora Francesca Fassio; le deleghe necessarie ai responsabili delle strutture per avviare le necessarie pratiche amministrative in favore dei minorenni non sono state concesse.

Proprio i decreti di tutela emessi dal tribunale a una settimana dallo sbarco dei minori recano traccia di una esplicita “comunicazione del Ministero dell’Interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, dalla quale risulta che a breve il minore verrà trasferito in struttura sita in diverso distretto del territorio nazionale”. Di questa comunicazione, tuttavia, non è dato prenderne visione diretta.

Il giorno 24 giugno le strutture coinvolte hanno ricevuto comunicazione dell’imminente trasferimento di tutti i minori sbarcati il 2 giugno, previsto per il giorno 25. Solo due minori molto piccoli e due ragazze in stato interessante non sono stati coinvolti dal trasferimento.

E così il 25 giugno i minori della nave Cigala Fulgosi, dopo essere stati raccolti al largo di Lampedusa, aver visto l’Italia via mare da sud a nord nella sua interezza, aver iniziato un timido approccio al territorio, aver condiviso un mese di vita in compagnia di altri ragazzi, sono stati fatti salire con minimo preavviso (ma tanto che cambia loro?) su pulmini e trasferiti in altre città italiane, potendo godere dell’indubbio privilegio di conoscere l’Italia anche lungo le sue autostrade.Diversamente da quanto dichiarato a caldo dal Sindaco Bucci, cioè che i minorenni sarebbero stati accolti nelle strutture genovesi preposte, il loro mese di permanenza nella nostra città è stato più simile ad un parcheggio che ad un’accoglienza strutturata.

Ma a questo punto, che la storia è finita, qualche domanda resta: perché se il Comune di Genova aveva 14 posti sprar (e quindi non direttamente a carico del contribuente genovese) liberi almeno 14 dei minori sbarcati il 2 giugno non sono rimasti in città? C’è qualcosa che non va nel modo di lavorare di professionisti che da anni si dedicano all’integrazione dei minori stranieri a Genova? Oppure la posta in gioco era soltanto politica, appesa alle parole del ministro dell’Interno che, per qualche motivo sicuramente slegato dal principio del maggior benessere del minore, prometteva di dare alla città soltanto il disturbo delle operazioni in calata Bettolo e niente più? Nel qual caso vorrei dichiarare che mi disturba assai più essere un professionista dell’educazione e dell’integrazione e rispondere supinamente alla richiesta di spostare minorenni come fossero cose. Ancora un volta abbiamo perso in Italia l’occasione di trattare gli esseri umani come fini e non come mezzi.

Buon viaggio, allora, ragazzi. Una nave vi ha fatto vedere in lungo in largo le coste di questo Bel Paese abitato da gente discutibile. Ora rifarete più o meno a ritroso lo stesso viaggio lungo le autostrade dell’estate.

[1]https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/23/genova-antifascisti-contro-il-presidio-di-casapound-tre-feriti-e-due-fermati-negli-scontri-con-la-polizia/5202761/

[2]https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/20/genova-lo-sciopero-dei-portuali-blocca-la-nave-saudita-carica-di-armi-da-qui-non-ripartono-fumogeni-contro-il-cargo/5192421/

[3]https://telenord.it/nave-migranti-a-genova-accolti-32-minori-non-accompagnati-bucci-polemiche-strumentali/

 

 

 

Mappe del confine: 3# Via Tenda: strada di immigrati e migranti, razzismi e resistenze

La geografia

Strada di immigrati, migranti, razzismi e resistenze, Via Tenda è la via di Ventimiglia che parte da Largo Torino, la rotonda posta al centro tra la parte nuova di Ventimiglia e la città vecchia. 

Passato il cimitero, si trasforma in corso Limone Piemonte, poi si immette nella Strada Statale 20 che, costeggiando il corso del fiume Roya, svalica in territorio francese, per poi riattraversare il confine  portando fino a Cuneo.

Su uno dei suoi lati sta il letto del fiume Roya e, quasi all’inizio, è interrotta dai binari della ferrovia che, seguendo la costa, porta in Francia: “Prochain arrêt Menton Garavan”. (1)

Il passaggio a livello scandisce i tempi della Via: tutti fermi da un lato e dall’altro anche per dieci minuti, un muretto permette la sosta e le chiacchiere dei più socievoli; i meno pazienti sgattaiolano attraverso i binari,mentre  i treni si annunciano, sferragliando lenti e rumorosi.

Dopo il passaggio a livello, s’impone l’ombra scura del viadotto della Statale 20, l’architettura che crea il cosiddetto sottoponte: una parte dell’argine del fiume Roya coperta dal viadotto che è stata utilizzata dalle persone migranti come luogo di accampamento.

Un grosso parcheggio comincia poco dopo il passaggio a livello, cui segue un ampio piazzale polveroso di fronte al quale si stagliano il muro e il cancello del cimitero cittadino.

Tutto il lato “a monte” della via, fino al cimitero, è occupato da palazzine popolari, negozi che sono soprattutto bar, alimentari e abbigliamento. Circa a metà sorge la Chiesa di S. Antonio,  nota come la Chiesa delle Gianchette.

Link:
1- https://parolesulconfine.com/treni-del-razzismo/
Gli abitanti

Via Tenda è abitata da ventimigliesi di ceto popolare, pensionati, operai, lavoratori, piccoli commercianti, disoccupati, una buona percentuale proveniente da famiglie di origine calabrese immigrate al Nord nel dopoguerra. E’ anche abitata da gente di passaggio e, soprattutto negli ultimi tre anni e mezzo, lo è stata dalle persone migranti che, in attesa di riuscire a passare il confine, hanno trovato rifugio tra i canneti, i cespugli e i piloni del viadotto.

 

Via Tenda 2016 – 2019 : brevi cenni a fatti, situazioni e pratiche

Accampamenti e sgomberi con le ruspe: a partire dalla primavera del 2016, il sottoponte è stato utilizzato come luogo di accampamento dalle persone migranti. I primi accampamenti hanno visto una dinamica politica che riprendeva lo spirito dell’esperienza dei Balzi Rossi (1): autorganizzazione, condivisione, orizzontalità democratica tra persone migranti e solidali. Durante l’estate del 2016 è avvenuto il primo sgombero violento, con l’utilizzo delle ruspe. Le proteste delle persone migranti e dei solidali hanno provocato l’intensificarsi delle pratiche di repressione: l’utilizzo dei fogli di via nei confronti dei solidali e le deportazioni al sud delle persone migranti.

Tra la fine del 2016, per tutto il 2017 e i primi mesi del 2018, moltissime persone migranti (presenze stimate tra le 200 e le 600 persone a seconda dei periodi) hanno continuato a dormire e vivere tra i piloni e i cespugli del sottoponte. La vita sugli argini del Roya è proseguita in condizioni critiche (2), mentre le richieste di collocamento di servizi sanitari, di accesso all’acqua potabile e di presidi medici sono state ignorate dal Comune (3) e fortemente osteggiata da alcuni cittadini del quartiere, sostenitori di posizioni fortemente intolleranti nei confronti delle persone migranti. Si sono susseguite le minacce di sgombero, spesso concretizzatesi in azioni di “pulizia e bonifica” del lungo fiume ed eliminazione degli accampamenti, ad opera delle ruspe e degli addetti della società La Lanterna, ingaggiata dal Comune (4). 

A inizio maggio del 2018, dopo che tra marzo ed aprile l’accampamento si era stabilizzato anche con la costruzione di alcune baracche sul modello della Jungle di Calais (5), è avvenuto lo sgombro definitivo, cui è seguita la presenza costante delle forze dell’ordine nei piazzali limitrofi, con l’obiettivo di fermare chiunque accennasse a volersi accampare (6). A metà luglio, il Comune ha fatto costruire una cancellata per chiudere tutti gli accessi che da Via Tenda portano alla zona del Sottoponte (7).

 

Links:
1- https://parolesulconfine.com/migranti-il-vento-soffia/
2- https://parolesulconfine.com/migranti-italia-hotel-5-stelle/ 
https://parolesulconfine.com/emergenza-freddo-o-ulteriore-passo-avanti-verso-il-nuovo-nazismo/
3 – https://parolesulconfine.com/acqua-potabile/
4- https://parolesulconfine.com/notizia-sgomberi-pulizia-ruspe/
5- https://parolesulconfine.com/la-quiete-prima-della-tempesta-aspettando-lennesimo-sgombero-a-ventimiglia/
6- https://parolesulconfine.com/ora-siamo-qui-europa-e-non-ce-niente/
https://parolesulconfine.com/ventimiglia-trenta-giugno-2018/
7- https://parolesulconfine.com/quanto-vale-la-vita-di-un-immigrato/
https://parolesulconfine.com/cancellati-ventimiglia-citta-imprigionata/

Ospitalità presso la Chiesa delle Gianchette: Nella primavera del 2016 ha inizio l’esperienza dell’accoglienza all’interno dei locali parrocchiali della Chiesa delle Gianchette, messa a disposizione dal parroco, con il supporto quotidiano dei volontari della parrocchia e della Caritas. Su ordine della Prefettura e del Comune, nell’estate del 2017 si è posto termine all’esperienza, con il trasferimento anche delle donne e dei bambini  all’interno del Campo Roya, gestito dalla C.R.I. (1)

 

Links:
1- https://parolesulconfine.com/le-vie-del-signore-sono-finite-ventimiglia-novembre/
https://parolesulconfine.com/polifonia-estiva-dalla-frontiera-di-ventimiglia-prima-parte/

Comitato di quartiere: Il comitato di quartiere Via Tenda-Gianchette rinasce nel luglio del 2016. Uno dei suoi principali obiettivi è quello di affrontare la questione della presenza delle persone migranti. Ne fanno parte sia gruppi di abitanti apertamente razzisti e intolleranti, sia abitanti interessati ad affrontare in maniera democratica i problemi comuni. Molto spesso, nelle decisioni e negli atteggiamenti, saranno i primi a prevalere (1). Il Comitato esiste tutt’oggi e ha da poco ottenuto una sede ufficiale dall’amministrazione comunale.

Link:
1- https://parolesulconfine.com/sullemergere-dei-comitati-cittadini-anti-migranti/

Cortei:  Via Tenda è stata attraversata da cortei di segno opposto. Hanno manifestato migranti e solidali insieme per chiedere la fine della repressione e del razzismo istituzionale e sociale e misure di accoglienza dignitose (1), ma anche  gli abitanti di Ventimiglia contrari alla presenza dei migranti in città, con la presenza di gruppi con posizioni apertamente razziste, intolleranti e filofasciste (2).

Links:
1- https://parolesulconfine.com/migranti-il-vento-soffia/
https://parolesulconfine.com/che-scusa-abbiamo-come-antirazzisti-per-non-fare-nulla/
2- https://parolesulconfine.com/ventimiglia-libera/

Infopoint Eufemia: l’Infopoint  è nato nell’estate del 2017 dalla collaborazione dei solidali del Progetto 20K con il progetto Melting Pot Europe e l’associazione locale Popoli in Arte. Ha avuto la sede in un fondo all’inizio di Via Tenda. A fine dicembre 2018 è stato chiuso a causa del mancato rinnovo del contratto da parte del proprietario dell’immobile. Per due anni è stato un punto di riferimento per la solidarietà nei confronti delle persone migranti e un punto d’incontro per queste ultime, che vi trovavano la possibilità di connessione internet, punto di ricarica per i telefoni, distribuzione di vestiario, scambio d’informazioni e consulenza legale. E’ stato più volte bersaglio d’insulti e minacce da parte dei gruppi di abitanti del quartiere contrari alla presenza delle persone migranti (1).

Link:
1- https://parolesulconfine.com/polifonia-estiva-dalla-frontiera-di-ventimiglia-prima-parte/

Distribuzione pasti: Dal 2016, nel piazzale antistante al cimitero sono stati regolarmente distribuiti pasti in orario serale per chi era accampato lungo il Roya, da solidali francesi della Val Roya, organizzati sia in associazioni sia in gruppi informali, talvolta da gruppi religiosi islamici, soprattutto in concomitanza con le festività del calendario islamica, e dal collettivo Kesha Niya (1).

Links:
1- https://parolesulconfine.com/polifonia-estiva-dalla-frontiera-di-ventimiglia-prima-parte/
https://parolesulconfine.com/questo-male-non-finira-mai/

Visite di medici solidali: Alcuni medici, in maniera volontaria, per solidarietà e complicità con le persone migranti, hanno effettuato visite e monitoraggi costanti delle condizioni di vita degli abitanti del sottoponte e degli ospiti delle Gianchette, producendo importanti testimonianze della situazione sanitaria e sociale (1).

Links:
1- https://parolesulconfine.com/violazioni-diritto-alla-salute-confine/
https://parolesulconfine.com/migranti-al-gelo-a-ventimiglia/
https://parolesulconfine.com/ventimiglia-dopo-la-piena-del-fiume/
https://parolesulconfine.com/everything-is-lost-ovvero-abbandono-prima-della-pulizia/
https://parolesulconfine.com/prima-della-neve/
https://parolesulconfine.com/malati-di-frontiera-analisi-di-un-anno-di-report-medicali-alla-frontiera-di-ventimiglia/

 

 

redatto da g.b.

 

 

 

 

 

 

 

Sull’emergere dei comitati cittadini anti-migranti

[immagine in evidenza: repertorio Riverapress.it]

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, un articolo che ripercorre come il fenomeno delle proteste anti-migranti, così frequente negli ultimi tempi, si sia declinato a Ventimiglia.
La Cronaca italiana, da un paio d’anni a questa parte, ci ha fatto conoscere un nuovo tipo di soggetto sociale : il comitato, di cittadini, di quartiere, di abitanti, ecc. ecc. che si mobilita contro l’istallazione, nei dintorni delle proprie abitazioni, di centri e strutture di accoglienza ai/alle migranti. Il più delle volte, si constateranno il supporto (o la sobillazione) da parte di gruppi facenti riferimento ad aree politiche di estrema destra e l’ingigantimento strumentale della problematica, sia che l’accento venga messo sulla ‘piaga’ del degrado, sia che si paventino scenari di violenza e insicurezza.
Alcuni casi, di vere e proprie azioni organizzate o raid, hanno conquistato le prime pagine dei giornali, dando voce ad un’ansia securitaria che lascia impietriti, tanto è irragionevole : minori accusati di aggressioni mai avvenute a Tor Sapienza[1], una quindicina tra donne e bambini a Gorino[2], qualche famiglia in un palazzo di Via XX Settembre a Genova[3] … si potrebbe continuare a lungo ad elencare i ‘nuovi mostri’ che hanno scatenato fobie e isterismo da un estremo all’altro della penisola. A Multedo, quartiere del ponente genovese, si è arrivati a costruire una narrazione falsata, secondo la quale l’asilo di quartiere sarebbe stato chiuso per far spazio ai migranti[4]: il fumo negli occhi storpia la realtà, fino a far dimenticare che quell’asilo privato è stato chiuso per questioni di budget, poichè le rette non bastavano più a mandarlo avanti, secondo quanto dichiarato dalle Suore della Neve che lo gestivano. Per quale bizzarra traiettoria il problema trasla dal taglio indiscriminato allo stato sociale all’accoglienza di qualche decina di richiedenti asilo?
Nonostante la brutalità del confine, della repressione poliziesca, dell’assenza di un supporto istituzionale degno alle persone in viaggio, anche a Ventimiglia la rabbia si scatena nei confronti di chi questo sistema lo subisce e cerca di combatterlo. Quando la rabbia è cieca, diventa odio indiscriminato, quindi di facile strumentalizzazione. Il gioco è pericoloso e chi lo istiga non merita alcuna agibilità politica.
immagine repertorio La Riviera.it

Negli ultimi anni stiamo assistendo in Italia all’emergere con forza di sedicenti gruppi / comitati cittadini spesso accomunati dai seguenti elementi:

– vertenze, presidi e cortei anti-migranti, contro il “degrado” e per la “sicurezza”, in larga parte espressioni di razzismo “di pancia”: quest’ultimo può essere collegato all’incomprensione dei fenomeni sociali in corso e all’incapacità frustrante di non sapere come agire politicamente, e quindi attraverso quale modalità interfacciarsi con le decisioni istituzionali;

– infiltrazione e/o guida di questi gruppi o comitati da parte dei movimenti di estrema destra (Lega Nord, Forza Nuova, CasaPound, oltre a specifiche associazioni ad essi collegate) con conseguente radicalizzazione delle pratiche (emblematici i casi di incendi / danneggiamenti alle strutture adibite all’ospitalità dei richiedenti asilo e delle barricate anti-profughi);diffusione di gruppi facebook intolleranti utilizzati per il coordinamento pratico e ideologico attraverso il tipico modello “Sei di (nome città) se”[5];

– concessione di agibilità politica da parte delle istituzioni locali nell’ottica della funzionale e deresponsabilizzante – per loro – “guerra tra poveri” (emersa in maniera evidente con l’esplosione della crisi del 2008).

[Questa riflessione tuttavia non deve portare a generalizzazioni riguardo al ruolo dei comitati cittadini che in molti casi nascono invece per opporsi a grandi opere inutili e/o alle discriminazioni dilaganti.]

Anche a Ventimiglia, da un anno a questa parte, si è sviluppato lo stesso fenomeno: sul territorio è infatti nato un movimento cittadino autodefinitosi prima “Adesso Basta” e poi “Ventimiglia Libera”, espressione di una rabbia viscerale e in larga parte disorganizzata, che però ha già all’attivo quattro manifestazioni di intolleranza nei confronti dei transitanti. Come già raccontato dal blog Parole sul Confine[6], nel corso di questi cortei sono stati individuati personaggi riconducibili a Forza Nuova e Lega Nord e sono stati urlati slogans palesemente razzisti (“Bruciate i loro bambini!”), oltre che commenti a sostegno di Gaetano Scullino (Forza Italia), sindaco della precedente amministrazione comunale sciolta per infiltrazioni mafiose un paio di anni fa. Come se non bastasse, infatti, a Ventimiglia la presenza della ‘ndrangheta calabrese è ancora molto forte e determinante nelle scelte della vita cittadina[7].

L’11 novembre 2017[8] abbiamo assistito all’ultimo episodio di questa trafila: circa un centinaio di cittadini ventimigliesi, tra cui alcuni esponenti della Lega Nord locale, si sono mossi in corteo per protestare contro la presenza dei migranti in città e per richiederne l’allontanamento dal territorio. Hanno mostrato alcuni striscioni con scritto: “Rivogliamo la nostra città”, “Ventimiglia dice basta”, “Tutti uniti per Ventimiglia” e “Ventimiglia: accoglienza, no delinquenza”. Passando da via Tenda, i manifestanti hanno insultato i/le solidali dell’info-legal point Eufemia, che da quest’estate si occupa di fornire gratuitamente servizi minimi ai ragazzi in viaggio (materiale informativo, ricarica cellulari, connessione internet, sportello legale). I volontari hanno scelto di non rispondere alle provocazioni, optando invece per la tutela collettiva dello spazio e dei ragazzi lì presenti[9]. Al termine della manifestazione, conclusasi di fronte al palazzo comunale, è stato letto il testo della “petizione anti-migranti” da inviare al prefetto di Imperia, con allegate alcune firme dei cittadini.

Risulta sostanzialmente chiaro come il tiro si stia indirizzando verso i soggetti più vulnerabili e attaccabili localmente, ovvero migranti e solidali.

L’illusione di avere un minimo di potere reale su quanto le circonda (purtroppo in senso reazionario), infatti, spinge queste persone a scendere in piazza denunciando l’abbandono “da parte dello Stato” e riuscendo immediatamente ad identificare il “nemico” da combattere: sembra proprio che la xenofobica divisione tra noi (“bianchi”) e loro (“neri”) stia tenendo banco, aprendo la possibilità di pericolose derive razziste.

Il tema del “degrado cittadino” risulta inoltre presente in questa populistica analisi: il problema non è una linea immaginaria chiamata frontiera, il problema non è l’atteggiamento dell’UE, degli Stati italiano e francese e delle istituzioni locali nei confronti delle migrazioni, il problema non è il Comune che lascia delle persone in condizioni igienico-sanitarie precarie e pericolose e che non attrezza la zona del greto del fiume almeno con bagni chimici, fontanelle e cestini dei rifiuti (questo chiaramente nell’ottica di impedire assembramenti informali, che tuttavia, nonostante gli sgomberi estivi avvenuti con le ruspe targate Pd, continuano ad esistere e resistere): il problema, per alcuni cittadini ventimigliesi, sono i ragazzi che sporcano, strumentalizzando i quali possono dunque esprimere il loro legalitarismo, utile per mascherare e giustificare il razzismo di fondo che li anima. E nulla sembra valere il fatto che ogni mercoledì scout Agesci, volontari e migranti si impegnino nel ripulire la zona del Roja cercando di renderla meno invivibile. È anche vero che la questione sta a monte: «Cos’è davvero il degrado? E’ nei resti di un accampamento di fortuna, nei pochi averi abbandonati sul ciglio della strada mentre si tenta la salvezza oltre confine, in questa miseria che spinge migliaia di esseri umani a rischiare (e spesso perdere) la vita… Oppure nelle politiche di accoglienza e negli interessi senza scrupoli di pochi, che di umano non hanno nulla? Il degrado non è forse nei cuori e nelle teste di chi tratta una parte di umanità come un rifiuto gettato ai bordi della strada?»[10].

Le politiche di espulsione, marginalizzazione e invisibilizzazione del “diverso”, già palesemente in atto per esempio con la presenza del centro della Croce Rossa situato all’estrema periferia di Ventimiglia[11] e con la pratica criminale delle deportazioni, vengono dunque incoraggiate da questa parte della popolazione locale, che addirittura ne vorrebbe un’ulteriore implementazione.

Ricette preconfezionate e pronte all’uso non esistono, ma risulta chiaro che occorre pensare a come opporsi, con fermezza e nella pratica concreta, a questa parte di popolazione intollerante. In primo luogo è necessario sottolinearne l’esistenza, evitando banalizzazioni del fenomeno e sottovalutazioni del potenziale che questo può avere: insomma, inutile far finta che le persone in questione non esistano. Utile, invece, smontarne le deliranti narrazioni con criterio, cioè tramite una controinformazione mirata e costante, e quindi denunciarne politicamente le opinioni e le azioni xenofobe. Nonostante l’apparente paradosso, infatti, dimostrarsi intolleranti verso gli intolleranti risulta essere il mattone fondamentale per costruire una vera società della tolleranza.

Alcuni solidali di Ventimiglia

immagine repertorio Sanremonews.it

Note:

[1] http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/14_novembre_13/tumulti-tor-sapienza-stranieri-redistribuiti-6fba45f0-6b08-11e4-8c60-d3608edf065a.shtml

[2] http://www.corriere.it/cronache/16_ottobre_26/dicono-undici-donne-2d911842-9af0-11e6-97ec-60bd8f16d4a5.shtml

[3] http://genova.repubblica.it/cronaca/2016/11/12/news/migranti_in_via_xx_settembre_a_genova_la_prefettura_cita_i_condomini_che_negarono_l_acqua-151845973/

[4] http://genova.repubblica.it/cronaca/2017/10/09/foto/multedo_l_arrivo_dei_migranti_fa_riscoprire_la_voglia_di_asilo_-177793356/1/; http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2017/10/26/ASKX9iIK-multedo_difesa_martino.shtml

[5] https://news.vice.com/it/article/gruppi-cittadini-facebook-estrema-destra

[6] https://parolesulconfine.com/marea-razzista-ventimiglia-no-borders/

[7] http://www.ilsecoloxix.it/p/imperia/2017/06/25/ASPDJt4H-ndrangheta_spuntano_business.shtml

[8] https://parolesulconfine.com/ventimiglia-libera/

[9] Comunicato sui fatti dell’11/11/17: https://www.facebook.com/progetto20k/posts/535242253502360

[10] https://parolesulconfine.com/immigrazione-e-degrado/

[11] https://parolesulconfine.com/parco-roja-minaccia-la-sicurezza/

Parco Roya – Ventimiglia, una minaccia per la sicurezza

3 km e mezzo è la distanza che i migranti in transito a Ventimiglia devono percorrere a piedi per raggiungere la città di frontiera dal Campo gestito dalla Croce Rossa Italiana.

Il percorso si snoda su una superstrada in cui le macchine procedono a grande velocità e lo spazio per il camminamento risulta insufficiente se non addirittura assente per lunghi tratti.

La decisione di allontanare i migranti spostandoli dalla città di confine verso l’interno, è stata fortemente voluta dalle istituzioni e pubblicizzata come essenziale per garantire la sicurezza dei residenti. L’imperativo è diventato decongestionare la città da cartolina, oggi diventata tristemente nota per essere vetrina dello scontro tra gli sbandierati ideali europei ed il vero volto di un Unione fasulla.

Il Campo della Croce Rossa sorge nel Parco ferroviario Roja nella frazione di Bevera.

Nel luglio 2016 tutti i migranti ospitati alla Parrocchia di Sant’Antonio nel quartiere delle Gianchette, a eccezione di donne, minori e famiglie, sono stati trasferiti all’interno del campo e ogni nuovo arrivo è stato qui indirizzato.

Ad agosto 2017, nonostante le rimostranze e le criticità sollevate dalle volontarie delle Gianchette (1) e dal personale delle ONG presenti sul territorio, la Prefettura ha avviato il trasferimento al Parco Roja anche di donne e bambini (2).

L’accesso al campo è subordinato alla registrazione delle impronte digitali che vincola i migranti alla richiesta d’asilo in Italia. Questo fattore, unito alla lontananza del campo dai servizi della città e alla mancanza di sicurezza sul percorso necessario per raggiungerla, hanno determinato un incremento delle persone che decidono di trovare riparo sotto alla superstrada, in condizioni igienico sanitarie critiche(3).

Nel corso del 2017 lungo il percorso dal campo alla città di confine sono state investite 3 persone e 2 hanno perso la vita, un giovane di 27 anni e il conducente dello scooter che lo ha investito, un uomo di 66 anni.

                                                                                                                                                                                                                               Grage

1 https://www.riviera24.it/2017/08/ventimiglia-lacrime-e-rabbia-il-difficile-addio-delle-famiglie-di-migranti-ai-volontari-delle-gianchette-262300/
2 https://www.riviera24.it/2017/08/ventimiglia-rabbia-e-frustrazione-alle-gianchette-per-il-primo-trasferimento-di-donne-e-bambini-al-parco-roja-262285/
3 https://parolesulconfine.com/violazioni-diritto-alla-salute-confine